Il carattere ludico e dissacratorio degli alfabeti ‘a grottesche’
Il carattere ludico e dissacratorio degli alfabeti ‘a grottesche’
Questo breve scritto si pone come prosecuzione di un più ampio studio da me condotto sugli alfabeti ornamentali, [1]L’argomento è stato oggetto della mia tesi di laurea specialistica, Gli alfabeti antropomorfi nel Tardogotico: iconografia e applicazioni. Studi circoscritti hanno trovato spazio su alcune riviste: Butera 2011, pp. 57-68; Ead. 2013, pp. 51-66, Ead. 2014 p. 17-21. un vero e proprio genere che, con tecniche, stili e soggetti differenti, dal XV secolo giunge fino alla contemporaneità, e di cui il Gabinetto Disegni e Stampe della Pinacoteca Nazionale di Bologna è eccezionale testimone, poiché custode di preziosi esemplari di difficile reperibilità, soprattutto in Italia. [2]Ringrazio Fabrizio Lollini e Daniele Guernelli per le indicazioni e i preziosi suggerimenti. Uno speciale ringraziamento va a Elena Rossoni, direttrice della Pinacoteca Nazionale di Bologna, che mi ha seguito durante il tirocinio formativo, in cui ho avuto l’occasione di consultare il materiale oggetto di questo studio. Ringrazio infine Emilia Calbi per la scrupolosa revisione del mio lavoro.
Le tipologie degli alfabeti figurati sono molteplici, compresi entro una casistica che va dagli alfabeti zoo-antropomorfi del Tardogotico, agli esemplari costruiti nello scrupoloso rispetto delle regole geometriche di proporzione, codificate dalla trattatistica rinascimentale. L’attenzione di questo contributo si concentra tuttavia su un’altra variante, quella dell’alfabeto ‘a grottesche’, per utilizzare una terminologia specifica della storia dell’arte, avendo come oggetto di studio due esemplari particolarmente interessanti, in primo luogo perché poco studiati (in un caso si tratta in sostanza di un inedito), in secondo luogo perché permettono considerazioni più articolate sul loro contesto di realizzazione e su ambiti in cui si riscontrano soluzioni affini.
Il primo alfabeto è un esemplare inciso a bulino e datato 1546 (fig. 1). [3]Bologna, Pinacoteca Nazionale, Gabinetto Disegni e Stampe, inv. PN 21853, bulino, mm 222x363. La data compare su un cartiglio accanto alla lettera Z.
Figura 1: Meister VPR, Alfabeto grottesco, 1546, bulino, mm 222×363, inv. PN 21853 © Bologna, Pinacoteca Nazionale, Gabinetto Disegni e Stampe
Le ventiquattro lettere in caratteri maiuscoli presentano proporzioni classicheggianti e sono costituite da eleganti intrecci, che richiamano lo stile delle ‘moresche’. [4]Questa tipologia avrà successo anche in Italia: il calligrafo milanese Giovan Francesco Cresci, chiamato nel 1552 da Pio IV alla Biblioteca Vaticana, come scrittore della Cappella Sistina nel 1560, ne inserirà esemplari simili nell’opera Il perfetto scrittore (1570), inciso da Andrea Mareri. Cfr. Nardella Petrucci 1984. Con questo termine ci si riferisce a decorazioni geometriche, introdotte in occidente dai ‘Mori’, costituite da linee che si dispongono con ritmo elegante e regolare in complicati intrecci, di largo uso soprattutto nel ricamo. Non a caso, presentano analogie con gli intrecci del nostro alfabeto i disegni del manuale di Giovanni Antonio Tagliente con modelli di cucito e ricamo, [5]Parigi 1999, p. 75. redatto nel 1527 e pubblicato a Venezia da Giovanniantonio di Nicolino da Sabio e fratelli [6]Tagliente 1527. e riedito da Nicolò d’Aristotile de’ Rossi, detto lo Zoppino (fig. 2). [7]Tagliente 1529, c. A vii r.
Figura 2: Giovanni Antonio Tagliente, Esemplario di lauori, doue le tenere fanciulle & altre donne nobile potranno facilmente imparare il modo & ordine di lauorare, cusire, raccamare, Venezia, Zoppino, 1529, coll. Alfa.Z.6.27, inv. alfa.z.6.27, c. A vii r © Modena, Biblioteca Estense Universitaria (su concessione del Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo)
In Italia era proprio Venezia, grazie al ruolo primario del suo porto per gli sbarchi di manufatti provenienti dal Medio e Vicino-Oriente e grazie all’eccellenza del suo mercato editoriale, a essere il canale privilegiato per la diffusione di queste decorazioni attraverso disegni stampati su libri di modelli. Il successo delle decorazioni di ispirazione orientale non ha delimitazioni geografiche, tanto che sarà sancito dal volume di Francesco Pellegrino, edito a Parigi nello stesso anno, La fleur de la science de Pourtraicture. Patrons de Broderie facon arabique et ytalique par Francesque Pellegrin 1530, di cui parleremo brevemente più avanti.
