Studi di nudi virili di Francesco Monti alla Pinacoteca Nazionale di Bologna
Studi di nudi virili di Francesco Monti alla Pinacoteca Nazionale di Bologna
Tra i materiali grafici della Pinacoteca Nazionale di Bologna sono conservati sette disegni, di tecnica, tipologia e formato simili, raffiguranti Studi di nudi virili (invv. 3780-3784, 4160-4161, figg. 1-7), che verranno esposti nella sala delle Sinopie del museo (3 luglio – 9 ottobre 2016), nell’ambito delle mostre a rotazione organizzate negli ultimi anni dal Gabinetto Disegni e Stampe. [1]Le esposizioni, parti della serie Stampe in collezione o Disegni in collezione, tutte svoltesi presso la Pinacoteca Nazionale di Bologna, sono state sinora dedicate a: Disegni in collezione. La Società di Santa Cecilia per il Gabinetto Disegni e Stampe della Pinacoteca Nazionale di Bologna, 7 dicembre 2013 - 23 marzo 2014; Stampe in collezione. Rembrandt. Le incisioni della Pinacoteca Nazionale di Bologna, 11 aprile – 13 luglio 2014; Stampe in collezione. Michelangelo, per inciso. Stampe di Cherubino Alberti della Pinacoteca Nazionale di Bologna, 24 ottobre 2014 – 11 gennaio 2015; Giorgio Morandi. Incisioni dalla collezione Luciana Tabarroni, 2 febbraio 2016 – 25 aprile 2016 (a corollario della mostra Percorsi di segni. Grafica italiana del Novecento nella collezione Luciana Tabarroni della Pinacoteca Nazionale di Bologna, svoltasi a Palazzo Pepoli Campogrande nelle medesime date).
Figura 1: Francesco Monti, Nudo virile in piedi con braccio alzato e mantello sulle spalle, carboncino su carta crema, mm 444×306, inv. 3780 © Bologna, Pinacoteca Nazionale, Gabinetto Disegni e Stampe
Figura 2: Francesco Monti, Nudo virile in piedi visto da tergo con bandiera, carboncino su carta crema, mm 435×302, inv. 3781 © Bologna, Pinacoteca Nazionale, Gabinetto Disegni e Stampe
Figura 3: Francesco Monti, Nudo virile in piedi con asta in mano, carboncino su carta crema, mm 436×295, inv. 3782 © Bologna, Pinacoteca Nazionale, Gabinetto Disegni e Stampe
Figura 4: Francesco Monti, Nudo virile seduto con clava in mano, carboncino su carta crema, mm 429×296, inv. 3783 © Bologna, Pinacoteca Nazionale, Gabinetto Disegni e Stampe
Figura 5: Francesco Monti, Nudo virile seduto con elmo e braccio alzato, carboncino su carta crema, mm 429×296, inv. 3784 © Bologna, Pinacoteca Nazionale, Gabinetto Disegni e Stampe
Figura 6: Francesco Monti, San Girolamo, matita nera e carboncino su carta crema, mm 437×301, inv. 4160 © Bologna, Pinacoteca Nazionale, Gabinetto Disegni e Stampe
Figura 7: Francesco Monti, Nudo virile con elmo e spade, carboncino su carta crema, mm 437×301, inv. 4161 © Bologna, Pinacoteca Nazionale, Gabinetto Disegni e Stampe
I fogli pervennero in Pinacoteca attraverso un acquisto dalla famiglia Ranuzzi, in particolare dall’antiquario Giuseppe Ranuzzi de’ Bianchi che vendette al Museo diversi disegni in anni che si possono comprendere tra il 1916 e il 1933. La scritta “da Ranuzzi ultimo acquisto” presente nel verso dei fogli invv. 3780-3784, fa pensare che il loro arrivo sia da situare in prossimità della seconda data. [2]Per gli acquisti dei presenti e di altri disegni in collezione provenienti da Giuseppe Ranuzzi de' Bianchi, si veda Faietti 2002, pp. 56-59. Sui disegni invv. 3780, 3781, 3784, è presente una filigrana raffigurante un quadrupede in atto di saltare verso destra entro cerchio sovrastato da lettera P, al momento non identificabile.
Repertoriati nel Registro Cronologico Generale delle Entrate come di autore “ignoto ultimi sec. XVIII”, vennero riferiti in un primo momento, da analisi interne al museo, alla scuola dei Gandolfi.
Fu Mary Cazort Taylor che, per prima, attribuì cinque dei sette fogli (invv 3780-3784, figg. 1-5) a Francesco Monti (Bologna 1685-Brescia 1768). [3]Cazort Taylor 1973. L’artista fu uno dei protagonisti della pittura dei primi decenni del Settecento a Bologna. Trasferitosi in giovane età insieme alla famiglia a Modena, ebbe la sua prima formazione presso la bottega di Sigismondo Caula. Nel 1703 tornò a Bologna dove divenne allievo di Giovan Gioseffo Dal Sole alla cui influenza stilistica aggiunse un interesse sia per il versante classicista dell’opera di Donato Creti sia per il colorismo di Giuseppe Maria Crespi e di Antonio Gionima. Tra i principali ed originali ispiratori del “barocchetto” locale, divenne punto di riferimento per artisti di lui più giovani quale, ad esempio, Giuseppe Varotti. Ai riconoscimenti in patria, che lo portarono a diventare nel 1726 principe dell’Accademia Clementina, seguì una notevole fortuna in Lombardia, dove lavorò ininterrottamente a partire dal suo definitivo trasferimento a Brescia nel 1738. [4]Per la biografia dell'artista, si rimanda a Serafini 2012, con bibliografia precedente.
