I disegni di Antonio Muzzi
Diario grafico di una vita d'artista
Grazie alla corposa attività di catalogazione svolta dal Gabinetto Disegni e Stampe della Pinacoteca Nazionale di Bologna, e a distanza di quasi due decenni dalla mostra curata da Marzia Faietti e dedicata all’attività grafica di Antonio Muzzi, è tempo di tornare sull’argomento per mettere ordine e dare, fin dove possibile, una lettura critica dell’ampio corpus grafico del pittore bolognese [1]Non è questo il luogo per una ricostruzione del suo profilo artistico generale. Per una sintetica scheda biografica e per i riferimenti bibliografici si rimanda a Bologna 1980, pp. 97-98 e Bologna 1998, n. 135; uno studio più aggiornato, l’impostazione per una lettura generale e la pubblicazione di parte dell’opera grafica del pittore si trovano in Bologna 1999. I dipinti e i bozzetti, con citazione dei disegni preparatori, sono infine illustrati in Pinacoteca Nazionale di Bologna 2013, pp. 73-120. Tutte le opere sono citate con il numero di inventario della Pinacoteca Nazionale di Bologna.. Numerose sue prove, disegni, bozzetti, taccuini, cartoni, oli e fotografie confluirono nelle raccolte della Regia Pinacoteca di Bologna nel 1926 grazie alla donazione degli eredi del pittore: si tratta in totale di oltre duecentosettanta pezzi [2]Faietti 1999, p. 6 e in Faietti 2002, p. 71; G. P. Cammarota in Bologna 1999, p. 11.. In questa sede non se ne darà un resoconto completo ma si esamineranno le opere grafiche sicuramente, o quasi certamente, relative a opere riconosciute.
La pittura dell’Ottocento bolognese è stata molto spesso indagata in modo tiepido, con una punta di sospetto. Reduce dalla stroncatura di Longhi che, negli anni Trenta, si diceva grato “per le emozioni sia pur tenui” a “quei modesti artieri che al solicello dell’800, nella Bologna papale, andavano creando su per le chiese e i palazzi gli ultimi inganni cordiali […]” [3]Longhi 1935., la critica negli ultimi anni ha moltiplicato gli sforzi per una più oggettiva comprensione del panorama artistico del secolo: per rimanere nell’ambito della Pinacoteca di Bologna si vedano l’ultimo volume del Catalogo Generale dedicato al XIX e XX secolo e la mostra L’Ottocento a Bologna nelle collezioni del MAMbo e della Pinacoteca Nazionale, del 2014 [4]Pinacoteca Nazionale di Bologna 2013, con ampia bibliografia, e L’Ottocento a Bologna nelle collezioni del MAMbo e della Pinacoteca Nazionale di Bologna, per la quale si consultino i siti www.pinacotecabologna.beniculturali.it e www.mambo-bologna.org.. Esistono, infatti, artisti che hanno attraversato quasi l’intero secolo e che, anche a prescindere dal giudizio di merito, gli hanno dato vita ed esistenza sotto il profilo artistico. Fra di essi la lunga parabola creativa di Antonio Muzzi merita d’essere conosciuta come metodo creativo e, insieme, come diario di una vita. Se ne possono leggere ampie tracce nelle sue moltissime opere grafiche, nei suoi studi, nel tornare sui soggetti, nell’elencarli e tenerne conto e, verso l’età avanzata, nel procedere al loro riordino: qui, in questo corpus abbondante e generoso, si sostanzia la “fatica della creazione” che lo stesso pittore ci racconta negli innumerevoli appunti, nelle didascalie, nelle memorie vergate a margine dei disegni stessi, degli studi accademici, delle grandi decorazioni riuscite, di quelle perdute, dei progetti sperati e di quelli falliti, nella sua difficoltà ad adattarsi ad un mondo post-unitario in veloce cambiamento. Muzzi, uomo di spirito, amante della vita sociale, facile al racconto verbale – anche un po’ “condito”, raccontano i contemporanei – fu, nella vita e nelle opere, fondamentalmente onesto.
Alcuni nuclei di opere costituiscono dei veri e propri diari di viaggio: dalla genesi dell’idea alla sua realizzazione. Sono le grandi imprese: la decorazione per la vecchia stazione di Bologna dedicata a Fulton, demolita non molti anni dopo la sua costruzione, la decorazione – anch’essa perduta – per il Teatro Comunale di Bologna, il ciclo pittorico per la chiesa dei Santi Bartolomeo e Gaetano, o l’impresa della decorazione del sipario del teatro di Cento, ma anche le pale, come il Martirio di San Fedele da Sigmaringa: tutte opere ampiamente documentate e delle quali si renderà conto qui di seguito.
Il volto del nostro corpulento pittore ci viene restituito da un ritrattino di Fortunato Rossi (inv. 1292, olio su tela) e qualche anno più tardi da un ritratto che Giuseppe Sabatelli gli fece nel 1840 a Firenze [5]M. Tamburini in Bologna 1998, n. 134., giunto nelle collezioni del GDS con il lascito del corpus delle opere di Muzzi.
È del 1856 la testimonianza successiva della sua fisionomia: si tratta di un raffinato ritratto a carboncino e gessetto su carta marroncina (inv. 7355). Letto a volte come autoritratto, è invece con ogni probabilità da assegnare alla mano della marchesa Beatrice Fava Tanari Ghisilieri che lo eseguì a Liano e lo firmò: difficilmente la grafia di questa scritta può essere confusa con quella ben nota, più impetuosa, un po’ più disordinata, ed effettivamente onnipresente, di Muzzi. La marchesa era molto nota negli ambienti liberali bolognesi dell’epoca, attivissima nel periodo dei moti risorgimentali e dunque in stretto contatto con gli altri simpatizzanti per la causa dell’unione di Bologna al nascente Stato italiano, gruppo del quale anche Muzzi faceva parte. Le cronache non raccontano nulla circa l’attività di pittrice della nobildonna ma il disegno faceva parte dell’iter educativo di ogni signorina di buona famiglia e dunque, con risultati più o meno interessanti, non deve stupire il ritrovamento di un foglio di mano di una signora che normalmente non si occupava di pittura. In questo caso la qualità è buona e il confronto con altri ritratti noti, eseguiti da amici e aventi come soggetto proprio il pittore bolognese, ci permette di riconoscerlo. Qualche anno più tardi Muzzi torna a parlarci della sua fisionomia in un autoritratto di rara intensità (inv. 1240), giustamente lodato da Marzia Faietti prima e da Alessandro Zacchi poi, un dipinto quasi seicentesco nel quale vediamo la sua mano migliore e che ci fa rimpiangere le tante occasioni in cui, rintanandosi dietro un rovello creativo e una patina d’accademia, ha finito per spegnere o tacitare quasi del tutto non solo i guizzi della penna o del pennello, ma anche la sua partecipazione alle gioie e ai dolori del genere umano. Alcune di queste finestre aperte sul mondo si trovano in preziosi foglietti nei quali Muzzi si ferma a guardare un’umanità varia, spesso modesta, con affetto: uno dei più preziosi è il foglio 7231 (fig. 1), con la madre china sulla figlia che legge. Potrebbe essere facilmente confuso con una scena di maniera se non fosse per la rarità del soggetto in un severo pittore di storia, ma anche per le dimensioni ridotte e la mano veloce, al punto che riesce più facile accostarlo agli altri appunti presi dal vero che ad un genere, quello delle gioie domestiche, in voga più avanti e che Muzzi non frequentò mai. Finestre sull’umanità si trovano anche nel ritrattino di Carolina Gandolfi (inv. 7319, fig. 2), una donna non bella e un po’ severa colta nell’attimo di una espressione, come fosse già una istantanea; o ancora negli occhi persi di Orestilde (inv. 7321, fig. 3) che fanno da contraltare all’espressione impegnata dell’amico Fortunato Rossi, anche lui colto in una istantanea (inv. 7327/8) [6]Di diverso parere circa la ritrattistica di Muzzi è Elena Gottarelli (Gottarelli 1979, stt. p. 237)..
Figura 1: Antonio Muzzi, Due figure femminili in un interno; busto virile, sec. XIX, matita, penna, inchiostro bruno su carta bianca, mm 185×161, inv. 7231 © Bologna, Pinacoteca Nazionale, Gabinetto Disegni e Stampe
Figura 2: Antonio Muzzi, Ritratto di Carolina Gandolfi, sec. XIX, matita nera, pastello, gessetto su carta bruna, mm 119×93, inv. 7319 © Bologna, Pinacoteca Nazionale, Gabinetto Disegni e Stampe
Figura 3: Antonio Muzzi, Orestilde, sec. XIX, carboncino e sfumino su carta bianca, mm 273×212, inv. 7321 © Bologna, Pinacoteca Nazionale, Gabinetto Disegni e Stampe
Muzzi ci ha lasciato anche un espediente curioso, una fotografia scattata intorno al 1860 che ritrae lo stesso pittore in abiti rinascimentali, un vero e proprio bozzetto per il dipinto Michelangelo studia le fortificazioni di Firenze [7]Bologna, raccolta Tosi. La foto è pubblicata in Gottarelli 1979, p. 231.. Fa parte del progressivo avvicinarsi del Nostro al nuovo mezzo tecnico ed espressivo costituito dalla fotografia, una curiosità che esula dall’argomento di questo scritto ma questo esemplare meritava d’essere citato nella scorsa delle immagini che ci parlano del pittore.