Tornando all’alfabeto, ciò che lo rende incredibilmente originale e affascinante è la ricchezza del repertorio decorativo che fa da sfondo, cornice e oggetto della rappresentazione. Figure grottesche s’insinuano in ogni interstizio, fra le lettere e al loro interno. Satiri, erme, vasi da cui spuntano frutti e mascheroni rimandano al vocabolario iconografico della scuola di Fontainebleau, ma con un tono differente. Ci troviamo alla presenza di grottesche dalla carica ironica fortissima: maschere e uccelli che escono da conchiglie (fra D ed E, per esempio), vasi dotati di occhi e bocca, con zampe di ovini al posto dei manici (fra R e S, ma anche dentro la B) e creature ibride pronte a ridere in faccia allo spettatore. Il carattere scanzonato che emerge da queste figure si esprime nel bimbo molesto con il braccio fasciato che afferra lo sfortunato segugio per la coda (provocando una fisiologica conseguenza); nell’ambigua figura femminile nella Q con una stampella sotto l’ascella destra e una benda intorno al capo; nel satiro della G, anch’esso malconcio, che afferra una sorta di struzzo per le piume della testa; o ancora nella tartaruga (N) che ha una maschera tragica al posto del carapace. Tale repertorio presenta molti punti di tangenza con quello adottato nelle grottesche di ambito neerlandese, in particolare quello di Cornelis Floris e Cornelis Bos. [8]In alcuni dettagli il repertorio grottesco pare inoltre affondare le proprie radici nel mondo dei grilli di Hieronymus Bosch. Anche la filigrana della carta pare confermare il bacino geografico dell’autore dell’alfabeto. L’inchiostro non ne permette purtroppo una nitida leggibilità, ma è riconoscibile la forma di un’anfora monoansata con un tratto nel centro e un piedistallo marcato ma piuttosto schiacciato, simile ad alcune riscontrate da Briquet ad Amsterdam e Rotterdam nello stesso 1546, a Bruxelles fra il 1512 e il 1537, [9]Briquet 1923, vol. IV, p. 529. e ancora nelle cartiere di Neuburg (1551) [10]Ibidem, n. 12583. e Bruges (1554). [11]Ibidem, n. 12636.
Le numerose affinità fra l’alfabeto e le grottesche di Bos non sono tanto un espediente per lanciare un’estemporanea attribuzione, quanto piuttosto elementi funzionali sia a circoscrivere l’area geografica e stilistica di questo straordinario esemplare che a individuarne i modelli di riferimento.
Nato presumibilmente intorno al 1515 [12]Van der Coelen 1995, p. 120. e morto nel 1555, Bos, originario di ‘s-Hertogenbosch, si trasferisce ad Anversa intorno al 1537, anno della sua prima opera datata, La Prudenza e la Giustizia, [13]Cornelis Bos, La Prudenza e la Giustizia, Amsterdam, Rijksmuseum, Rijksprentenkabinett, inv. RP-P-B-2802, bulino, mm 267x213. dal disegno di Marten van Heemskerck, del quale per circa dieci anni traduce disegni in incisioni. [14]Questo almeno fino all’inizio della collaborazione con Dirck Volkertsz Coornhert. Cfr. Van der Coelen 1995, p. 123. Bos illustra trattati di anatomia, ma realizza anche numerose copie da modelli tedeschi, francesi e italiani, fra cui Agostino Veneziano, Marcantonio Raimondi, Raffaello, Marco Dente da Ravenna, conosciuti probabilmente attraverso disegni e stampe giunti nei Paesi Bassi. All’inizio degli anni ’40, Bos pubblica un libro di moresche, [15]Alla Royal Library di Stoccolma si conserva l’unico esemplare finora trovato, che sul frontespizio riporta il titolo Een boeck van meningherley trecken op die maniere van Moreske (inv. RAR 161). Cfr. Schéle 1965, p. 191, n. 215. Ringrazio Britt Nordström Sahba per avere confermato e aggiornato le informazioni riguardanti il libro. dove la maggior parte dei disegni, 90 su 106, sono ripresi dal libro di modelli già citato di Pellegrino, pittore e stuccatore di origine fiorentina, chiamato nel 1528 a Fontainebleau per lavorare accanto al Rosso nella Grande Galleria. [16]Ibidem. Dalla qualità ancora incerta del frontespizio di Bos si può dedurre una datazione antecedente il 1546, anno di un’edizione pirata del Livre de moresque, stampata da Jérôme de Gourmont, che presenta il medesimo frontespizio, ma dal segno più nitido e preciso (fig. 3). [17]Livre de Moresques, Paris, Jérôme de Gourmont, 1546. Esemplare custodito a New York, Metropolitan Museum of Art, inv. 26.71.8(1), mm 305x211x7, immagine del frontespizio misura mm 204x137. L’iscrizione recita “LIVRE DE MO- / resques Tres utile & necessaire a tous Orfe- / vres. Tailleurs, Graveurs, Painctres, Tapis / siers, Brodeurs, Lingiers, & femmes, / qui besongnent de / lesguille.”, sotto l’immagine compaiono le parole “Imprimé a Paris chez Herosme de Gormont, rue Sainct Iacques, a l'enseigne / des trois Couronnes d'argent. / 1546.”. Immagine Open Access for Scholarly Content (OASC) da www.metmuseum.org.