L’articolo di Cazort Taylor, del 1973, si inseriva in una serie di studi dedicati all’artista, pubblicati a partire da un articolo di Renato Roli del 1962, seguito da diversi interventi di Ugo Ruggeri, autore nel 1968 della monografia dedicata ai suoi disegni, dove pure non mancava un resoconto sulla sua attività pittorica. [5]Roli 1962; Ruggeri 1968; Ruggeri 1969; Ruggeri 1970; Ruggeri 1972. Tolte le fonti antiche – Giampietro Zanotti, Pellegrino Antonio Orlandi e Luigi Crespi -, [6]Zanotti 1739, vol. 2, pp. 217-226; Orlandi 1763, p. 170; Crespi 1769, p. 313-316. pochi erano stati sino ad allora gli interventi specifici dedicati al pittore; in particolare mancava ancora una visione d’insieme che mettesse in relazione le diverse attribuzioni tra di loro e, nello specifico, i dipinti con i disegni. [7]Si rimanda a Ruggeri 1969 per l'analitica rassegna bibliografica delle pubblicazioni dedicate in precedenza a Francesco Monti. Si segnalano, in quanto relativi in specifico ai disegni di Monti, Kurz 1955, pp. 114-115, nn. 323-331; Bergamo 1963, nn. 382-405. I due studiosi sono tornati sull’attività del maestro con diversi saggi negli anni successivi; Ruggeri, in particolare, in un articolo del 1984 dedicato a Francesco Monti “falso veneziano”, si soffermò, come vedremo, su alcuni aspetti interessanti per interpretare gli stessi fogli della Pinacoteca Nazionale di Bologna. [8]Ruggeri 1970; Ruggeri 1972; Ruggeri 1984; Roli 1987.
Dopo gli articoli dei decenni Sessanta-Ottanta del Novecento, a parte la discussione di singole opere in diverse occasioni, è mancato uno studio sistematico specifico dedicato all’artista, il cui catalogo è però stato fortemente rivisto in relazione all’analisi della produzione di Giuseppe Varotti. Saggi dello stesso Roli, di Angelo Mazza, di Giada Damen e di Milena Naldi, hanno infatti mostrato come molte delle opere in precedenza attribuite a Monti fossero in realtà da riferirsi a Varotti, rendendo necessaria una revisione del repertorio di Monti per quanto riguarda il suo periodo bolognese, oggetto di interesse di questo studio. [9]Roli 1985-1987; Mazza 1995, pp. 42 e sgg.; Damen 1999; Naldi 2000.
A questa revisione relativa in particolare ai dipinti, non ha fatto seguito una riconsiderazione delle numerose attribuzioni di suoi disegni, argomento che credo meriterebbe di essere affrontato di nuovo in maniera sistematica, alla luce di tutti gli studi intervenuti negli ultimi decenni su altri pittori attivi a Bologna nella prima metà del Settecento.
Ruggeri aveva segnalato la difficoltà di ordinare in maniera cronologica la produzione grafica di Monti, tenuto conto in particolare del fatto che l’artista sembra essere tornato negli anni, anche nel corso del suo soggiorno lombardo, sulla rilettura e riutilizzo di alcuni temi. [10]Ruggeri 1968, p. 46. La sua produzione grafica risulta da questi studi caratterizzata da diverse tipologie di disegni, dal semplice e veloce schizzo a contorno allo studio d’insieme per intere composizioni, e la tecnica decisamente preferita sembra essere stata quella a carboncino e lumi di biacca, a volte su carta preparata. [11]Si vedano i numerosi esempi citati da Ruggeri 1968 e negli articoli successivi sopra citati o, per fare un altro esempio, lo studio di collezione privata di Bergamo, preparatorio per il dipinto con La pentecoste di San Prospero a Reggio Emilia del 1713 (D. Benati in Disegni emiliani 1991, pp. 273-274, n. 76). Pur nelle necessarie future verifiche di cui si parlava, la gran parte dei disegni conosciuti, come sottolineato da Roli, è da riferirsi al periodo lombardo, mentre più rari sono quelli collocabili nella fase bolognese. [12]Roli 1988, p. 161. Tra questi, la tipologia di opere realizzate come veri e propri disegni finiti, è entrata a far parte del corpus dell’artista in un secondo momento rispetto al repertorio di Ruggeri, proprio a seguito dell’articolo di Cazort Taylor.
Veniamo così al caso dei disegni della Pinacoteca, che rispondono a quest’ultima tipologia e che potrebbero essere stati realizzati in particolare per la medesima famiglia Ranuzzi. Pur dovendo rimanere nel campo delle ipotesi, mancando testimonianze dirette in merito al fatto che essi facessero parte del patrimonio di famiglia e non fossero invece stati acquistati sul mercato, è interessante sottolineare come Francesco abbia lavorato nel Settecento per gli stessi Ranuzzi, avendone diretti contatti personali. Secondo quanto narrato da Zanotti, il conte Vincenzo sarebbe rimasto affascinato dal suo dipinto eseguito per la chiesa di Santa Maria Maddalena di Bologna, Sacra famiglia e San Giovanni Battista, e “tanto gli piacque” da commissionargli nel 1726 un Ratto delle Sabine, pendant del dipinto di Giacomo Bolognini, Ratto d’Europa. Ancora nel 1726-1727 il conte gli commissionò invece una Erminia e i pastori, pendant di un dipinto di Ercole Graziani junior con Rinaldo che abbandona Armida. [13]Per le commissioni e preferenze collezionistiche della famiglia Ranuzzi, si veda Mazza 1994, in particolare per Monti, p. 104. Si veda anche Zanotti 1739, II, pp. 120 e 122. La possibile provenienza dalla collezione di famiglia era già stata avanzata da Nancy Ward Neilson in Bologna 1998, p. 272, n. 91.
