Stanley William Hayter: la dinamicità dell’attesa
Note
Stanley William Hayter: la dinamicità dell’attesa
Le due stampe di Stanley William Hayter, La leçon d’anatomie e Nereide, datate rispettivamente 1954 e 1961, vennero acquistate da Luciana Tabarroni tra il 1962 e il 1963 da Bolaffio, un mercante di Lenno, e costituirono le prime presenze in collezione della produzione incisoria inglese. [6]Si veda Farneti 2003, p. 56. La leçon d’anatomie è stata esposta a Bologna e a Roma nel 2003, in occasione delle due mostre dedicate alla collezione, allestite subito dopo il suo acquisto da parte dello Stato per il Gabinetto dei Disegni e delle Stampe di Bologna (Bologna 2003, Roma 2004). Nella collezione di grafica europea del Novecento di Luciana Tabarroni, allora in corso di formazione, non potevano infatti mancare opere dell’artista che ha dedicato all’attività grafica un intenso e fecondo interesse, e a cui va, altresì, riconosciuto il merito di aver radicalmente trasformato l’incisione moderna, al punto da esserne ora comunemente considerato una sorta di padre innovatore.
Nato a Londra nel 1901, Hayter si dedicò a studi scientifici, ma da subito iniziò ad assecondare la sua predisposizione, concedendosi sempre più frequenti evasioni pittoriche. Dopo un primo incarico presso una società petrolifera anglo-persiana nel Golfo Persico tra il 1922 e il 1925, Hayter favorì esclusivamente l’attività artistica. Tuttavia, la formazione scientifica si rivelò costantemente durante tutta la sua carriera nella padronanza con cui riuscì a gestire i problemi tecnici legati ai materiali e nella fertilità inventiva con cui seppe veicolare nuovi significati espressivi.
Anche in alcuni suoi scritti relativi alla tecnica incisoria viene confermata l’eredità dei suoi rigorosi studi iniziali, facilmente rintracciabili nell’approccio sistematico e analitico con cui studiò la prospettiva, la forma e il colore. [7]Si veda Hayter 1962 e Hayter 1949, ed. 1981 L’abilità matematica e l’interesse per le scienze naturali hanno letteralmente nutrito tutta la sua arte. Trasformazioni topologiche, imposizione di uno spazio sull’altro, spazi non euclidei, movimento ondulatorio e interferenze di campi in continua deformazione hanno caratterizzato l’immaginario di Hayter in ogni fase della sua produzione.
A Parigi, dove si trasferì nel 1926, iniziò a frequentare i circoli delle avanguardie artistiche, stringendo amicizia con Balthus, Calder, Antony Gross, Masson, Mirò e Giacometti e dove Joseph Hecht lo introdusse personalmente all’incisione.
Uomo aperto, amante della sperimentazione, della ricerca e del lavoro a più mani, Hayter aprì nel 1926 il primo atelier, luogo di aggregazione e di grande eclettismo intellettuale, che diventò col cambio di sede, il noto Atelier 17. Dalle peculiarità di questo luogo e dalla sua attitudine al lavoro di gruppo è insita la motivazione per cui Hayter è sempre rimasto al di fuori di determinati movimenti artistici. Tuttavia, la sua attività grafica ha continuamente rivelato una certa bramosia nella volontà di catturare immagini e tendenze dei movimenti d’avanguardia più salienti in Francia e, vedremo, poi negli Stati Uniti nelle vicende dell’Espressionismo Astratto, suggerendo anche le relazioni intrinseche tra queste inclinazioni stilistiche e la tecnica calcografica.
All’interno dell’atelier, dunque, la pratica non insegue solo rigidità teorica ma anche reciprocità di emozioni e di esperienze e viene stimolato un atteggiamento di ricerca, volto alla scoperta di operazioni che facciano dell’incisione uno strumento di indagine artistica interiore. Per Hayter la lastra rappresenta, ogni volta, il punto di partenza per un nuovo progetto, una materializzazione di energia che passa dal corpo e attraverso la grafica si eleva ad immagine permanente.
La legittimazione dei mezzi e della sperimentazione più ardita, unitamente all’abbandono di immagini preliminari, fa già della lastra metallica una creazione artisticamente autonoma. Hayter enfatizza l’aspetto fenomenologico dell’atto creativo, la processualità che si dispiega nel suo farsi, combinata e controllata, però, attraverso l’intuizione.
Le due stampe presenti nella collezione Tabarroni sono state realizzate durante un ‘secondo’ periodo parigino, successivo al decennio compreso tra il 1940 e il 1950 trascorso dall’artista a New York.
