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“Stampe di Giulio Bonasoni pittore e intagliatore”. Ricostruzione del primo volume della raccolta di stampe della Pinacoteca Nazionale di Bologna

“Stampe di Giulio Bonasoni pittore e intagliatore”. Ricostruzione del primo volume della raccolta di stampe della Pinacoteca Nazionale di Bologna

Gli ottantun volumi che compongono la cosiddetta “grande collezione” del Gabinetto dei Disegni e delle Stampe della Pinacoteca Nazionale di Bologna, costituiscono la fusione, realizzata in particolare nella seconda metà del Settecento, di materiale proveniente da diverse donazioni o acquisizioni operate nel medesimo secolo dall’Istituto delle Scienze, in particolare la donazione del 1715 del conte Luigi Ferdinando Marsili, le donazione del 1751 e del 1756 di papa Benedetto XIV, l’acquisto della collezione del conte Ludovico Savioli del 1789, oltre che da altre donazioni o acquisizioni di portata minore quali quella del padre filippino Urbano Savorgnan, dell’erudito Marcello Oretti e di Francesco Rosaspina, per i cui dettagli si rimanda, anche per la bibliografia relativa, all’articolo pubblicato in questo numero della rivista, dedicato a Nuovi studi sulla collezione di stampe della Pinacoteca Nazionale di Bologna. Ricerche su donazioni e acquisti del secolo XVIII, che ha costituito il presupposto per la redazione di questo lavoro. L’intenzione qui perseguita è quella di dare inizio, in maniera critica, alla ricostruzione della composizione dei singoli volumi della “grande collezione”, operazione assai difficoltosa in quanto gli stessi vennero in gran parte smembrati in occasione di due avvenimenti che si verificarono nel secolo XIX: un grosso furto di stampe denunciato nel 1868 e la risistemazione della raccolta operata da Paul Kristeller a partire dal 1894, quando la Pinacoteca Nazionale, guidata da Anacleto Guadagnini, era già divenuta Istituto autonomo da dodici anni. [1]Daniela Zarrattini, nella sua tesi di specializzazione, ha già operato la ricostruzione dei volumi 8 e 9 della “grande collezione”, ma le nuove ricerche archivistiche effettuate, rese note nell’articolo dedicato alle donazioni sopra citato, permettono di inquadrarne la ricostruzione in una nuova prospettiva critica (Zarrattini 2003-2004). Nel primo caso vennero tagliate numerose stampe dai volumi, alcune delle quali, in seguito recuperate, vennero conservate in maniera separata dai volumi stessi. Fu Max Lerns, in un articolo del 1889 a rendere noto al pubblico la grande menomazione che causò questo furto alla collezione, che portò, ad esempio, alla perdita quasi completa delle opere di Martin Schongauer e, aggiungiamo noi, di diverse stampe di Marcantonio Raimondi. [2]Un primo nucleo di stampe riferibili al primo volume è stato in passato identificato da Luigi Chieppa, nucleo da cui si è partiti per portare a compimento la presente ricostruzione del volume. Per quanto riguarda l’operato di Paul Kristeller, lo studioso tedesco chiamato da Adolfo Venturi e successivamente impegnato anche nella risistemazione della collezione Corsini dell’attuale Gabinetto Nazionale della Grafica di Roma, [3]Lehrs 1889, pp. 81-84. Ai notevoli ammanchi delle stampe di Marcantonio Raimondi già presenti nel volume II, verrà dedicato un articolo nel prossimo numero della rivista. si assistette allo stacco sistematico e alla conservazione in cartoni, di ben 3.250 stampe tra le più importanti della raccolta, secondo un criterio descritto dallo stesso Kristeller in un articolo del 1896: “Non potendo provvedere alla sistemazione definitiva e completa della numerosa e preziosa collezione di stampe della R. Pinacoteca di Bologna, poiché un tal lavoro avrebbe richiesto un tempo molto maggiore e mezzi molto più ragguardevoli di quelli di cui si disponeva, l’attuale compito è stato considerato come lavoro provvisorio, l’obbligo cioè di conservare anzi tutto le opere più pregiate per garantirle da ulteriori danni, pur mettendole a disposizione degli studiosi, offrendo al tempo stesso un saggio del modo col quale la collezione intera si dovrà in seguito preservare, ordinare e catalogare. [..] Si sono staccate dai volumi, nei quali stavano sparse, le incisioni di maggior valore, e sono state ordinate in maniera che tutte quelle del medesimo autore si trovino riunite”. [4]Kristeller 1986, p. 397. Un tentativo di individuazione delle varie provenienze delle stampe, sia dai singoli volumi che dai diversi fondi collezionistici, può avvenire dunque solo a seguito della ricostruzione sistematica dei volumi, lavoro che impegnerà diversi anni, ma che ha proprio la finalità di fare luce su un argomento di tale vastità da rendere pressoché impossibile una trattazione complessiva di stampo analitico. Come già intuito da Giovanna Gaeta Bertelà e come segnalato da Marzia Faietti, solo il confronto tra i vari documenti disponibili e gli inventari redatti in diverse epoche, l’analisi materiale delle stampe estratte dai volumi, con i loro controfondi, timbri o scritte, e lo studio delle singole coperte, con le trasformazioni che queste hanno subito nel corso delle diverse risistemazioni, potrà portare a “fare ordine” nella complessa collezione. [5]Gaeta Bertelà, in un suo articolo del1970, ha reso noto i risultati di una prima indagine sulle coperte dei volumi (Gaeta Bertelà 1970, p. 23); Marzia Faietti, nel volume dedicato all’Inventario degli incisori Tedeschi e Fiamminghi del secolo XV, ha riconosciuto la provenienza dal volume 43, e ancor prima dalla collezione Savioli, della gran parte di stampe attualmente sciolte riferibili al Quattrocento nordico (Faietti 1993). La ricostruzione dei volumi a cui si dà inizio, e la progressiva immissione delle relative stampe nel dominio del Gabinetto dei Disegni e delle Stampe della Pinacoteca di Bologna (www.gdspinacotecabo.it), permetterà inoltre di rendere progressivamente noto al pubblico un notevole numero di opere, integrando le importanti pubblicazioni curate, a partire dal 1973, dalla Pinacoteca Nazionale in collaborazione con l’Associazione per le Arti “Francesco Francia” di Bologna dedicate al Catalogo generale della raccolta di stampe antiche della Pinacoteca Nazionale di Bologna Gabinetto delle Stampe.

Gli strumenti per la ricostruzione

Nell’archivio della Pinacoteca, è conservato l’importante lavoro di catalogazione dei volumi realizzato da Gaetano Roncagli, iniziato nel 1848 e portato a termine nel 1861. Oltre al cosiddetto “Documento D”, che costituisce una sorta di riassunto del lavoro svolto ed in cui sono elencate, volume per volume, le stampe in ordine progressivo di posizione ma citando solo l’autore, senza nessuna indicazione di soggetto, è presente il “Documento E”, 7 cartoni di schede manoscritte, che dimostrano un approfondito studio di ogni singola incisione. Ronacagli copia Una scheda di Gaetano Roncagli © Bologna, Pinacoteca Nazionale, Gabinetto Disegni e Stampe In ognuna di queste schede viene dettagliatamente indicato l’autore della stampa (con correzioni che mostrano un lavoro di revisione critica degli inventari già disponibili), il soggetto, la qualità dell’esemplare, lo stato di conservazione, la posizione della stampa nel volume. Non mancano neppure le citazioni bibliografiche, primo fra tutti il riferimento al fondamentale repertorio di Adam Bartsch, Le Peintre Graveur, pubblicato a partire dal 1803. [6]La conservazione di questo importante lavoro di Roncagli, è già stata segnalata da Gaeta Bertelà nel 1970 (Gaeta Betelà 1970, p. 24). Si tratta di uno strumento fondamentale, proprio perché ci offre una fotografia dettagliata di un assetto ormai perduto, costituitosi in particolare entro la fine del sec. XVIII. [7]Cfr. l’articolo di E. Rossoni, dedicato a Nuovi studi sulla collezione di stampe della Pinacoteca Nazionale di Bologna, in questo numero della rivista. Ovviamente in queste schede manca il riferimento all’attuale numero di inventario delle stampe, attribuito a partire dal 1917 dal ragionier Vito Culcasi, e continuato in maniera non sempre uniforme nella prima metà del secolo ventesimo, e non è pertanto scontato il reperimento di quegli esemplari sciolti estratti dai volumi o a seguito del furto o ad opera di Paul Kristeller. Si tenga infatti presente che molte attribuzioni sono cambiate nel tempo e soprattutto, come di alcune stampe, si disponga di medesimi esemplari acquisiti in differenti momenti. Un ulteriore aiuto alla ricostruzione deriva a questo punto dalle schede manoscritte redatte da Paul Kristeller, anch’esse conservate presso l’archivio della Pinacoteca. Kristeller copia Figura 1: