Le incisioni di Umberto Boccioni nella collezione Tabarroni
Premessa
L’attività incisoria di Boccioni è, come noto, abbastanza limitata nel tempo; essa si svolge a partire dal 1907 e prosegue sino al 1910 [1]La prima incisione certa, l’acquaforte Case a Venezia, è datata 2 maggio 1907 e le ultime, le acqueforti Donna con bambina a tavola e Testa di bambino che sorride, 1910 (post luglio).. Altresì, il corpus delle opere prodotte dall’artista risulta relativamente modesto contando al momento solo trentatré lavori attribuiti con certezza, tutti realizzati a cavallo tra il breve soggiorno veneziano dell’artista e i primi anni di attività a Milano (undici risalenti al periodo lagunare e ventidue a quello meneghino) [2]A questi lavori si deve aggiunge un’acquaforte con soggetto di periferia datato 1908 recentemente ricomparsa sul mercato e riferibile al periodo milanese.. Ciò nonostante, per Boccioni l’incisione non costituì affatto un’attività secondaria, anzi dai documenti e dalle testimonianze dell’epoca risulta chiaramente come questa tecnica abbia rappresentato per lui un campo di lavoro molto importante, ricco di spunti e di riflessioni [3]La prima testimonianza diretta dell’interesse di Boccioni per l’incisione è rintracciabile nel suo diario alla data del 28 aprile 1907 in cui annota una “ricetta per acqueforti” fornitagli dal sig. Zezzos di Venezia (Cfr. Birolli 1971, pp. 240 e 242). Come ha suggerito Agnese, molto probabilmente quest’ultimo è da identificarsi con l’artista Alessandro Zezzos (Venezia 1848-Vittorio Veneto 1914) “artista di mezza età e di una onesta reputazione” (Cfr. Agnese 1996, p. 135).. A dimostrazione di ciò basterà qui ricordare che nel suo diario Boccioni annota prima la volontà e poi l’avvenuto acquisto di un torchio per stampare in proprio e, questo, a dispetto di un momento di estrema difficoltà economica [4]In data 21 dicembre 1907 Boccioni scrive: “Madame mi ha mandato 309 lire. Tra poco compro il torchio!!!” e pochi giorni dopo, il 24 dicembre, annota: “Oggi vado a vedere un torchio”. Infine, in data 24 agosto 1908, l’artista scrive: “Finalmente ho potuto comprare un torchio per acqueforti. Sono felice”. (Birolli 1970, pp. 270, 271e 311)..
Venendo a un punto di vista strettamente formale, all’interno di questa piccola, ma significativa produzione, si possono individuare alcune differenze sostanziali sia per quanto riguarda la scelta dei soggetti, sia per quanto concerne le soluzioni stilistiche adottate. Riguardo a queste ultime, lo studioso Paolo Bellini ha proposto in maniera efficace di suddividere le trentatré incisioni di Boccioni in tre filoni principali, ognuno dei quali corrispondenti ad altrettante fasi susseguentesi cronologicamente. All’interno di questa suddivisione temporale poi, Bellini ha individuato in maniera molto chiara due approcci stilistici distinti tra di loro corrispondenti a loro volta a un determinato periodo [5]Cfr. Bellini 2004.. La prima fase, coincidente con i primissimi lavori eseguiti dall’artista, si caratterizza per un’incalzate ricerca di intensi effetti di luce e ombra ottenuti mediante un insistito lavoro su lastra che lascia poche parti scoperte sul foglio [6]Case a Venezia (acquaforte, Venezia 2 maggio 1907), Donna e albero (acquaforte, Venezia 3 maggio 1907), Uomo seduto (acquaforte, Venezia 3 maggio 1907), Porto (acquaforte e puntasecca, Venezia 5 maggio 1907), Giudecca (acquaforte, Venezia 5 maggio 1907), Il ponte (acquaforte e puntasecca, Venezia maggio 1907).. La seconda, invece, comprende le ultime incisioni realizzate dall’artista nella città lagunare e le prime compiute agli inizi del soggiorno milanese, a cavallo quindi fra il 1907 e il 1908. I fogli appartenenti a questo secondo momento fanno parte di una serie di opere cosiddette ‘chiare’ in cui Boccioni alleggerisce la