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Domenico Maria Fratta accademico arguto. Due nuovi fogli del Gabinetto Disegni e Stampe della Pinacoteca Nazionale di Bologna

Domenico Maria Fratta accademico arguto. Due nuovi fogli del Gabinetto disegni e stampe della Pinacoteca Nazionale di Bologna

Tanto nella produzione pittorica quanto in quella letteraria, Giampietro Zanotti, Segretario dell’Accademia Clementina e teorico di uno strenuo classicismo, sapeva far convivere il coltivato esercizio dello stile paludato e pieno di decoro, improntato agli insegnamenti di Lorenzo Pasinelli e ai modelli coevi di Giovan Gioseffo Dal Sole da un lato e alle poetiche dell’Arcadia dall’altro, con una spontanea concessione agli aspetti naturalistici e ai generi minori, in un disinvolto trapasso dalla tragedia alla commedia, dall’ode ai componimenti satirici e berneschi anche vernacolari, [1]Un ringraziamento particolare a Pierangelo Bellettini e a Elena Rossoni per l'aiuto determinante offerto in diversi momenti della ricerca. Si ringraziano inoltre il Gabinetto Disegni e Stampe della Biblioteca dell'Archiginnasio di Bologna, il Gabinetto dei disegni del Louvre e la Biblioteca del Kunsthistorisches Institut di Firenze. Sulla produzione letteraria di Giampietro Zanotti si vedano essenzialmente la scheda di Gerardo Guccini, in Casini Ropa, Calore, Guccini, Valenti 1986, pp. 258-262, e la scheda di Maria Grazia Bergamini, in Saccenti 1988, pp. 89-90, 250-258; inoltre Montefusco 1988, pp. 379, 398-405. come pure dalla solenne pala d’altare e dai quadri mitologici destinati agli alti strati della gerarchia ecclesiastica e della nobiltà all’invenzione encomiastico-celebrativa, fino al disegno improvvisato, di affettuosi contorni familiari, come il delicato ritratto di Livia Gambari, l’anziana suocera intenta alla lavorazione al tombolo nelle dimesse vesti di tutti i giorni. [2]Per la produzione artistica di Giampietro Zanotti si vedano, essenzialmente, Roli 1977, pp. 298-299; Roli 1982, pp. 361-370 e figg. 202-217; Mazza 2001, pp. 234-253; in particolare, per il disegno appartenuto a Janos Scholz con il ritratto di Livia Gambari, accompagnato dall'iscrizione dello stesso Zanotti “Signora Livia Gambari madre della Costanza mia Moglie. G.P.C.Z.”, cfr. Santa Barbara 1974, pp. 146-147. Non veniva meno tuttavia, anche in questo caso, malgrado l’improvvisa virata nell’argomento naturalistico, tra ritratto e scena di genere, una finezza di esecuzione che ha i precedenti nello stile disegnativo di Simone Cantarini, tramite l’insegnamento di Lorenzo Pasinelli, per la leggerezza frusciante del segno che definisce forme e oggetti quali la semplice sedia o il cestino da lavoro posato a terra e per il tratteggio allusivo dell’ombreggiatura che individua efficacemente la provenienza della luce.

Un simile procedimento che sperimenta la versatilità dei generi della pittura nell’assoluto rispetto della codificazione accademica dei distinti ambiti e dei correlati stili, posti al riparo dal rischio scardinante della contaminazione al contrario innescata dai trasgressivi comportamenti di Giuseppe Maria Crespi, è il medesimo che ispira la produzione di un amico dello stesso Zanotti, il disegnatore di professione Domenico Maria Fratta del quale sono noti numerosi disegni di dichiarata ufficialità sfociati in traduzioni incisorie di ampia circolazione, ad esempio l’incisione per le Conclusioni politico-legali della contessa Maria Vittoria Delfini Dosi sostenute nel Collegio di Spagna nel 1722, dedicata alla regina di Spagna, Elisabetta Farnese, e affollata di figure allegoriche e di stemmi, [3]Per questa incisione cfr. Mazza 1994, pp. 23-25; Cavazza 1997, pp. 111-113; I. Bianchi, in Washington 1998, pp. 156-157. quella per le Conclusioni di Petronio Rampionesi del 1737, con il tema di Federico Barbarossa e i giuristi bolognesi alla Dieta di Roncaglia, [4]Per l'incisione cfr. Mazza1994, pp. 43-44; V. Roncuzzi Roversi Monaco, in Bellettini 2001, pp. 260-261. oppure i fogli tirati in occasione dei viaggi della Madonna di San Luca, o le invenzioni, numerose, inserite nelle edizioni a stampa di testi classici, di poemi epici, di biografie illustri e altro, [5]Meritano di essere ricordati, per la connotazione “clementina” dell'impaginazione che ricorda le invenzioni di Donato Creti e di Ercole Graziani, i quattro fogli passati all'asta Christie's di Londra il 23 marzo 1982 (lotti 51-54: Trionfo di Davide, Ester davanti ad Assuero, Uccisione di Assalonne, Giosuè ferma il sole durante la battaglia) con imprecise definizioni dei soggetti e con attribuzione, appunto, a Donato Creti, poi pertinentemente restituiti a Fratta. per non dire delle immagini di carattere devozionale e di rapido consumo destinate al vasto pubblico. [6]Gottarelli 1976, tavv. XIV, XVI, XVII, XVIII, XXI, XXVI; Mazza 1994, pp. 23-77. E tuttavia, benché Zanotti, nello scontato omaggio alla pregiudiziale accademica, non vi faccia alcun cenno se non per svilire e condannare un simile genere di produzione, Domenico Maria Fratta si dedicò con passione alla caricatura e alla scenetta umoristica coltivando il gusto per una garbata comicità e per la grottesca deformazione moderatamente graffiante. Allontanatisi nei primi mesi del 1745 i temibili, famigerati, esotici Panduri, corpo irregolare dell’esercito austriaco che si era accampato attorno alla città di Bologna in occasione della Guerra di Successione Austriaca, definiti da Ludovico Antonio Muratori “genti di terribil aspetto, con abiti barbarici, ed armi diverse, parte di loro mal disciplinata, atte nondimeno tutte a menar le mani e spezialmente professanti una gran divozione al bottino”, [7]Cit. in Bellettini 1994, p. 136. Domenico Maria Fratta, mosso dal solo “capriccio” e ispirato dai “fieri ceffi” di quelle soldataglie male in arnese, concludeva entro lo stesso anno un album di 46 disegni per il “diletto” di un collezionista allora senza volto, che avrebbe assunto identità, nel 1748, nella persona di “Padre Scapinelli Celerario di S. Michele in Bosco”, e distribuiva ad altri monaci dei conventi olivetani di San Michele in Bosco e di San Bernardo a Bologna, oltre che a un collezionista di casa Scarani, altri disegni sciolti, eseguiti a penna o ad acquerello, con i volti caricati e animaleschi di “Soldati Croati e Panduri che figurano molte vili azioni, e ridicolosi fatti”. [8]Cfr. Palermo 1994; Bologna 1996. Le espressioni sono tratte da un manoscritto di Marcello Oretti della Biblioteca Comunale dell'Archiginnasio di Bologna, che riprende informazioni da un taccuino di conti dell'artista ritrovato presso Sante Manelli, suo allievo (Oretti, sec. XVIII, ms. B 131, pp. 260-261 ter; pubblicato in Palermo 1994, pp. 73-77).