Una scheda di Paul Kristeller © Bologna, Pinacoteca Nazionale, Gabinetto Disegni e Stampe Per ogni stampa che veniva staccata da un volume, infatti, Kristeller provvedeva a redarre una scheda conoscitiva. Nelle scheda è segnalato il volume da cui è stata estratta ogni singola stampa di quelle trovate ancora in volume dallo studioso, oppure è segnalata la loro provenienza da altri fondi, quale quello della soppressa scuola di incisione dell’Accademia di Belle Arti. [8]Si tratta di un nucleo di 240 esemplari, pervenuti in Pinacoteca insieme a tutto il materiale grafico già trasferito dall’Università all’Accademia di Belle Arti nel 1881 (Faietti 1983, p. 77). In alcuni casi però, invece di queste indicazioni, compare sulla scheda il riferimento ad un “Documento F”, che si è riusciti a verificare come corrispondente alla Nota delle mancanze verificate a tutto il 12 marzo 1868 nella Collezione di Stampe di Benedetto XIV nella R. Biblioteca dell’Università di Bologna, un elenco di 1268 stampe risultate sottratte dei volumi, di cui 973, recuperate, vennero conservate in una cassa ed in parte inventariate da Kristeller dopo che la collezione venne ceduta dall’Università all’Accademia di Belle Arti, nel 1881. [9]Relativamente alla cessione, si conservano presso l’archivio della Pinacoteca i verbali redatti da Enrico Panzacchi, Antonio Muzzi, Anacleto Guadagnini, Tito Azzolini, da cui risulta che delle 973 stampe della cassa, nel 1881 ne furono trovate solamente 801, molte delle quali prive della segnatura rossa che ne indicava il numero progressivo di ritrovamento dopo il furto. Nel varbale del 1881 viene pertanto segnalato un ulteriore ammanco rispetto a quanto già segnalato nel 1868, di 471 stampe, di cui 162 si dicono essere “state sostituite con altre, di nessun valore, ed altre di un valore limitato” (ASSBo, Verbali della Commissione del R. Istituto per la verifica della raccolta delle Stampe di Benedetto XIV, ottobre 1881). Si tratta di un elenco per noi significativo, in quanto per ogni stampa già staccata in occasione del furto, ma recuperata, viene indicato il volume di provenienza, informazione che non appare nelle schede di Kristeller, il quale, come si diceva, le trovò già sciolte. Ulteriore conferma alle indicazioni del “Documento F” del 1868, sono anche alcuni elenchi delle stampe datati 1864, fogli di lavoro che dovettero servire alla redazione della relazione finale di furto. [10]ASSBo. Il rapporto con le schede di Kristeller è di estrema importanza, in quanto in genere sul controfondo della stampa (l’originaria pagina del volume ritagliata), sul recto o sul verso, venne riportato dallo stesso Kristeller il numero della propria scheda, dato che ci permette di abbinare l’inventariazione ottocentesca con il numero di inventario attuale. Inoltre, sul controfondo è spesso presente il numero ad inchiostro che indicava la posizione della stampa all’interno del volume, questa volta tracciato con ogni probabilità da Roncagli nel corso della sua inventariazione di metà Ottocento. PN-1734 copia Giulio Bonasone, Crocifissione, acquaforte e bulino, foglio smarginato mm 134×103, inv. PN 1734 © Bologna, Pinacoteca Nazionale, Gabinetto Disegni e Stampe La corrispondenza tra questo numero e il soggetto descritto da Roncagli permette infine di individuare alcune stampe staccate, ma non catalogate da Kristeller o da quest’ultimo registrate con errori di trascrizione, o ancora stampe recuperate solo in un secondo momento, dopo il furto del 1868. [11]Per il primo caso si può portare l’esempio della Mater Dolorosa (PN 4089), secondo stato di una stampa di Giulio Bonasone tratta da Raffaello di cui non si è rintracciata la scheda di Kristeller; per il secondo la Venere con un satiro che le offre doni preziosi di anonimo incisore fiammingo (PN 4075) erroneamente segnalata da Kristeller come proveniente dal vol. IX dei bolognesi, contenente “Diverse stampe bolognesi prima di Francesco Bricio”; per il terzo caso le due stampe con Giove allattato dalla capra Amaltea (PN 1699) e la Vittoria di Costantino su Massenzio (PN 24091), due stampe che, segnalate come mancanze nel “Documento F” del 1868 sopra citato, non compaiono nel “Documenti G”, Nota delle incisioni state involate nella Regia Biblioteca dell’Università di Bologna e che non furono ancora recuperate, del 14 ottobre 1868 (ASSBo). Per quanto riguarda invece la provenienza delle stampe dai diversi fondi collezionistici, si potranno individuare con una certa facilità tutte le stampe che vennero donate da papa Lambertini, Benedetto XIV, nel 1751, in quanto provviste ognuna di un timbro papale, mentre per le altre stampe sarà necessario fare un confronto con gli elenchi, purtroppo spesso sommari, delle diverse donazioni, in particolare con le Notizie ristrette della Raccolta di stampe scelte spettante al Senatore Savioli, resoconto delle 5408 stampe acquistate, come si è detto, dall’istituto delle Scienze da Ludovico Vittorio Savioli nel 1789, stampe che vennero sia inserite nei volumi Lambertini che rilegate in nuovi volumi nell’ultimo decennio del Settecento. Un’ulteriore verifica verrà infine svolta facendo attenzione ad escludere dagli elenchi i “duplicati” delle stampe venduti in occasione delle diverse risistemazioni, in particolare quelli venduti nel 1790-1791 di cui rimangono dettagliate relazioni redatte dagli incaricati, i venditori di stampe Giacomo Longhi e Giuseppe Stampini. [12]Per le questioni qui sommariamente riassunte, si veda l’articolo citato di E. Rossoni, dedicato a Nuovi studi sulla collezione di stampe della Pinacoteca Nazionale di Bologna, in questo numero della rivista.

Il primo volume: “Stampe di Giulio Bonasoni pittore e intagliatore”

Il primo volume della collezione, è dedicato a Giulio Bonasone, uno dei principali incisori manieristi bolognesi, nonché personalità significativa nella compagine culturale cinquecentesca sia bolognese che romana. Un poco bistrattato da Carlo Cesare Malvasia che lo riteneva incisore debole, anche se non privo di erudizione e di invenzione, comunemente considerato un seguace un poco stanco di Marcantonio Raimondi, ma riconosciuto nella sua autonomia e specificità a partire da Maria Catelli Isola, l’autore, nato a Bologna intorno al 1510, ha ottenuto negli ultimi decenni una grande attenzione da parte della critica, sia per quanto riguarda la produzione incisoria, in particolare indagata da Stefania Massari e da Madeline Cirillo Archer, sia per la sua attività di pittore e disegnatore, approfondita di recente da Marzia Faietti, sia infine per i suoi rapporti con l’editoria e con importanti iniziative culturali della sua epoca – non si può ad esempio non citare l’esecuzione delle incisioni per le Symbolicae Quaestiones di Achille Bocchi del 1555 -, a cui hanno contribuito, tra gli altri, i recenti saggi di Elisabeth See Watson, Lieselotte Schlieker, Anne Rolet, Chrysa Damianaki. [13]Malvasia 1678, I, p. 74; Petrucci 1964, pp. 50-51; Catelli Isola 1969; Massari 1983, II voll.; Cirillo Archer 1995, pp. 217-342; Faietti 2000; Watson 1993; Schlieker 2001; Watson 1993; Rolet 2007; Damianaki 2006. Per ulteriore bibliografia specifica si veda oltre nel testo. Il volume, attualmente completamente privo di stampe, conserva solo la coperta ed il frontespizio dal titolo Stampe di Giulio Bonasoni pittore e intagliatore. Vol_ 1 coperta copia Vol_ 1 dorso copia Vol_ 1 front copia Figura 1: Coperta del volume 1, Stampe di Giulio Bonasoni pittore e intagliatore © Bologna, Pinacoteca Nazionale, Gabinetto Disegni e Stampe Figura 2: Dorso del volume 1, Stampe di Giulio Bonasoni pittore e intagliatore © Bologna, Pinacoteca Nazionale, Gabinetto Disegni e Stampe Figura 3: Frontespizio del volume 1, Stampe di Giulio Bonasoni pittore e intagliatore © Bologna, Pinacoteca Nazionale, Gabinetto Disegni e Stampe La maggioranza delle stampe che erano in esso presenti, provenivano dalla prima donazione Lambertini del 1751, in particolare dal volume III, indicato nella Nota di diverse stampe legate in numero 50 tomi che si presentano alla Santità di Nostro Signore, come contenente stampe di “Francesco Francia, Bonasoni, Primaticcio”. [14]ASBo, Assunteria di Istituto, Diversorum, b. 31, f. 15; cfr. anche l’articolo di E. Rossoni, dedicato a Nuovi studi sulla collezione di stampe della Pinacoteca Nazionale di Bologna, in questo numero della rivista. Quest’ultimo volume risultava già smembrato nel 1785, in quanto nell’Indice generale delle stampe Bolognesi: o sia di Benedetto XIV e di altre Raccolte fatte da diversi redatto dal bibliotecario dell’Istituto delle Scienze Ludovico