Angelo Mazza mi ha segnalato un bozzetto in collezione privata raffigurante Erminia e i pastori (fig. 8), al quale ha collegato due disegni preparatori già pubblicati da Ruggeri: uno Studio di figura e di putti, a carboncino su carta celeste, di collezione privata, e un Nudo virile seduto con bambino, del Gabinetto Disegni e Stampe della Galleria degli Uffizi di Firenze (inv. 4584), a carboncino e lumi di biacca su carta grigia. [14]Ruggeri 1968, p. 87, n. 96, tav. 82; p. 89, n. 114, tav. 98. Anche se non dimostrabile con certezza, è molto plausibile che essi vengano a testimoniare la fase preparatoria del dipinto realizzato proprio per la famiglia Ranuzzi. Il disegno di Firenze, seppure nella diversa tecnica e finalità, mostra analogie con i nostri fogli, in particolare in merito all’enfasi data alla muscolatura della figura maschile e alla particolarità del volto, reso in maniera caricata.
Figura 8: Francesco Monti, Erminia e i pastori, olio su tela, cm 51×58 © Collezione privata
Insomma, tenuto conto delle date, su cui torneremo, pare di non poter escludere che la serie possa essere riferita a questi anni e forse a una qualche raccolta di famiglia. I disegni presentano infatti una successione numerica scritta in basso a destra, da 150 a 156, difficile dire se parte di un insieme di fogli tutti di Monti oppure di una raccolta collezionistica, creata anche in epoca diversa, che poteva unire anche opere di vari artisti.
Come si diceva fu Cazort Taylor a riferire per la prima volta i nostri Studi virili a Francesco. Il suo punto di partenza fu il collegamento tra un disegno raffigurante Caino e Abele della Ann Arbor University del Michigan (inv. 1979/2.46, siglato sul verso “Fcº Monti”, fig. 9), e un foglio di collezione privata pubblicato da Ruggeri come probabilmente preparatorio per una scena di medesimo soggetto, studiata in altre prove grafiche, per un dipinto non identificato. [15]Cazort Taylor 1973, p. 161; Ruggeri 1968, p. 96, nn. 222, 223, 224, tavv. 172, 173, 174; p. 103, n. 339, tav. 268. Si veda anche Cazort Taylor in Ottawa 1982, pp. 134-235, n. 96.
Figura 9: Francesco Monti, Caino e Abele, carboncino con rialzi in bianco su carta marroncina, mm 498×359, inv. 1970/2.46 © Michigan, Ann Arbor University
Il foglio di Ann Arbor si distingue per il fatto di presentarsi come disegno finito di grandi dimensioni (mm 498×359), simile anche se non uguale alla serie di Bologna, alla quale comunque non doveva appartenere visto che è realizzato su carta marroncina e che, oltre al carboncino nero, utilizza anche rilievi in bianco.
La possibilità di inserire nel corpus grafico di Monti questo disegno finito, nel senso di realizzato non con finalità di studio ma con lo specifico ruolo di avere una valenza propria come opera autonoma, ha permesso alla studiosa di collegarsi ai disegni di Bologna, mettendo in luce alcuni aspetti dello stile di Francesco, a suo parere capaci di rendere l’attribuzione da lei avanzata assolutamente certa.
In particolare nella produzione di Monti la studiosa rilevava una preferenza per la raffigurazione di figure dalle proporzioni allungate, con teste piccole, disposte in pose eleganti; una ricorrenza frequente alla raffigurazione di visi dai caratteri particolari, con naso e mento nettamente definiti; nel caso specifico dei nostri disegni una resa dei dettagli del paesaggio, dei panneggi e dei punti d’appoggio delle figure portata ad un livello non usuale nei disegni d’Accademia. Altro aspetto caratterizzante lo stile dell’artista sarebbe l’uso di una tecnica definita “soft chalk style”, data da morbidi passaggi tra luce e ombra, resa con sottili o quasi invisibili tratteggi, con contorni irregolarmente accentuati ma completi intorno alle figure e forme modellate con attenzione ai dettagli anatomici. [16]Cazort Taylor 1973, pp. 161-162.
Mentre il disegno di confronto pubblicato da Ruggeri veniva dallo stesso riferito agli anni Quaranta del Settecento, la studiosa collocava i disegni di Bologna in anni precedenti, e ne rilevava la relazione con gli studi di nudo del Piazzetta che, oltre che condividere la tipologia dei soggetti, erano accomunati dall’uso dello stesso medium, il carboncino, e dallo stile da lei definito “soft chalk style”, sopra descritto. Il contatto tra Monti e Piazzetta, continuava la studiosa, sarebbe potuto avvenire proprio a Bologna, tenuto conto che Piazzetta nel 1725 venne eletto membro onorario dell’Accademia Clementina di cui Francesco Monti divenne Principe nel 1726. [17]Cazort Taylor 1973, p. 162.