In quella produzione giocosa trovava sfogo l’inflessione istrionica del suo temperamento. Stando anzi al giudizio di Giampietro Zanotti, il giovane Fratta aveva dissipato il proprio tempo in burle e facezie per nulla profittevoli: “invece di studiare, si diede a spassarsi, e fuorché alcuni pochi disegni, tratti dalle stampe di Simon Cantarini, e non poche caricature, in cui molto mostrava spirito, e vivacità, nulla facea”. Ammesso in palazzo Fava e protetto dal conte Pietro Ercole che lo poneva sotto la guida di Donato Creti, aveva pervicacemente proseguito nel dispersivo esercizio della caricatura, incoraggiato dal medesimo conte, pittore per diletto e Accademico Clementino, “che ne prendea diletto, e in ciò gli aizzava contra Ercole Graziani”. In tal modo “i due bravi giovani gareggiavano nel caricarsi l’un l’altro, e nel proccurare di far sempre caricatura maggiore, cosicché il Fratta, per vincer l’emulo, il caricò una volta disegnandolo sul pavimento della sala, e così grande il fece, che tutto il pavimento occupava, cosa che fece sganasciar di ridere chi la vide, e disperò l’avversario di poter fare caricatura maggiore. Così giocolando gittò via il Fratta quasi dieci anni (…)”. [9]Zanotti 1739, II, p. 310.

La condanna accademica di quegli esercizi burleschi, tollerabili solo in circoscritti ambiti di privata spensieratezza, è esplicita nelle conclusioni dello Zanotti che giudicava il giovane, in conseguenza della vita scapestrata e dissipata, impreparato ad affrontare il nobile esercizio della pittura e incapace di scalare le ardue vette dell’arte. Per di più l’impedimento a dedicarsi all’incisione a motivo del fastidioso riflesso della lastra sull’occhio troppo sensibile relegava il giovane all’esclusivo esercizio del disegno. Ma i tempi erano maturi per l’affermazione di una nuova figura d’artista e Domenico Maria Fratta, imprevedibilmente, si inseriva nel novero dei “pochissimi” che, praticando esclusivamente il disegno, si assicurarono, con la continuità di commissioni, soddisfacenti guadagni. Lo stesso Giampietro Zanotti faceva ricorso alle sue invenzioni e alla sua penna per l’illustrazione delle proprie opere date alle stampe e riconosceva, nel 1739, che i suoi disegni realizzati “con molta leggiadria, e sapere” gli consentivano di sostenere “sé, e la sua famiglia agiatamente”. [10]Zanotti 1739, II, p. 309.

Se l’album dei Panduri riapparso a Palermo nella Galleria Regionale della Sicilia dà vita, attraverso la folta sequenza ininterrotta delle scomposte figure grottesche, solo precedute dal frontespizio figurato e dalla vignetta umoristico-satirica del salasso fiscale praticato alla figura allegorica di Bologna, a un repertorio del tutto compatibile con la moda esotica accademicamente accreditata delle teste di carattere, tanto da ricevere una generica destinazione collezionistica, aperta al benvenuto “dilettante”, e se i disegni sulla storia di Bertoldo, Bertoldino e Cacasenno trovavano legittimazione nella fortuna del testo di Giulio Cesare Croce e ampia diffusione nella collaborazione con il tipografo Lelio dalla Volpe, non c’è dubbio che, invece, un disegno del tutto sconosciuto conservato nel Gabinetto Disegni e Stampe della Pinacoteca Nazionale di Bologna è stato eseguito per una specifica destinazione in vista di privati ammiccamenti in una ristretta cerchia di amici e conoscenti.

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Domenico Maria Fratta, Riunione di ecclesiastici, matita nera e acquerello bruno, mm 270 x 331, inv. 1706 © Bologna, Pinacoteca Nazionale, Gabinetto Disegni e Stampe