Figura 3: Cornelis Bos, Frontespizio di Livre de Moresques, Paris, Jérôme de Gourmont, 1546, xilografia, mm 204×13, inv. 26.71.8(1) © New York, Metropolitan Museum of Art (http://www.metmuseum.org/art/collection/search/665042)
I contatti di Bos con la scuola di Fontainebleau possono essere inoltre convalidati dalle vicende storiche che impongono la fuga dell’artista da Anversa dopo l’arresto nel luglio del 1544 di Eloy Pruystink, capo della setta spiritualista dei Loïsti, [18]I Loïsti erano condannati sia dai cattolici, sia dalla controparte protestante, per la loro negazione della risurrezione della carne e dell’utilità dei sacramenti. Cfr. Van der Coelen 1995, p. 127. di cui egli era seguace, e il suo probabile rifugio in Francia. Già Schéle, nel 1965, ipotizzava un breve soggiorno di Bos a Parigi, circostanza che potrebbe confermare la sua incisione della Leda e il cigno di Michelangelo, ivi portata nel 1536, [19]Schéle 1965, pp. 136-137. oltre a connessioni fra alcune sue stampe ornamentali e lo stile di Fontainebleau. [20]Tale ipotesi trova conferma in Van der Coelen, che ritiene la Francia il luogo in cui si sviluppano l’interesse e l’abilità di Bos nell’ornato, stimolato dalla fertilità inventiva degli incisori di Fontainebleau. Cfr. Van der Coelen 1995, p. 126.
La metà della produzione incisoria di Bos è costituita da motivi decorativi a grottesche (fig. 4), [21]Cornelis Bos, Grottesca, Amsterdam, Rijksmuseum, Rijksprentekabinett, inv. RP-P-1898-A-20114, bulino, mm 242x179. che si rivelano decisivi per la diffusione della tipologia nei Paesi Bassi e, al contempo, si caratterizzano per la loro originalità. È proprio questo repertorio a trovare affinità con quello adottato nell’alfabeto della Pinacoteca Nazionale di Bologna. In questo esemplare, qualitativamente straordinario, la mano dell’incisore padroneggia il bulino con destrezza, senza incertezze o sbavature, il segno è nitido e la plasticità dei corpi è sottolineata da un finissimo tratteggio, caratteristiche che confermano l’elevata perizia tecnica del suo autore.
Figura 4: Cornelis Bos, Grottesca, bulino, mm 242×179, inv. RP-P-1898-A-20114 © Amsterdam, Rijksmuseum, Rijksprentekabinett
Purtroppo la bibliografia sull’alfabeto è praticamente assente. Nagler lo cita come unica opera di un incisore attivo in Italia, supponendone l’appartenenza alla scuola di Mantova, [22]Nagler non motiva ulteriormente la sua affermazione; tuttavia in conclusione si proverà qui a trovare una spiegazione per la supposta associazione. e lo chiama Meister VPR, [23]Nagler 1879, vol. V, p. 258. sulla base del monogramma che compare su un foglio non rifilato, conservato alla Kunstbibliothek di Berlino. [24]Berlino, Staatliche Museen zu Berlin, Preuβischer Kulturbesitz, Kunstbibliothek, Ornamentstichsammlung, Inv. Nr. OS 5276, mm 232x373 (lastra). Dalla riproduzione si notano un taglio e tracce di ossidazione nel medesimo punto del foglio di Bologna, dettaglio che suggerisce la stessa tiratura per le due impressioni. Ringrazio Joachim Brand per avermi confermato il numero di inventario e l’effettiva presenza dell’alfabeto nella collezione berlinese. Un secondo riferimento all’alfabeto, accompagnato da una riproduzione fotografica che corrisponde a quella dell’esemplare di Bologna, si ritrova nel monumentale catalogo di Warncke. [25]Warncke 1979, vol. I, p. 143, n. 187. Nella sua campionatura di grottesche dal 1500 al 1650, lo studioso inserisce la scheda dell’opera nel capitolo riguardante gli incisori dei Paesi Bassi, collocandola fra due incisioni di Cornelis Bos del 1546. Warncke è estremamente sintetico e dell’alfabeto si limita a indicare tecnica, dimensioni e luogo di conservazione, Norimberga, riservandosi solo la legittima precauzione di porre un punto interrogativo accanto al presunto monogramma. [26]L’incisione è conservata a Norimberga, Germanisches Nationalmuseum, Graphische Sammlung, Inv. Nr. K 4975. La stampa è catalogata come “Anonimo”, ed è datata alla seconda metà del XVI secolo o inizio del XVII, ma non è stata mai studiata in maniera approfondita. Ringrazio Yasmin Doosry per avermi fornito queste informazioni.