composizione diradando al massimo gli intricati segni che pervadevano le lastre precedenti a favore di una struttura figurativa molto più semplice e ‘pulita’, incentrata quasi esclusivamente sulla linea di contorno a discapito dei valori tonali e dei passaggi chiaroscurali [7]Scaricatori di carbone (puntasecca, Venezia giugno 1907), Gisella(puntasecca, Venezia 1907), L'atleta (puntasecca, Venezia luglio-agosto 1907), Ritratto di Maria Sacchi (puntasecca, Milano settembre-ottobre 1907), Maria Sacchi che legge (puntasecca, Milano 1907), La madre che lavora all'uncinetto (puntasecca, Milano 1907), Quattro ritratti e un bambino (puntasecca, Milano 1908), Donna che fuma mentre scrive (acquaforte-puntasecca, Milano 1908), Ines (puntasecca, Milano 1908).. Infine, la terza fase riferibile gli ultimi lavori realizzati sempre a Milano fra il 1909 e il 1910 in cui Boccioni torna alla produzione di opere ‘scure’, ovvero molto lavorate, simili dunque a quelle degli esordi [8]Madre che cuce (acquaforte, Milano 1909-1910), Donna che legge (acquaforte, Milano 1910), La madre davanti al tavolo con forbici (acquaforte, Milano 1910), L’annegato (acquaforte, Milano 1910), Donna con bambina a tavola (acquaforte, Milano post luglio 1910), Testa di bambino che sorride (acquaforte, Milano post luglio 1910)..
Da Gisella a La madre davanti al tavolo con le forbici
Dopo questa lunga ma necessaria premessa, si possono ora passare in rassegna le tre incisioni di Boccioni presenti nella collezione Tabarroni avendo a disposizione un quadro generale di riferimento abbastanza agevole. La prima opera in ordine di tempo è la celebre puntasecca intitolata Gisella [9]Gisella è da identificarsi con l’amica dell’artista Adalgisa Maffi il cui soprannome era appunto Gisella. Conferma in tal senso è stata data anche dalla sorella di Boccioni (Cfr. Calvesi 2000, p. 143). Si deve quindi escludere con assoluta certezza che la persona rappresentata sia, come erroneamente ritenne la critica dell’epoca, una donna di strada (cfr. Pagliano 1910, Damerini 1910). (Tip. 30909, fig. 1), datata 1907 e realizzata dall’artista molto probabilmente negli ultimi mesi del suo soggiorno a Venezia.
Figura 1: Umberto Boccioni, Gisella, 1907, puntasecca, mm 245×336, inv. Tip. 30909 © Bologna, Pinacoteca Nazionale, Gabinetto Disegni e Stampe
In riferimento a quest’opera, è utile segnalare che nello stesso anno Boccioni esegue un disegno a pastello su carta, oggi appartenente alla Collezione Banca Carime di Cosenza, avente medesimo soggetto e identico titolo [10]L’opera, oggi in comodato presso la Galleria Nazionale di Cosenza, appartiene al periodo veneziano dell’artista e fu esposta nel 1910 a Ca’ Pesaro quando l’artista aveva già aderito al Futurismo.. Il pastello è vicinissimo all’incisione (si differenzia solo per il fatto che le due immagini risultano speculari e per il taglio della composizione che nel pastello ha un punto di vista più ravvicinato, quasi una zoomata che taglia la figura all’altezza della vita) tanto che si è spesso ipotizzato che l’una potesse rappresentare la traduzione dell’altra in una diversa tecnica [11]Cfr. Sicoli 2009, p. 44.. In realtà, da un punto di vista stilistico, la puntasecca si presenta molto più ‘scarna’. Se si esclude la dimensione del colore presente nel pastello, infatti, si nota come la ricchezza di linee che nell’opera della Carime generano morbidi passaggi tonali e profonde ombreggiature, nella puntasecca sono altamente appianate. Già nel ’74, del resto, D’Abrosca aveva sottolineato queste differenze quando osservava che nel pastello c’è una “maggior compostezza, un’atmosfera più corposa e più pacata che nell’incisione” [12]D’Abrosca 1974, p. 37., rivendicando così, tra i primi, l’autonomia dell’opera incisoria di Boccioni rispetto alle altre prove dello stesso autore.