Si tratta di un foglio curioso, di contenuto non facilmente esplicabile, il cui risvolto umoristico ha sollecitato accostamenti alla produzione a volte irriverente di Pier Leone Ghezzi (sul verso, a matita, infatti, la moderna scritta dubitativa: anonimo XVIII secolo. Vicino al Ghezzi?”). [11]Gabinetto Disegni e Stampe della Pinacoteca Nazionale di Bologna, disegno con Accolta di ecclesiastici, inv. 1706, matita nera e acquerello bruno, dimensioni massime del foglio mm 270 x 331. I danni lungo il margine irregolare superiore sono conseguenti a episodi di traumatica conservazione. Il foglio è stato ora staccato dal controfondo. Lo ispira in realtà una bonomia lambertiniana di genere teatrale per l’aria domestica del cane accovacciato in primo piano, al centro, e per il tono dimesso e quasi privato dell’ecclesiastico rilassato in poltrona con la berretta da monsignore scesa sulla fronte. Questi, assistito dal cameriere, istruisce confidenzialmente una singolare accolta di ecclesiastici appartenenti ai diversi ordini religiosi, tutti a sedere con le spalle alle pareti sul lato di un lungo tavolo angolare, come in un refettorio conventuale. Spiccano il frate cappuccino sulla sinistra in primo piano di profilo, che, al pari del vicino, diligentemente registra il dettato, il domenicano posto di fronte all’osservatore che lascia riposare la penna nel calamaio, intrattenuto dall’abate al suo fianco con la penna sospesa nell’aria, e il carmelitano pensieroso che poggia l’indice sulle labbra con espressione di esibita perplessità. L’ambiente è però arredato come un’abitazione privata, con quadri alle pareti e tenda scostata dietro la finestra dai vetri piombati, aperta sulla veduta del timpano di una chiesa e di un campanile. Sono esposti, sull’alta mensola, una corona regale adagiata sopra un cuscino, il calco di una testa di cavallo e un libro; ma il dettaglio che più sorprende è la nota di mondanità introdotta dall’apparizione della gentildonna sull’uscio e dalla complice, silenziosa intesa con la figura ancora fuori scena certamente al suo fianco. I convenuti non sono disturbati dal loro ingresso, così come il cane, incurante, non distoglie lo sguardo mesto dall’osservatore. Con gesto aristocratico la gentildonna, ben vestita, distende il braccio verso la singolare congrega, come se quegli ecclesiastici fossero suoi ospiti da presentare, puntando elegantemente il ventaglio chiuso; un oggetto di classe e di lusso, distintivo ostentato della nobiltà, alla cui decorazione il pennello di Domenico Maria Fratta si applicava in più occasioni con raffigurazioni arcadiche di danze e feste boscherecce, in un caso andando incontro al desiderio di un galante predicatore, il canonico bolognese Giuseppe Francia, che ne aveva commissionato un certo numero “a penna, e miniati, da farne dono ad alcune delle principali dame di questa città”. [12]Zanotti 1739, II, p. 315. Disegni di Fratta per un paio di ventagli sono in collezione privata (Mazza 1996, pp. 68-69) e nel Gabinetto disegni del Museo del Prado (Mena Marqués 1990, pp. 66, 278 fig. 108). Nel disegno della Pinacoteca Nazionale con il gruppo di religiosi istruiti dall'ecclesiastico abbandonato in poltrona Fratta sembra voler versare in caricatura l'invenzione accademicamente corretta, consegnata a Sante Manelli per la traduzione incisoria, con Eugenio III che consente la lettura del “Decretum Gratiani” nelle Pubbliche Scuole, appartenente a una serie di incisioni con fatti illustri della storia di Bologna.

A Giampietro Zanotti si deve un ritratto psicologico di Fratta del tutto rispondente all’arguzia di queste superstiti testimonianze figurative: “Egli è d’umore giocondo, e fa racconti non senza moltissima grazia, e fa similitudini così piacevoli, e naturali, che bisogna udirlo con infinito piacere. Egli è riverente verso ogni persona, che s’abbia alcun merito, o possa essergli cagione di qualche avvantaggio, essendo uomo molto attento alle sue bisogne, del che gli ho invidia, ma indarno; insomma egli sa molto ben condurre la barca, ne gli sfugge alcun vento, che gli possa esser propizio, e secondo”. [13]Zanotti 1739, II, p. 317.

Scrivendo nel 1769, pochi anni dopo la morte del disegnatore, Luigi Crespi si discostava dalla rispettosa biografia di Zanotti e non risparmiava critiche alla scarsa fedeltà agli originali che questi dimostrava con le trascrizioni di opere celebri dei tempi andati, riviste, integrate e aggiornate al gusto moderno con qualche arbitrio, come quelle degli affreschi subito dopo distrutti di Nicolò dell’Abate in palazzo Torfanini o quelle delle pitture murali, già minate da inarrestabile deperimento, di Ludovico Carracci e degli allievi nel chiostro di San Michele in Bosco; [14]Uno sconosciuto disegno centinato di grande formato, eseguito ad acquerello nella comune tecnica impiegata dall'artista, si conserva in collezione privata modenese e raffigura la scena dell'Incendio di Montecassino dipinta da Ludovico Carracci nel chiostro ottagonale di San Michele in Bosco. Potrebbe essere il primo esemplare emerso della serie realizzata per l'iniziativa editoriale di Petronio dalla Volpe, Il Claustro di San Michele in Bosco, che vide la luce in realtà dopo la scomparsa di Fratta, responsabile di molti disegni passati agli incisori, e dello stesso Giampietro Zanotti, autore del testo. Si conoscono inoltre due disegni conservati nel fondo della Biblioteca Poletti di Modena (N. Gasponi, in Modena 2001, pp. 168-170) per l'edizione della Secchia rapita di Alessandro Tassoni curata dall'editore Soliani nel 1744 (sull'argomento cfr. Campori 1866, pp. 197-198; Bossetti 1965, p. 12; Puliatti 1965, pp. 24-26, 78-79). concordava però con lo Zanotti nel ricordare la naturale vis comica del suo conversare che muoveva all’ilarità: “Era uomo di somma onoratezza, dabbene, e lepido nel suo conversare, talché trattandolo divertiva moltissimo con le sue lepidezze ed espressive caricature, che parlando faceva di ciascheduno così caratterizzate, che non potevasi udir di meglio, né rattenere le risa”. [15]Crespi 1769, p. 298.

Il ritratto morale tracciato con minor grazia e relativa arguzia dal canonico Girolamo Baruffaldi in una lettera del 1744 riprende l’altro aspetto della personalità del disegnatore bolognese messo in rilievo dalla penna dello Zanotti, e cioè la speciale abilità nel raggiungere l’obiettivo desiderato e nel conquistarsi con ogni arte il consenso del contraddittore, anche dell’avversario più maldisposto. Rispondendo all’editore Lelio dalla Volpe che gli chiedeva un proprio ritratto, lo storiografo ferrarese trovava l’occasione per esprimere tutta l’insoddisfazione nei confronti dei vari artisti che si erano cimentati nell’impresa. Il più bersagliato era proprio Domenico Maria Fratta, a motivo della sua insistenza e delle ostinate pretese: “Dirò ancora, che il vostro Dom.co Maria Fratta, bravo disegnatore, ne fece uno col lapis nero sulla carta, ma per nulla mi si assomiglia, quantunque io lo pagassi molto, e volesse per forza che io dicessi essere a me similissimo, volendosi difendere che non essendo il ritratto colorito, non poteva assimigliarsi, come se il mio volto infarinato fosse, per nulla direbbesi simile al vero perché non colorito, e così volle ch’io gli credessi e lo compatissi, ma che ciò non ostante, ben lo pagassi”. [16]Lettera di Girolamo Baruffaldi a Lelio dalla Volpe, Cento, 21 agosto 1744, pubbl. in Campori 1866, doc. CCXXXVIII, p. 199. Sull'argomento cfr. Novelli 1997, pp. 42-43 e n. 200. Eppure il folto numero di ritratti da lui disegnati e sottoposti al giudizio indiscriminato del vasto pubblico nella traduzione incisoria, spesso inseriti in pubblicazioni con il consenso degli effigiati, dovrebbe deporre a favore dell’apprezzamento delle sue qualità di ritrattista.