Montefani, morto in quell’anno, risultano presenti all’Istituto i seguenti due volumi: “Vol. I stampe di Francesco Francia, dell’Abb. Primaticcio ed altri v. Aula V sub Tabula E.5 stampe n. 133”, “Vol. III stampe di Giulio Bonasoni v. Aula V sub Tabula E.7 stampe n. 154”. [15]BUB, Bibliografia bolognese, b. 35, f. III. Cfr. anche l’articolo di E. Rossoni, dedicato a Nuovi studi sulla collezione di stampe della Pinacoteca Nazionale di Bologna, in questo numero della rivista. Ringrazio Rita de Tata per aver portata alla mia attenzione il presente documento. Non sappiamo esattamente in quale data e chi abbia fisicamente provveduto alla separazione delle stampe e alla loro rilegatura in due volumi, evidentemente dettata dalla necessità di unire le stampe di provenienza Lambertini con stampe di altre donazioni o acquisizioni. Certamente però il volume venne nuovamente rimaneggiato nei primi anni Novanta del Settecento, in quanto esso presenta le medesime caratteristiche materiali (filigrana dei fogli su cui erano incollate le stampe, coperta, legatura) di volumi riferibili con certezza a quelle date e per i cui dettagli si rimanda all’articolo di Sabrina Borsetti in questo numero della rivista. E’ evidente che, con l’arrivo della collezione Savioli, si dovette procedere ad una revisione critica e ad un rimontaggio del volume, con un’operazione di selezione che cambiò di poco il numero di stampe in esso contenute – da 154 a 155 – ma che dovette riguardare soprattutto la loro scelta e l’assetto interno della loro disposizione. [16]L’ipotesi di una ricomposizione del volume ad inizio dell’ultimo decennio del Settecento è resa necessaria per giustificare lo stesso rifacimento del volume. Non si capirebbe infatti come mai si sarebbe proceduto a staccare le stampe dal vecchio supporto e ad incollarle su nuovi fogli, se non ai fini di una loro risistemazione. Nel volume, così come nuovamente ricomposto, ben 115 stampe sul totale di 155 sono marchiate con lo stemma Lambertini, come sappiamo apposto solo alle stampe della donazione del 1751. Un altro gruppo dovette sicuramente pervenire dalla donazione Savioli che annoverava 23 stampe di Bonasone, 10 delle quali però individuate come duplicati, e pertanto destinate alla vendita effettuata nel 1790-1791. [17]AABo, Miscellanee vecchie, cart. 625 (K255), fasc. 43g. Le stampe individuate come duplicati nel documento del 1791 sono le seguenti: “Cena del Signore in piccolo; Virtù; Nostro Signore che libera dal Naufragio San Pietro; Discesa di Amore alli Ellisij; Sattiri; Femmine nude con satiri marini; Caccia di lioni 1532; Busto di Raffaele; Cavallo di Troia; Il Giudizio di Michel Angelo in grande”. ASBo, Assunteria di Istituto, Diversorum, Biblioteca, b. 21, f. 35. Potendo escludere dal volume la presenza di stampe del lascito del conte Girolamo Legnani Ferri, riguardante la serie di xilografie dedicate alla Vita della Vergine e alla Passione di Cristo di Albrecht Dürer, delle stampe di Ubaldo Zanetti, una raccolta in 33 volumi di ritratti, e non individuando nessun opera pertinente nell’elenco dei volumi e delle stampe lasciati all’Istituto delle scienze da Urbano Savorgnan, è probabile che le altre stampe mancanti, ad arrivare al numero di 155 di cui si compone il volume, provenissero o dal nucleo Marsili, che annoverava però solo 22 fogli di “scuola italiana di Bologna”, o dal piccolo nucleo di Marcello Oretti acquistato nel 1791, visto che la collezione dell’erudito comprendeva più di cento esemplari del nostro incisore, o da altre opere Savioli, non specificamente segnalate nella descrizione della collezione del 1789 come di Bonasone, ma forse incluse in gruppi quali “N. 130 stampe in una cartella segnata N. di Raffaello d’Urbino incise da diversi, troppo ci vorrebbe a definirle, basta solamente dire che ve ne sono moltissime delle antiche, e rare”, o in altri gruppi catalogati sempre sulla base del nome dell’inventore invece che dell’incisore. [18]Per queste donazioni, si veda ancora l’articolo di E. Rossoni, dedicato a Nuovi studi sulla collezione di stampe della Pinacoteca Nazionale di Bologna, in questo numero della rivista. L’elenco delle stampe di Bonasone possedute da Oretti è registrato nel ms. 405 della Biblioteca dell’Archiginnasio di Bologna, pp. 6-10. Per la collezione Oretti, cfr. Perini 1979. Nella collezione sono presenti altre stampe di Bonasone e del Maestro del Dado, come vedremo all’epoca da molti identificato con lo stesso Bonasone, estratte da altri volumi. Bisogna infatti considerare che la composizione, riferibile ai primi anni Novanta del Settecento, in particolare agli anni 1791-1792, rispondeva ad una logica collezionistica in via di trasformazione. Mentre infatti, secondo un principio diffuso nella seconda metà del Settecento, la gran parte dei volumi venne organizzata sulla base dei pittori-inventori, si faceva sempre più forte l’interesse specifico per gli incisori, orientamento che ebbe una sua precisa definizione con la pubblicazione, dal 1803 al 1821, dei citati 21 volumi dedicati a Le peintre graverur di Adam Bartsch. [19]Per la logica collezionistica delle stampe nei secoli XVIII e XIX, cfr. Pezzini Bernini 2001, con bibliografia precedente. Per capire la logica compositiva del volume, bisogna prendere in considerazione quanto era conosciuto, tra il 1791 e il 1792 come opera di Bonasone, essendo presenti nel volume, oltre alle sue, anche stampe in seguito attribuite ad altri autori. Per questo si è effettuata una verifica della bibliografia settecentesca disponibile sull’incisore, per capire, in una prospettiva di storia della critica, quali erano le capacità di analisi dei materiali di coloro che composero il volume: il conte Ercole Orsi, incaricato di dirigere i lavori dall’Assunteria dell’istituto, riconosciuto come grande conoscitore di stampe in un elogio funebre a lui dedicato dopo la sua morte, il commerciante di stampe Giuseppe Stampini, colui che dovette comporre fisicamente i volumi, indicato come introdotto presso i collezionisti bolognesi da Zani, [20]Zani 1819, I, p. 28. e il consulente citato in diverse occasioni come “Antonio Armano”, sicuramente identificabile con il veneziano, anch’esso commerciante di stampe, Giovanni Antonio Armano, il celebre conoscitore che stilò nel 1820 il catalogo di vendita delle opere di Bonasone del collezionista Giovanni Battista Petrazzani e che, membro della Regia Accademia di Firenze, fu incaricato dal Duca Leopoldo e dal Duca Alberto di Sassonia a ordinare i loro Gabinetti di Stampe. [21]ASBo, Assunteria di Istituto, Atti, n. 9, cc. 95r, 100r, 112v, 136r, 138v; Zani 1819, I, p. 28; S. Massari, in Massari e Prosperi Valenti Rondinò 1989, p. 101. Sulla notorietà a livello nazionale di Armano quale esperto conoscitore, enunciata anche in un passo degli Atti dell’Assunteria dell’Istituto di Bologna del 1790, dove viene definito “veramente Maestro nella cognizione di stampe e disegni”, [22]ASBo, Assunteria di Istituto, Atti, n. 9, c. 101. ha recentemente fatto luce Monica Tullio Baldassarri, che ha pubblicato una ricca corrispondenza intrattenuta dal medesimo col direttore della Galleria degli Uffizi, Giuseppe Pelli Bencivenni, tra il 1778 e il 1779, dove emerge la sua familiarità con un gran numero di artisti e di studiosi, e una capacità critica esercitata sia sui dipinti e sulle stampe che sui disegni. [23]Turrio Baldassarri 2003, pp. 63-106. I suoi rapporti con Bologna emergono anche all’interno di questa corrispondenza, dove ad esempio compare la sua volontà di acquistate opere provenienti dall’eredità del canonico Luigi Crespi, da cui aveva acquistato “libri pittorici” anche prima della sua morte, sopravvenuta nel 1779. [24]Lettere del 19 agosto 1779 e del 17 settembre 1779, in Turrio Baldassarri 2003, p. 86 e p. 90. All’inizio degli anni Novanta del Settecento, oltre al fondamentale catalogo delle opere di Bonasone redatto da Carlo Cesare Malvasia, si poteva disporre, per un buon repertorio delle opere dell’artista, del volume di Giovanni Gori Gandellini, Notizie istoriche degl’intagliatori, che allargava notevolmente l’elenco di opere già attribuite a Bonasone da Malvasia, e del volume III dell’opera di Carl Heinrich Heinecken, Dictionnaire des Artistes, dont nous avons des estampes, pubblicato nel 1789. [25]Gori Gandellini 1771; Heinecken 1789. Si ritiene però poco probabile che i compilatori del volume di Bologna abbiano consultato quest’ultimo testo in quanto, oltre a presentare differenze interpretative rispetto a diverse opere di cui parleremo, questo non risulta conservato presso alcuna biblioteca storica bolognese. In