Inoltre, sempre riguardo a Gisella si deve tenere presente che quest’opera appartiene al gruppo delle così dette incisioni “chiare” [13]Cfr. Bellini 2004 e qui nota 6., ovverosia a quel gruppo di lavori che, come già ricordato sopra, rivelano un nuovo interesse da parte dell’artista per un uso meno intricato del segno grafico in favore di un linearismo concentrato solo sulle figure principali e condotto in maniera molto netta, senza troppe spezzature, a discapito appunto degli effetti chiaroscurali e dell’ombreggiatura. Detto ciò, si devono però fare delle ulteriori precisazioni circa il giusto inquadramento di questa incisione all’interno del presente corpus di opere. Rispetto ad altre prove appartenenti allo stesso ciclo chiaro, questo foglio rappresenta ancora una fase che si potrebbe definire ‘acerba’, nel senso che rappresenta un primo esperimento compiuto dall’artista in direzione di una maggiore ‘limpidità lineare’. In altre parole, qui è solamente “anticipato il segno ‘sintetico’ degli anni successivi” [14]Bruno, Milano 1969, p. 111. Un altro esempio simile di questa soluzione ‘intermedia’, lo si può rintracciare nell’acquaforte e puntasecca nota con il titolo Signora col ventaglio realizzata nello stesso anno, ma successivamente a Milano., quel segno cioè che porterà di lì a poco Boccioni a cambiare totalmente indirizzo stilistico rispetto alla produzione precedente. La linea di contorno della figura difatti, realizzata con mano pesante e nervosa, ai fianchi e nella testa della figura ancora si frammenta e si coagula in un tratteggio di brevi segmenti intrecciati che garantisce un ultimo, seppur aspro, appiglio ai valori del chiaroscuro. Questa soluzione ‘mediana’ fa sì che tra le zone più scure e quelle più nitide si generi un fortissimo contrasto. Di conseguenza, la figura della donna emerge dal fondo lasciato volutamente neutro con grande evidenza drammatica. Tutti questi dati, uniti ad un impianto iconografico estremamente conciso, danno vita ad un’opera in cui si manifesta l’intenzione da parte dell’artista di esprimere in maniera visibile e urgente le tensioni psicologiche del personaggio ritratto: “ [Gisella] con il suo segno ‘sintetico’, tradisce un’emotività violenta e nello stesso tempo trattenuta” [15]D’Abrosca 1974, p. 37..
Successiva a Gisella è La madre che lavora all’uncinetto (Tip. 30908, fig. 2), realizzata a Milano dopo il mese di settembre quando l’artista si trasferì definitivamente nel capoluogo lombardo in casa della madre Cecilia Forlani e della sorella maggiore Amelia [16]Boccioni si reca una prima volta a Milano per far visita alla madre e alla sorella il 19 agosto del 1907 prima di partire per San Pietroburgo. Lasciata Milano, il giovane artista si ferma prima a Brescia e poi a Monaco di Baviera, rinunciando a proseguire fino alla capitale dell’impero russo. Tornato dalla Baviera, Boccioni si trasferirà definitivamente a Milano il 12 settembre del medesimo anno.. Conferma di questa successione cronologica ci viene anche fornita dal dato stilistico. La madre che lavora all’uncinetto, infatti, rappresenta un passo ulteriore in direzione di una sempre più decisa sintesi lineare. Il violento gioco di chiaroscuri realizzato mediante un fitto tratteggio che in parte era presente in Gisella, qui scompare del tutto e al suo posto campeggia unicamente un tratto continuo che “ cinge fortemente le figure e le schiaccia in superficie” [17]Virelli 2014, p. 48..