La lettura di queste due opere è strettamente connessa, da una parte, alle frequentazioni ‘surrealiste’ degli anni Trenta del Novecento e dall’altra all’ambiente newyorkese in cui erano domiciliati artisti europei espatriati ed emigrati come Masson, Dalì, Tanguy, Antreasian, Baziotes, De Kooning, Matta, Motherwell, Pollock e Rothko. E’ dunque alla luce delle poetiche surrealiste e di quelle dettate dall’Espressionismo Astratto americano che Hayter qualifica la sua opera con iconografie audaci e cromatismi vigorosi e in cui il tratto sembra caricarsi di intenzionalità diverse, in base alla rapidità, all’intensità e alla direzione.
S.W. Hayter, La leçon d’anatomie, acquaforte e acquatinta a colori, mm 403×297, Tip. 30085 © Bologna, Pinacoteca Nazionale, Gabinetto Disegni e Stampe
In La leçon d’anatomie l’ortodossia incisoria viene stravolta a favore di una ricerca linguistica atta ad amplificare le potenzialità dello strumento grafico, esaltandone la duttilità segnica e, contemporaneamente, contaminando la pulizia di alcuni tratti con altre tecniche.
Ci si trova, così, di fronte ad una composizione che è il risultato di una commistione di procedimenti, di interventi combinatori che testano la compatibilità dei mezzi stessi. In questa stampa l’uso dell’acquaforte e dell’acquatinta si arricchisce con trame a vernice molle e morsura a pennarello, quest’ultima riscontrabile nei tracciati bianchi, per la cui resa Hayter ha caricato di acido il pennarello esentandolo dall’assorbimento dei colori.
Si spiega, dunque, il sistema lineare che ne deriva, unito nella dissonanza tra spessori grafici e variazioni modulari delle tracce, tra neri assoluti, bianchi che sembrano serpentine al neon e colori esuberanti. Un dinamismo vitale, inoltre, è suggerito dalla contaminazione tra indizio e forma, in un inverare l’uno rispetto all’altra, giocando tra le due differenti modalità percettive.
La stampa, colta nella globalità del suo risultato finale, sembra appoggiare un sistema basato sul principio dell’accumulo e della sovrapposizione, in una reiterata affermazione e negazione della compattezza dell’immagine.
Visivamente il foglio è sezionato in quattro macro comparti ai quali viene associata una dominante cromatica. Hayter, che dopo una fase iniziale figurativa si era convertito al disegno ‘automatico’ ed astratto, sembra qui aver voluto convalidare la caratterizzazione sessuale dei due corpi, descrivendo ognuno attraverso la sovrapposizione di contrastanti spessori grafici che spingono fino all’aneddotico. Mi riferisco a componenti icastiche, dal più leggibile seno femminile della figura di sinistra fino alla sinuosa fluorescenza che concitatamente accende anatomie sommarie, trovandosi a loro volta a dover concorrere con l’astrazione più calcolata di linee impegnate a districare il fondo. Un costante rapporto dialettico abbraccia anche superficie e profondità, tra affioramento e nascondimento, tra avvolgenti tortuosità e sottili equilibri del segno. Tale rapporto incoraggia, così, sistemi di linee che spariscono alla vista, trasparenze cromatiche che rendono labili le forme ed oscillazioni spaziali che provocano nell’osservatore una vera e propria vertigine. La percezione del lettore, connessa ad una visione frammentata, trova una sua equivalenza tattile nella superficie della carta stampata. Questa, infatti, risulta in rilievo ma con delle sporgenze differenziate, alcune quasi aggettanti, che confluiscono in una virtuosa stratificazione di piani.
Il suggestivo cromatismo, poi, testimonia l’evolversi di procedimenti da lui stesso messi a punto che vertono sulla possibilità di stampare simultaneamente più inchiostri attraverso un unico passaggio della matrice sotto la pressa e che sfruttano la composizione oleosa delle paste offset, applicate mediante rulli di diverso diametro e consistenza.
Stubbe precisa che “ The application of ultra – “graphic” inks having always been widely varied through the alternate use of ductile and viscous substances, of dry and damp paper, the graphic artist now gives his mind chiefly to building up a surface in relief with a depth made up of many layers.”
I colori tendono a comportarsi in maniera repulsiva a seconda della loro viscosità, cosicché una pellicola più liquida respinge un colore più denso sul rullo, mentre un colore più viscoso sulla lastra accetta quello più liquido. Al momento dell’inchiostrazione Hayter, inoltre, è ricorso all’uso di mascherine per coprire diverse aree della lastra, conferendo alla composizione un effetto complessivamente striato.
La leçon d’anatomie risulta essere una delle ultime soluzioni in cui elementi ossimorici, espressi in un’alternanza di accadimenti dinamici e volontarie costruzioni, giocano con componenti ancora figurative. Nelle opere successive, infatti, Hayter spoglierà le sue stampe da ogni rivestimento icastico favorendo principalmente strutture calcolate e citazioni informali della materia.