La proposta attributiva dei disegni di Bologna avanzata da Cazort Taylor è stata accolta da tutta la critica successiva, con sole divergenze in merito alla possibile datazione che secondo Roli, nella sua scheda del catalogo della mostra del 1979 L’arte del Settecento emiliano, andava anticipata al primo-secondo decennio del Settecento. [18]R. Roli in Bologna 1979, p. 74, nn. 140-143. In comune tutti coloro che hanno in seguito scritto in merito ai disegni – per ultimi Nancy Ward Neilson e Michele Danieli – concordano con una datazione entro gli anni bolognesi di Monti, precedenti al suo definitivo trasferimento a Brescia nel 1738. [19]Ruggeri 1984, p. 245; Roli 1988, p. 161; N. Ward Neilson in Bologna 1998, pp. 272-275, nn. 91-92; M. Danieli in I grandi disegni italiani 2002, n. 52.
È certo che la lettura di questi disegni vada intesa in relazione con la produzione veneta che l’artista aveva potuto conoscere sia a Bologna, grazie alla presenza in città tra Sei e Settecento di importanti artisti quali Sebastiano Ricci e Giovanni Battista Piazzetta, sia direttamente nel corso di un suo viaggio a Venezia. Monti infatti partecipò alla realizzazione della serie di Tombe allegoriche dedicate a celebri personaggi inglesi della storia, della cultura, della politica, della scienza, commissionate da Owen McSwiny negli anni Venti del Settecento. La regola data dal committente richiedeva la collaborazione tra artisti figuristi, di paesaggio e d’architettura, e fu così che all’impresa parteciparono artisti veneti ed emiliani, quali ad esempio Giovan Battista Pittoni, Giovanni Battista Piazzetta, Sebastiano e Marco Ricci, Donato Creti, Francesco Monti, Nunzio Ferraioli, Pietro Paltronieri detto il Mirandolese e Carlo Besoli. [20]Le altre opere realizzate da Monti per la serie si trovano in collezione privata inglese. Per l'intera storia della serie si rimanda a Mazza 1999, in particolare per Monti, p. 185. In Pinacoteca Nazionale, sono conservate la Tomba allegorica di John Churchill duca di Marlborough e la Tomba allegorica di Robert Boyle, John Locke e Thomas Sydenham realizzate da Donato Creti in collaborazione con il Mirandolese, Besoli e Ferraiuoli (invv. 1202-1203) e la Tomba allegorica di John Campbell duca di Argyll eseguita da Monti in collaborazione con il Mirandolese e Ferraiuoli (inv. 1204) (fig. 10). [21]Z. Somhegyi in Pinacoteca Nazionale di Bologna 2011, pp. 188-194, nn. 111 a-b; pp. 211-214, n. 123. Sempre in Pinacoteca si trova una copia, riferita dubitativamente alla bottega di Monti, dall’originale perduto del medesimo autore raffigurante la Tomba allegorica di William Cowper (inv. 6527). [22]Z. Somhegyi in Pinacoteca Nazionale di Bologna 2011, pp. 214-215, n. 124.
Figura 10: Francesco Monti, Pietro Paltronieri detto il Mirandolese, Nunzio Ferraiuoli, Tomba allegorica di John Campbell duca di Argyll, olio su tela, cm 217×137, inv. 1204 © Bologna, Pinacoteca Nazionale
Secondo Zanotti, McSwiny non si limitò solo a commissionare diverse tele della serie a Francesco ma, “trovandosi in Vinegia fece a sé venire il Monti, accioché gli disegnasse i cartoni delle pitture, che pinse il Cignani nel Giardino Farnese, i quali cartoni sono colà presso un mercante, che ne fa gran conto, e questi disegni doveano mandarsi in Inghilterra per essere intagliati in rame […]”. [23]Zanotti 1739, vol. II, p. 122.
A questo punto diversi elementi fanno pensare alla possibilità che i disegni siano stati prodotti intorno al secondo lustro degli anni Venti del Settecento. Il possibile contatto con il Piazzetta in occasione della sua elezione a membro onorario dell’Accademia Clementina, il viaggio a Venezia, che la critica situa tra il 1725 e il 1730, [24]Roli 1977, p. 122, colloca il viaggio intorno al 1730; Ruggeri propose prima una datazione intorno al 1725 (Ruggeri 1968) per poi in seguito spostarla a intorno al 1730 (Ruggeri 1984, p. 239). le commissioni del 1726-1727 della famiglia Ranuzzi, tutto sembra convergere nel sostenere tale ipotesi di datazione.
Quanto al confronto sicuro con altre opere dell’artista di quegli anni, considerate le rare testimonianze grafiche conosciute, tra cui i disegni di Windsor Castle, probabilmente precedenti, e il disegno della Ann Arbor University sopra citato, su cui torneremo, valga il confronto con alcuni dipinti, quali il Martirio di San Paolo ora presso le collezioni artistiche del Credito Emiliano di Reggio Emilia, collocato cronologicamente da Daniele Benati immediatamente prima della serie McSwiny, dove emerge la posizione neomanierista del carnefice con i muscoli gonfi che potrebbe tranquillamente stare a confronto con il disegno inv. 4161. [25]D. Benati in Le collezioni artistiche 2010, pp. 218-219. Già in Roli 1988, p. 161, si sottolineava la difficoltà di aggregare disegni di Monti intorno agli anni precedenti al suo trasferimento in Lombardia. Per i disegni di Windsor Castle, si veda Kurz 1952, nn. 323-331. O ancora, le figure di soldati presenti proprio nella Tomba allegorica di John Campbell della Pinacoteca, che si muovono con decisione ma anche con eleganza in prossimità di aste e bandiere (figg. 11-13), sino al Martirio di San Pietro della chiesa di San Domenico di Modena del 1736-1737. [26]Roli 1977, p. 122; Serafini 2012.