Gli anni Trenta. La formazione, i primi riconoscimenti
È tempo di affrontare Muzzi come disegnatore. La prima opera grafica di cui si ha notizia risale al 1829, ed è una copia da Raffaello.
Ne seguono molti studi di nudi accademici (gli inventari dal 1274 al 1291, il n. 3788, figg. 4-5, una seconda serie dall’inv. 7206 al 7222, fig. 6), talvolta completi, raramente con figure indagate solo in alcune parti e abbozzate nel resto del corpo [8]Per una prima indagine sugli studi d’accademia vedi A. Zacchi in Bologna 1998, nn. 135 e 136.. Antonio Muzzi rimase sempre strettamente legato al mondo dell’Accademia. Compì gli studi fra Bologna e Firenze, dove si recò nel 1835-36, producendo, soprattutto nel quarto e quinto decennio dell’Ottocento, una nutrita serie di nudi di buona qualità accompagnati spesso, già a queste date, da firme e indicazioni del luogo di esecuzione. Nonostante il suo tentativo di affrancarsi dalle ultime eredità della scuola settecentesca bolognese dei Gandolfi e ancora segnate dalla nostalgia per la grande tradizione carraccesca, Muzzi rimarrà sempre in sospeso fra tradizione e innovazione, incapace di compiere del tutto il salto verso una poetica moderna, quella della generazione successiva, che lui di fatto non accettò mai fino in fondo.
Figura 4: Antonio Muzzi, Studio accademico di nudo maschile in piedi, 1830-1840 ca., carboncino, sfumino, gessetto su cartoncino acquerellato, mm 427×282, inv. 1276 © Bologna, Pinacoteca Nazionale, Gabinetto Disegni e Stampe
Figura 5: Antonio Muzzi, Studio accademico di giovane in atto di tirare con l’arco, 1830-1840 ca., carboncino, gessetto, mm 566×419, inv. 1283 © Bologna, Pinacoteca Nazionale, Gabinetto Disegni e Stampe
Figura 6: Antonio Muzzi, Studio accademico di nudo maschile seduto, volto di tre quarti verso sinistra, 1835-1840 ca., carboncino, sfumino, gessetto, pittura a tempera su carta, mm 575×437, inv. 7216 © Bologna, Pinacoteca Nazionale, Gabinetto Disegni e Stampe
Fanno parte di queste esercitazioni giovanili, com’era d’uso, anche alcune copie dai grandi del passato. Sono di sua mano un grande cartone nel quale ritrae con precisione una delle due statue dei “Pugilatori” scolpite da Canova tra la fine del Settecento e i primi anni del secolo successivo (inv. 7351) e la copia “Gladiatore (o Galata) morente” eseguita nel 1833 (inv. 7352) grazie alla quale Muzzi si fece notare negli ambienti scolastici [9]A. Borgogelli in Bologna 1980, p. 97.. A queste prove si possono accostare lo studio a olio su cartone con la figura della Maddalena tratto dalla Pala Boncompagni di Ludovico Carracci (inv. 32478) e il collage di piedi tratto dal Martirio di San Pietro da Verona di Domenichino (inv. 32481), studi tratti da un grande passato nei quali il nostro giovane artista testa le sue capacità anche come pittore, nell’uso dell’olio che gestisce con una pennellata abbastanza sciolta, carattere che si perderà pressoché in tutte le sue opere finite [10]Pinacoteca Nazionale di Bologna 2013, pp. 73-74..
Sempre a queste prime prove appartiene un altro schizzo, firmato e datato 1833, che però si qualifica come una esercitazione privata (inv. 7325). La scritta che accompagna questo foglio è particolarmente interessante perché è stata apposta, evidentemente, in due tempi. La prima parte, per la quale Muzzi ha usato lo stesso inchiostro molto diluito del disegno, è contemporanea al disegno stesso (“Studio fatto dal vivo col modello al sole. / il 26 Mag(gi)o del 1833 giorno della Pentecoste, sulle 7 antimerid(ia)ne/ Il modello fu Francesco Muzzi d’anni 6, mesi 6, giorni 14”) mentre la seconda, a matita (“e copiato da suo fratello Antonio di anni 18”), è stata aggiunta con ogni probabilità dopo. Questa aggiunta rafforza l’ipotesi, già avanzata negli interventi di Marzia Faietti, di una risistemazione dei fogli e di una loro inventariazione, o razionalizzazione, fatta dall’artista in età matura, come lasciano supporre altri appunti e scritte reperibili in quantità anche su altri fogli.
La pittura di storia: il racconto delle vicende di Giulio Sabino
La prima vera impresa pittorica è di poco posteriore. Nel 1835 Muzzi partecipò all’Esposizione annuale di Sant’Ignazio presentandosi per la prima volta come pittore di storia; il soggetto prescelto era Giulio Sabino sorpreso con la moglie nel sotterraneo nel quale si era rifugiato, un episodio di storia romana non frequentemente illustrato: siamo qui di fronte alla prima, vera prova di quella “fatica della creazione” di cui si parlava in apertura, portata avanti tra guizzi vivaci e timorosi ripensamenti. Per elaborare il soggetto Muzzi preparò un bozzetto a olio (inv. 1234) che, all’epoca, non attirò commenti particolarmente entusiastici [11]M. Danieli in Pinacoteca Nazionale di Bologna 2013, p. 74..
Quattro anni più tardi tornò a riflettere sulla figura dell’eroe romano illustrando il momento dell’arresto di Giulio Sabino e della supplica della moglie, anch’essa condannata, per salvaguardare il destino dei figli (Giulio Sabino davanti a Tito). Di questo tema Muzzi fornì due versioni che, pur mantenendo il taglio orizzontale e “da palcoscenico” della scena adottato fin troppo spesso nella pittura di storia di quest’epoca, presentano sufficienti varianti da arrivare a denotare “due diverse disposizioni mentali dell’artista nell’affrontare il soggetto” [12]Faietti 1999, p. 9.. La prima versione, più dinamica, con i protagonisti divaricati al centro come i reniani Atalanta e Ippomene – senza però la capacità di reggere lo spazio vuoto in mezzo – è testimoniata da più studi sia per le singole figure che per l’insieme e da un bozzetto. La prima idea compositiva per questa versione “più dinamica” è nel foglio inv. 7265 (fig. 7) [13]Strettamente legato ad un bozzetto a olio del medesimo soggetto, inv. 1206. Entrambi pubblicati in Bologna 1999..
Figura 7: Antonio Muzzi, Arresto di Giulio Sabino (Giulio Sabino davanti a Tito), 1839, matita nera, penna, inchiostro bruno, acquerellatura su carta bianca, mm 203×270, inv. 7265 © Bologna, Pinacoteca Nazionale, Gabinetto Disegni e Stampe
In questo caso ci troviamo di fronte al Muzzi più vivace, perfino disegnatore più sciolto, con una verve narrativa che altre volte si stempererà in una compostezza più pausata e classica e che invece qui, nella forza del chiaroscuro e nella concitazione, unisce freschezza di tocco e un poco di partecipazione emotiva. L’idea è poi sviluppata in un bozzetto a olio (inv. 1206). Una variante per il torso di Giulio Sabino potrebbe essere quella dello studio inv. 7266, condotto a carboncino, sfumino e gessetto su carta azzurra, con una indagine più approfondita del busto e del panneggio che però non confluirà nel bozzetto. Uno degli studi parziali per le singole figure e almeno in parte collegati al progetto del Giulio Sabino è da individuare nel foglio inv. 7259, attribuito al Nostro, quadrettato. È possibile sia che Muzzi abbia voluto studiare la figura senza panni per una resa anatomica più corretta e poi l’abbia “vestita” con i panni di Giulio Sabino una volta sicuro delle sue proporzioni, seguendo un metodo piuttosto diffuso da secoli, ma è anche possibile che la posa, ritenuta efficace, sia stata usata più volte in varie opere. Ciò che distanzia la figura di questo foglio quadrettato dalla figura definitiva è l’espressione, uno spavento che il console ormai maturo non dimostra affatto nella redazione finale del dipinto né negli studi preparatori d’insieme. Lo stesso atteggiamento, la stessa posa delle gambe con uno slancio molto simile, ma ancora una volta senza espressione di spavento, torna in uno dei carnefici (inv. 7313) per il Martirio di Santo Stefano, poi eseguito per la chiesa parrocchiale di Pontecchio Marconi (BO), di cui si parlerà più avanti.
La seconda elaborazione del soggetto, più pausata, meno dinamica, è illustrata in un foglio completo di quadrettatura (inv. 7264, fig. 8) nel quale il preciso, verboso Muzzi ha annotato soggetto, autore e data, ed è ripresa in un secondo bozzetto ad olio (inv. 1205). Sarà questa la versione prescelta per la trasposizione su tela, quantomeno nel nucleo centrale, salvo poi mutare in un giovane in piedi quel profeta michelangiolesco assiso ai piedi di Tito nel disegno, così come variano ancora atteggiamenti e panneggi delle figure principali. Più volte vediamo Muzzi, dopo gli schizzi con più prove e più composizioni e l’approfondimento di alcuni particolari o di alcune figure, cambiare ancora idea nel passaggio fra il bozzetto, il foglio quadrettato per la trasposizione e l’opera finale, a volte a scapito di invenzioni un po’ più fresche perse poi nella compassata formalità dell’opera pittorica.