Anche ammettendo l’autenticità della firma, la dipendenza del Meister VPR dai modi di Bos è indubitabile: la fauna dell’alfabeto attinge a piene mani dallo stesso repertorio iconografico dell’incisore nederlandese. Si confrontino, ad esempio, gli strani uccelli che popolano le sue grottesche con i musi spalancati (fig. 5) [27]Cornelis Bos, Grottesca, 1550, Amsterdam, Rijksmuseum, Rijksprentekabinett, inv. RP-P-1891-A-16202, bulino, mm 253x140. e la mandibola lussata di alcune creature mostruose dell’alfabeto (per esempio fra H e I). Ancora si osservino i volti e le espressioni di erme e satiri dell’alfabeto e si confrontino con quelli delle figure messe comicamente al giogo, o intrappolate nelle fantasiose architetture dei pannelli ornamentali di Bos (fig. 6) . [28]Cornelis Bos, Carro fantastico, 1550, Amsterdam, Rijksmuseum, Rijksprentekabinett, inv. RP-P-1891-A-16198, bulino, mm 160x250.
Figura 5: Cornelis Bos, Grottesca, 1550, bulino, mm 253×140, inv. RP-P-1891-A-16202 © Amsterdam, Rijksmuseum, Rijksprentekabinett
Figura 6: Cornelis Bos, Carro fantastico, 1550, bulino, mm 160×250, inv. RP-P-1891-A-16198 © Amsterdam, Rijksmuseum, Rijksprentekabinett
Per quanto riguarda la tipologia delle grottesche ‘a nastro’, [29]Con questo termine, in inglese “strapwork” e in tedesco “Rollwerk”, si definisce un motivo decorativo molto diffuso nel Rinascimento del XVI e XVII secolo, caratterizzato da un intreccio plastico di volute, spesso utilizzato negli stemmi e nei cartouches. la paternità inventiva spetta a Cornelis Floris (1514-1575), a sua volta non indifferente a un album di moresche di probabile origine italiana pubblicato ad Anversa da Hieronimus Cock entro il 1543, anno in cui due di questi disegni sono copiati da Augustin Hirschvogel. [30]Schéle 1965, p. 46, nn. 5 e 7. Nel suo saggio sull’origine delle grottesche nei Paesi Bassi, Schéle rileva come l’espediente delle volute a nastro, che avvolgono e sollevano le figure come equilibristi circensi nelle prime iniziali del Liggeren del 1541 e 1543, fosse funzionale al loro sostegno e, solo a partire dal 1544, divenga un elemento puramente decorativo. [31]Ibidem, p. 51.
Efficace è inoltre il confronto fra il ‘mondo acquatico’ delle incisioni di Bos e di Floris, [32]Si veda il disegno di Floris conservato ad Amsterdam, Rijksprentenkabinett, Schizzo di un carro fantastico, 1543, penna e acquerello. Cfr. Bruxelles - Roma 1995, p. 156, n. 86. ricco di crostacei, lumache e serpenti di mare, e le creature che escono da conchiglie e gusci di varia natura nell’alfabeto; [33]Si vedano D, E, G, ma anche il particolare dei serpenti marini nella lettera M o la testa di regina che sbuca da un guscio tortile nella Z. così com’è interessante ritrovare in questo esemplare, accanto alla P (fig. 7), lo stesso strano personaggio a cavalcioni su un’enorme tartaruga marina di una stampa di Bos, tratta da una serie di Carri fantastici (fig. 8). [34]Cornelis Bos, Grottesca, 1550, Amsterdam, Rijksmuseum, Rijksprentenkabinett, inv. RP-P-BI-2828, bulino, mm 181x137. Cfr. Schéle 1965, n. 122. L’uomo a cavalcioni su una tartaruga caratterizza anche l’iniziale F dal Liggeren, un archivio annuale degli artisti e degli apprendisti iscritti alla Gilda di San Luca di Anversa, dell’anno 1547, firmato con il monogramma C F, Cornelis Floris. [35]Cornelis Floris, Iniziale dal Liggeren della Gilda di San Luca di Anversa. L’immagine è riprodotta in Schéle 1965, n. 11. L’imbragatura che avvolge il personaggio dell’alfabeto è inoltre molto simile alle impalcature ornamentali tipiche di Bos.
Figura 7: Meister VPR, Alfabeto grottesco, 1546, bulino, mm 222×363, inv. PN 21853, particolare © Bologna, Pinacoteca Nazionale, Gabinetto Disegni e Stampe
Figura 8: Cornelis Bos, Grottesca, 1550, bulino, mm 181×137, inv. RP-P-BI-2828 © Amsterdam, Rijksmuseum, Rijksprentenkabinett.