particolare, nella Biblioteca Universitaria, già Istituto delle Scienze, è conservato solo il primo volume della serie di Heinecken, vale a dire quello dedicato alla lettera A, che contiene però il repertorio delle stampe di Marcantonio Raimondi e della sua scuola, il quale non risulta però diviso per autori, che non vengono spesso menzionati, ma per soggetti. [26]Presso la Biblioteca dell’Archiginnasio di Bologna sono presenti i primi quattro volumi della pubblicazione di Heinecken, compreso dunque il III, in cui compare l’opera di Bonasone. I volumi, come recita l’etichetta presente sul foglio di sguardia, sono però stati donati alla biblioteca dall’Abate Gioachino Mugnoz solo nel 1844. Non si può escludere l’eventualità che Ercole Orsi, Giuseppe Stampini, o ancor più Giovanni Antonio Armano, avessero avuto la possibilità di procurarselo privatamente, ma l’aggiornamento, anche nel caso di profondi conoscitori come Armano, non è sempre scontato. Si tenga infatti presente che ancora nel Catalogo di una serie preziosa delle stampe di Giulio Bonasone pittore e intagliatore bolognese, pubblicato da Armano nel 1820, il testo di George Cumberland, Some anedoctes of the life of Julio Bonasone del 1793, veniva indicato come “recentemente stampato” e non consultato, in quanto evidentemente non facilmente reperibile. [27]Cumberland 1793; Armano 1820, p. 6. Venendo ora in particolare alla composizione del volume, si può subito notare come la distribuzione delle opere segua un criterio iconografico, un principio di ordine che doveva stare ancora a cuore ad Armano il quale, scrivendo a Pelli Bencivenni nel 1778 circa il ricevimento del catalogo delle stampe di Pierre Jean Mariette, così afferma: “Egli aveva 724 stampe di Marc’Antonio e sua scuola, ne fa tre volumi in foglio; ne lega due in vitello, uno in Marocchino, ed in tutti e tre mette gli scolari ed il Maestro; la piccola stampa, e la grande vicina quell’unisce il sacro al profano, quindi i concetti mal espressi, e duri con il capo di bestia il busto umano”. [28]Armano, in Turrio Baldassarri 2003, p. 73. Una necessità di ordinamento per capitoli iconografici, oltre che per individuazione dei singoli incisori, che ritroviamo nel primo volume del Dictionnaire di Heinecken del 1778, dove le stampe di ogni autore vennero repertoriate per soggetto, a partire dai ritratti, per passare alla storia sacra – immagini devozionali comprese -, per proseguire con storie profane e con la mitologia, e per finire con animali, rilievi, edifici e via dicendo a seconda dell’autore. Il medesimo ordine, grosso modo, che ritroviamo nel volume 1 della collezione di Bologna. Prima di passare al repertorio delle opere così come già distribuite nel volume, ci si intende soffermare su alcuni aspetti problematici sia relativamente all’attribuzione di diversi esemplari, sia in merito alla logica compositiva. Una particolare attenzione verrà dedicata a quelle stampe non più attribuite a Bonasone dalla critica più o meno recente, per mettere in luce come, nella gran parte dei casi, il loro inserimento fosse dovuto ad attribuzioni tradizionalmente allora consolidate, o a probabili confusioni tra soggetti descritti in differenti fonti. Quello che si intende dire è che l’apparente “disordine” del volume come appare ai nostri occhi, doveva mostrare una notevole coerenza dal punto di vista dei conoscitori operanti in quegli anni. Iniziando a sfogliare in successione le stampe, all’interno della serie di sei ritratti che aprono il volume, compare il Ritratto di Marcantonio Raimondi (PN 2830), qui inserito evidentemente a seguito della confusione di due stampe di medesimo soggetto. Malvasia repertoriava come opera di Bonasone “Il ritratto di M. Antonio con grandissima barba, e capigliatura, vecchissimo, in ovato”, notizia che si ritrova anche in Gori Gandellini nel 1771. [29]Malvasia 1678, I, p. 79; Gori Gandellini 1771, I, p. 158. Heinecken, nel repertorio degli allievi di Marcantonio del 1778, segnala invece un ritratto di Marcantonio riferito a Bonasone, ed un altro da lui attribuito a Battista Franco detto il Semoleo. [30]Heinecken 1778, vol. I, p. 257. Questo secondo esemplare, evidentemente confuso con quello già citato da Malvasia, è quello che si trovava incollato nel volume 1, la cui attribuzione all’artista veneto è stata confermata dalla bibliografia successiva. [31]Bartsch 1803-1821, XV, p. 158, n. 179; Ferrara e Gaeta Bertelà 1975, n. 117; Boortsch 1982, p. 43, n. 179-328. La cosa interessante da rilevare è il fatto che, se aveva visto giusto Heinecken, doveva esistere anche un ritratto di Marcantonio eseguito da Bonasone, non repertoriato nei più recenti cataloghi dedicati all’artista, che potrebbe essere in futuro individuato. La stampa successiva, l’Adorazione dei pastori (PN 4046), che apre un gruppo abbastanza omogeneo di esemplari a soggetto religioso, si presenta invece particolarmente problematica. Tratta da un disegno di Parmigianino conservato a Chatsworth, essa reca un’attribuzione a Girolamo Fagiuoli (Faccioli) avanzata in via dubitativa da Arthur Ewart Popham. Tale attribuzione non è però stata accettata da Arkady Ippolitov, che ha pubblicato la stampa nel 2004 come opera di un incisore vicino a Bonasone. [32]Popham s.d., p. 61, n. XL; Popham 1971, I, p. 212, n. 723, III, fig. 732; Misiti 1994, p. 75; A.B. Ippolitov, in San Pietroburgo 2004. Il confronto tra questa stampa e le incisioni recentemente ricondotte da Suzanne Boorsch a Girolamo Fagiuoli, su cui torneremo, non permette al momento di riferire con certezza la nostra stampa all’incisore citato da Vasari come incaricato da Francesco Salviati di tradurre in stampa suoi disegni. [33]Boorsch 2001. Si condivide pertanto l’opportunità di riferire l’Adorazione dei pastori ad un autore anonimo ancora da individuare. Si tenga presente che, a fine Settecento, una stampa con questo soggetto poteva essere stata scambiata dai compilatori del volume con una stampa riferita a Bonasone descritta nel seguente modo da Malvasia: “Un Presepe, e pastori, sembra del Parmigianino, once 7 e mezzo once 6 e mezzo e ritagliato poi da Antonio Salamanca”. [34]Malvasia 1678, I, p. 78. Sempre nella sezione dedicata ai soggetti devozionali, si incontra la Madonna che legge con Bambino (PN 4050), citata da Malvasia come opera di Bonasone, proposta in maniera dubbia come del medesimo autore da Cumberland, inserita tra le opere anonime della scuola di Marcantonio Raimondi da Bartsch – che pure riferiva come alcuni la ritenessero di Caraglio – ed infine proposta proprio tra le opere di probabile attribuzione a Jacopo Caraglio da Madeline Cirillo Archer. [35]Malvasia 1678, I, p. 78; Cumberland 1793, p. 63; Heinecken 1789, III, p. 134, n. 29; Bartsch 1803-1821, XV, p. 21, n. 12; Passavant 1864, VI, p. 78, n. 30; Cirillo Archer 1995, p. 19, n. 021, p. 203, n. 065. Passando al gruppo dedicato alle tematiche testamentarie, compare la prima stampa in volume del Maestro del Dado, Giuseppe venduto dai fratelli (PN 2365). L’anonimo incisore, anch’esso tradizionalmente affiancato alla scuola di Marcantonio Raimondi, è presente nel volume con ben 22 esemplari (comprese due copie da sue incisioni) distribuiti in ordine di soggetto, elemento che fa intuire come le sue opere fossero ritenute a pieno titolo di Bonasone. [36]Per il Maestro del Dado, cfr. in particolare Bartsch 1803-1821, XV, pp. 181-233; Brulliot 1832-1834 I, 3235, II, 194, 2805; Zentai 1983; Massari e Prosperi Valenti Rondinò 1989, pp. 79-111, nn. 23-34; Massari 1993, pp. 56-61; Cavicchioli 2000, pp. 189-204. Si portava avanti in questo modo un’opinione lanciata da Malvasia, che aveva inserito nel catalogo dell’incisore quattro stampe specificatamente marcate con il dado, tutte presenti nel nostro volume: Apollo uccide il serpente Pitone (PN 2373); Dafne abbraccia il padre Penneo (PN 2374); Apollo e Dafne (PN 2372); I Fiumi consolano il fiume Penneo (PN 23991). [37]Malvasia 1678, I, p. 78. Si sottolinea, per inciso, che di quest’ultimo soggetto è presente anche un altro esemplare, questa volta copia di anonimo dal Maestro del Dado (PN 2373), che porta come le prime tre stampe citate il marchio Lambertini. Evidentemente, essendo presente nella raccolta donata dal papa la serie disomogenea, si decise di inserire una stampa di medesimo soggetto, anche se di diversa provenienza, per poter esemplificare tutta la serie riferibile al Maestro. Espunti i veri e propri duplicati, i compilatori dovevano essere sensibili alla necessità di documentare tutti gli esemplari possibili, come dimostra, ad inizio del volume, l’inserimento di due