Figura 8: Antonio Muzzi, La supplica della moglie per la liberazione di Giulio Sabino, 1839, matita nera e sfumino su carta bianca, mm 444xx524, inv. 7264 © Bologna, Pinacoteca Nazionale, Gabinetto Disegni e Stampe
Non fa eccezione, come si accennava, la grande tela del Giulio Sabino. Nella sua impostazione generale, perfino nell’atteggiamento volto all’indietro di Tito, nella figura del console assiso in basso accanto all’imperatore, nelle figure all’estrema sinistra Muzzi si deve essere ricordato dell’incisione di Antonio da Trento raffigurante Il martirio di San Pietro e San Paolo condotto al martirio, elaborata dall’artista trentino negli anni in cui, a Bologna e forse già dagli anni romani, collaborava strettamente con Parmigianino. Il disegno originale del Mazzola è andato perduto ma della traduzione di Antonio da Trento si conoscono più copie: non è escluso che Muzzi l’abbia quindi potuta vedere e studiare [14]Farinelli in Parma 2003b, pp. 73-74, n. 71; A. Gnann in Parma 2003a, p. 337 n. 2.4.13 (la xilografia)..
Nella tela finale del Giulio Sabino confluiranno, fra le altre suggestioni, anche gli studi contenuti in un album miscellaneo autografo comprendente anche paesaggi e copie di opere di artisti fiorentini, appunti, idee compositive varie e perfino qualche caricatura (inv. 7327/7r), album finora mai collegato all’impresa del Giulio Sabino. L’uomo barbuto e ampiamente panneggiato del foglio 29 (fig. 9) diventerà, quasi senza varianti, il centrale Giulio Sabino, così come il foglio 28 (fig. 10) è lo studio per l’uomo alle sue spalle, il foglio 27 (fig. 11) lo studio per l’uomo parzialmente coperto a sinistra e il 26 (fig. 12) è l’esatta fonte grafica del mantello del soldato romano all’estrema sinistra. Ancora, l’uomo studiato nel foglio 30 (fig. 13) viene riportato sulla tela in secondo piano, fra Tito e il gruppo della famiglia di Giulio Sabino. Proprio questo album aiuta nella datazione più precisa della tela: sono l’iscrizione e la data di uno dei primi fogli a lasciar pensare che l’elaborazione definitiva sia avvenuta non prima del 1840, data apposta come commento al foglio numero 8, un ritrattino dell’amico Fortunato Rossi già citato sopra “fatto da Ant(oni)o Muzzi 1840”. Non sappiamo se Muzzi avesse in mente di usare anche gli altri studi di panneggio dell’album contenuti nei fogli 24-25: il dipinto finale, per motivi sconosciuti, rimase incompiuto [15]M. Danieli in Pinacoteca Nazionale di Bologna 2013, n. 66 a-c..
Figura 9: Antonio Muzzi, Studio di figura maschile in piedi con ampia veste all’antica, 1838-1840, matita e sfumino su carta bianca, mm 180×239, inv. 7327/29 © Bologna, Pinacoteca Nazionale, Gabinetto Disegni e Stampe
Figura 10: Antonio Muzzi, Studio di mantello di antico romano, 1838-1840, matita e sfumino su carta bianca, mm 180×239, inv. 7327/28 © Bologna, Pinacoteca Nazionale, Gabinetto Disegni e Stampe
Figura 11: Antonio Muzzi, Studio di mantello di antico romano (paludamentum), 1838-1840, matita e sfumino su carta bianca, mm 180×239, inv. 7327/27 © Bologna, Pinacoteca Nazionale, Gabinetto Disegni e Stampe
Figura 12:Antonio Muzzi, Studio di mantello di soldato romano (sagum), 1838-1840, matita su carta bianca, mm. 180×239, inv. 7327/26 © Bologna, Pinacoteca Nazionale, Gabinetto Disegni e Stampe
Figura 13: Antonio Muzzi, Studio di parte di figura maschile con ampio mantello, 1838-1840, carboncino, sfumino, gessetto su carta colorata, mm 180×239, inv. 7327/30 © Bologna, Pinacoteca Nazionale, Gabinetto Disegni e Stampe
Le pale d’altare: l’elaborazione di un soggetto sacro
Negli stessi anni Muzzi elaborò una pala di soggetto religioso, una Santa Filomena esposta all’Accademia bolognese fra il 4 e il 7 agosto 1839 e collocata entro il 20 dello stesso mese nella chiesa della Ss.ma Trinità di via Santo Stefano a Bologna, dove si trova tuttora (fig. 15). Le varianti ipotizzate per questo dipinto sono talmente differenti fra di loro da risultare arduo l’accostamento ad un’unica opera. Una prima idea, proposta in due varianti abbastanza dissimili fra loro, si trova in un foglio acquerellato (inv. 7298) non firmato ma attribuibile con buon margine di probabilità al Nostro. In questa composizione di taglio orizzontale vediamo una Santa in gloria, assisa su nuvole o solo circondata da angioletti, inquadrata in una lunetta. Il verso di questo foglio ospita un altro studio per le sole gambe della santa nella versione dello studio in basso.
Un approccio completamente diverso è quello raffigurato in un altro disegno, più che altro uno schizzo compositivo (inv. 7297, fig. 14) nel quale la Santa è in posizione verticale, sollevata verso il cielo dove troverà ad accoglierla un gruppo di angioletti. L’opera realizzata riprende in modo abbastanza puntuale questa seconda idea, con il taglio in verticale e la Santa in piedi; la Pinacoteca conserva due bozzetti ad olio per gli angioletti [16]M. Danieli in Pinacoteca Nazionale di Bologna 2013, p. 78. Qui si chiarisce anche l’equivoco che ha voluto la Santa Filomena presentata all’Esposizione del 1839, occorrenza di cui non si ha in realtà documentazione alcuna. Sappiamo invece che in quell’anno Muzzi presentò un Ritratto di scultore e una Fanciulla al pianoforte, quest’ultimo da identificare forse con il ritratto della contessina Canestri studiato, con poche varianti, nel foglio n. 2 dell’album miscellaneo inv. 7327..
Figura 14: Antonio Muzzi, Santa Filomena, 1839, penna e inchiostro bruno su carta avorio, mm 255×198, inv. 7297 © Bologna, Pinacoteca Nazionale, Gabinetto Disegni e Stampe
Figura 15: Antonio Muzzi, Santa Filomena, 1839, olio su tela, Bologna, chiesa della Ss.ma Trinità
Qualche anno più tardi tornò alla pittura di soggetto sacro per una commissione pubblica. L’impresa della pala con il Martirio di San Fedele da Sigmaringa per la terza cappella a destra della chiesa di San Giuseppe dei Cappuccini a Bologna (fig. 17), datata 1844, è stata preceduta da alcuni disegni con studi di figura e prove compositive. Come recita la scritta, nell’inv. 7310 Muzzi sperimenta una prima idea per la pala (fig. 16). Il pensiero compositivo, che poi verrà variato non di molto, si manifesta qui con una insolita e apprezzabile freschezza, se non nella figura del santo che è costituita da più linee grevi, ripassate, a cercare la definizione migliore, quantomeno nelle altre figure, tracciate con sicurezza di mano in una composizione affollata ma relativamente equilibrata e vivace. La Pinacoteca bolognese conserva altri studi per la stessa opera: l’inv. 7311, il 7312 ̶ due studi per la figura del carnefice di destra ̶ , il verso del foglio 7238 (con la ripresa di una parte dell’architettura) e il bozzetto inv. 1247. Curiosa l’annotazione nel foglio 7311: non è facile credere a Muzzi quando scrive “dal vero” a proposito di queste figure dalle pose statiche, pressoché identiche a quelle dell’inv. 7310 che riporta una prima idea, sempre stando alle sue indicazioni scritte, per la stessa composizione. Le figure del carnefice di destra e dell’altro, a sinistra, con il braccio davanti al busto, saranno riprese con poche varianti nell’elaborazione della pala con il Martirio di Santo Stefano per la parrocchiale di Pontecchio Marconi, circa vent’anni più tardi (1863).
Figura 16: Antonio Muzzi, Martirio di San Fedele da Sigmaringa, 1844, matita nera su carta bianca, mm 299×212, inv. 7310 © Bologna, Pinacoteca Nazionale, Gabinetto Disegni e Stampe
Figura 17: Antonio Muzzi, Martirio di San Fedele da Sigmaringa, 1844, olio su tela, Bologna, chiesa di San Giuseppe dei Cappuccini
1845 circa: il teatro, la società
Sono anni intensi per lui: nel 1845 lo vediamo attivo su più fronti e, fra le varie commissioni, lo vediamo accostarsi per la prima volta al mondo del teatro. Viene chiamato a Bagnacavallo per dipingere il sipario del teatro comunale, tuttora esistente nonostante l’estensione della tela e l’usura alla quale è sottoposta, e recentemente restaurato. Il tema era decisamente pittorico e riguardava una gloria non solo locale: si tratta de Il senatore Camillo Gozzadini presenta il giovane Girolamo da Treviso al Bagnacavallo affinché lo istruisca nell’arte della pittura. La vicenda della commissione è stata ricostruita di recente [17]Marascio 2010. e ripresa nel Catalogo generale della Pinacoteca a cui si rimanda per la bibliografia precedente. Ciò che importa sottolineare in questa sede è l’ideazione originale di Muzzi il quale propose il tema, condusse le trattative con i committenti e portò a termine la commissione in tre mesi. Lo vediamo procedere, come sottolinea Danieli nella scheda del recente catalogo generale della Pinacoteca, secondo le tappe delineate dall’Accademia: lo schizzo di composizione in più versioni (inv. 7243, non firmato né datato ma sicuramente autografo, fig. 18), l’indagine sulle singole figure (inv. 7242, con tanto di didascalie esplicative e fin troppo puntuali), i bozzetti a olio presentati alla Magistratura di Bagnacavallo perché potesse sceglierli (invv. 1227, 1226 e 7516) e infine il disegno della composizione definitiva, quadrettato (inv. 7241 r, annotato, firmato e datato nella sistemazione tarda dei suoi fogli, fig. 19) [18]M. Danieli in Pinacoteca Nazionale di Bologna 2013, pp. 85-86..