La singolare acconciatura del soggetto sopra descritto ricorre in numerose figure ibride di Bos, non dissimili dalle divinità fluviali dal cui cuoio capelluto si ergono fasci di giunchi palustri (fig. 9). [36]Un esempio è fornito da una xilografia attribuita a Jost Amman, Divinità fluviale a cavallo, Erlangen, Universitätsbibliothek, inv. AH 38, xilografia, mm 200x150. Copricapi di piume disposte a raggiera decorano anche le teste di numerose erme (fig. 8): la loro ispirazione, secondo Schéle, ha radice nell’abbigliamento degli indigeni del nuovo mondo, che incuriosiva numerosi artisti. In merito basta ricordare il giudizio entusiasta espresso da Dürer nel 1520 sul Tesoro di Montezuma, esposto al Palazzo Reale di Bruxelles: armature, abiti, suppellettili e altre mirabilia della civiltà azteca, spediti nel 1519 da Hernán Cortés alla corte di Carlo V. [37]Dürer 1995, p. 77, N.d.C. n. 120.
Figura 9: Jost Amman (?), Divinità fluviale a cavallo, xilografia, mm 200×150, inv. AH 38 © Universitätsbibliothek Erlangen-Nürnberg
Come accennato in precedenza, nel nostro alfabeto si ritrovano motivi che rimandano al repertorio decorativo della scuola di Fontainebleau (fig. 10), [38]Si propone come esempio un’incisione della bottega di René Boyvin su disegno di Leonard Thiry, Grottesca con Venere e Cupido, Amsterdam, Rijksmuseum, Rijksprentenkabinett, inv. RP-P-1965-999, bulino, mm 174x106. dall’uso di mascheroni e volti di profilo, ai nastri che raccordano le figure tra loro, dalla ridondante profusione di festoni di fiori e frutta a particolari dettagli, come quella specie di lucchetto, presente sull’erma a sinistra della T (fig. 11) , che anche Bos colloca sulle sue cariatidi all’altezza dell’inguine (fig. 12) [39]Cornelis Bos, Grottesca, Amsterdam, Rijksmuseum, Rijksprentenkabinett, inv. RP-P-OB-6039, bulino, mm 232x159., allusione alla cintura di castità. [40]Schéle 1965, p. 169. Lo stesso elemento si trova ad esempio nelle erme della cornice dell’incisione I Dioscuri e Creusa di René Boyvin, dalla serie Medea e Giasone. L’erotismo era, d’altro canto, prerogativa delle grottesche, ma ciò che lì è allusione, nell’alfabeto è un’impudica esibizione (fig. 13) e solo l’antropomorfizzazione fa sì che l’elemento susciti nello spettatore più ilarità che imbarazzo. Il tono ironico e scanzonato dell’intera composizione stempera, tuttavia, le tematiche licenziose che ricorrono frequenti nelle grottesche, dove fauni e satiresse, orientati unicamente dai propri impulsi bestiali, sono immuni a ogni forma di censura.
Figura 10: Leonard Thiry (disegnatore), bottega di René Boyvin (incisore), Grottesca con Venere e Cupido, bulino, mm 174×106, inv. RP-P-1965-999 © Amsterdam, Rijksmuseum, Rijksprentenkabinett
Figura 11: Meister VPR, Alfabeto grottesco, 1546, bulino, mm 222×363, inv. PN 21853, particolare © Bologna, Pinacoteca Nazionale, Gabinetto Disegni e Stampe
Figura 12: Cornelis Bos, Grottesca, bulino, mm 232×159, inv. RP-P-OB-6039 © Amsterdam, Rijksmuseum, Rijksprentenkabinett
Figura 13: Meister VPR, Alfabeto grottesco, 1546, bulino, mm 222×363, inv. PN 21853, particolare© Bologna, Pinacoteca Nazionale, Gabinetto Disegni e Stampe
Il lessico iconografico della scuola di Fontainebleau, al quale il Maestro VPR attinge a piene mani, era ampiamente diffuso nei Paesi Bassi, sia attraverso il canale della stampa e dell’illustrazione libraria, che aveva a Parigi e a Lione i suoi centri propulsori, sia tramite i soggiorni in Francia di artisti come Bos e Floris. Pur senza contraddire le ipotesi di provenienza neerlandese avanzate finora, queste analogie potrebbero spiegare la formazione italiana, e in particolare ‘mantovana’, che Nagler suggeriva con un punto interrogativo per l’autore di quest’alfabeto. Nel pensare a Mantova, forse Nagler aveva in mente un luogo, Palazzo Te, in particolare la volta con fregi a stucco nella Sala delle Aquile, e un nome, quello di Giulio Romano, che vi lavora accanto al Primaticcio. [41]In tutta la produzione di Primaticcio restano forti tracce della formazione di circa quattro anni presso Giulio Romano, ma anche delle ipotizzabili assimilazioni del linguaggio parmense (Correggio e soprattutto Parmigianino). Cfr. Romani 2005, pp. 21-22. Quest’ultimo ha un ruolo non indifferente nella divulgazione dello stile e dei soggetti ‘mantovani’ in Francia, dove porta con sé numerosi disegni di Giulio Romano, [42]Il nome di Giulio Romano è visibile su un disegno di Primaticcio per la Camera del Re (1533-35) alla corte di Francesco I, dove l’artista è chiamato nel 1532. Cfr. Béguin 1986, p. 185. nome ben noto anche nelle Fiandre, dove nel 1535 è concluso il ciclo di arazzi con le Gesta di Scipione, tessuti a Bruxelles sui suoi cartoni preparatori. [43]Gli arazzi, commissionati da Francesco I nel 1532, dovevano essere ventidue, dodici rappresentanti storie della Seconda Guerra Punica e dieci l’ingresso trionfale di Scipione a Roma. Cfr. Campbell 2002, p. 342. Opere di Giulio Romano erano conosciute anche dallo stesso Cornelis Bos, che esegue due incisioni con la Rivolta e la Caduta dei Giganti, tratte dagli affreschi di Palazzo Te. [44]Borea 2009, p. 98. Secondo Schéle respinge la prima incisione, della quale un disegno (Amsterdam, Rijksprentenkabinet) è attribuito a Michiel Coxie (1499-1592). Cfr. Schéle 1965, p. 205, n. 237.