Figura 2: Umberto Boccioni, La madre che lavora all’uncinetto, 1907, acquaforte, mm 368×310, inv. Tip. 30908 © Bologna, Pinacoteca Nazionale, Gabinetto Disegni e Stampe
Persino nell’organizzazione della scena le cose cambiano radicalmente sempre rispetto a Gisella. La figura della madre, non è più ‘isolata’ su un fondale vuoto, ma è collocata all’interno di un ambiente ben caratterizzato: il ripiano del davanzale, gli strumenti del lavoro, la sedia, le mattonelle del pavimento, il quadro appeso al muro e le decorazioni sui vetri della porta. Tutti questi particolari poi sono indagati dall’artista con una precisione estrema, tanto che persino le venature del legno degli scuri della finestra e quelle dei riquadri inferiori della porta sono riportate con una precisione che si potrebbe definire ‘nordica’: “se dobbiamo credere a quanto Boccioni scrisse nei Diari, dobbiamo anche ritenere che alla radice di queste soluzioni di incisività di segno e di scavo fisionomico stava un influsso dei ‘primitivi’ […] soprattutto dei pittori tedeschi del Quattro-Cinquecento visti alla Alte Pinakothek di Monaco nel 1907 e delle incisioni di Dürer, col loro linearismo duro, esasperato e indagatore” [18]Scotti 1995, p. 122. Il 1 febbraio del 1908 infatti Boccioni scrive: “Dürer è immenso, è grande, è un titano, è terribile quanto può esserlo il genio della sua creazione. Mi spaventa da una parte la calma dello stile, dall’altra la terribilità della composizione, l’impeto del segno che morde, contorce, sforma ma corre, corre verso l’ideale!”.. Del resto, l’importanza sul nostro del maestro di Norimberga, e più in generale degli artisti della maniera “dura”, trova un ulteriore conferma anche nel cosiddetto Atlante iconografico boccioniano, il grande album contenete fotografie, cartoline, prove di stampa e ritagli di giornali di opere d’arte composto da Boccioni tra il 1906 e i primi mesi del 1910 [19]L’album fu donato nel 1955 dagli eredi alla Biblioteca Civica di Verona. Per uno studio approfondito su questa importantissima fonte documentaria, si rimanda a Contò, Rossi 2016.. I più recenti studi computi su questo album, appunto, evidenziano con chiarezza come gli artisti “nordici” occupino all’interno di questo repertorio visivo un posto importante [20]Cfr. Rossi 2016..
Accanto a questo dato, è stato più volte osservato che oltre ai pittori e incisori primitivi, un trattamento così sintetico dell’immagine potrebbe essere stato suggerito a Boccioni dagli artisti di area sempre nord europea, specialmente austriaca e tedesca, legati alle correnti della Secessione e conosciuti tramite le più importanti riviste dell’epoca come, ad esempio, “Ver Sacrum”, “Simplicissimus” e “Jugend” sin dal periodo romano. È questa una considerazione sicuramente giusta, ma si tratta di una nota di carattere generale, comune per altro a molti altri artisti della stessa generazione. Più circostanziata, invece, è la forte influenza che hanno avuto su Boccioni le opere di Aubrey Beardsley (1872-1898) e quelle di Félicien Rops (1833-1898) [21]Cfr. Mori, Salsi 2016.. Il primo è specificatamente menzionato dall’artista nei Diari in data 25 aprile 1908: “ho passato due notti agitatissime piene di smanie di sogni. Non posso negare che questo è l’effetto dei due libri con illustrazioni di Aubrey Beardsley che ho nelle mani da due giorni” [22]Birolli 1971, p. 304.. Si tratta però, come evidenziano bene le date, di una ‘scoperta’ successiva, seppur di poco, alla realizzazione di La madre che lavora all’uncinetto e quindi difficilmente riferibile ad essa [23]Piuttosto che nelle incisioni, un’influenza diretta dell’artista inglese sul nostro si riscontra in maniera evidente nelle opere grafiche dedicate all’illustrazione o negli ex libri. Si vedano, ad esempio, Beata Solitudo. Sola Beatitudo (1908), Figura in giardino (1908 ca.), Allegoria natalizia (1908), Pianoforte (1908) e l’Ex libris per Isa Foà Errera (1910). L’unica incisione che sembra risentire fortemente della lezione di Beardsley è la puntasecca Ines, realizzata non a caso nel 1908, in cui Boccioni reinterpreta magistralmente in questo ritratto della sua amante dell’epoca le figure sensuali e trasgressive dell’artista inglese..