Figura 18: Antonio Muzzi, Camillo Gozzadini presenta a Bartolomeo Ramenghi il giovane Girolamo da Treviso, 1845, penna e inchiostro bruno su carta bianca, mm 220×273, inv. 7243 © Bologna, Pinacoteca Nazionale, Gabinetto Disegni e Stampe
Figura 19: Antonio Muzzi, Camillo Gozzadini presenta il giovane Girolamo da Treviso a Bartolomeo Ramenghi, 1845, matita nera su carta bianca, mm 438×576, inv. 7241r © Bologna, Pinacoteca Nazionale, Gabinetto Disegni e Stampe
Su parte del verso di quest’ultimo foglio troviamo uno schizzo assai confuso, un “torneo”, come recita la scritta, ambientato in piazza Maggiore a Bologna. Se ne comprendono meglio soggetto e occasione solo accostandolo ad un altro foglio, il 7240: quest’ultimo rappresenta una scena di torneo in abiti apparentemente rinascimentali ma il titolo, Ditirambo di Redi, indica un’opera precisa di carattere differente. Il ditirambo è un componimento nato nell’antica Grecia, dove l’azione poetica corale comprendeva musica, poesia e danza al suono di flauti e tamburi, il tutto in onore di Dioniso. Nella letteratura italiana il ditirambo è rimasto sotto forma di componimento giocoso sul tema del vino e dell’allegrezza conviviale: il più celebre fra questi componimenti è Il Bacco di Toscana, scritto dall’accademico fiorentino Francesco Redi a partire dal 1666 ma dato alle stampe a Firenze solo nel 1685. Evidentemente la giostra inscenata a Bologna, ispirata a questo scritto e ritratta da Muzzi, comprendeva varie azioni, fra le quali un torneo con uomini a cavallo, e si svolse in piazza Maggiore – o meglio, in “Piazza di S. Petronio”, come specifica la scritta – forse intorno al 1845, se dobbiamo accettare la contemporaneità dei disegni al recto e al verso del foglio citato prima il cui recto è, appunto, datato dalla commissione per Bagnacavallo. In ogni caso, lasciando in sospeso la questione della datazione degli schizzi per il Ditirambo, quest’ultimo foglio è quadrettato e, ci informa il solito puntuale Muzzi, fu “dipinto in una Villa del B(olognese) ove fece campagna/ il famoso G. Rossini”.
Tornando al 1845, anno intenso come si diceva, si registrano almeno altre tre commissioni di spessore, due private e una pubblica. Vediamo il primo intervento. Muzzi ricevette una commissione per la decorazione del soffitto della Sala dell’Abbondanza in Palazzo Spada, in via Castiglione, futura sede del Circolo della Caccia [19]A. Borgogelli in Bologna 1983, p. 109.. Lo vediamo così affrontare un soggetto leggero, profano, per il quale si poteva sentire meno legato ai formalismi ancora ritenuti necessari nella pittura di storia. Le sale occupate dal Circolo della Caccia comprendono saloni, fra i quali la sala da ballo, una libreria o biblioteca, la sala da biliardo e altri salottini decorati nell’Ottocento con ornati di carattere profano e leggero, moderne grottesche che accompagnano la visione senza attirare troppo lo sguardo. Sappiamo che Muzzi intervenne in più soffitti del palazzo lasciando immagini di un mondo pagano che interpretò, come del resto altri soggetti sia sacri che profani, con la grazia contenuta e compita tipica della sua cifra stilistica, un po’ più trattenuta rispetto alle figure di Girolamo dal Pane che campeggiano in altre stanze, ugualmente inquadrate dal tripudio di architetture dipinte da Giuseppe Manfredini. Di questa impresa e in particolare dell’unica figura di cui siamo certi – una Dea Pomona – sono testimonianza forse tre fogli, mentre altri due, spesso accostati a quest’opera, hanno forse una storia diversa. Dei primi tre fogli l’unico che le scritte riconducono con certezza ad una figura di Palazzo Spada è il 7267 (fig. 20), appunto una Dea Pomona che Zacchi cita, a ragione, fra gli studi di Muzzi di maggior interesse tra quanti sono conservati al Gabinetto Disegni e Stampe della Pinacoteca. Il foglio all’inventario successivo, 7268, è una variante rispetto a questa prima idea ma presenta sempre una divinità femminile assisa su nuvole e circondata da putti alati, il tutto inscrivibile nella stessa cornice circolare accennata nel disegno precedente. La nota “eseguito in una Volta” si ripete anche nel foglio inv. 7269 che, però, offre della divinità femminile sempre entro cornice circolare una versione differente e che ne vira il significato associando alla dea una tromba – più spesso legata alla Fama e attributo che ha poco da spartire con la dea dei frutti – e un libro.
Figura 20: Antonio Muzzi, Dea Pomona, ante 1845, penna e inchiostro bruno su carta bianca, mm 146×213, inv. 7267 © Bologna, Pinacoteca Nazionale, Gabinetto Disegni e Stampe
Se associati a questa impresa gli ultimi due fogli cui si accennava – inventari 7270 e 7271, molto simili fra loro – mostrano una figura con attributi ancora diversi, più prossimi a quelli della Musica, e sono quindi da collegare, forse, ad una commissione differente. Abbiamo visto sopra che più volte il Nostro ripensa ancora alcune soluzioni già definite perfino nei fogli quadrettati, impedendoci di collocare con certezza alcuni studi nell’ambito della genesi di un’opera precisa. È anche possibile che Muzzi, in questo caso come nel caso delle due pale con il Martirio di San Fedele da Sigmaringa e il Martirio di Santo Stefano, abbia ripreso a distanza di anni un modello e lo abbia riadattato, operazione del resto piuttosto consueta. I due fogli (7270 e 7271) potrebbero allora raccontare della genesi della decorazione centrale della sala da ballo – poi sala Rossa – di Palazzo Malvezzi, decorazione alla quale partecipò fra il 1850 e il 1854 circa. Vale la pena di parlarne qui anche se, in questo modo, si tradisce la sequenza cronologica nella presentazione delle opere, ma i pensieri collegati alle due imprese appaiono tanto simili da giustificare lo strappo.
Ma, prima di affrontare Palazzo Malvezzi, la decorazione di Palazzo Spada merita un’ultima nota. Nel soffitto della Camera Nuziale Muzzi dipinse un carro di Apollo accompagnato dalla Danza delle ore che, soprattutto nella parte superiore, è risolto in modo assai simile all’altra composizione di identico soggetto, testimoniata dall’acquarello inv. 1222 (fig. 21), a dire di Muzzi affrescata in un soffitto di Palazzo Scarani in via Galliera. Tuttavia in questo sito non c’è traccia dell’affresco, come non è citato il nome dell’artista – né di una decorazione vagamente simile – nelle carte d’archivio: rimane il mistero intorno a questo Apollo con la danza delle Ore che, qualunque fosse la prima destinazione dello studio, di fatto Muzzi riportò, limitatamente ad Apollo sul carro e ai cavalli, nel soffitto di Palazzo Spada [20]Roversi 1988, pubblicato a p. 193..
Figura 21: Antonio Muzzi, Apollo e le Ore, 1840-1860 ca., matita e acquerello su carta bianca, mm 286×438, inv. 1222 © Bologna, Pinacoteca Nazionale, Gabinetto Disegni e Stampe
Veniamo alla futura sede della Provincia di Bologna, oggi Città Metropolitana. All’inizio degli anni cinquanta i conti Malvezzi De Medici avviarono una campagna di rinnovo delle sale del palazzo di famiglia, in via Zamboni a Bologna, per la quale furono chiamati alcuni fra i più quotati pittori, ornatisti e scenografi del panorama bolognese del tempo: l’appartamento ridecorato fu inaugurato con il ballo di carnevale del febbraio 1854 [21]Gottarelli 1989, p. 189.. A Muzzi, probabilmente, toccò il decoro del soffitto della sala Rossa dell’appartamento nobile nel quale dipinse, al centro, figure femminili con strumenti musicali, mentre intorno si snoda una Danza delle ore, un tema che ben si accordava alla funzione di sala da ballo del grande ambiente. Le figure femminili dell’acquerello appena citato a proposito di Palazzo Scarani, più fresche e sciolte, non ricompaiono né in Palazzo Spada né in Palazzo Malvezzi: in entrambi i soffitti le pose convenzionali di queste fanciulle leggiadre, dipinte con una tavolozza pastello in mezzo ad una decorazione che le inquadra e in parte le soffoca, lasciano l’impressione che anche le figure siano poco più che parte dell’apparato decorativo, senza spessore, e senza disturbare. Per la decorazione, come si diceva, utilizzò, o riutilizzò, alcune idee forse appuntate per la Dea Pomona del Circolo della Caccia. I due fogli più volte citati (invv. 7270 e 7271, fig. 22) sono quadrettati e credo riconducibili più facilmente alla Danza delle ore piuttosto che a Palazzo Spada, benché poi nella versione definitiva la musa centrale, seduta su nuvole, con lira in mano, sia ancora diversa.