Figura 11: Francesco Monti, Pietro Paltronieri detto il Mirandolese, Nunzio Ferraiuoli, Tomba allegorica di John Campbell duca di Argyll, olio su tela, cm 217×137, inv. 1204, particolare © Bologna, Pinacoteca Nazionale
Figura 12: Francesco Monti, Pietro Paltronieri detto il Mirandolese, Nunzio Ferraiuoli, Tomba allegorica di John Campbell duca di Argyll, olio su tela, cm 217×137, inv. 1204, particolare © Bologna, Pinacoteca Nazionale
Figura 13: Francesco Monti, Pietro Paltronieri detto il Mirandolese, Nunzio Ferraiuoli, Tomba allegorica di John Campbell duca di Argyll, olio su tela, cm 217×137, inv. 1204, particolare © Bologna, Pinacoteca Nazionale
Ma si può anche arrivare al modelletto con la Resurrezione di Cristo della Kunsthalle di Brema (fig. 14), preparatorio per l’affresco realizzato da Monti per la chiesa di San Gerolamo a Cremona, firmato e datato 1743, ispirato al dipinto di medesimo soggetto di Sebastiano Ricci della chiesa di San Gimignano a Venezia. [27]Ruggeri 1984, pp. 241-242. Gli abiti svolazzanti, gli elmetti calati in testa a volte a nascondere parte del volto, le muscolature accentuate senza mai però perdere in eleganza sono una cifra comune tra le opere citate.
Figura 14: Francesco Monti, Resurrezione di Cristo, olio su tela, cm 69,7×60,8 © Brema, Kunsthalle
Non mancano nei disegni di Bologna, come rilevato da Michele Danieli, relazioni con la produzione di Aureliano Milani, interessato alla resa di anatomie caricate ed atteggiamenti melodrammatici, derivati da un suo orientamento neo-carraccesco e da una personale propensione per una retorica un poco roboante. Ma è chiaro come Milani, rispetto ai disegni di Monti, si contraddistingua per una più marcata carica espressiva, con figure dai contorni maggiormente segnati, privi di quella morbidezza rilevabile nella nostra serie. A confronto si possono ad esempio vedere il Sansone che uccide i filistei della National Gallery of Canada di Ottawa (inv. 23348), [28]R. Roli in Disegni emiliani 1991, pp. 239-241, n. 66. o Le arpie che insozzano la mensa dei compagni di Enea della Pinacoteca Nazionale di Bologna (inv. 4177). [29]M. Danieli in I grandi disegni italiani 2002, n. 51.
Non si può comunque non sottolineare come la tipologia di studi di nudi proposta da Monti abbia interessato anche Milani – e probabilmente altri artisti bolognesi dell’epoca, come vedremo tra breve – , se si considerano ad esempio i due disegni degli Staatliche Museen di Berlino, Nudo virile visto dal basso (inv. 22378) e la Figura virile volta verso sinistra con un pugnale al fianco e una corda nelle mani alzate (inv. 22379), pubblicati da Alessandro Zacchi. [30]A. Zacchi in Bologna 1998, figure a p. 276. L'inv. 22378 era già stato pubblicato da Roli 1988, p. 157, fig. 2.
Ai cinque disegni resi noti da Cazort Taylor (invv. 3780-3784), Giovanna Gaeta Bertelà nel 1976 ha aggiunto in maniera consequenziale altri due, di medesima tipologia e formato (invv. 4160-4161), a comporre quell’insieme di sette di cui abbiamo sinora parlato. [31]G. Gaeta Bertelà in Bologna 1976, pp. 35-36, n. 70.
Bisogna a questo punto segnalare che già Cazort Taylor collegava alla serie anche un disegno allora in una collezione privata tedesca, ma di recente pubblicato nel catalogo d’asta della Stephen Ongpin Fine Art (fig. 15). [32]Cazort Taylor 1973, p. 162; Renaissance to futurism 2015, n. 39.
Figura 15: Francesco Monti, Nudo virile in piedi piegato verso sinistra con un’asta, matita nera, carboncino e sfumino su carta crema, mm 420×293 © Stephen Ongpin Fine Art
Il foglio presenta misure molto simili a quelli bolognesi (mm 420×293), ma non sembra presentare in basso a destra traccia della numerazione. Sul verso è presente una scritta che lo riferisce a “G.B. Piazzetta”, elemento che verrebbe a confermare la tangenza tra i due artisti sopra descritta. Proprio questo disegno veniva infatti pubblicato da Ruggeri nel 1984, nel citato articolo Francesco Monti “falso veneziano”, come uno dei tanti esempi di relazione tra il bolognese e gli artisti veneti, relazione che aveva portato in passato ad attribuire diversi disegni di Francesco ai secondi. Questa commistione con l’arte veneta sarebbe diventata ancora più evidente durante il soggiorno lombardo del pittore, ma risultava già presente negli anni di Bologna. [33]Ruggeri 1984, p. 245. I disegni di Piazzetta, ricorda Ruggeri, erano infatti noti sin dalla fine del secondo decennio del Settecento, visto che Antonio Balestra in una lettera del 1717 al collezionista Francesco Maria Nicolò Gaburri ne parlava già come di opere ricercate. [34]Per i disegni d'Accademia di Piazzetta, si veda Milano 1971 e Venezia 1983, in particolare p. 22, n. 4; K. Whistler in Oxford 2015-2015, p. 178, n. 90. Per la prassi dello studio di nudi all'interno dell'Accademia si veda anche il disegno di Giambattista Tiepolo, del 1717 circa, raffigurante la Classe di disegno, Katrin Bellinger Collection (vedi Whistler 2015, p. 21, fig. 10).