esemplari di differente stato del Ritratto di Michelangelo (PN 1753, PN 1751) o ancora i due esemplari di medesimo stato della Pietà tratta da Michelangelo, di cui uno con foglio integro ma di qualità minore (PN 1723), e l’altro con un’impronta migliore, ma mutilo nella parte superiore (PN 1725). Tornando al Maestro del Dado, è interessante rilevare come, sulla base del primo elenco di Malvasia, Gori Gandellini ne avesse aumentato notevolmente il numero di riferimento delle opere, pur mantenendo ferma l’attribuzione a Bonasone. [38]Gori Gandellini 1771, passim. La proposta di Heinecken, che già nel volume II del Dictionnaires del 1788 aveva inserito in un’appendice a parte, in coda alle opere di Beatricetto, le stampe del Maestro del Dado, vuoi spostandole dalla più antica attribuzione a Bonasone, vuoi avanzando così la possibilità di considerarle separatamente – idea direttamente percorsa da Bartsch nel secolo XIX -, non venne evidentemente presa in considerazione dai compilatori bolognesi. [39]Heinecken 1788, II, pp. 282-285; Bartsch 1803-1821, XV, pp. 181-183. Cfr., inoltre, Zentai 1983, p. 52. Anche Cumberland, nel suo testo del 1793, riteneva il Maestro del Dado una personalità da non confondersi con Bonasone (Cumberland 1793, p. 42). Questo, come si diceva, per l’impossibilità di consultare il volume di Heinecken e ancor più, semplicemente per rispettare una tradizione tutta italiana, che perdurò ancora per numerosi anni. Giovanni Antonio Armano, ad esempio, nel suo Catalogo del 1820, includendo tra le opere di Bonasone le opere del misterioso Maestro, così affermava: “Si troverà la marca di un Dado in alcune, che si crede comunemente che siano del suo bulino, e se non lo fossero, come ne sospettiamo, la consuetudine di secoli nell’ammeterle all’Articolo detto di Bonasone fa autorità tale, che sarebbe una mancanza in non averle introdotte, e ne verrebbe ad essere la Collezione più scarsa”. [40]Armano 1820, p. 8. Il fatto che diverse stampe oggi attribuite al Maestro del Dado all’interno del nostro volume non fossero repertoriate da Malvasia e da Gori Gandellini, ma venissero raggruppate intorno all’artista solo da Heinecken, da Bartsch o addirittura da studiosi in tempi recentissimi – è il caso del Alessandro e Rossane (PN 2559), già ritenuta da Bartsch di Jacopo Caraglio, ma considerata copia dallo stesso Caraglio del Maestro del Dado da Stefania Massari  [41]Bartsch 1803-1821, XV, p. 95, n. 62; S. Massari, in Roma 1985, p. 160, 2b; Cirillo Archer 1995, pp. 197-198, n. 062 C1 S2. dimostra una notevole capacità analitica da parte dei compilatori che, pur confondendolo con Bonasone, fecero confluire nel volume un notevole numero di opere del Maestro. Il gruppo di sette stampe, posizionate nel volume dal n. 57 al n. 63, costituisce un’intera serie dedicata ai Pianeti: Saturno (PN 1631), Giove (PN 21489), Marte (PN 1629), Sole (PN 1630), Venere (PN 1632), Mercurio (PN 1633), Luna (PN 1634). Queste stampe vennero attribuite a Bonasone solo a partire da Cumberland, mentre Bartsch le riferì, anche se in maniera dubitativa, a George Reverdy (Gaspar Reverdy). [42]Cumberland 1793, p. 92; Bartsch 1803-1821, XV, pp. 448-449, nn. 3-9; Boorsch e Spike 1986, pp. 344-350, nn. 3 (488) - 9 (490). E’ interessante rilevare come Armano nel 1820, indipendentemente, come abbiamo visto sopra, dal catalogo di Cumberland, e diversamente da quanto affermato da Bartsch, includesse queste stampe ancora nel catalogo di Bonasone, opinione che dimostra come tra i conoscitori questa attribuzione fosse molto diffusa. [43]Armano 1820, p. 37, nn. 173-178. Il riferimento a Bonasone è condiviso da Stefania Massari, che le considera stilisticamente e cronologicamente vicine alla serie del 1544 dedicata alla Arti Liberali, ma è attualmente stato rimesso in discussione da Ippolitov che, ritenendo non vi siano elementi sufficienti per riferirle all’incisore, le ha pubblicate nel 2004 come opera di autore anonimo vicino a Bonasone. [44]Massari 1983, pp. 45-46, nn. 22-28; A.B. Ippolitov, in San Pietroburgo 2004. L’attribuzione a Bonasone, seppure da mantenere in via dubitativa, ci sembra al momento ancora la più plausibile. Diverso è il caso della Diana cacciatrice (PN 1750), già riferita con riserva a Bonasone da Malvasia, che così affermava: “Diana in paese con quantità di cani, che tiene in una mano, nell’altra il dardo, e vaccine da una parte; quando ella non sia (come li più vogliono) di Vincenzo Caccianemici Cavalier Bolognese, come anche mostra la marca V.C […]”. [45]Malvasia 1678, I, p. 76. L’orientamento verso Bonasone permane anche in Cumberland, che la ritiene, allo stesso modo di quanto fece in seguito Bartsch, opera di Bonasone tratta da Vincenzo Caccianemici. [46]Cumberland 1793, p. 98, n. 293; Bartsch 1803-1821, XV, p. 176. A partire da Maria Catelli Isola la stampa iniziò ad essere con convinzione riferita al secondo, artista bolognese dal profilo biografico oscuro, in parte recentemente indagato da Emilio Negro che, ripercorrendo le scarne notizie storiche disponibile, gli ha attribuito alcuni dipinti e disegni. [47]Catelli Isola, in Roma 1976-1977, p. 33, n. 9; Massari 1983, I, pp. 43-44, n. 16, Per una rilettura delle notizie biografiche sull’artista narrate da Vasari e da Malvasia, e per le questioni attributive, cfr. Negro1998, pp. 41-45. Nel 2004 Ippolitov, riconoscendo nella stampa la particolarità della presenza di uno stile che unisce motivi iconografici tratti dal Parmigianino (la figura di Diana e i cani) e motivi invece più vicini a Tiziano (il paesaggio) ha riferito di nuovo la stampa, anche se in maniera dubitativa, a Bonasone, avanzando la possibilità che Caccianemici fosse responsabile dell’idea e della fusione tra istanze parmensi e veneziane. [48]A.B. Ippolitov, in San Pietroburgo 2004, n. 74. Senza poter disporre di altre stampe certe di Caccianemici risulta però difficile attribuirgli con certezza questa incisione. L’ipotesi con riserva avanzata da Malvasia, e sostenuta anche da Ippotitov, di riferire con un punto interrogativo la stampa a Bonasone, sembra l’unica via al momento percorribile. Si rimane in ambito bolognese, con la Carità (PN 21444), riferita a Giacomo Francia a partire da Bartsch, [49]Bartsch 1803-1821, XV, p. 457, n. 3. Un possibile rapporto tra Bonasone e la bottega dei Francia e l’ipotesi che alcune stampe già attribuite a Bonasone siano invece da riferirsi a Giulio Francia, è stata avanzata da Nicosetta Roio (Roio 1998, p. 89), proposta che non ha trovato seguito nella critica successiva (Faietti 2000, p. 2). mentre l’esemplare con Bacco di ritorno dalle Indie (PN 3966) è stato riconosciuto da Paolo Bellini come una copia di anonimo tratta da una stampa di Giorgio Ghisi a sua volta ispirata a Perin del Vaga. [50]Ferrara, Bellini e D’Amico 1977; Bellini 1998, p. 303, n. F 23/c. Una stampa con questo soggetto, difficile dire se l’esemplare di Ghisi o questa copia, venne riferita a Bonasone da Cumberland, ed evidentemente, dai compilatori del nostro volume. [51]Cumberland 1793, p. 91, n. 269. Si deve probabilmente alla citazione di Gori Gandellini di un “Trionfo di Scipione dei Cartaginesi”, l’inserimento nel volume della Presa di Cartagine (PN 4101), frammento della stampa già considerata copia da Georg Pencz, da un soggetto di Giulio Romano, che Stefania Massari sull’orma di Passavant, ha attribuito a Marco Dente, datandola intorno al 1521-1523. [52]Gori Gandellini 1771, p. 153 (come Bonasone); Passavant, VI, 1864, p. 73, n. 65; Massari 1993, p. 46, n. 40. L’esemplare della Pinacoteca di Bologna, in terzo stato, risulta privo di tutta la parte destra della stampa, ma permette di leggere la data di seconda (Salamanca 1540) e di terza edizione (Orlandi 1602). Se la stampa con Cariatide e Telamone (PN 4077), di anonimo incisore vicino a Bonasone, deve essere stata inserita nel volume per affinità iconografica con le tre stampe precedenti del Maestro del Dado, a loro volta copie di incisioni di Agostino Musi detto il Veneziano, dedicate a soggetti simili (Due erme maschili, PN 23975; Due erme femminili, PN 2321; Due erme maschili, PN 2320), singolare risulta invece l’inserimento della stampa raffigurante Mosè che fa scaturire l’acqua dalla roccia (PN 4176), assente in tutti i repertori dedicati a Bonasone, ma segnalata a partire da Malaspina di Sannazaro come opera di Michele Grechi (o Crechi) detto il Lucchese. [53]Malaspina 1824, II, p. 229; Passavant 1864, VI, p. 166, n. 2; Nagler 1858-1879, IV, p. 623, n. 1977 (1); Frommel 1967-68, p. 108, n. 67; G. Gallina, in Milano 1988, n. 21. Il monogramma dell’artista compare sul