Figura 22: Antonio Muzzi, Dea Pomona, 1845, matita nera su carta bianca, mm 285 440, inv. 7271 r © Bologna, Pinacoteca Nazionale, Gabinetto Disegni e Stampe
Vale la pena di spendere due parole sulla commissione della decorazione di palazzo Malvezzi. Patrona dell’impresa nonché novella padrona di casa era Augusta Tanari Malvezzi, la quale sposò il conte Giovanni Luigi Malvezzi de’ Medici, uno dei patrioti del tempo più attivi nella lotta contro gli austriaci e che, date le disponibilità economiche, perorò la causa dell’Italia Unita anche con generose sovvenzioni. Ma Augusta non era nuova agli ambienti insurrezionali: la madre, Brigida Fava Ghisilieri, aveva partecipato sia ai moti del 1830-31 che alle giornate del 1848, quelle stesse che Muzzi si dovette contentare di celebrare tardivamente per non avervi potuto partecipare, come si dirà. In ogni caso le idee politiche e i salotti frequentati erano gli stessi: non deve quindi stupire il trovare il Nostro al lavoro nel palazzo. Muzzi probabilmente ritrasse Augusta Tanari e le sorelle Malvezzi de’ Medici nel celebre ritratto con Severino Bonora e tre dame al castello di Pillnitz presso Dresda, conosciuto anche come Il Racconto, del 1856 [22]A. Zacchi in Bologna 1998, n. 137.. Di questo bel ritratto di gruppo la Pinacoteca di Bologna conserva alcuni bozzetti e un foglio con due studi di composizione, il n. 7239 recto e verso, nel quale Muzzi non manca di annotare il titolo e l’appunto “eseguito grande al vero” [23]A. Zacchi in Pinacoteca Nazionale di Bologna 2013, pp. 94-94, con bibliografia precedente..
Torniamo al 1845, anno dal quale ci siamo allontanati per seguire le grandi decorazioni profane. Per concludere la scorsa delle molte opere legate a questo anno va citata la partecipazione con Angiolini e Manfredini al restauro delle pitture di Sala Farnese in Palazzo Comunale [24]Bologna 1980, p. 97. e, sempre intorno a questi anni, la commissione per la pala con Il Miracolo di S. Giacinto da Colonia in S. Domenico.
L’anno successivo segna una svolta. Antonio Muzzi nel 1846 ricevette una chiamata da San Pietroburgo per la decorazione della chiesa cattedrale di S. Isacco dove realizzò una Predica di Cristo [25]Gottarelli 1979, p. 233; qui si ipotizza che l’allontanamento del pittore da Bologna fosse anche stato suggerito da noie di carattere politico.. È possibile che il contatto per questo lavoro gli sia venuto dalla conoscenza con il pittore Fedor Antonovic Brouni, anch’egli coinvolto nella decorazione della stessa chiesa e membro onorario dell’Accademia di Bologna, ma va senz’altro inserita in una corrente di scambi fra Bologna e San Pietroburgo di lunga data. Durante questo soggiorno, durato tre anni, l’accademico bolognese ebbe modo di conoscere la pittura russa contemporanea e di esperirne l’ambiente vivace, seppe introdursi bene nell’ambiente e nell’alta società del tempo e soprattutto gli giovò la sua fama di buon ritrattista. Ricevette infatti numerose commissioni da privati ma, si lamentava in una lettera scritta a casa, si trattava perlopiù di ritratti di donne [26]Gottarelli 1979, p. 236.. In ogni caso riuscì ad esprimere, in alcune di queste prove, quel carattere che talvolta gli manca nell’ufficialità delle commesse maggiori. Poppi nel 2005 ha pubblicato un ritratto d’uomo, a matita, firmato da Muzzi e collocato dall’artista stesso, in una delle sue innumerevoli precisazioni, a San Pietroburgo [27]C. Poppi in Bologna 2005, n. 5..
Sempre al periodo russo, o di influenza degli artisti che conobbe durante il suo soggiorno a Mosca, si deve il foglio inv. 7304, anche se la destinazione fu differente. Questo foglio, come altri, presenta un disegno tracciato a pura linea, con un tratto di penna che non accenna a chiaroscuri ma definisce le forme. L’indicazione fornita dalla scritta ancora una volta è molto precisa (“Ant.o Muzzi dipinse, per una chiesa in Corfù”); secondo Marzia Faietti questa idea rispecchia scopertamente un’invenzione del russo Brjullov per la cattedrale di Cristo Salvatore a Mosca [28]Faietti 1999, p. 7..
Gli anni Cinquanta: le grandi imprese decorative
Tornato a Bologna dipinse, per Gioacchino Napoleone Pepoli, La cacciata degli Austriaci da Bologna, oggi al Museo del Risorgimento della stessa città (fig. 25). E’ un racconto di glorie risorgimentali alle quali Muzzi non partecipò, pur avendone l’animo, perché era in Russia: era tuttavia un momento di storia patria dal quale si sentiva profondamente coinvolto e ad esso tributò, una volta rientrato in Italia, un omaggio tardivo ma sentito [29]Curiose le note riportate da Gottarelli circa la mancata partecipazione di Muzzi ai moti del 48: cfr. Gottarelli 1979, p. 238.. Non scelse tuttavia di fermare sulla tela un momento di combattimento, l’assalto, o il sacrificio di un eroe, ma si fermò commosso a fissare, nel clamore della battaglia, un ricordo molto umano: quello dell’infermiera Maria Mengoli dell’ospedale Sant’Orsola che salvò il giovane Speranzino Orlandini, uno degli eroi dell’8 agosto, gravemente mutilato proprio nel combattimento della Montagnola, episodio del quale lo stesso pittore ci fornisce una descrizione. Nel dipinto le due figure sono rappresentate in controparte rispetto ai fogli invv. 7279 e 7280 (figg. 23-24) che, tuttavia, sembrano essere riprese a posteriori del dipinto più che studi preparatori. E’ possibile dunque ipotizzare, per questa e per altre veline, che Muzzi abbia ripreso in età avanzata alcuni suoi studi e li abbia fissati in veline in una sorta di album che lo aiutasse a ricostruire e ordinare le fasi di una carriera estremamente prolifica, magari in contemporanea rispetto all’apposizione delle scritte già indicate come tarde [30]Faietti 1999, p. 7..
Figura 23: Antonio Muzzi, Maria Mengoli salva il giovane Speranzino Orlandini (per La battaglia della Montagnola), 1849, penna e inchiostro bruno su carta velina, mm 160×119, inv. 7279 © Bologna, Pinacoteca Nazionale, Gabinetto Disegni e Stampe
Figura 24: Antonio Muzzi, Maria Mengoli salva il giovane Speranzino Orlandini (per La battaglia della Montagnola), 1849, matita nera, penna e inchiostro bruno su carta velina, mm 151×136, inv. 7280 © Bologna, Pinacoteca Nazionale, Gabinetto Disegni e Stampe
Figura 25: Antonio Muzzi, La cacciata degli Austriaci da Bologna (La battaglia della Montagnola), 1849, olio su tela © Bologna, Museo Civico del Risorgimento
Santa Maria della Carità
Nel 1851, nonostante le sue scoperte idee rivoluzionarie, ottenne un altro lavoro da committenti ecclesiastici. Nella chiesa di Santa Maria della Carità affrescò insieme a Giuseppe Manfredini la volta del presbiterio con i Quattro Evangelisti – negli spicchi della crociera – e un Dio Padre benedicente. La volta è andata perduta per cause belliche ma rimangono gli studi preparatori: i bozzetti per i quattro Evangelisti sono conservati nella raccolta privata Tosi, a Bologna [31]Pubblicati da Gottarelli 1979, pp. 238-239., mentre alla Pinacoteca Nazionale appartiene l’inv. 7306 (fig. 26). Nello schedone del Gabinetto Disegni e Stampe il soggetto è indicato come “Cristo Pantocratore”: se il colore dei capelli e della barba fanno pensare ad una figura più giovane rispetto alla consueta rappresentazione di Dio Padre anziano, e la mano benedicente è in comune fra Cristo Pantocratore nell’iconografia elaborata dalla tradizione bizantina e Dio Padre benedicente nell’iconografia occidentale, tuttavia l’impostazione della figura, la sua superiorità rispetto al globo e l’atteggiamento non lasciano dubbi sulla lettura del soggetto [32]Lavorò all’impresa anche con Giulio Benfenati, anche se non è nota la spartizione di responsabilità fra gli artisti. Complessivamente ricevettero per la loro opera 185 scudi. Archivio Parrocchiale Santa Maria della Carità, cart. 21 fasc. 48, cit. da Tassinari Clò 1991, p. 67 e nota 5 p. 82.. Forse a questa decorazione può essere associato il bozzetto inv. 32465 (fig. 27), pubblicato da Danieli dubitativamente fra gli studi per il Martirio di Santo Stefano per Pontecchio Marconi sulla base di una scritta apposta sul retro che, tuttavia, lascia allo stesso studioso non poche perplessità sia di autografia sia di circostanza. La figura, inoltre, è inscritta in una cornice tonda che, se associata alla pala appena citata, non ha ragion d’essere, ma può ritrovare il suo senso se associata al disegno inv. 7306 dove, con le consuete varianti, abbiamo la stessa figura.