È Fontainebleau, tuttavia, la più prolifica officina di stampe dove si elabora e si replica il linguaggio elegante e audace del Primaticcio. Osservando alcune acqueforti di Antonio Fantuzzi, documentato in Francia dal 1537 al 1550, [45]Conterraneo di Francesco Primaticcio, Fantuzzi lavora a Fontainebleau prima come suo assistente, in seguito con incarichi indipendenti. Cfr. TIB 1979, pp. 221-256. così come del raffinato Leon Davent (notizie dal 1540 al 1556), [46]Romani 2005, p. 39. per citare solo due divulgatori delle invenzioni del bolognese, si notano interessanti corrispondenze con alcuni particolari del nostro alfabeto, come il dettaglio della testa che ha un festone di frutta come copricapo (fig. 14) che si ritrova sull’erma in basso in un Cartouche ornamentale di Fantuzzi (fig. 15). [47]Antonio Fantuzzi, Cartouche ornamentale con creature fantastiche, Amsterdam, Rijksmuseum, Rijksprentenkabinett, inv. RP-P-1953-258, acquaforte, mm 181x136.
Figura 14: Meister VPR, Alfabeto grottesco, 1546, bulino, mm 222×363, inv. PN 21853, particolare © Bologna, Pinacoteca Nazionale, Gabinetto Disegni e Stampe
Figura 15: Antonio Fantuzzi, Cartouche ornamentale con creature fantastiche, acquaforte, mm 181×136, inv. RP-P-1953-258, particolare © Amsterdam, Rijksmuseum, Rijksprentenkabinett
Il richiamo a Davent compare invece nella scena del satiro che percuote una donna con un ramo, fra T e V dell’alfabeto grottesco (fig. 11), la posizione della figura femminile, il capo reclinato all’indietro, il profilo del suo volto e il tratteggio che s’infittisce sulla guancia per lasciare in luce il collo e il mento, mi pare assai vicina a quella del satiro mutilato da una ninfa in un’incisione di Davent tratta dal Primaticcio. [48]TIB 1979, p. 193, n. 41 (321). Una concordanza ancor maggiore si riscontra con l’acquaforte Giove e Semele dello stesso autore (fig. 16): [49]Leon Davent da Francesco Primaticcio, Giove e Semele, 1543-44, Londra, British Museum, inv. 1850,0527.15, acquaforte, mm 213x293. La stampa è copia dell’affresco del Primaticcio per il camino del Cabinet Nord della Galleria di Francesco I (1533-34), andato distrutto nel 1701 al tempo di Luigi XIV. Cfr. Béguin 1986, p. 185. si osservino lo stesso braccio abbandonato e soprattutto la perfetta corrispondenza, anche se in controparte, della torsione dei busti di Giove da un lato e del satiro dall’altra con i muscoli dell’addome nettamente evidenziati. [50]Totale coincidenza anche nei muscoli della spalla e del braccio, anche se nell’alfabeto il fauno ha un braccio abbassato, mentre il dio li solleva entrambi.
Figura 16: Leon Davent (da Francesco Primaticcio), Giove e Semele, 1543-44, acquaforte, mm 213×293, inv. 1850,0527.15 © Londra, British Museum (Trustees of the British Museum) Creative Commons Attribution-NonCommercial-ShareAlike 4.0 International (CC BY-NC-SA 4.0)
Le affinità con l’alfabeto figurato, qui presentate, si fermano su un piano formale, ma testimoniano la vasta diffusione e l’impiego eterogeneo del repertorio iconografico di Fontainebleau, sebbene lo spirito con cui è concepito l’alfabeto, sia totalmente diverso. Leggero e disinvolto, esso raggiunge punte di pura comicità nei vasi antropomorfi sorridenti (B, D, fra R e S), nei satiri dispettosi e beffardi (E, G), nel bimbo insolente (fra W e X) e nei dettagli più spudorati già evidenziati. Pare quasi che il Monogrammista VPR abbia voluto realizzare una parodia delle stampe bellifontane, mantenendosi fedele a quel tono ironico e blasfemo che pervade l’intera composizione e che è uno dei caratteri più originali e distintivi delle grottesche nederlandesi, in special modo del suo ipotizzabile maestro Cornelis Bos.