Per quanto riguarda Rops, invece, le opere di quest’ultimo sono presenti nell’album veronese accanto a quelle di Odilon Redon e di altri maestri d’oltralpe di area pre-simbolista. L’artista belga, inoltre, era ben conosciuto dal pubblico italiano sin dal 1896, da quando cioè il noto critico napoletano Vittorio Pica aveva recensito favorevolmente le sue opere sulle pagine di “Emporium” [24]Cfr. Pica 1896. Importantissimo fu il lavoro di divulgazione svolto da Pica sin dai primi anni della sua attività di critico d’arte, specialmente nel campo della grafica contemporanea. Per quanto riguarda Boccioni in particolare, si deve ricordare che la maggior parte delle immagini incollate nell’Atlante veronese derivano proprio dall’Istituto Italiano d’Arti Grafiche di Bergamo, l’editore di “Emporium”. Sull’importanza delle fonti a stampa in Boccioni si veda Fergonzi 2004, Botta 2013 e Mocchi 2016.. Ciò nonostante, si deve subito mettere in evidenza che come per Beardsley, anche per quanto riguarda Rops si può parlare di una sicura influenza non tanto nelle incisioni, quanto piuttosto in altre opere d’arte grafica, in primis la famosa Beata Solitudo. Sola Beatitudo del 1908 [25]Cfr. Rovati 2013..
In altre parole, rimane ancora fortissima in La madre che lavora all’uncinetto la lezione dei grandi ‘padri’ primitivi e questo pone Boccioni, in ultima analisi, in linea con le coeve ricerche e sperimentazioni che stavano portando alla nascita della corrente fauve-espressionista in tutta Europa, seppur in modi differenti [26]Per un discorso rigoroso ed esauriente sul primitivismo nell’Espressionismo in Italia si veda Borgogelli 1990..
Un’ultima considerazione da fare in merito a questa incisione riguarda, ancora una volta, l’ipotesi che quest’opera sia una sorta di ‘traduzione’ di un pastello avente lo stesso soggetto e realizzato nel medesimo anno: La madre che lavora (Milano, Civiche Raccolte d’Arte – Galleria d’arte moderna) [27]Sicoli 2009, p. 44.. Di nuovo però bisogna congedare questa tesi in quanto, nonostante esistano fortissime affinità compositive fra le due opere, anche in questa circostanza si possono rilevare delle differenze di carattere stilistico e concettuale difficili da trascurare. Per prima cosa la componente lineare che, come abbiamo visto, risulta essere la struttura portante dell’incisione. Nel pastello questa geografia elementare di linee cede il passo a un reticolo di segni più ricco e complesso. Da qui l’altra grande differenza, ossia il modo d’intendere la luce nelle due opere. Se nell’incisione quest’ultima ha quasi “il potere di solidificarsi” [28]Perocco 1958, p. 63., di presentarsi cioè come una materia compatta che pervade in maniera uniforme l’intera composizione, nel pastello al contrario essa è concepita come un elemento ‘pulsante’ che si accende e si spegne in punti diversi. In conclusione, quindi, se nell’incisione la linea risulta l’elemento costruttivo primario, nel pastello tale ruolo è svolto dalla luce.
Di una ricerca di effetti luminosi ‘pulsanti’ in un’opera incisa invece, si deve parlare a proposito dell’ultimo foglio dell’artista presente nella collezione Tabarroni, La madre davanti al tavolo con le forbici (Tip. 30910, fig. 3) eseguita a Milano nel gennaio del 1910. Quest’ultima, insieme ad altri lavori dello stesso periodo [29]Si veda qui nota 7., segna, come già ricordato, il ritorno dell’artista alle incisioni “scure” degli esordi, vale a dire a quel recupero di un lavoro febbrile su lastra eseguito a tratti minuti e finemente intrecciati che caratterizzava i fogli realizzati anni prima a Venezia. Molto probabilmente ciò giustifica anche la ripresa da parte di Boccioni della tecnica dell’acquaforte che, rispetto alla puntasecca, permette all’artista di sciogliere il ‘linearismo duro’ in un più duttile segno capace di esprimere passaggi tonali più morbidi e contrasti chiaroscurali meno stridenti.