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Già attr. a Domenico Maria Fratta, Ritratto di Stefano Orlandi, matita rossa, mm 144×114 © Bologna, Biblioteca Comunale dell’Archiginnasio, Gabinetto Disegni e Stampe

Una singolare conferma potrebbe provenire da uno sconosciuto disegno a matita rossa con il ritratto del quadraturista Stefano Orlandi che si conserva nel Gabinetto Disegni e Stampe della Biblioteca dell’Archiginnasio di Bologna; disegno di bella qualità, che si stenta alquanto, in realtà, a considerare di Domenico Maria Fratta proprio per la finezza e l’accuratezza superiori allo standard della sua produzione, il cui riferimento al celebre disegnatore, accreditato da un’antica iscrizione, rivela invece l’alta considerazione in cui i suoi ritratti erano comunemente tenuti. [17]Ben difficilmente il disegno potrà essere riconosciuto alla mano di Fratta, malgrado l'iscrizione riportata direttamente sul foglio originale con inchiostro nero (“Stefano Orlandi disegnato dal Fratta”). Eseguito a matita rossa, è conservato presso la Biblioteca Comunale dell'Archiginnasio, Bologna, Raccolta di ritratti di illustri bolognesi, A V M I 13, n° 120 (5457; provenienza Gozzadini).

Non per nulla, infatti, quel disegno è incollato accanto al ritratto inciso del quadraturista-decoratore bolognese destinato alla Storia dell’Accademia Clementina, l’opera in due tomi dello Zanotti edita per i tipi di Lelio dalla Volpe nel 1739, nella quale compaiono oltre venti ritratti incisi su disegno di Domenico Maria Fratta. [18]Cfr. Mazza 1994, p. 68 n. 39. Non tutti però incontrarono l’incondizionata approvazione dello Zanotti, le cui annotazioni manoscritte sull’esemplare a proprio uso sono ispirate da indiscutibile schiettezza: “In quanto a me tengo che questo sia molto simile”, riporta accanto al ritratto del conte Luigi Ferdinando Marsigli, protettore di Fratta; “Questo è più tosto simile, che no” annota vicino a quello di Giovan Gioseffo dal Sole; “simile alquanto”, a proposito del ritratto di Burrini; “questo è alquanto simile, e me ne contento, non così il Manzini cui par d’esser molto più bello”, osserva ironicamente sul ritratto di Raimondo Manzini; “in questo ritratto, chi ben lo guarda ravvisa molto del suo originale” si legge accanto al ritratto di Donato Creti; e infine “similissimo, e mi pare di parlare seco. Questo par d’esso veramente (…)” a proposito di quello di Angelo Michele Colonna. [19]Le annotazioni sono sull'esemplare conservato nella Biblioteca Comunale dell'Archiginnasio di Bologna (Ms. B 11-12) di proprietà dello Zanotti e sono state molto utilmente pubblicate nel 1977 in appendice all'indice della Storia dell'Accademia Clementina (Ottani Cavina, Roli 1977, pp. 127-163, in particolare, per Fratta, pp. 158-159).

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Giampietro Zanotti, Storia dell’Accademia Clementina di Bologna, Bologna 1739, frontespizio, incisione con l’Accademia del nudo

Il coinvolgimento nella pubblicazione della storia ufficiale dell’Accademia Clementina non si limitò alla consegna di ritratti disegnati, a volte derivati da altri già esistenti secondo un’interpretazione grafica funzionale alla traduzione incisoria, ma contemplò anche la fornitura di finalini e di immagini di putti di significato allegorico. [20]Tongiorgi Tomasi 1987, pp. 326-331. Nella trascrizione di Marcello Oretti da un taccuino di conti dell'artista conservato dal suo allievo Sante Manelli si legge: “Nell'opera del Zanotti due puttini altri 2 e altri quattro e altri”, presumibilmente destinati all'edizione della Storia dell'Accademia Clementina di Bologna (Oretti, sec. XVIII, ms. B 131, p. 268; pubblicato in Palermo 1994, p. 75); cfr., inoltre, Bologna 1996, p. 81.

Merita un approfondimento la famosa scena con l’Accademia del nudo inserita nel frontespizio, nella quale il maestro mette in posizione il modello spogliato preordinando l’esercitazione davanti ad alcuni allievi seduti con qualche anticipo sulle panche nell’assetto teatrale a emiciclo soprelevato a tre livelli secondo il disegno di Raimondo Manzini, davanti al quale sostano, distratti in conversazione, alcuni gentiluomini; [21]Per l'organizzazione dei corsi nell'Accademia e in particolare per l'esercitazione notturna del nudo cfr. Benassi 1988, pp. 101-111, 158-161. inquadratura ferma sull’ingresso della “stanza del nudo”, dalla quale si intravede di fronte, incorniciata dallo stipite dell’apertura, la grande statua dell’Ercole Farnese nella sala successiva che accoglieva i calchi dei “migliori originali greci” pervenuti da Roma. [22]Puntuale descrizione degli ambienti dell'Istituto delle Scienze e dell'Accademia Clementina è fornita da Giampietro Zanotti (1739, I, pp. 47-58; in particolare per la “stanza del nudo”, pp. 55-56). Per lo statuario e specificamente per il calco dell'Ercole Farnese fornito dal cardinale Ulisse Giuseppe Gozzadini cfr. Benassi 1988, pp. 158-160; e soprattutto Pagliani 2003 (specie le pp. 18-20 per l'organizzazione della “stanza del nudo”, e p. 82 per la scheda sul calco dell'Ercole Farnese, la cui riproduzione, oltre che nel frontespizio della Storia dell'Accademia Clementina di Bologna, riappare a pagina 248 del primo volume in un quadro poggiato sul cavalletto nell'incisione che chiude la biografia di Marcantonio Franceschini).