S.W. Hayter, Nereide, bulino acquaforte e acquatinta a colori mm 250×403, inv. Tip. 30086 © Bologna, Pinacoteca Nazionale, Gabinetto Disegni e Stampe
Nereide, per contenuto e tecnica, riproduce esaustivamente gli esiti di un’ulteriore fase creativa che copre indicativamente gli anni Sessanta, legata ad un percorso complesso attraverso i labirinti del disegno sperimentale, animato da rigorose ricerche fisico – matematiche e che trova corrispondenze con le teorie musicali.
Il tema dell’acqua rappresenta una vera e propria ossessione per l’artista inglese, che si mostra particolarmente interessato a rendere forme increspate ed echi di colore riflessi all’interno di una superficie mossa. I titoli stessi rimandano ad ambientazioni marine, alludendo spesso alla mitologia legata ad elementi acquatici.
Come osserva Reynolds “(… ) the results achieved spring from an increasing preoccupation on his part with the forms and reflections of water. This obsession for water is apparent in such titles as Night Sea, Vague de fond and Squid (…)”. [8]Reynolds 1967, pp. 8-9
In questo caso, Nereide si riferisce a particolari ninfe marine, mitiche creature benevole, generalmente rappresentate nell’atto di nuotare.
Per questa stampa Hayter si avvale del bulino contestualmente alla tecnica dell’acquaforte e dell’acquatinta, privilegiando una monocromia diffusa, un vibrante verde-acqua che campisce l’intera superficie e che, allo stesso tempo, funge da scenario dal quale si dipanano le arditezze lineari.
La generazione di oscillazioni ed interferenze viene analiticamente dimostrata e rintracciata, sostanzialmente, in due tipi di onde. La prima, l’onda psichica dell’acqua, è subordinata al getto d’inchiostro sulla lastra e si serve delle sue qualità intrinseche di fluidità e delle sue conseguenze in relazione al luogo di dispersione. La seconda tipologia di onde, quelle costruite matematicamente, favorisce il movimento sinusoidale e, più in generale ellittico [9]Si veda Hayter 1965, pp. 71-80. L’ellisse, secondo Hayter, risulta essere una figura fondamentale poiché suggerisce tutte le forme curvilinee (parabole, iperboli,…) e nasce spontaneamente dalla pressione della mano dell’incisore. Il fatto che il gesto umano assecondi un movimento progressivo e allo stesso tempo invertito, permette di individuare nell’ellisse l’equivalente visivo del contrappunto musicale. Come Hayter stesso afferma:
“Counterpoint is a term we have borrowed from music to indicate a consequent but not always rational relation. The simple mechanical consequences of an ellipse are demonstrated and it is made clear that this is not an invention on our part but an effect existent in nature and accessible to anyone sufficiently alert.” [10]Hayter 1949, ed.1981
In Nereide le interferenze e i motivi oscillatori si fondono l’uno nell’altro, dando vita ad una complessità curvilinea che scaturisce proprio dalla loro sovrapposizione.
L’evocazione della ninfa non è data dalla descrizione dei suoi attributi iconografici ma per mezzo di un tracciato sinusoidale inferto dalla punta del bulino. Le curve sono ottenute da un duplice movimento, quello generato dalla pressione di mano ed avambraccio e quello derivato dalla rotazione della lastra stessa.
La purezza materiale della matrice viene sottoposta ad una sorta di cammino sacrificale ed iniziatico attraverso le lacerazioni provocate dal bulino. Ma si tratta di un processo di morte/rinascita che vede nell’offesa del taglio e in quella successiva della corrosione da parte dell’acido un movimento operativo imprescindibile, un transito finalizzato alla restituzione definitiva del segno.
La stampa reca così su di sé le tracce di questa procedura, liberando vibrazioni regolari incise in fasce sinusoidali ripetitive che sembrano fluttuare su un fondale filtrato da curve che si intersecano in una composizione reticolare.
Attraverso un caos matematicamente calcolato, Hayter continuerà fino alla fine della sua carriera a sviluppare un’idea estensiva della pratica incisoria, impiegando ed enfatizzando tutti i passaggi esecutivi, investigando la materia e squadernando i principi estetici come assunti di un discorso dichiaratamente grafico.
L’Atelier 17 nel 1988, anno di morte dell’artista, si converte in Atelier Contrepoint, in omaggio al maestro che ha trasportato il concetto del contrappunto musicale nella prassi pittorica e grafica.
Juan Valladares e Hector Saunier, prima allievi ed ora eredi spirituali di questo grande mentore, continuano ad animare l’attività creativa del laboratorio, mantenendosi fedeli alla linea sperimentale e corale procrastinata da Hayter durante l’arco di tutta una vita.