Ma oltre a questo si conosce ora un altro disegno, il cui legame con le opere della Pinacoteca è ancora più stringente sulla base sia delle misure (mm 440×300), che della presenza della numerazione in basso a destra che, infine, dell’accenno alla definizione ambientale. Si tratta del foglio raffigurante una Figura maschile con elmo e due stiletti, entrato nella collezione dell’Art Museum di Harvard (inv. 2008, 261, fig. 16), e pubblicato per la prima volta in un catalogo d’asta Colnaghi del 1984. [35]Old Master Drawings 1984, n. 33. Per un riepilogo della bibliografia si veda Renaissance to futurism 2015, n. 39, nota 6.
Figura 16: Francesco Monti, Nudo virile in piedi con due stiletti nelle mani, carboncino su carta crema, mm 440×300, inv. 2008.261, Imaging Department © President and Fellows of Harvard College
Rimane a questo punto un’ultima questione da risolvere. Marco Riccomini nel recente catalogo della mostra dedicata a Bologna ai dipinti dell’Opera Pia dei Poveri Vergognosi, ha pubblicato due disegni con studi di nudo attribuendoli a Giuseppe Varotti. Un foglio con Nudo virile già passato all’asta Christie’s del 6 ottobre 2015 come Francesco Monti, e un altro Nudo virile del Statens Museum for Kunst di Copenhagen (inv. 11666). [36]Bologna 2016, p. 81, figg. 54 e 55. Il primo presenta forti analogie con i nostri, pur non potendosi affermare con certezza che possa far parte della serie, considerato il formato leggermente più piccolo (mm 415×300) e l’attenzione più approfondita verso l’ambientazione.
Esso si avvicina però moltissimo al nostro gruppo, con cui condivide la tecnica, oltre al modo di rendere le anatomie in maniera definita ma con raffinati passaggi chiaroscurali e alla tipicità di rappresentare il volto in modo assolutamente caratterizzato.
L’attribuzione di questo disegno a Monti o a Varotti mette in evidenza come si sia ancora lontani per certi aspetti dal poter definire con chiarezza le differenze tra i due artisti, essendo evidentemente la questione non ancora completamente risolta. Non si deve nascondere infatti come, alla luce degli studi di cui abbiamo sinora parlato, la possibilità che i disegni della Pinacoteca di Bologna potessero cambiare attribuzione da Monti a Varotti, sia stata presa in seria considerazione proprio in occasione del presente studio.
Seppure le fonti parlino di una formazione di Varotti presso il padre Pier Paolo, l’idea del possibile alunnato di Giuseppe più o meno diretto presso Monti è ormai condivisa dalla critica, e risulta già evidente nella sua prima prova conosciuta, il monocromo olio su carta con l’Adorazione dei Magi, presentato nel 1733 al premio Marsili, conservato presso l’Accademia di Belle Arti di Bologna. [37]S. Bellesi in Accademia di Belle Arti di Bologna 2012, pp. 157-158, n. 75, con bibliografia precedente.
Gioca però a sostegno dell’ipotesi dell’attribuzione a Monti dei fogli della Pinacoteca di Bologna il disegno con Caino e Abele che Giuseppe Varotti presentò al concorso Marsili dell’Accademia Clementina, firmato e datato 1740, già reso noto nel 1979 da Silla Zamboni e conservato presso l’Accademia di Belle Arti di Bologna (fig. 17). Si tratta di una copia dal disegno di Ann Arbor di Monti, che dovrà a questo punto necessariamente essere datato entro quell’anno, probabilmente entro gli anni bolognesi, come già proposto da Cazort. [38]S. Zamboni in Bologna 1979, pp. 241-242, n. 455, fig. 338. Si veda anche Giumanini 2003, p. 128 e p. 202, fug. 52; M. Cazort in Ottawa 1982, p. 135. Allo stesso Varotti è attribuita anche una seconda interpretazione, con variazioni, del disegno di Monti, forse eseguita in anni un poco più tardi, in un foglio conservato nella collezione Schloss Fachsenfeld di Stoccarda (inv. III/1696), riferito a Giuseppe da Cazort, da Christel Thiem e da Donatella Biagi Maino. [39]M. Cazort in Ottawa 1982, p. 135; C. Thiem in Bologna 1983, p. 146, n. 84; D. Biagi Maino in Fermo 1992, p. 104.
Figura 17: Giuseppe Varotti, Caino e Abele, carboncino e gessetto bianco su carta, mm 530×430 © Bologna, Accademia di Belle Arti
I disegni di Varotti mancano decisamente di quella freschezza leggibile nel foglio americano e in quelli della Pinacoteca, di quella morbidezza data da sottilissime e raffinate sfumature, oltre che nella resa dei volti meno caratterizzati. [40]Secondo quanto riferito da Silla Zamboni, il disegno di Varotti – ma chissà che non forse il medesimo di Monti - sarebbe stato a sua volta ispiratore di una composizione di Georg Anton Urlaub conservato presso il Martin von Wagner Museum di Würzburg (S. Zamboni in Bologna 1979, p- 243, n. 457). Nel disegno dell’Accademia, la tecnica è imitata in maniera puntigliosa, ma si rileva in particolare una presenza dei rafforzamenti dei contorni a carboncino delle figure meno armoniosa, più puntuale, con un uso che fa pensare proprio all’imitazione di uno stile più che un suo utilizzo in maniera diretta.