Per questioni di spazio dedicherò solo qualche nota a uno dei tre alfabeti di Daniel Hopfer (1470 circa-1536) inserito nel volume 48 della collezione di Ludovico Aurelio Savioli, conservato presso la Pinacoteca Nazionale di Bologna, che mi consentirà di avanzare alcuni raffronti con la coeva produzione miniatoria. [51]Il frontespizio del volume reca il titolo Stampe tedesche di David, Daniel, Lambert e Girolamo Hopfer, è interamente dedicato alle incisioni di Daniel Hopfer e dei suoi figli. L’alfabeto è incollato alla c. 129. L’esemplare (fig. 17), [52]Daniel Hopfer, Alfabeto maiuscolo grottesco, Bologna, Pinacoteca Nazionale, Gabinetto Disegni e Stampe, inv. PN 8136, acquaforte, mm 160x229. Su questo e altri alfabeti di Hopfer si veda Monaco 2009-2010, pp. 464-466, nn. 143-144. firmato con il monogramma DH, presenta ventiquattro maiuscole latine, costituite da elementi ornamentali che Hopfer, all’inizio del XVI secolo, adotta con grande frequenza in numerose grottesche, composizioni autonome o progetti per decorare armature, ostensori o impreziosire il fondale di ritratti numismatici. [53]Si vedano i medaglioni con i profili di Galba e Nerone. Cfr. Monaco 2009-2010, pp. 416-418, nn. 91-92.
Figura 17: Daniel Hopfer, Alfabeto maiuscolo latino grottesco, acquaforte su ferro, mm 160×229, inv. PN 8136 © Bologna, Pinacoteca Nazionale, Gabinetto Disegni e Stampe
Questi esercizi di squisita fattura e originalità rappresentano il vertice della produzione dell’artista, ma costituiscono anche una preziosa testimonianza dal punto di vista tecnico, essendo stato il primo artista ad applicarsi quasi esclusivamente all’acquaforte. Sua è la prima stampa firmata realizzata con questa tecnica nella storia dell’arte occidentale, della quale confronti stilistici e storiografici permettono una datazione intorno al 1493. [54]Mi riferisco a La battaglia presso Thérouanne, di cui la Pinacoteca Nazionale può vantare il possesso (inv. PN 8138, acquaforte, mm 234x220, esemplare unico). Cfr. Monaco 2009-2010, pp. 393-394, n. 72; Merback 2011, pp. 80-83.
L’alfabeto ornamentale di Hopfer, per il quale Warncke propone una datazione vicina al 1520, [55]Warnke 1979, n. 56. presenta un repertorio straordinariamente affine a quello delle candelabre grottesche del Rinascimento italiano, informazione che non costituisce di certo una novità, per una bottega incisoria, dove circolavano stampe di Andrea Mantegna, Marcantonio Raimondi, Nicoletto da Modena e Agostino Veneziano, spesso copiate con grande precisione, soprattutto dai figli di Daniel, Lambrecht e Hieronymus. [56]Per il repertorio ornamentale di Hopfer e i suoi legami con quello italiano, vedi Warnke 1979 e Baer 1993, pp. 128-145. Tale repertorio è interpretato con originalità e disinvoltura nell’alfabeto: Hopfer riveste i caratteri latini, dalle proporzioni già classicheggianti, di un apparato decorativo ironico e giocoso. La testa di un cherubino è usata al posto del trattino nella lettera A, teste di delfini costituiscono le estremità inferiori di due asce che intersecandosi formano la X e che sono presenti anche in E, M, P, Y. Ovunque compaiono visi umani, mascheroni, teste alate di angioletti e di animali mitologici e non: un leone nella E, un lupo nella F, grifoni in K e Z. Il corpo di un dragone nella D viene fuori da un’armatura come una lumaca dal suo guscio e figure perdono il loro carattere mostruoso per trasformarsi in pura decorazione fra racemi d’acanto, steli di fiori, trofei, bracieri e vasi.
Questo repertorio ornamentale, di derivazione italiana, è utilizzato anche nella tipografia. Ricordiamo che il cognato di Daniel Hopfer, Sigmund Grimm (1480 circa-1530), era un noto tipografo di Augusta e pubblica, con il suo socio Marx Wirksung, curate edizioni tanto di testi classici, quanto di moderni trattati teologici, che impreziosisce con le iniziali incise da Hopfer. Si può pensare che i tre alfabeti ornamentali disegnati da Hopfer fossero esercizi, prove funzionali a un’applicazione tipografica (fig. 18). [57]Monaco 2009-2010, pp. 490-494 (nn. 162-164). Un esempio è l’iniziale V che apre uno scritto di Erasmo (c. a ij): Erasmus 1522. L’immagine è tratta dall’esemplare custodito a Monaco di Baviera, Bayerische Staatsbibliothek, 4 Mor. 166. Münchner DigitalisierungsZentrum, Digitale Bibliothek.