secondo stato della stampa, mentre l’esemplare conservato in Pinacoteca, in primo stato, è privo di scritte. La Caduta dei Giganti (PN 3197), tratta dal dipinto per Palazzo Doria a Genova di Perin del Vaga, venne riferita a Bonasone da Cumberlan, attribuzione accettata con riserva da Bartsch, che ne indicava le affinità anche con opere di Jacopo Caraglio e di Giorgio Ghisi, e che alla fine propendeva per una suo riferimento a Guido Ruggeri. [54]Cumberland 1793, p. 98, n. 291; Bartsch 1803-1821, XV, pp. 45-46, n. 16; Per la difficile identificazione dell’incisore Guido Ruggeri, spesso associato alla firma FG presente in diverse stampe del secolo XVI, cfr. Biasini 1997, p. 2 e Boorsch 2001, p. 506-510. L’attribuzione a Bonasone è stata confermata da Massari, respinta senza avanzare altre ipotesi da Cirillo Archer, mentre Biasini la repertoriava nelle opere di dubbia attribuzione al “Maestro FG italiano”, di cui proponeva una possibile identificazione con lo stesso Guido Ruggeri. [55]Massari 1983, p. pp. 86-87, n. 108 a; Cirillo Archer 1995, p. 45, n. 051; Biasini 1997, p. 8, n. 7. In un recente articolo dedicato al tentativo di definire un profilo dell’incisore Girolamo Fagiuoli – artista documentato dalle fonti ma rimasto sino ad allora quasi privo di opere – , Suzanne Boorsch ha avanzato convincentemente l’attribuzione di questa stampa proprio a quest’ultimo, riconoscendovi affinità con altre opere da lei attribuite all’incisore bolognese, e in particolare con il nucleo già riferito al “Maestro FG”. [56]S. Boorsch, in Los Angeles, New York, Parigi 1995, nn. 93-95, pp. 470-471; Boorsch 2001, 510-512. L’ultima stampa del volume, è l’unica che stilisticamente risulti completamente anomala rispetto a tutte quelle sopra citate. Si tratta dell’incisione con Clelia che fugge con le sue compagne dal campo di Porsenna (PN 3272), già riferita da Bartsch ad un anonimo incisore della scuola di Fontainebleau, definitivamente assegnata a Pierre Milan da Henri Zerner, che ha comunque segnalato come la lastra sia stata portata a termine da René Boyvin, già riconosciuto come unico autore da Alexandre Zanetti e da Robert-Dumesnil. [57]Bartsch 1803-1821, XVI, p. 395; Zanetti 1837, p. 560, n. 1488; Robert Dumesnil, V, 1850, p. 19; Zerner 1969, P.M. 6; Massari 1993, pp. 101-103, n. 95. L’unico possibile motivo che forse può giustificare l’inserimento di questa incisione è immaginare un’errata interpretazione del testo di Gori Gandellini. Mentre infatti la Clelia che fugge con le sue compagne dal campo di Porsenna di Bonasone (PN 1711) poteva essere scambiata con quella descritta come “Il passaggio di due Amazzoni, per un piccolo braccio di fiume”, come appare effettivamente il Tevere in quella stampa, questa dovette essere identificata con quella, descritta sempre da Gori Gandellini, come “Clelia che passa il Tevere”. [58]Gori Gandellini 1771, pp. 153 e 154. Venendo ora alle stampe ancora oggi attribuite a Bonasone, senza volerle ripercorrerle una per una, rimandando per l’inquadramento generale e per le caratteristiche specifiche, alla ricca bibliografia relativa, ci si soffermerà in particolare su alcuni gruppi di stampe, la cui tipologia di montaggio nel volume permette ancora una volta di rivelare il tipo di intervento messo in atto dai compilatori. Ci si soffermerà in particolare sulle tre serie già individuate, anche se non in maniera precisa per ogni esemplare, da Malvasia: la Passione di Cristo, gli Amorosi diletti degli Dei e gli Amori sdegni e gelosie di Giunone. [59]Malvasia 1678, I, p. 79. La serie dedicata alla Passione di Cristo, fusa, come già aveva segnalato Malvasia, con la serie dedicata ai Misteri del Rosario, realizzata su stessa invenzione di Bonasone tra i tardi anni Cinquanta e i primi anni Sessanta del Cinquecento, [60]Per l’intera serie, cfr. Malvasia 1678, I, p. 79; Gori Gandellini 1771, p. 155; Heinecken 1789, III, pp. 132-133, n. 12, da a a ff; Cumberland, 1793, p. 49, nn. 1-28; Bartsch 1803-1821, XV, pp. 115-118, nn. 10-37; Massari 1983, I, pp. 102-107, nn. 139-166; Cirillo Archer 1995, pp. 229-246, nn. 010-037. apre il volume in maniera anomala, comparendo in prima posizione la Maddalena ai piedi di Gesù in casa di Simone il Fariseo (PN 21411). Questa stampa è infatti situata – come conferma un elenco del 12 marzo 1864 e il numero 18 che compare sul controfondo della stampa successiva – prima del fontespizio della serie raffigurante Cristo benedicente (PN 1740). [61]ASSBo. Non si tratta dell’unica anomalia che presenta la composizione del volume, visto che anche le successive stampe dedicate alla Passione di Cristo, che nell’insieme occupavano dalla posizione 17 alla posizione 35 (PN 21411, PN 1740, PN 1742, PN 1743, PN 1744, PN 1741; PN 1745, PN 1730, PN 1731, PN 1732, PN 1733, PN 1734, PN 1737, PN 1735, PN 1736, PN 1739, PN 1738), non rispettano in maniera rigorosa il succedersi temporale degli eventi. E’ così che troviamo, ad esempio, Cristo che lava i piedi agli Apostoli (PN 1741) situato tra Cristo davanti ad Anna  (PN 1746) e Cristo interrogato da Caifa (PN 1745) invece che prima dell’Ultima cena (PN 1742). Mentre per la posizione anomala della Madonna ai piedi di Gesù nella casa di Simone Fariseo si può forse supporre una semplice dimenticanza nella composizione della serie e quindi un suo inserimento successivo nel volume in un unico luogo rimasto libero sul foglio, la disposizione anomala delle altre è un’altra testimonianza rispetto al fatto che non venne consultato il testo di Heinecken del 1789, in quanto quest’ultimo elencava in maniera corretta, sotto il numero 12 seguito da lettere dell’alfabeto, la successione delle stampe all’interno della serie. [62]Heinecken 1789, III, p. 132-133. Disponendo pertanto delle generiche indicazioni di Malvasia e di Gori Gandellini, che riferiscono tra l’altro dell’esistenza di soli 19 pezzi rispetto alle 28 stampe attualmente individuate, si dovette procedere con una certa sommarietà all’incollaggio delle stampe, tutte provenienti dalla donazione Lambertini del 1751, forse riproponendo la loro disposizione all’interno del volume originario. Come già segnalato da Madeline Cirillo Archer, manca dalla serie conservata a Bologna, tutta in primo stato, il gruppo dedicato ai Misteri Gloriosi (Annunciazione, Visitazione, Natività, Presentazione al tempio, Cristo davanti ai dottori), così come le stampe raffiguranti la Pentecoste e la Vergine che dona il Rosario a San Domenico, effettivamente non presenti in collezione. [63]Cirillo Archer 1995, p. 230. Le stampe collocate dalla posizione 67 alla posizione 99, sono dedicate, ad eccezione della stampa in posizione 74 di cui parleremo, alle due serie Gli amorosi diletti degli Dei e Amori sdegni e gelosie di Giunone. Anche in questo caso il montaggio presenta caratteristiche particolari in quanto, al dì là della successione all’interno di ogni serie, che non era ancora definita a fine Settecento, gli esemplari della seconda serie risultano inglobati nella prima. Vale a dire che, dopo 9 stampe del primo gruppo (PN 1772; PN 1766; PN 1763; PN 1771; PN 1761; PN 1768; PN 1765; PN 1777; PN 1774), seguono 15 stampe del secondo (PN 1795; PN 1787; PN 1789; PN 1790; PN 1792; PN 1794; PN 1793; PN 1783; PN 1785; PN 1781; PN 1782; PN 1786; PN 21409; PN 1784; PN 1791), per poi riprendere con 8 stampe del primo (PN 1788; PN 1770; PN 1762; PN 1773; PN 1764; PN 1767; PN 1769; PN 1776). La scelta fu dettata evidentemente dalle condizioni conservative della prima serie, in quanto il gruppo di otto stampe poste in coda sono tutte interessate da un pesante intervento di censura, che ha portato a tagliare le parti più “scabrose” delle immagini. Come dimostra la stessa difficoltà, già segnalata da Stefania Massari, di rintracciare la serie completa di 20 esemplari proprio per la censura operata sulla serie, allo stesso modo, in epoca difficile da precisare, si è intervenuti mutilando solamente quelle stampe in cui venivano raffigurati un uomo e una donna in atteggiamenti esplicitamente sessuali, risparmiando invece i soggetti in cui il riferimento ad amori divini risultava più “accettabile”. [64]Massari 1983, I, p. 56. Se la censura fosse già stata operata nella raccolta Cavazza, da cui provengono sia le stampe censurate che quelle integre, non lo possiamo sapere. L’unica traccia di pruderie registrata nell’attività dell’Istituto delle Scienze nella seconda metà del Settecento riguarda la decisione nel 1756 di “separare in libro a parte le stampe impudiche de’ Carracci”, evidentemente per isolarle rispetto a quelle da mostrare al pubblico. [65]Massari 1983, I, p. 