Il disegno dell’Accademia e quello di Stoccarda sono affiancabili ad un altro foglio, un Nudo virile seduto della collezione Certani alla Fondazione Cini di Venezia (inv. 35967) attribuito a Monti da Ruggeri nel 1982, ma riconosciuto dallo stesso Ruggeri nel 2007, sulla scorta di un cambio di attribuzione proposto da Donatella Biagi Maino e riproposto da Giada Damen, a Giuseppe Varotti. [41]Ruggeri 1982, p. 118; D. Biagi Maino in Fermo 1992, p. 104; Damen 1999, p. 117; U. Ruggeri in Bologna 2007, pp. 220-221, n. 69.
Posti i tre disegni di Varotti sopra descritti, dell’Accademia di Bologna, di Stoccarda e di Venezia, per il foglio Christie’s propenderei pertanto a mantenere l’attribuzione a Monti come proposto nel catalogo d’asta.
Anche se risulta difficile esprimere un parere certo senza una visione diretta, esso sembra presentare la medesima scioltezza della nostra serie oltre che il modo simile di soffermarsi sulla particolarità del volto e dell’espressione. Una certa sprezzatura nella resa delle coltri del letto, che suggerirebbe un orientamento verso Varotti, verrebbe a indicare proprio la stretta relazione tra la formazione di quest’ultimo e l’attività di Monti, una forte tangenza tra i due artisti già sottolineata in più occasioni dagli studiosi che si sono occupati negli ultimi anni di Giuseppe, che verrebbe così ulteriormente confermata. [42]Roli 1988, p. 62; Damen 1999, p. 117-118; Naldi 1999, p. 552.
Dal punto di vista dei soggetti, tutti i fogli presentano studi di pose di figure maschili molto diverse tra di loro, ma volte a rendere, proprio come previsto dai disegni d’Accademia, le più diverse prospettive (da tergo, frontali, di tre quarti, in piedi, seduti, in movimento) oltre che una vasta varietà di stati d’animo (dall’atteggiamento statico all’azione più sfrenata). Che non si trattasse però di puri studi d’Accademia ma di opere finite destinate al mercato sarebbe dimostrato dalla presenza di una seppur vaga ambientazione che tende a far vivere i personaggi, altrimenti visti in maniera astratta quasi si trattasse di sculture. Le figure paiono già essere pronte ad interpretare ruoli diversi sulla base delle loro azioni o “attributi”. A parte il San Girolamo, chiaramente connotato (inv. 4160), stendardi, clave, stiletti, elmi, trasformano i semplici nudi in personaggi dell’antico testamento, in eroi della storia romana o in divinità della mitologia.
Nell’insieme, il confronto tra tutti i fogli sopra citati di Monti, Varotti e Milani, mette in luce come questa tipologia di disegni finiti dedicata a Studi di nudi virili, abbia avuto a Bologna una notevole fortuna nella prima metà del Settecento, costituendo un capitolo evidentemente inedito di circolazione di opere grafiche apprezzate per la loro resa virtuosistica, al di là di una loro precisa finalità preparatoria. I fogli della Pinacoteca, da casi isolati, divengono dunque sintomatici di una produzione diffusa che doveva necessariamente riscontrare all’epoca un interesse preciso dal punto di vista collezionistico. [43]Ringrazio, per gli utili scambi di idee nel corso di stesura di questo testo, Eleonora Frattarolo, Angelo Mazza e Marco Riccomini.
Note
Bibliografia
Zanotti 1739
G. Zanotti, Storia dell’Accademia Clementina di Bologna, Bologna, 1739, 2 voll.
Orlandi 1763
P.A. Orlandi, Abecedario pittorico, Napoli, 1763.
Crespi 1769
L. Crespi, Vite de’ pittori bolognesi non descritte nella Felsina pittrice, Roma, 1769.
Kurz 1955
O. Kurz, Bolognese Drawings of the XVII and XVIII Centuries in the Collection of Her Majesty the Queen at Windsor Castle, Aylesbury, 1955.
Roli 1962
R. Roli, Traccia per Francesco Monti bolognese, in “Arte Antica e Moderna”, 1962, 17, pp. 86-98.
Bergamo 1963
Antichi disegni e stampe dell’Accademia Carrara di Bergamo, catalogo della mostra a cura di C.L. Ragghianti (Bergamo 1963), Bergamo, 1963.
Ruggeri 1968
U. Ruggeri, Francesco Monti bolognese (1685-1768), Bergamo, 1968.
Ruggeri 1969
U. Ruggeri, Francesco Monti bolognese a Brescia, in “Critica d’arte”, 1969, 108, pp. 35-52.
Ruggeri 1970
U. Ruggeri, Nuovi disegni e bozzetti di Francesco Monti, in “Arte lombarda”, 1970, pp. 76-90.
Milano 1971
Giambattista Piazzetta e l’Accademia. Disegni, catalogo della mostra a cura di M. Precerutti-Garberi (Milano 1971), Milano, 1971.
Ruggeri 1972
U. Ruggeri, Francesco Monti e Co., in “Musei ferraresi”, 1972, pp. 51-61.
Cazort Taylor 1973
M. Cazort Taylor, Some drawings by Francesco Monti and the Soft Chalk Style, in “Master Drawings”, 1973, 1, pp. 161-163.
Bologna 1976-1977
Artisti italiani dal XVI al XIX secolo. Mostra di 200 disegni della raccolta della Pinacoteca Nazionale di Bologna Gabinetto Disegni e Stampe, catalogo della mostra a cura di G. Gaeta Bertelà (Bologna 1976-1977), Bologna, 1976.