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Domenico Maria Fratta, disegno con l’Accademia del nudo per il frontespizio della Storia dell’Accademia Clementina di Bologna di Giampietro Zanotti (1739), penna e inchiostro bruno su carta bianca, mm 103×146,  © Los Angeles, The J. Paul Getty Museum

Il disegno preparatorio dell’incisione è apparso all’asta Christie’s di Londra il 4 luglio 1995 con la comprensibile attribuzione a Giampietro Zanotti sulla base dell’argomentazione che questi, incisore oltre che pittore, ben difficilmente avrebbe rinunciato a elaborare l’invenzione e a curare la stessa traduzione incisoria per il frontespizio del suo lavoro più impegnativo, destinato inevitabilmente a divenire una pietra miliare della storiografia bolognese dopo la Felsina Pittrice di Carlo Cesare Malvasia. [23]Londra, Christie's, 4 luglio 1995, lotto 61. Il fatto che Zanotti si fosse adoperato così alacremente per la fondazione dell’Accademia, divenendone il primo Segretario, faceva apparire piuttosto improbabile il ricorso ad altri artisti. Sempre secondo l’opinione dell’autore della ricca scheda del catalogo di vendita, ogni riserva su quella proposta attributiva era destinata a cadere davanti all’osservazione della somiglianza fisionomica del maestro che impartisce istruzioni con lo stesso Zanotti.

In realtà lo stile del disegno poi confluito nel J. Paul Getty Museum di Los Angeles (la cui composizione impostata correttamente in controparte rispetto all’incisione sembra differire per la sola corda della lampada mobile ad olio, annodata a un gancio del muro), depone con sicurezza a favore della mano di Fratta e del suo modo di acquerellare, come dimostra il confronto con numerosi fogli di sicura autografia dell’artista, anche sotto il profilo della tecnica esecutiva. [24]Il disegno, eseguito a penna e inchiostro marrone, misura mm 103 x 146 ed è ora conservato nel J. Paul Getty Museum (96.GB.314) sotto il nome di Giampietro Zanotti. Ho già avuto il modo di segnalarlo come opera di Domenico Maria Fratta (A. Mazza, in Bologna 2007, pp. 186-189). E ora si può aggiungere un’attendibile notizia documentaria che si rintraccia nel diligente inventario delle pitture, dei disegni e delle stampe dell’editore Petronio dalla Volpe compilato nel febbraio 1795 da Angelo Ferri, Accademico Clementino, poco dopo la morte del proprietario risalente al settembre dell’anno precedente. [25]Archivio di Stato di Bologna, Notarile, notaio Giuseppe Pedevilla, Inventario legale dello stato Dalla Volpe, 7 luglio 1795. Sul prezioso documento, segnalato per la prima volta nell'Introduzione di Marco Bortolotti e di Alessandro Serra al volume di Giambattista Canterzani (1979, p. XXIII), cfr. Tavoni 1987, pp. 153-161. Più di quello dei dipinti, si rivela interessante l’elenco dei disegni (tutti analiticamente descritti, a parte un plico di anonimi) composto da circa 350 fogli di varia grandezza, dove la presenza più significativa e numericamente rilevante è quella di Domenico Maria Fratta, che in effetti fu in rapporti di stretta collaborazione con Lelio e con Petronio dalla Volpe. I suoi disegni assommano a un centinaio circa, cui si aggiunge un libretto con piccoli disegni di puttini eseguiti a matita. Tra questi compare, oltre a un autoritratto ad acquerello e a diciotto “ritratti di pittori bolognesi” che hanno tutta l’aria di essere stati utilizzati per le incisioni di apertura delle biografie nella Storia dell’Accademia Clementina di Bologna, [26]Registrati in stretta sequenza, il “libretto contenente disegni piccioli di Puttini lapis nero del Fratta” e i “18 Ritratti di Pittori Bolognesi del Fratta” denunciano implicitamente la pertinenza all'edizione della Storia dell'Accademia Clementina di Bologna dello Zanotti (1739). la significativa registrazione di “un disegno del teatro del nudo dell’accademia Clementina del Fratta”, da identificare pertanto con il foglio ora del J. Paul Getty Museum di Los Angeles. [27]Merita inoltre ricordare l'avvertenza riportata dallo Zanotti al termine del secondo tomo della Storia dell'Accademia Clementina di Bologna: “I Rami di quest'opera furono incisi (e in grandissima parte con i disegni di Domenico Fratta) da varj intagliatori...” (Zanotti 1739, II, p. 388). L'inventario steso alla morte di Petronio dalla Volpe include, tra le altre stime, quella contrassegnata con la lettera D “fatta dal Signor Angelo Ferri Accademico Clementino sopra le Pitture, Disegni, e Stampe” e quella, con le lettere E ed F, “dei rami da stampa” compilata dal medesimo Accademico; materiali di grande interesse per lo studio delle relazioni tra produzione artistica ed editoria nel Settecento, che lo scrivente si propone di rendere noti in collaborazione con Pierangelo Bellettini, che qui si ringrazia per aver fornito la segnalazione della documentazione e la riproduzione della porzione del voluminoso inventario funzionale alla presente ricerca. I nomi più ricorrenti nell'elenco dei disegni, dopo Domenico Maria Fratta, sono quelli di Marcantonio Franceschini (quasi quaranta fogli, tra autografi e copie), di Lodovico Mattioli, responsabile di 9 disegni e di un gruppo di 31 paesaggi, di Giuseppe Maria Crespi, ricordato per tredici fogli e “25 carte ... ad apis rosso”, di Creti con undici disegni , quindi Ciro Maria Paris Porroni con una serie della Via crucis e Jacopo Alessando Calvi con otto ritratti di pittori bolognesi.