Figura 26: Antonio Muzzi, Dio Padre benedicente, 1851, matita, penna, inchiostro bruno e acquerello su carta beige, mm 246×302, inv. 7306 © Bologna, Pinacoteca Nazionale, Gabinetto Disegni e Stampe
Figura 27: Antonio Muzzi, Dio Padre benedicente, 1851 (?), olio su tela, diametro cm 43, inv. 32465 © Bologna, Pinacoteca Nazionale
Vent’anni più tardi, nel 1871, in occasione della decennale eucaristica, Muzzi fu di nuovo chiamato dai fabbricieri della stessa chiesa di via San Felice per un “dipinto di figura” non meglio specificato nelle carte d’archivio, per il quale ricevette 2000 lire. Nella stessa occasione lavorerà per la chiesa “per pittura d’ornato e decorazione” Luigi Samoggia [33]Archivio parrocchiale di S. Maria della Carità, cart. 22 fasc. 51; Archivio Arcivescovile Bologna, Congregazione Consultiva, anno 1870, n. 263, citt. da O. Tassinari Clò 1991, p. 68 e nota 7 p. 82.. In realtà Muzzi in questa occasione dipinse la Fede e la Speranza sulle volte delle due cappelle laterali e, sull’arcone che immette al presbiterio, la Carità, completando la decorazione con una Vergine Assunta al centro della navata. Non vi sono disegni ricollegabili con certezza a questa seconda fase della decorazione, mentre i tre bozzetti ad olio facenti parte della collezione della Pinacoteca sono stati pubblicati e commentati nel Catalogo Generale, al quale si rimanda [34]M. Danieli in Pinacoteca Nazionale di Bologna 2013, pp. 109-110..
Il Teatro Comunale di Bologna
Alla metà degli anni cinquanta risale una delle imprese più faticose e deludenti di Muzzi, la decorazione del plafond del Teatro Comunale di Bologna: un impegno profondo, un legame non riuscito con il decoratore Giuseppe Badiali e, in ultima istanza, un bruciante fiasco professionale. La storia è nota. Il teatro fu decorato una prima volta in occasione dei primi interventi di restauro, occorsi fra il 1828 e il 1830, da Pietro Fancelli e Mauro Berti, mentre il sipario fu dipinto da Napoleone Angiolini e da allievi della scuola dei Gandolfi con il Trionfo di Felsina e numerose divinità, le Allegorie delle belle Arti e un leone. I problemi strutturali che affliggevano la costruzione bibienesca resero però necessario un secondo intervento di restauro, attuato fra il 1853 e il 1854 e vincolato dall’opinione pubblica che voleva salvare tutto il possibile dell’impostazione originale. Quando fu la volta della scelta degli artisti per ridecorare il plafond il direttore dei lavori, Claudio Parmeggiani, affidò l’incarico a Muzzi e a Giuseppe Badiali imponendo loro di muoversi sulla falsariga della decorazione precedente e confidando nella pregressa esperienza di entrambi nel campo delle decorazioni teatrali: “…Si tornò sulle pitture della volta, per la quale Giuseppe Badiali ideò una ricca decorazione prospettica, in cui erano inserite le figure a grisaglia e a colori di Antonio Muzzi” [35]Bergamini 1966, p. 99., Possiamo avere un’idea dell’intera decorazione grazie ai quattro bozzetti a tempera per le figure delle Arti (invv. 1216, 1217, 1218, 32464 [36]M. Danieli in Pinacoteca Nazionale di Bologna 2013, pp. 91-92.) e all’acquerello inv. 1272. A margine di questo grande foglio Muzzi, in uno scritto dal sapore amaro, appunta: “Con questo acquerello ho voluto significare il modo d’esecuzione desiderato da me Antonio Muzzi fino dall’anno 1853 quando il pittore Giuseppe Badiali progettò questa buona invenzione al Comune di Bologna. Egli poscia l’eseguì nel 1854 con un effetto inverso, talché non lega colle lucide tinte e colle dorature sì delle pareti che della Bocca d’Opera del Teatro medesimo” [37]Bergamini 1966, p. 99; Faietti 1999, pp. 7-8, M. Cavalli in Faietti 2003, n. 72.. La decorazione non fu soddisfacente né per Muzzi stesso né per i committenti e fu sostituita, pochi anni dopo, dall’opera di Busi e Samoggia, tuttora visibile anche se molto rovinata [38]Per gli splendidi disegni preparatori di Luigi Busi, alla cui opera grafica si spera di poter dedicare a breve uno studio approfondito, si veda senz’altro A. Mazza in Bologna 1998, pp. 382-385 e Faietti 2003, n. 76: si tratta degli invv. n. 1851, 1852, 1853, 1854, 4489..
Proprio grazie a questo acquerello, minuto e preciso, è stato possibile accostare all’impresa decorativa una nutrita serie di studi preparatori: sono i disegni dal numero inv. 7198 al n. inv. 7205, segnalati fino ad ora semplicemente come studi di nudo a carboncino (sono in realtà a matita) e corrispondono alle figure appoggiate alle mensole a margine del grande oculo centrale (figg. 28-29). Curioso il montaggio su telaio effettuato con ogni probabilità prima del disegno dato che la carta risulta tuttora tesa come se fosse stata inumidita, incollata al telaio e lasciata asciugare prima di procedere con il disegno. Il GDS della Pinacoteca bolognese conserva anche alcuni cartoni a grandezza naturale per gli ignudi e altre figure, ma lo stato di conservazione non ottimale non ne consente al momento una riproduzione né tantomeno uno studio [39]M. Danieli in Pinacoteca Nazionale di Bologna 2013, pp. 91-92.. A margine non si può non notare che la Musica torna ad essere, in parte, la Dea Pomona ma, soprattutto, la stessa Musica nella Danza delle ore della sala da ballo di Palazzo Malvezzi, con la quale condivide la posa delle gambe.
Figura 28: Antonio Muzzi, Nudo femminile semisdraiato su mensola ricurva, 1854, matita nera e carboncino su carta avorio, mm 304×460, inv. 7202 © Bologna, Pinacoteca Nazionale, Gabinetto Disegni e Stampe
Figura 29: Antonio Muzzi, Nudo maschile semisdraiato su mensola ricurva, 1854, matita nera e carboncino su carta avorio, mm 306×462, inv. 7204 © Bologna, Pinacoteca Nazionale, Gabinetto Disegni e Stampe
Due Martiri cristiani nell’Anfiteatro
Qualche anno più tardi Muzzi tornò al confronto con le opere letterarie. È datato 1858 il dipinto Due martiri cristiani nell’anfiteatro, presentato all’Esposizione della Società Protettrice di Belle Arti. Il foglio inv. 7308r (fig. 30) è il primo studio per la composizione, così commentato: “Primo pensiero. Padre e figlia cristiani condannati ad essere divorati dalle Belve nello Anfiteatro”. Il soggetto rivela aperture verso culture d’oltralpe che gettano nuova luce sui contatti e sulle sue fonti [40]Faietti 1999, p. 7.: ispirato all’opera Les Martyrs di Chateaubriand, il pittore bolognese ne reinterpreta le due figure raccontandole come padre e figlia anche se, nel racconto francese pubblicato nel 1809, Eudoro e Cimodocea sono in realtà due amanti. Una versione “moralizzata” del racconto che, in Muzzi, non deve sorprendere. Si vedano per confronto lo schizzo al verso dello stesso foglio (fig. 31), meglio risolto per la disposizione a piramide delle due figure che, così sistemate, occupano tridimensionalmente lo spazio, e il disegno 7309, nel quale la figura della figlia, in particolare, richiama il pathos della statuaria ellenistica. Per la figura del padre invece non è escluso che si sia ricordato dei disegni per il giovanile Giulio Sabino. Completano gli studi intorno al dipinto in esame i bozzetti inv. 1229, 1230, 1231 [41]M. Danieli in Pinacoteca Nazionale di Bologna 2013, p. 100.. Il dipinto fu acquistato dalla Società Protettrice nello stesso 1858 e poi ceduto al socio Luigi Ballerini [42]M. Faietti in Bologna 1999, p. 7.; di qui se ne persero le tracce.
Figura 30: Antonio Muzzi, Due martiri cristiani e una belva, 1858, matita, penna e inchiostro bruno su carta bianca, mm 286×221, inv. 7308r © Bologna, Pinacoteca Nazionale, Gabinetto Disegni e Stampe
Figura 31: Antonio Muzzi, Due martiri cristiani, 1858, matita su carta bianca, mm 286×221, inv. 7308v © Bologna, Pinacoteca Nazionale, Gabinetto Disegni e Stampe
Santi Bartolomeo e Gaetano
Nel corso dell’intero sesto decennio del secolo Muzzi fu impegnato, oltre che nelle opere appena illustrate, in un’altra grande impresa ancora una volta di carattere sacro. E’ databile agli anni fra il 1850 e il 1859 circa l’impegnativa decorazione realizzata nella chiesa dei Santi Bartolomeo e Gaetano, sotto le due torri, dove intervenne in due cappelle [43]Zacchi 1999, p. 14; M. Danieli in Pinacoteca Nazionale di Bologna 2013, pp. 111-112.. Nella seconda cappella a destra affrescò un San Carlo Borromeo orante e, nei pennacchi della volta della piccola cupola antistante, le Quattro Virtù Cardinali; nella sesta cappella, a destra dell’altare maggiore, dipinse due lunette con la Deposizione e Le Marie al sepolcro, oltre ai due angeli con gli strumenti della Passione nei pilastri d’ingresso. L’intera impresa, ampiamente documentata da disegni anche di buona qualità, studi, schizzi e cartoni da spolvero, fu condotta con la collaborazione del decoratore Giuseppe Ravegnani.