Figura 3: Umberto Boccioni, La madre davanti al tavolo con le forbici, 1910, acquaforte, mm 137×115, inv. Tip. 30910 © Bologna, Pinacoteca Nazionale, Gabinetto Disegni e Stampe
Tuttavia, ad una analisi più attenta, ci si rende conto che non si tratta realmente di un vero e proprio ritorno, ma semmai di un aggiornamento dei modelli precedenti o, meglio, di una ‘nuova versione’ in cui l’artista sperimenta più recenti suggestioni stilistiche, ossia egli riscopre il gusto per una più attenta ricerca di effetti luminosi sulla scia di un rinnovato interesse verso le ricerche impostate dai vari protagonisti del Divisionismo nostrano [30]Il primo incontro di Boccioni con il Divisionismo avvenne per il tramite di Balla del quale divenne allievo insieme a Severini nel 1901 a Roma. Successivamente scoprì l’opera di Morbelli, di Pellizza da Volpedo e, soprattutto, di Segantini e di Previati. Nell’aprile del 1907, infatti, rimase favorevolmente colpito dai quadri di questi ultimi esposti alla VII Biennale di Venezia nella sala internazionale dedicata all’Arte del Sogno. Ancora, il 3 ottobre dello stesso anno a Parigi, Boccioni visitò entusiasta l’esposizione dei Divisionisti italiani organizzata da Alberto Grubicij de Dragon.. In altre parole, se da un lato Boccioni rimedita nuovamente sulle lezioni ricevute anni prima da Balla a Roma, dall’altro inizia a concentrarsi anche sul più recente insegnamento impartitogli dall’opera di Previati [31]Boccioni incontrò personalmente Previati nel mese di febbraio del 1908. In data 2 febbraio Boccioni annota nei diari: “[Previati] Mi ha accolto con somma cortesia e abbiamo parlato tre ore! Che differenza tra lui e Balla: di questo mi ha detto molto bene [...] L’ho trovato d’accordo quasi in tutto [...]”. L’importanza di Previati nell’opera di Boccioni è testimoniata anche nel Manifesto dei pittori futuristi (11 febbraio 1910) in cui si condanna aspramente l’incomprensione da parte della critica e delle commissioni d’arte ufficiali nei confronti dell’artista ferrarese.. All’attento studio della luce mediante l’utilizzo di piccoli tocchi impostato dal primo, infatti, Boccioni unisce quel particolare divisionismo ‘filamentoso’ praticato dal secondo. Questo specie di doppio registro informativo si traduce in questa acquaforte con un’immagine in cui alla fitta trama di segni incisi che definiscono le singole parti della scena, si unisce una luce ‘vibrante’ ed endogena. Quest’ultima, proveniente da due ‘centrali di emissione’ differenti (la figura della madre e il tavolo), mette in risalto gli aspetti più significativi della composizione: il viso dell’anziana donna e gli oggetti del suo lavoro (le forbici e la scatoletta di forma circolare).
Boccioni ottiene così una composizione altamente espressiva che trova anche, in questo caso finalmente, un preciso riscontro stilistico con quanto stava facendo in quegli stessi anni in altre opere di matrice prefuturista come, ad esempio, il pastello Ritratto della sorella che legge (1909, Cà Pesaro – Galleria Internazionale d’Arte Moderna, Venezia) e gli olii Nudo di spalla (Effetto di Sole), (1909, Mart, Rovereto) e Tre donne, (1909-10, Collezione Banca Commerciale Italiana, Milano).
Per concludere, una breve considerazione generale circa il “valore” che hanno queste opere all’interno della collezione Tabarroni, ossia sul perché la collezionista bolognese abbia scelto proprio questi lavori e non altri dell’artista. Al di là dei motivi di carattere meramente economico (e di reperibilità sul mercato), dalla disamina sin qui condotta si può affermare che avvicinarsi alle suddette incisioni boccioniane equivale, in un certo senso, ad attraversare quasi per intero tutta la carriera dell’artista in questo campo artistico. Gisella, La madre che lavora all’uncinetto e La madre davanti al tavolo con le forbici infatti, sia per la loro oggettiva qualità, sia per l’arco cronologico che coprono (dal 1907 al 1910) costituiscono, di fatto, un importante nucleo di opere altamente rappresentativo della parabola dell’artista, non solo nell’ambito ristretto dell’incisione ma anche in quello più generale del suo periodo prefuturista.
In ultima analisi quindi, e senza timore d’incorrere nei soliti riconoscimenti di circostanza, si deve riconoscere a Luciana Tabarroni il merito di avere saputo operare con grande intelligenza, dando così testimonianza di un collezionismo privato attento e mirato, colto e consapevole insieme.
Note
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