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Domenico Maria Fratta, Uccisione di Giulio Cesare (?), matita nera, inchiostro marrone, acquerello bruno, biacca , mm 340×294, inv. 1743 © Bologna, Pinacoteca Nazionale, Gabinetto Disegni e Stampe

Con analoga tecnica ad acquerello, Fratta realizza un altro disegno finora non identificato del Gabinetto Disegni e Stampe della Pinacoteca Nazionale di Bologna, anche questo purtroppo visibilmente compromesso da una conservazione traumatica che ha provocato la perdita di una porzione lungo il lato sinistro. [28]Gabinetto Disegni e Stampe della Pinacoteca Nazionale di Bologna, disegno con Uccisione di Cesare, inv. 1743, matita nera, inchiostro marrone, acquerello bruno a pennello, biacca, mm 340x294, come Anonimo del secolo XVIII. Quanto resta consente di apprezzare la composizione ben risolta della scena di uccisione da parte di congiurati che si avventano come sicari, con lunghi pugnali appuntiti, su una figura classicamente drappeggiata, ormai a terra; forse l’uccisione di Cesare inscenata in un vasto ambiente pubblico con solenni architetture dalla spazialità verticale analoga a quella nelle note tempere di Vittorio Maria Bigari presso la Pinacoteca Nazionale di Bologna.

L’agitazione dei panneggi ricorda l’insistita ondulazione del segno nel foglio con Soldati romani in combattimento del Museo del Prado, concentrato di elaborazioni sulle idee carraccesche degli affreschi di Ludovico in una sala di palazzo Fava e nel salone di palazzo Magnani; [29]Cfr. Mena Marqués 1990, pp. 66, 278 fig. 109. Si colgono pure affinità con il disegno raffigurante Davide fa uccidere due zuavi che gli recano la testa del figlio di Saul della Pinacoteca di Brera, inv. 602, pendant di quello con Giuseppe ritrova la coppa nel sacco di Beniamino della medesima raccolta, inv. 601, identificabili con i fogli di quei soggetti ceduti nel 1752 e nel 1753 all'imolese padre Pier Francesco Magnani allora abate del monastero di San Michele in Bosco (cfr. R. Roli, in Roli, Sestieri 1981, pp. 50-51 e fig. 82; R. Roli, in Bologna 1995, pp. 186-187). e ancora altri due fogli da riconoscere al disegnatore bolognese con episodi tasseschi passati sotto la denominazione di Scuola bolognese del secolo XVIII presso la Galerie Bailly di Parigi, tra il 17 maggio e il 21 luglio 1989, e alla vendita Drouot il 16 giugno dell’anno seguente; [30]Paris, Galerie Bailly, 17 maggio-21 luglio 1989, mm 380 x 253, come di Scuola bolognese del XVIII secolo; riferimento con il quale sono poco dopo transitati, ma in occasioni separate, presso Drouot (Parigi, 27 aprile 1990, lotto 23; 11 giugno 1990, lotto 4). composizioni elegiache accuratamente rifinite da restituire con sicurezza al disegnatore bolognese, una delle quali ripropone il medesimo tema di Armida che sta per uccidere Rinaldo del Gabinetto Disegni e Stampe della Pinacoteca Nazionale di Bologna, realizzata virtuosisticamente con la sola penna in una sorta di gara con l’impeccabile segno grafico del suo maestro Donato Creti, mentre l’altro presenta Erminia che accorre verso Tancredi ferito, sorretto dallo scudiero Valfrino. [31]Per il disegno della Pinacoteca Nazionale, inv. 7359, cfr. M. Tamburini, in Bologna 1998, pp. 290-291. Una certa analogia compositiva si riscontra nel disegno con Erminia cura Tancredi ferito della Pinacoteca di Brera (R. Roli, in Bologna 1995, pp. 188-189) e con quello dello stesso soggetto passato a un'asta della Casa Pitti (Firenze, 12 aprile 1995, lotto 108) con la comprensibile attribuzione a Giuseppe Marchesi detto il Sansone (cfr. Mazza 1996, p. 69).

Armida2Erminia2

Figura 1: Domenico Maria Fratta, Armida sta per uccidere Rinaldo, penna e acquerello grigio, mm 380 x 255, già Parigi, Galerie Bailly
Figura 2: Domenico Maria Fratta, Erminia accorre in soccorso di Tancredi ferito, sorretto dallo scudiero Valfrino, penna e acquerello grigio, mm 380 x 253, già Parigi, Galerie Bailly

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Domenico Maria Fratta, Armida sta per uccidere Rinaldo, penna su carta avorio imbrunita contornata a penna e inchiostro bruno, mm 354×268, inv. 7359 © Bologna, Pinacoteca Nazionale, Gabinetto Disegni e Stampe

Ma qui, come in due altri disegni a matita nera dello stesso Gabinetto raffiguranti Giuditta con la testa di Oloferne in compagnia della servente e Betsabea al bagno, [32]Per i due fogli, rispettivamente inv. 4066 e 4067, cfr. Mazza 1994, pp. 47, 52 figg. 36-37, 69 n. 64; Bologna 1996, pp. 84-85. un sentimento languido prende il sopravvento e si sostituisce alla tensione luminosa del razionalismo grafico del maestro con esiti di ammorbidimento sentimentale assimilabile al melodramma di Ercole Graziani e ai suoi abbandoni d’Arcadia.

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Figura 1: Domenico Maria Fratta, Giuditta con la testa di Oloferne in compagnia della servente, matita nera, mm 339×264 (ovale), inv. 7359 © Bologna, Pinacoteca Nazionale, Gabinetto Disegni e Stampe
Figura 2: Domenico Maria Fratta, Betsabea al bagno, matita nera, mm 339 x 264, inv. 4067 (ovale) © Bologna, Pinacoteca Nazionale, Gabinetto Disegni e Stampe