Il foglio inv. 7334 (fig. 32) è lo studio, quadrettato, per la figura di San Carlo affrescata nella volta della seconda cappella quasi senza varianti. Delle quattro Virtù Cardinali – Prudenza, Giustizia, Fortezza e Temperanza – abbiamo i disegni e tre dei quattro cartoni da spolvero [44]Inv. 7338 (Fortezza); invv. 7339 e 7340 (Temperanza, con il cartone da spolvero); invv. 7341 e 7342 (Prudenza, con relativo cartone) e invv. 7343 e 7344 (Giustizia, con il cartone).. Non ci sono, o non sono ancora stati riconosciuti, bozzetti a olio relativi a questa cappella, mentre sono relativamente numerosi i disegni e i bozzetti per la cappella a destra dell’altare maggiore, oltre ai cartoni da spolvero che si spera possano essere presto oggetto di un restauro.
Figura 32: Antonio Muzzi, San Carlo Borromeo, 1850 ca., carboncino, sfumino e gessetto su carta da spolvero, mm 821×1144, inv. 7334 © Bologna, Pinacoteca Nazionale, Gabinetto Disegni e Stampe
Vediamo le due lunette a partire dalla Deposizione. La genesi dell’idea è forse da rintracciare nel disegno acquerellato inv. 1243 (fig. 33), un “pensiero per un Gesù Morto da fare in S. Bartolomeo”, come recita la scritta autografa. L’idea viene ripresa quasi puntualmente in un altro foglio, l’inv. 1261, che presenta sul verso un disegno (fig. 34) e sul recto un bozzetto della stessa composizione in controparte, con poche varianti (fig. 35). Dovette considerare migliore questa seconda possibilità, con la Madonna a sinistra anziché a destra, perché tornò a studiarla aggiungendo o togliendo personaggi. Lo studio del nucleo centrale fu approfondito in un disegno delle due sole figure principali (inv. 7337, fig. 36), atteggiate come in una Pietà: qui tuttavia la Madonna diventa una berniniana Santa Teresa, ben disegnata, con passaggi tecnici di grande qualità che tuttavia non riescono ad eliminare l’impressione di una figura compiaciuta e di maniera, mentre la posa sollevata della mano sinistra di Cristo presuppone comunque un’altra presenza non definita. La stessa impostazione torna infatti nel bozzetto inv. 1260, nel quale la Maddalena, già china a baciare un lembo del sudario, si alza e si pone alle spalle del gruppo (figura approfondita nel foglio inv. 7335) mentre il suo posto viene preso da un San Giovanni Evangelista che regge un lembo del sudario (inv. 7336): sarà questa la versione approvata e dipinta in uno spazio in cui, inaspettatamente, le figure risultano sovradimensionate rispetto all’area loro assegnata, diventando imponenti e un poco soffocate.
Figura 33: Antonio Muzzi, Cristo morto con la Madonna e Santa Maria Maddalena dolenti, 1859 ca., matita, penna, inchiostro bruno, acquerellatura su carta bianca, mm 248×382, inv. 1243 © Bologna, Pinacoteca Nazionale, Gabinetto Disegni e Stampe
Figura 34: Antonio Muzzi, Compianto su Cristo morto, 1859 ca., matita, inchiostro bruno, acquerellature su cartoncino avorio, mm 239×366, inv. 1261v © Bologna, Pinacoteca Nazionale, Gabinetto Disegni e Stampe
Figura 35: Antonio Muzzi, Compianto su Cristo morto, 1859 ca., pittura a olio e a tempera su cartoncino avorio, mm 239×366, inv. 1261r © Bologna, Pinacoteca Nazionale, Gabinetto Disegni e Stampe
Figura 36: Antonio Muzzi, Pietà, 1859 ca., matita, carboncino, gessetto e sfumino su carta da spolvero, inv. 7337 © Bologna, Pinacoteca Nazionale, Gabinetto Disegni e Stampe
Interessanti anche gli studi per l’altra lunetta con le Marie al sepolcro. Questa volta l’idea per l’insieme è da rintracciare in due bozzetti, gli inv. 1241 e 1242r, ai quali sono da collegare il disegno per la Maddalena inginocchiata davanti ai gradini del sepolcro (inv. 7333, di ottima tecnica, fig. 37) e il cartone da spolvero inv. 7345 (fig. 38), per la Maria inginocchiata a sinistra. Per comprendere la collocazione della figura di questo cartone è d’aiuto il bozzetto inv. 1242: la figura è una delle Marie recatesi al sepolcro e accanto a lei, in piedi, la Vergine la consola e si rivolge alla Maddalena, di fronte a loro, a destra della composizione. Nella resa pittorica le figure, abbigliate con stoffe da tavolozza manieristica, abitano una composizione di buon respiro ed equilibrio, forse una delle migliori di Muzzi nonostante la posizione molto in alto non permetta di apprezzarla appieno.
Non meno documentati sono i due angeli con i simboli della Passione, eseguiti nel piatto dell’arco d’accesso alla stessa cappella, delineati nei fogli invv. 7330 e 7331 e tradotti dal cartone da spolvero relativo a quest’ultimo, inv. 7332.
Figura 37: Antonio Muzzi, Studio per una Maria al sepolcro, 1859 ca., matita, carboncino, gessetto e sfumino su carta da spolvero, inv. 7333 © Bologna, Pinacoteca Nazionale, Gabinetto Disegni e Stampe
Figura 38: Antonio Muzzi, Figura inginocchiata, a mezzo busto, a mani giunte (Maria al sepolcro), 1859 ca., carboncino, sfumino e pittura a tempera su carta da spolvero, mm 1143×814, inv. 7345 © Bologna, Pinacoteca Nazionale, Gabinetto Disegni e Stampe
Gli anni Sessanta: luci e ombre di un mondo che cambia
È tempo di rivolgere l’attenzione alla seconda grande impresa decorativa di Muzzi di breve durata, realizzata in uno degli anni più difficili della sua carriera, il 1861: in quell’anno fu avviato il nuovo progetto di decorazione del plafond del Teatro Comunale, impresa di cui si è già detto, e in quello stesso anno in Nostro fu fortemente criticato per gli apparati funebri per la morte di Cavour, realizzati con risultati deludenti e con molta spesa. L’impresa a cui attese con il consueto impegno fu la decorazione della prima stazione ferroviaria di Bologna, realizzata su progetto dell’Ingegner Lagout dell’École Polytechnique di Parigi e dedicata a Robert Fulton, ingegnere statunitense. Questa prima costruzione verrà abbattuta già nel 1876 per far posto alla stazione attuale, progettata da Gaetano Ratti. Ancora una volta dunque Muzzi si trovò a fronteggiare un incarico pubblico realizzando una decorazione di grande scala destinata a scomparire nel giro di pochissimi anni e della quale abbiamo testimonianza grazie a tre disegni – di cui due d’insieme – e due cartoni da spolvero di grandi dimensioni.
Il foglio 7272 (fig. 39), quadrettato, completo di didascalie, annotato e firmato, ci racconta della scena principale nella quale è protagonista lo stesso Fulton (il “primo che applicò il vapore alle navi”, spiega il pittore) seduto sulle nuvole come una divinità, affiancato da Mercurio in volo (“dio del Commercio” racconta Muzzi, giustificandone la presenza) e dall’Abbondanza (“che è conseguenza immediata della meccanica”). Mercurio è studiato nella sua posa pressoché definitiva nell’inv. 7274. La scritta a corredo di questo Mercurio in volo ci racconta altri particolari interessanti: è il ritratto dal vivo di un giovane, ma questo ricordo fu fissato nella scritta di Muzzi anni dopo: l’uso dei verbi al passato – facea parte, rappresentava – racconta che l’operazione di riordino dei numerosissimi materiali grafici di una vita operosa comprese anche, come in questo caso, l’annotazione senza vittimismo di un’opera perduta.
Figura 39: Antonio Muzzi, Figure mitologiche e allegoriche intorno ad un personaggio storico, 1861, matita nera su carta bianca, mm 323×451, inv. 7272 © Bologna, Pinacoteca Nazionale, Gabinetto Disegni e Stampe
L’Abbondanza invece riprende un bozzetto sciolto, finalmente libero e sensuale, nel quale la figura femminile è inclusa in un cerchio di luce e affiancata da un putto che l’aiuta a reggere una brocca. Benché destinata alla Villa già da Bagnano, ora Masetti, a Vinci, questa bella Abbondanza in volo è davvero parente stretta della figura che accompagna la gloria di Fulton. L’insieme della decorazione e delle scelte definitive per le figure si trova nei due grandi cartoni da spolvero, il n. 7353 – con Fulton, un putto e l’Abbondanza – e il 7354, con Mercurio (figg. 40-41). I due cartoni hanno forma decisamente irregolare. Mancano altre parti, forse sforbiciate già al tempo dallo stesso Muzzi in quanto non comprendenti parti essenziali: considerando le dimensioni dei due cartoni è possibile che il disegno per lo spolvero sia stato eseguito su un unico cartone molto grande tagliato per essere gestibile già in fase di riporto.