Roli 1977
R. Roli, Pittura bolognese 1650-1800 dal Cignani ai Gandolfi, Bologna, 1977.
Ottawa 1982
Bolognese Drawings in North American Collections 1500-1800, catalogo della mostra a cura di M. Cazort (Ottawa 1982), Québec, 1982.
Bologna 1983
Disegni di Artisti Bolognesi dal Seicento all’Ottocento della Collezione Schloss Fachsenfelf e della Graphiche Sammlung Staatsgalerie Stuggard, catalogo della mostra a cura di C. Thiem (Bologna 1982), Bologna, 1983.
Old Master Drawings 1984
Old Master Drawings, P. & D. Colnaghi, Londra, 1984.
Ruggeri 1984
U. Ruggeri, Francesco Monti “falso veneziano”, in Nicola Grassi e il Rococò europeo, atti del convegno internazionale di studi (Udine 1982), Udine, 1984, pp. 239-253.
Roli 1985-1987
R. Roli, Una revisione dovuta: da Francesco Monti a Giuseppe Varotti, in “Musei ferraresi”, 1985-1987, pp. 91-98.
Roli 1988
R. Roli, Traccia per il disegno bolognese del Settecento, in “Arte. Documento”, 1988, 2, pp. 156-167.
Disegni emiliani 1991
Disegni emiliani del Sei-Settecento. Come nascono i dipinti, a cura di D. Benati, Cinisello Balsamo, 1991.
Fermo 1992
Disegni dal Cinquecento al Settecento scelti dal fondo Carducci-Fermo e dalla Collezione Maggiori-Monte San Giusto: sotto il segno di Alessandro Maggiori, catalogo della mostra a cura di G. Angelucci (Fermo 1992), Monte San Giusto, 1992.
Mazza 1994
A. Mazza, L’età dei Ranuzzi. Progetti decorativi e quadreria nel nuovo palazzo dal conte Marcantonio Ranuzzi al conte Vincenzo Ferdinando Antonio Ranuzzi Cospi (1679-1726), in Palazzo Ranuzzi Baciocchi. Sede della Corte d’Appello e della Procura Generale della Repubblica, Bologna, 1994, pp. 78-106.
Bohn 1994-1995
B. Bohn, Felsina collezionista: the creation of finished drawings in the Sixteenth- Century Bologna, in “Studi di Storia dell’Arte”, 1994-1995, 5-6, pp. 193-211.
Mazza 1995
A. Mazza, Imitazioni, emulazioni, inganni. Alcuni esempi nella quadreria dell’Opera Pia dei Poveri Vergognosi, in Gli splendori della Vergogna. La collezione dei dipinti dell’Opera Pia dei Poveri Vergognosi, a cura di C. Masini, Bologna, 1995.
Bologna 1998
Figure. Disegni dal Cinquecento all’Ottocento nella Pinacoteca Nazionale di Bologna, catalogo della mostra a cura di M. Faietti e A. Zacchi (Bologna 1998), Milano, 1998.
Damen 1999
G. Damen, Per Giuseppe Varotti accademico clementino, in “Nuovi studi”, 1999, 7, pp. 115-131.
Mazza 2000
A. Mazza, La grande pala di Francesco Monti, in L’ex oratorio di San Filippo Neri restituito alla città, Bologna, 2000, pp. 152-161.
Naldi 2000
M. Naldi, Giuseppe Varotti: un comprimario del barocchetto bolognese, in “Barockberichte”, 2000, 1, pp. 550-557.
I grandi disegni 2002
I grandi disegni italiani della Pinacoteca Nazionale di Bologna, a cura di M. Faietti, Cinisello Balsamo, 2002.
Giumanini 2003
M.L. Giumanini, Competere in arte. I concorsi Fiori e Marsili Aldrovandi dell’Accademia Clementina, Bologna, 2003.
Bologna 2007
Il segno dell’arte. Disegni di figura nella Collezione Certani alla Fondazione Giorgio Cini di Venezia (1500-1750), catalogo della mostra a cura di V. Mancini e G. Pavanello (Bologna 2007), Bologna, 2007.
Le collezioni artistiche 2010
Le collezioni artistiche del Credito Emiliano. Storia del palazzo Spalletti Trivelli di Reggio Emilia, a cura di F. Bonvicini, Cinisello Balsamo, 2010.
Pinacoteca Nazionale di Bologna 2011
Pinacoteca Nazionale di Bologna. Catalogo generale 4. Seicento e Settecento, a cura di J. Bentini, G.P. Cammarota, A. Mazza, D. Scaglietti Kelescian, A. Stanzani, Venezia, 2011.
Serafini 2012
A. Serafini, Monti, Francesco, in Dizionario Biografico degli Italiani, Torino, 2012.
Whistler 2015
C. Whistler, Drawing in Venice from Titian to Canaletto: practice and perception, in Drawing in Venice. Titian to Canaletto, catalogo della mostra a cura di C. Whistler, M. Faietti, G. Marini, J. Thalmann e A. Aceto (Oxford 2015-2016), Oxford, 2015, pp. 9-25.
Renaissance to futurism 2015
Renaissance to futurism. A selection of italian drawings 1500-1920, Stephen Ongpin Fine Art, 2015.
Oxford 2015-2016
Drawing in Venice. Titian to Canaletto, catalogo della mostra a cura di C. Whistler, M. Faietti, G. Marini, J. Thalmann e A. Aceto (Oxford 2015-2016), Oxford, 2015.
Bologna 2016
Figure del tempo barocco. Dipinti dell’opera Pia dei Poveri Vergognosi, catalogo della mostra a cura di M. Riccomini (Bologna 2016), Bologna, 2016.