Note

[1] Un ringraziamento particolare a Pierangelo Bellettini e a Elena Rossoni per l'aiuto determinante offerto in diversi momenti della ricerca. Si ringraziano inoltre il Gabinetto Disegni e Stampe della Biblioteca dell'Archiginnasio di Bologna, il Gabinetto dei disegni del Louvre e la Biblioteca del Kunsthistorisches Institut di Firenze. Sulla produzione letteraria di Giampietro Zanotti si vedano essenzialmente la scheda di Gerardo Guccini, in Casini Ropa, Calore, Guccini, Valenti 1986, pp. 258-262, e la scheda di Maria Grazia Bergamini, in Saccenti 1988, pp. 89-90, 250-258; inoltre Montefusco 1988, pp. 379, 398-405.
[2] Per la produzione artistica di Giampietro Zanotti si vedano, essenzialmente, Roli 1977, pp. 298-299; Roli 1982, pp. 361-370 e figg. 202-217; Mazza 2001, pp. 234-253; in particolare, per il disegno appartenuto a Janos Scholz con il ritratto di Livia Gambari, accompagnato dall'iscrizione dello stesso Zanotti “Signora Livia Gambari madre della Costanza mia Moglie. G.P.C.Z.”, cfr. Santa Barbara 1974, pp. 146-147.
[3] Per questa incisione cfr. Mazza 1994, pp. 23-25; Cavazza 1997, pp. 111-113; I. Bianchi, in Washington 1998, pp. 156-157.
[4] Per l'incisione cfr. Mazza1994, pp. 43-44; V. Roncuzzi Roversi Monaco, in Bellettini 2001, pp. 260-261.
[5] Meritano di essere ricordati, per la connotazione “clementina” dell'impaginazione che ricorda le invenzioni di Donato Creti e di Ercole Graziani, i quattro fogli passati all'asta Christie's di Londra il 23 marzo 1982 (lotti 51-54: Trionfo di Davide, Ester davanti ad Assuero, Uccisione di Assalonne, Giosuè ferma il sole durante la battaglia) con imprecise definizioni dei soggetti e con attribuzione, appunto, a Donato Creti, poi pertinentemente restituiti a Fratta.
[6] Gottarelli 1976, tavv. XIV, XVI, XVII, XVIII, XXI, XXVI; Mazza 1994, pp. 23-77.
[7] Cit. in Bellettini 1994, p. 136.
[8] Cfr. Palermo 1994; Bologna 1996. Le espressioni sono tratte da un manoscritto di Marcello Oretti della Biblioteca Comunale dell'Archiginnasio di Bologna, che riprende informazioni da un taccuino di conti dell'artista ritrovato presso Sante Manelli, suo allievo (Oretti, sec. XVIII, ms. B 131, pp. 260-261 ter; pubblicato in Palermo 1994, pp. 73-77).
[9] Zanotti 1739, II, p. 310.
[10] Zanotti 1739, II, p. 309.
[11] Gabinetto Disegni e Stampe della Pinacoteca Nazionale di Bologna, disegno con Accolta di ecclesiastici, inv. 1706, matita nera e acquerello bruno, dimensioni massime del foglio mm 270 x 331. I danni lungo il margine irregolare superiore sono conseguenti a episodi di traumatica conservazione. Il foglio è stato ora staccato dal controfondo.
[12] Zanotti 1739, II, p. 315. Disegni di Fratta per un paio di ventagli sono in collezione privata (Mazza 1996, pp. 68-69) e nel Gabinetto disegni del Museo del Prado (Mena Marqués 1990, pp. 66, 278 fig. 108). Nel disegno della Pinacoteca Nazionale con il gruppo di religiosi istruiti dall'ecclesiastico abbandonato in poltrona Fratta sembra voler versare in caricatura l'invenzione accademicamente corretta, consegnata a Sante Manelli per la traduzione incisoria, con Eugenio III che consente la lettura del “Decretum Gratiani” nelle Pubbliche Scuole, appartenente a una serie di incisioni con fatti illustri della storia di Bologna.
[13] Zanotti 1739, II, p. 317.
[14] Uno sconosciuto disegno centinato di grande formato, eseguito ad acquerello nella comune tecnica impiegata dall'artista, si conserva in collezione privata modenese e raffigura la scena dell'Incendio di Montecassino dipinta da Ludovico Carracci nel chiostro ottagonale di San Michele in Bosco. Potrebbe essere il primo esemplare emerso della serie realizzata per l'iniziativa editoriale di Petronio dalla Volpe, Il Claustro di San Michele in Bosco, che vide la luce in realtà dopo la scomparsa di Fratta, responsabile di molti disegni passati agli incisori, e dello stesso Giampietro Zanotti, autore del testo. Si conoscono inoltre due disegni conservati nel fondo della Biblioteca Poletti di Modena (N. Gasponi, in Modena 2001, pp. 168-170) per l'edizione della Secchia rapita di Alessandro Tassoni curata dall'editore Soliani nel 1744 (sull'argomento cfr. Campori 1866, pp. 197-198; Bossetti 1965, p. 12; Puliatti 1965, pp. 24-26, 78-79).
[15] Crespi 1769, p. 298.
[16] Lettera di Girolamo Baruffaldi a Lelio dalla Volpe, Cento, 21 agosto 1744, pubbl. in Campori 1866, doc. CCXXXVIII, p. 199. Sull'argomento cfr. Novelli 1997, pp. 42-43 e n. 200.
[17] Ben difficilmente il disegno potrà essere riconosciuto alla mano di Fratta, malgrado l'iscrizione riportata direttamente sul foglio originale con inchiostro nero (“Stefano Orlandi disegnato dal Fratta”). Eseguito a matita rossa, è conservato presso la Biblioteca Comunale dell'Archiginnasio, Bologna, Raccolta di ritratti di illustri bolognesi, A V M I 13, n° 120 (5457; provenienza Gozzadini).
[18] Cfr. Mazza 1994, p. 68 n. 39.
[19] Le annotazioni sono sull'esemplare conservato nella Biblioteca Comunale dell'Archiginnasio di Bologna (Ms. B 11-12) di proprietà dello Zanotti e sono state molto utilmente pubblicate nel 1977 in appendice all'indice della Storia dell'Accademia Clementina (Ottani Cavina, Roli 1977, pp. 127-163, in particolare, per Fratta, pp. 158-159).
[20] Tongiorgi Tomasi 1987, pp. 326-331. Nella trascrizione di Marcello Oretti da un taccuino di conti dell'artista conservato dal suo allievo Sante Manelli si legge: “Nell'opera del Zanotti due puttini altri 2 e altri quattro e altri”, presumibilmente destinati all'edizione della Storia dell'Accademia Clementina di Bologna (Oretti, sec. XVIII, ms. B 131, p. 268; pubblicato in Palermo 1994, p. 75); cfr., inoltre, Bologna 1996, p. 81.