Figura 40: Antonio Muzzi, Figure mitologiche e allegoriche intorno ad un personaggio storico, 1861, carboncino su carta da spolvero, mm 1700×1600 massimo, inv. 7353 © Bologna, Pinacoteca Nazionale, Gabinetto Disegni e Stampe
Figura 41: Antonio Muzzi, Mercurio, 1861, carboncino e pittura a tempera su carta da spolvero, mm 1650×1600 massimo, inv. 7354 © Bologna, Pinacoteca Nazionale, Gabinetto Disegni e Stampe
Forse legati all’impresa sono anche altri due disegni: il primo per tematica, il secondo solo come possibilità. Il foglio 7273 (fig. 42) non si riferisce esplicitamente all’impresa della stazione Fulton ma più genericamente ad una decorazione di carattere profano posta in un soffitto, un po’ anomala se pensata in una villa privata, forse più coerente con una stazione dedicata ad un ingegnere (“putti che portano un lume a gaz posto nel soffitto”), anche se non ci sono prove e, come si è detto, la storia ci ha privato presto del riscontro in loco. A questo disegno corrisponde un cartone quadrettato, recentemente restaurato, nel quale Muzzi puntò l’attenzione sullo studio del panneggio della figura alata principale, a destra (inv. 31747, fig. 43). Il secondo disegno invece è lo studio preparatorio per una figura di puttino per il quale, ugualmente, non si hanno riferimenti precisi (inv. 7275). Stavolta a dare una indicazione, quantomeno di cronologia, è la carta: la filigrana tagliata è la stessa – pare perfino lo stesso grande foglio tagliato – dell’inv. 7273 appena citato.
Figura 42: Antonio Muzzi, Putti che reggono un festone, 1861 ca., matita, penna e inchiostro bruno su carta quadrettata, mm 324×347, inv. 7273 © Bologna, Pinacoteca Nazionale, Gabinetto Disegni e Stampe
Figura 43: Antonio Muzzi, Putti che reggono un festone, 1861 ca., carboncino e gessetto su cartone, inv. 31747 © Bologna, Pinacoteca Nazionale, Gabinetto Disegni e Stampe
Nello stesso anno Muzzi tornò al teatro. Aveva continuato a lavorare come scenografo, e nel 1861 ricevette la commissione per la decorazione di un altro sipario, questa volta per il nascente teatro Comunale di Cento. Il tema scelto dalla commissione fu La regina Cristina di Svezia visita il Guercino nel suo studio di Bologna, episodio non riportato nello specifico dalle cronache seicentesche ma adatto ad una composizione di grande formato. Muzzi, con la narrativa pausata che lo contraddistingue, ne elaborò una versione poco concitata ma densa, atta ad essere trasposta su una tela di dimensioni notevoli. Tuttavia lui stesso, o la commissione, dovettero considerare il soggetto un po’ troppo complesso per la percezione comune al punto che, nell’ansia didascalica che lo contraddistingue, sentì la necessità – o fu invitato a sentirla – di stampare un libretto esplicativo. La Pinacoteca Nazionale di Bologna conserva il bozzetto completo (inv. 7469) presentato ai committenti e numerosi altri piccoli bozzetti ad olio di particolari della scena oltre ai cartoni relativi, ancora una volta un insieme di documenti visivi utilissimi per lo studio dell’opera di Muzzi e delle sue modalità di costruzione di una composizione. Questo materiale grafico è stato ampiamente illustrato e studiato da Elena Rossoni in occasione del restauro del sipario e da Michele Danieli nel Catalogo della Pinacoteca del 2013; si rimanda senz’altro a questi testi [45]Rossoni 2007; M. Danieli in Pinacoteca Nazionale di Bologna 2013, pp. 103-105.. Non si conoscono disegni relativi all’impresa se non il riutilizzo di alcuni studi giovanili sui gessi dell’Accademia, inseriti come materiale sullo sfondo dello studio del Guercino.
Compiuta la grande tela, Muzzi pose mano al Martirio di Santo Stefano commissionato dalla chiesa parrocchiale di Pontecchio Marconi nel 1863, opera cui si è già accennato a proposito della pala con il Martirio di San Fedele da Sigmaringa. Ancora una volta possiamo seguire la genesi dell’opera ma, questa volta, abbiamo solo studi d’insieme e bozzetti a olio (inv. 1249, 1244, 1245, 1246). Il bel foglio ad acquerello inv. 7313 (fig. 44) costituisce la prima idea compositiva, come recita l’iscrizione autografa. Qui si fa riferimento anche ad un foglio conservato “nello scatolone 8” che porta sul verso “Studio del Padre Eterno nella Gloria del Martirio di S. Stefano […]”, ma è difficile dire se si tratti del Dio Padre benedicente pubblicato da Danieli (inv. 32465) e più volte riutilizzato o se si tratti di un altro studio perduto. Marzia Faietti, nell’illustrare alcune caratteristiche dell’operato di Muzzi, cita la genesi di questa pala d’altare come una delle soluzioni più interessanti studiate da Muzzi per gestire le composizioni con più figure: nel cartone traforato, preparatorio per la pala, compaiono figure ritagliate in cartone e sovrapposte alla prima versione dipinta per modificare l’idea di partenza: in questo modo Muzzi si era lasciato fino all’ultimo la possibilità di studiare la soluzione più adatta prima della stesura definitiva sulla tela [46]Faietti 1999, p. 8.. La stessa idea torna nell’inv. 7316 (fig. 45), denso di citazioni dall’arte del Rinascimento: la postura dell’uomo in piedi di spalle, sulla destra, è di decisa memoria cinquecentesca, almeno quanto l’altro uomo chino a prendere il masso da terra all’estrema destra della composizione, in un atteggiamento che deriva almeno dalle pale del Quattrocento emiliano e centro italiano. A questo punto però Muzzi cambia idea e la tratteggia nel foglio inv. 7315 (fig. 46), a matita e penna, un abbozzo sciolto e fluido nel quale sposta il Santo orientandolo nell’altro verso, elimina le figure di Dio Padre e di Cristo che si affacciano dalle nuvole sostituendoli con puttini e abbozza i carnefici. Riconosciamo il soggetto solo grazie al grande masso sollevato con fatica dall’uomo in piedi a destra, per il resto è davvero poco più che un’idea. Sarà tuttavia questa l’impostazione della pala finale (fig. 47), per giungere alla quale però saranno necessari ancora molti passaggi – di cui non abbiamo testimonianza – e l’esclusione di numerose figure.
Figura 44: Antonio Muzzi, Martirio di Santo Stefano, 1863, matita, penna, inchiostro bruno, acquerellatura e biacca su carta bianca, mm 504×367, inv. 7313 © Bologna, Pinacoteca Nazionale, Gabinetto Disegni e Stampe
Figura 45: Antonio Muzzi, Martirio di Santo Stefano, 1863, matita nera, penna, inchiostro bruno su carta velina, mm 378×281, inv. 7316 © Bologna, Pinacoteca Nazionale, Gabinetto Disegni e Stampe
Figura 46: Antonio Muzzi, Martirio di Santo Stefano, 1863, matita, penna e inchiostro bruno su carta bianca, mm 283×220, inv. 7315 © Bologna, Pinacoteca Nazionale, Gabinetto Disegni e Stampe
Figura 47: Antonio Muzzi, Martirio di Santo Stefano, 1863, olio su tela, Pontecchio Marconi, chiesa di Santo Stefano
I tempi cambiavano. È giunto il momento di collocare l’espediente dell’autoritratto fotografico nei panni di Michelangelo, citato in apertura, accanto ad un grande cartone, purtroppo frammentario (inv. 7350), compiuto nel 1867 per il dipinto che rappresenta Michelangelo in atto di studiare il disegno delle fortificazioni di San Miniato, oggi alle Collezioni d’Arte Moderna di Bologna. La tela fu commissionata dal marchese Luigi Pizzardi nell’ambito dell’allestimento del Salone del Risorgimento. Per esso Pizzardi volle otto dipinti raffiguranti uomini illustri del presente e del passato, coinvolgendo nell’impresa le migliori risorse artistiche della Bologna del tempo (Guardassoni, Puccinelli, Busi): un’occasione, per gli artisti, di confrontarsi fra loro alle soglie di una nuova era [47]I dipinti sono esposti da qualche anno in un salone di palazzo Pizzardi. Ringrazio Gian Piero Cammarota per la segnalazione..
Come si diceva in apertura, Antonio Muzzi non si adattò mai fino in fondo ai tempi cambiati. Per la sua ultima impresa di spessore, il dipinto con Roma Intangibile presentato all’Esposizione internazionale del 1888 e oggi conservato all’Accademia di Belle Arti, prese a modello dopo qualche ripensamento “una […] robusta popolana, un’autentica trasteverina” [48]Faietti 1999, p. 10. che lo aiutasse a raccontare il fervore patriottico che l’aveva sempre contraddistinto, accompagnandolo negli alti e bassi di una carriera che, nella sua fatica creativa, nei suoi infiniti ripensamenti, nei guizzi della grafica come nell’ansia del riordino, fu comunque densa e duratura.
Note
Bibliografia
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Parmigianino tradotto. La fortuna di Francesco Mazzola nelle stampe di riproduzione fra il Cinquecento e l’Ottocento, catalogo della mostra a cura di M. Mussini e G. M. De Rubeis (Parma 2003), Cinisello Balsamo, 2003.
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