56. Certamente le stampe di Bonasone risultavano già tagliate alla metà dell’Ottocento, quando le vide e le registrò nelle proprie schede manoscritte Gaetano Roncagli. Si diceva sopra che la successione delle due serie venne realizzata su iniziativa degli stessi compilatori. Malvasia riferiva infatti solo sei pezzi alle serie de Gli amorosi diletti degli Dei, mentre l’indicazione di 22 stampe della serie Amori sdegni e gelosie di Giunone, indicate sempre da Malvasia e da Gori Gandellini, mancava di un elenco preciso del soggetto di ogni esemplare. Anche in questo caso inoltre, come per la Passione di Cristo, la successione non segue quella proposta da Heinecken nel 1789. [66]Malvasia 1678, I, p. 79; Gori Gandellini 1771, p. 155; Heinecken 1789, III, pp. 139-140, p. 147. Ancora una piccola nota di carattere stilistico: all’interno della serie, in posizione 74 nel volume compare una stampa raffigurante una Venere con un satiro che le offre doni preziosi (PN 4075), estranea alla serie de Gli amorosi diletti degli Dei, all’interno del quale è inserita. Riferibile ad un artista presumibilmente fiammingo, essa potrebbe costituire una libera interpretazione, chissà se solitaria o in serie, di idee di Bonasone e di Caraglio, ed in generale della “moda” delle stampe a soggetto mitologico-erotico tanto in voga nel Cinquecento. [67]Cfr. Dunand et Lemarchand 1977; Talvacchia 1999; Schlieker 2001; Faietti 2005. Nell’insieme, le stampe ancora oggi attribuite a Bonasone, pur non potendo lontanamente offrire un repertorio esaustivo dell’opera incisoria dell’artista che annovera attualmente nel proprio catalogo oltre quattrocento esemplari, offrono un panorama variegato, sia rispetto alla datazione, essendo presenti stampe riferibili a varie fasi della sua attività anche se non certamente ordinate in quanto tali nel volume, sia rispetto alla tecnica, comparendo sia bulini che tecniche miste con acquaforte e bulino, sia per quanto riguarda i soggetti, essendo presenti stampe tratte da invenzioni di Raffaello, Michelangelo, Parmigianino, Giulio Romano, Perin del Vaga, oltre che numerose opere di propria invenzione. Alla luce di quanto detto risulta come i compilatori del volume, seppure forse poco aggiornati riguardo ai repertori consultabili, disponessero di una evidente capacità di creare un catalogo di Bonasone, anticipando molte attribuzioni che vennero formulate solo negli anni successivi. Pertanto, le competenze congiunte del conte Ercole Orsi, di Giuseppe Stampini e la consulenza nella “separazione delle stampe”, che dovette essere determinante di Giovanni Antonio Armano, riuscirono a produrre un catalogo dell’artista che dovette risultare significativo per gli studiosi e gli artisti che visitarono negli anni successivi l’Istituto. Ovviamente alla luce degli studi attuali il volume appare per molti aspetti incoerente, ma si tenga conto che a due secoli di distanza, con il proliferare degli studi sull’incisione, il catalogo di questo importante incisore, non può dirsi ancora definito. Oltre a proposte di nuove aggiunte al suo catalogo, come il Pasquino edito da Antonio Salamanca nel 1542, la cui possibile attribuzione all’artista è stata avanzata da Chrysa Damianaki, o l’Adorazione dei pastori, conservata presso il British Museum di Londra, recentemente portata all’attenzione della critica da Mark P. McDonald, si consideri la sopra citata proposta di Suzanne Boortsch, di districare, tra le stampe prive del nome dell’incisore, quelle che potrebbero essere non a lui riferibili, e che potrebbero invece risultare di pertinenza del poco studiato Fagiuoli su cui la stessa Boorsch ha dato un notevole contributo nell’articolo Salviati and prints: the question of Fagiuoli del 2001, e nella conferenza Molte carte degne di lode: the Career of Nicholas Beatricet, Engraver in 16th century Rome, tenutasi alla National Gallery of Scotland nel 2003, di cui si auspica la pubblicazione. [68]Damianaky 2006, pp. 275-304; McDonald 2007, pp. 779-781; Faietti 2000, 2; Boorsch 2001, pp. 499-518. A questo si aggiungano, per portare un altro esempio, le perplessità avanzate da Ippolitov circa l’esecuzione da parte di Bonasone della serie dei Pianeti e il capitolo, ancora tutto da scrivere, inerente i rapporti tra Bonasone e Caccianemici. [69]A.B. Ippolitov, in San Pietroburgo 2004, pp. 168,171, p. 164. Ma la prospettiva della redazione di un nuovo catalogo delle opere dell’autore travalica decisamente i confini di questo studio, che ha voluto semplicemente ricostruire un tassello delle conoscenze sull’autore così come risultavano a Bologna alla fine del Settecento.

Note

[1] Daniela Zarrattini, nella sua tesi di specializzazione, ha già operato la ricostruzione dei volumi 8 e 9 della “grande collezione”, ma le nuove ricerche archivistiche effettuate, rese note nell’articolo dedicato alle donazioni sopra citato, permettono di inquadrarne la ricostruzione in una nuova prospettiva critica (Zarrattini 2003-2004).
[2] Un primo nucleo di stampe riferibili al primo volume è stato in passato identificato da Luigi Chieppa, nucleo da cui si è partiti per portare a compimento la presente ricostruzione del volume.
[3] Lehrs 1889, pp. 81-84. Ai notevoli ammanchi delle stampe di Marcantonio Raimondi già presenti nel volume II, verrà dedicato un articolo nel prossimo numero della rivista.
[4] Kristeller 1986, p. 397.
[5] Gaeta Bertelà, in un suo articolo del1970, ha reso noto i risultati di una prima indagine sulle coperte dei volumi (Gaeta Bertelà 1970, p. 23); Marzia Faietti, nel volume dedicato all’Inventario degli incisori Tedeschi e Fiamminghi del secolo XV, ha riconosciuto la provenienza dal volume 43, e ancor prima dalla collezione Savioli, della gran parte di stampe attualmente sciolte riferibili al Quattrocento nordico (Faietti 1993).
[6] La conservazione di questo importante lavoro di Roncagli, è già stata segnalata da Gaeta Bertelà nel 1970 (Gaeta Betelà 1970, p. 24).
[7] Cfr. l’articolo di E. Rossoni, dedicato a Nuovi studi sulla collezione di stampe della Pinacoteca Nazionale di Bologna, in questo numero della rivista.
[8] Si tratta di un nucleo di 240 esemplari, pervenuti in Pinacoteca insieme a tutto il materiale grafico già trasferito dall’Università all’Accademia di Belle Arti nel 1881 (Faietti 1983, p. 77).
[9] Relativamente alla cessione, si conservano presso l’archivio della Pinacoteca i verbali redatti da Enrico Panzacchi, Antonio Muzzi, Anacleto Guadagnini, Tito Azzolini, da cui risulta che delle 973 stampe della cassa, nel 1881 ne furono trovate solamente 801, molte delle quali prive della segnatura rossa che ne indicava il numero progressivo di ritrovamento dopo il furto. Nel varbale del 1881 viene pertanto segnalato un ulteriore ammanco rispetto a quanto già segnalato nel 1868, di 471 stampe, di cui 162 si dicono essere “state sostituite con altre, di nessun valore, ed altre di un valore limitato” (ASSBo, Verbali della Commissione del R. Istituto per la verifica della raccolta delle Stampe di Benedetto XIV, ottobre 1881).
[10] ASSBo.
[11] Per il primo caso si può portare l’esempio della Mater Dolorosa (PN 4089), secondo stato di una stampa di Giulio Bonasone tratta da Raffaello di cui non si è rintracciata la scheda di Kristeller; per il secondo la Venere con un satiro che le offre doni preziosi di anonimo incisore fiammingo (PN 4075) erroneamente segnalata da Kristeller come proveniente dal vol. IX dei bolognesi, contenente “Diverse stampe bolognesi prima di Francesco Bricio”; per il terzo caso le due stampe con Giove allattato dalla capra Amaltea (PN 1699) e la Vittoria di Costantino su Massenzio (PN 24091), due stampe che, segnalate come mancanze nel “Documento F” del 1868 sopra citato, non compaiono nel “Documenti G”, Nota delle incisioni state involate nella Regia Biblioteca dell’Università di Bologna e che non furono ancora recuperate, del 14 ottobre 1868 (ASSBo).
[12] Per le questioni qui sommariamente riassunte, si veda l’articolo citato di E. Rossoni, dedicato a Nuovi studi sulla collezione di stampe della Pinacoteca Nazionale di Bologna, in questo numero della rivista.
[13] Malvasia 1678, I, p. 74; Petrucci 1964, pp. 50-51; Catelli Isola 1969; Massari 1983, II voll.; Cirillo Archer 1995, pp. 217-342; Faietti 2000; Watson 1993; Schlieker 2001; Watson 1993; Rolet 2007; Damianaki 2006. Per ulteriore bibliografia specifica si veda oltre nel testo.
[14] ASBo, Assunteria di Istituto, Diversorum, b. 31, f. 15; cfr. anche l’articolo di E. Rossoni, dedicato a Nuovi studi sulla collezione di stampe della Pinacoteca Nazionale di Bologna, in questo numero della rivista.