[21] Per l'organizzazione dei corsi nell'Accademia e in particolare per l'esercitazione notturna del nudo cfr. Benassi 1988, pp. 101-111, 158-161.
[22] Puntuale descrizione degli ambienti dell'Istituto delle Scienze e dell'Accademia Clementina è fornita da Giampietro Zanotti (1739, I, pp. 47-58; in particolare per la “stanza del nudo”, pp. 55-56). Per lo statuario e specificamente per il calco dell'Ercole Farnese fornito dal cardinale Ulisse Giuseppe Gozzadini cfr. Benassi 1988, pp. 158-160; e soprattutto Pagliani 2003 (specie le pp. 18-20 per l'organizzazione della “stanza del nudo”, e p. 82 per la scheda sul calco dell'Ercole Farnese, la cui riproduzione, oltre che nel frontespizio della Storia dell'Accademia Clementina di Bologna, riappare a pagina 248 del primo volume in un quadro poggiato sul cavalletto nell'incisione che chiude la biografia di Marcantonio Franceschini).
[23] Londra, Christie's, 4 luglio 1995, lotto 61.
[24] Il disegno, eseguito a penna e inchiostro marrone, misura mm 103 x 146 ed è ora conservato nel J. Paul Getty Museum (96.GB.314) sotto il nome di Giampietro Zanotti. Ho già avuto il modo di segnalarlo come opera di Domenico Maria Fratta (A. Mazza, in Bologna 2007, pp. 186-189).
[25] Archivio di Stato di Bologna, Notarile, notaio Giuseppe Pedevilla, Inventario legale dello stato Dalla Volpe, 7 luglio 1795. Sul prezioso documento, segnalato per la prima volta nell'Introduzione di Marco Bortolotti e di Alessandro Serra al volume di Giambattista Canterzani (1979, p. XXIII), cfr. Tavoni 1987, pp. 153-161.
[26] Registrati in stretta sequenza, il “libretto contenente disegni piccioli di Puttini lapis nero del Fratta” e i “18 Ritratti di Pittori Bolognesi del Fratta” denunciano implicitamente la pertinenza all'edizione della Storia dell'Accademia Clementina di Bologna dello Zanotti (1739).
[27] Merita inoltre ricordare l'avvertenza riportata dallo Zanotti al termine del secondo tomo della Storia dell'Accademia Clementina di Bologna: “I Rami di quest'opera furono incisi (e in grandissima parte con i disegni di Domenico Fratta) da varj intagliatori...” (Zanotti 1739, II, p. 388). L'inventario steso alla morte di Petronio dalla Volpe include, tra le altre stime, quella contrassegnata con la lettera D “fatta dal Signor Angelo Ferri Accademico Clementino sopra le Pitture, Disegni, e Stampe” e quella, con le lettere E ed F, “dei rami da stampa” compilata dal medesimo Accademico; materiali di grande interesse per lo studio delle relazioni tra produzione artistica ed editoria nel Settecento, che lo scrivente si propone di rendere noti in collaborazione con Pierangelo Bellettini, che qui si ringrazia per aver fornito la segnalazione della documentazione e la riproduzione della porzione del voluminoso inventario funzionale alla presente ricerca. I nomi più ricorrenti nell'elenco dei disegni, dopo Domenico Maria Fratta, sono quelli di Marcantonio Franceschini (quasi quaranta fogli, tra autografi e copie), di Lodovico Mattioli, responsabile di 9 disegni e di un gruppo di 31 paesaggi, di Giuseppe Maria Crespi, ricordato per tredici fogli e “25 carte ... ad apis rosso”, di Creti con undici disegni , quindi Ciro Maria Paris Porroni con una serie della Via crucis e Jacopo Alessando Calvi con otto ritratti di pittori bolognesi.
[28] Gabinetto Disegni e Stampe della Pinacoteca Nazionale di Bologna, disegno con Uccisione di Cesare, inv. 1743, matita nera, inchiostro marrone, acquerello bruno a pennello, biacca, mm 340x294, come Anonimo del secolo XVIII.
[29] Cfr. Mena Marqués 1990, pp. 66, 278 fig. 109. Si colgono pure affinità con il disegno raffigurante Davide fa uccidere due zuavi che gli recano la testa del figlio di Saul della Pinacoteca di Brera, inv. 602, pendant di quello con Giuseppe ritrova la coppa nel sacco di Beniamino della medesima raccolta, inv. 601, identificabili con i fogli di quei soggetti ceduti nel 1752 e nel 1753 all'imolese padre Pier Francesco Magnani allora abate del monastero di San Michele in Bosco (cfr. R. Roli, in Roli, Sestieri 1981, pp. 50-51 e fig. 82; R. Roli, in Bologna 1995, pp. 186-187).
[30] Paris, Galerie Bailly, 17 maggio-21 luglio 1989, mm 380 x 253, come di Scuola bolognese del XVIII secolo; riferimento con il quale sono poco dopo transitati, ma in occasioni separate, presso Drouot (Parigi, 27 aprile 1990, lotto 23; 11 giugno 1990, lotto 4).
[31] Per il disegno della Pinacoteca Nazionale, inv. 7359, cfr. M. Tamburini, in Bologna 1998, pp. 290-291. Una certa analogia compositiva si riscontra nel disegno con Erminia cura Tancredi ferito della Pinacoteca di Brera (R. Roli, in Bologna 1995, pp. 188-189) e con quello dello stesso soggetto passato a un'asta della Casa Pitti (Firenze, 12 aprile 1995, lotto 108) con la comprensibile attribuzione a Giuseppe Marchesi detto il Sansone (cfr. Mazza 1996, p. 69).
[32] Per i due fogli, rispettivamente inv. 4066 e 4067, cfr. Mazza 1994, pp. 47, 52 figg. 36-37, 69 n. 64; Bologna 1996, pp. 84-85.

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Indice
Angelo Mazza
Domenico Maria Fratta accademico arguto. Due nuovi fogli del Gabinetto Disegni e Stampe della Pinacoteca Nazionale di Bologna
Domenico Maria Fratta accademico arguto. Due nuovi fogli del Gabinetto disegni e stampe della Pinacoteca Nazionale di Bologna Note Bibliografia Scarica la versione in PDF