[15] BUB, Bibliografia bolognese, b. 35, f. III. Cfr. anche l’articolo di E. Rossoni, dedicato a Nuovi studi sulla collezione di stampe della Pinacoteca Nazionale di Bologna, in questo numero della rivista. Ringrazio Rita de Tata per aver portata alla mia attenzione il presente documento.
[16] L’ipotesi di una ricomposizione del volume ad inizio dell’ultimo decennio del Settecento è resa necessaria per giustificare lo stesso rifacimento del volume. Non si capirebbe infatti come mai si sarebbe proceduto a staccare le stampe dal vecchio supporto e ad incollarle su nuovi fogli, se non ai fini di una loro risistemazione.
[17] AABo, Miscellanee vecchie, cart. 625 (K255), fasc. 43g. Le stampe individuate come duplicati nel documento del 1791 sono le seguenti: “Cena del Signore in piccolo; Virtù; Nostro Signore che libera dal Naufragio San Pietro; Discesa di Amore alli Ellisij; Sattiri; Femmine nude con satiri marini; Caccia di lioni 1532; Busto di Raffaele; Cavallo di Troia; Il Giudizio di Michel Angelo in grande”. ASBo, Assunteria di Istituto, Diversorum, Biblioteca, b. 21, f. 35.
[18] Per queste donazioni, si veda ancora l’articolo di E. Rossoni, dedicato a Nuovi studi sulla collezione di stampe della Pinacoteca Nazionale di Bologna, in questo numero della rivista. L’elenco delle stampe di Bonasone possedute da Oretti è registrato nel ms. 405 della Biblioteca dell’Archiginnasio di Bologna, pp. 6-10. Per la collezione Oretti, cfr. Perini 1979.
[19] Per la logica collezionistica delle stampe nei secoli XVIII e XIX, cfr. Pezzini Bernini 2001, con bibliografia precedente.
[20] Zani 1819, I, p. 28.
[21] ASBo, Assunteria di Istituto, Atti, n. 9, cc. 95r, 100r, 112v, 136r, 138v; Zani 1819, I, p. 28; S. Massari, in Massari e Prosperi Valenti Rondinò 1989, p. 101.
[22] ASBo, Assunteria di Istituto, Atti, n. 9, c. 101.
[23] Turrio Baldassarri 2003, pp. 63-106.
[24] Lettere del 19 agosto 1779 e del 17 settembre 1779, in Turrio Baldassarri 2003, p. 86 e p. 90.
[25] Gori Gandellini 1771; Heinecken 1789.
[26] Presso la Biblioteca dell’Archiginnasio di Bologna sono presenti i primi quattro volumi della pubblicazione di Heinecken, compreso dunque il III, in cui compare l’opera di Bonasone. I volumi, come recita l’etichetta presente sul foglio di sguardia, sono però stati donati alla biblioteca dall’Abate Gioachino Mugnoz solo nel 1844.
[27] Cumberland 1793; Armano 1820, p. 6.
[28] Armano, in Turrio Baldassarri 2003, p. 73.
[29] Malvasia 1678, I, p. 79; Gori Gandellini 1771, I, p. 158.
[30] Heinecken 1778, vol. I, p. 257.
[31] Bartsch 1803-1821, XV, p. 158, n. 179; Ferrara e Gaeta Bertelà 1975, n. 117; Boortsch 1982, p. 43, n. 179-328.
[32] Popham s.d., p. 61, n. XL; Popham 1971, I, p. 212, n. 723, III, fig. 732; Misiti 1994, p. 75; A.B. Ippolitov, in San Pietroburgo 2004.
[33] Boorsch 2001.
[34] Malvasia 1678, I, p. 78.
[35] Malvasia 1678, I, p. 78; Cumberland 1793, p. 63; Heinecken 1789, III, p. 134, n. 29; Bartsch 1803-1821, XV, p. 21, n. 12; Passavant 1864, VI, p. 78, n. 30; Cirillo Archer 1995, p. 19, n. 021, p. 203, n. 065.
[36] Per il Maestro del Dado, cfr. in particolare Bartsch 1803-1821, XV, pp. 181-233; Brulliot 1832-1834 I, 3235, II, 194, 2805; Zentai 1983; Massari e Prosperi Valenti Rondinò 1989, pp. 79-111, nn. 23-34; Massari 1993, pp. 56-61; Cavicchioli 2000, pp. 189-204.
[37] Malvasia 1678, I, p. 78.
[38] Gori Gandellini 1771, passim.
[39] Heinecken 1788, II, pp. 282-285; Bartsch 1803-1821, XV, pp. 181-183. Cfr., inoltre, Zentai 1983, p. 52. Anche Cumberland, nel suo testo del 1793, riteneva il Maestro del Dado una personalità da non confondersi con Bonasone (Cumberland 1793, p. 42).
[40] Armano 1820, p. 8.
[41] Bartsch 1803-1821, XV, p. 95, n. 62; S. Massari, in Roma 1985, p. 160, 2b; Cirillo Archer 1995, pp. 197-198, n. 062 C1 S2.
[42] Cumberland 1793, p. 92; Bartsch 1803-1821, XV, pp. 448-449, nn. 3-9; Boorsch e Spike 1986, pp. 344-350, nn. 3 (488) - 9 (490).
[43] Armano 1820, p. 37, nn. 173-178.
[44] Massari 1983, pp. 45-46, nn. 22-28; A.B. Ippolitov, in San Pietroburgo 2004.
[45] Malvasia 1678, I, p. 76.
[46] Cumberland 1793, p. 98, n. 293; Bartsch 1803-1821, XV, p. 176.
[47] Catelli Isola, in Roma 1976-1977, p. 33, n. 9; Massari 1983, I, pp. 43-44, n. 16, Per una rilettura delle notizie biografiche sull’artista narrate da Vasari e da Malvasia, e per le questioni attributive, cfr. Negro1998, pp. 41-45.
[48] A.B. Ippolitov, in San Pietroburgo 2004, n. 74.
[49] Bartsch 1803-1821, XV, p. 457, n. 3. Un possibile rapporto tra Bonasone e la bottega dei Francia e l’ipotesi che alcune stampe già attribuite a Bonasone siano invece da riferirsi a Giulio Francia, è stata avanzata da Nicosetta Roio (Roio 1998, p. 89), proposta che non ha trovato seguito nella critica successiva (Faietti 2000, p. 2).
[50] Ferrara, Bellini e D’Amico 1977; Bellini 1998, p. 303, n. F 23/c.
[51] Cumberland 1793, p. 91, n. 269.
[52] Gori Gandellini 1771, p. 153 (come Bonasone); Passavant, VI, 1864, p. 73, n. 65; Massari 1993, p. 46, n. 40.
[53] Malaspina 1824, II, p. 229; Passavant 1864, VI, p. 166, n. 2; Nagler 1858-1879, IV, p. 623, n. 1977 (1); Frommel 1967-68, p. 108, n. 67; G. Gallina, in Milano 1988, n. 21.
[54] Cumberland 1793, p. 98, n. 291; Bartsch 1803-1821, XV, pp. 45-46, n. 16; Per la difficile identificazione dell’incisore Guido Ruggeri, spesso associato alla firma FG presente in diverse stampe del secolo XVI, cfr. Biasini 1997, p. 2 e Boorsch 2001, p. 506-510.
[55] Massari 1983, p. pp. 86-87, n. 108 a; Cirillo Archer 1995, p. 45, n. 051; Biasini 1997, p. 8, n. 7.
[56] S. Boorsch, in Los Angeles, New York, Parigi 1995, nn. 93-95, pp. 470-471; Boorsch 2001, 510-512.
[57] Bartsch 1803-1821, XVI, p. 395; Zanetti 1837, p. 560, n. 1488; Robert Dumesnil, V, 1850, p. 19; Zerner 1969, P.M. 6; Massari 1993, pp. 101-103, n. 95.
[58] Gori Gandellini 1771, pp. 153 e 154.
[59] Malvasia 1678, I, p. 79.
[60] Per l’intera serie, cfr. Malvasia 1678, I, p. 79; Gori Gandellini 1771, p. 155; Heinecken 1789, III, pp. 132-133, n. 12, da a a ff; Cumberland, 1793, p. 49, nn. 1-28; Bartsch 1803-1821, XV, pp. 115-118, nn. 10-37; Massari 1983, I, pp. 102-107, nn. 139-166; Cirillo Archer 1995, pp. 229-246, nn. 010-037.
[61] ASSBo.
[62] Heinecken 1789, III, p. 132-133.
[63] Cirillo Archer 1995, p. 230.
[64] Massari 1983, I, p. 56.
[65] Massari 1983, I, p. 56.
[66] Malvasia 1678, I, p. 79; Gori Gandellini 1771, p. 155; Heinecken 1789, III, pp. 139-140, p. 147.
[67] Cfr. Dunand et Lemarchand 1977; Talvacchia 1999; Schlieker 2001; Faietti 2005.
[68] Damianaky 2006, pp. 275-304; McDonald 2007, pp. 779-781; Faietti 2000, 2; Boorsch 2001, pp. 499-518.
[69] A.B. Ippolitov, in San Pietroburgo 2004, pp. 168,171, p. 164.

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