Figura 18: Desiderius Erasmus, Ad reverendum in Christo p. et illustrem principem Christophorum episcopum Basiliensem epistola apologetica, Augsburg, Grimm & Wirksung, 1522 (VD16 E 1899), © Monaco di Baviera, Bayerische Staatsbibliothek, 4 Mor. 166. (MDZ: Münchner DigitalisierungsZentrum, Digitale Bibliothek)
Il lessico decorativo dell’alfabeto di Hopfer permette inoltre un accostamento, per quanto riguarda lo spirito e alcune soluzioni adottate, con quanto, alle stesse date, è realizzato nei libri miniati; in particolare mi riferisco all’ambito bolognese e alla bottega di Giovanni Battista Cavalletto (1460 circa-1530). [58]Ringrazio Fabrizio Lollini per avermi suggerito il confronto con questo artista, e in particolare con le decorazioni dei corali di Bagnacavallo: cfr. Cotignola 2000; Bologna 2008-2009. Ringrazio anche Daniele Guernelli per alcune indicazioni bibliografiche di riferimento, fra cui il suo articolo Guernelli 2011 con l’ampia bibliografia precedente.
Nello specifico mi limiterò a un raffronto che potrebbe aprirsi ad approfondimenti, che questa sede non consente, con alcune iniziali miniate dalla bottega del Cavalletto, come quelle dei corali della Fabbriceria di San Petronio, datati al 1511, [59]Bologna 2008-2009, ms. XIV (88) e ms. XV (89), in origine facenti parte di un unico volume. Cfr. Bauer-Eberhardt 1993, p. 76. o quelle dei graduali commissionati, intorno al 1510, da Rinaldo Graziani di Cotignola, vescovo di Ragusa (Dubrovnik), e donati, nel 1518, al convento di San Francesco a Bagnacavallo (Ravenna), oggi in parte conservati presso la Biblioteca Comunale Taroni della stessa città. [60]Bauer-Eberhardt 2000, p. 113. Per quanto riguarda la paternità delle cornici e delle iniziali, la Bauer-Eberhardt suggerisce una divisione del lavoro all’interno della bottega del Cavalletto, per cui la parte decorativa delle miniature spetterebbe ai collaboratori. [61]Ibidem, pp. 110-111 e Bauer-Eberhardt 1993, pp. 80-83.
Uno degli esempi più frequentemente riprodotti, che può rivelarsi utile ai fini di un confronto con il nostro alfabeto, è l’iniziale A (Ad) del primo Graduale di Bagnacavallo (c. 1r, fig. 19), [62]Bagnacavallo, Biblioteca Comunale Giuseppe Taroni, Graduale del Tempo dall’Avvento al sabato dopo la terza domenica di Quaresima, 1518, ca. 1510, Iniziale A(Ad), c. 1r. Cfr. Nicolini 2000, n. 15, pp. 187-191. dove dallo stesso corpo della lettera si sviluppa a sinistra un grande mascherone foliaceo di profilo, sotto il quale, da una sorta di cornucopia che ha la testa di un drago come base, spuntano frutti e fiori. Ripeto, non da un punto di vista stilistico, ma puramente iconografico, il repertorio dispiegato nella miniatura è piuttosto vicino a quello inciso nell’alfabeto: la testa di delfino (nel trattino obliquo della A) si ripete più volte fra i dettagli delle lettere di Hopfer (fig. 20), così come i mascheroni, che nella miniatura del Graduale sbucano come fiori, facendo uscire dalla propria bocca altri racemi [63]Uno è in cima all’asta destra, l’altro è una sorta di appendice del delfino, nel trattino della lettera., sono una costante dell’alfabeto ornamentale dell’artista tedesco.
Figura 19: Giovanni Battista Cavalletto (e bottega), Iniziale A (Ad), in Graduale del Tempo dall’Avvento al sabato dopo la terza domenica di Quaresima, 1518, ms. senza segn., c. 1r © Bagnacavallo, Biblioteca Comunale Giuseppe Taroni
Figura 20: Daniel Hopfer, Alfabeto maiuscolo latino grottesco, acquaforte su ferro, mm 160×229, inv. PN 8136, particolare © Bologna, Pinacoteca Nazionale, Gabinetto Disegni e Stampe
Le pagine miniate nella bottega del Cavalletto presentano spesso cornici con elaborati fregi e iniziali arricchite da maschere foliacee, teste di draghi e animali fantastici che si affacciano da viticci floreali, che la critica, sebbene con un margine di dubbio, attribuisce al figlio Scipione o ad altri collaboratori (con problemi attributivi qui non pertinenti), che strutturano comunque questa decorazione con una marcata espressività e un segno calligrafico e incisivo. [64]Sull’argomento rimando alla bibliografia specifica in Cotignola 2000 e Guernelli 2011.
Altri pregevoli esempi dello stesso ambito sono rappresentati dalla splendida R (Resurrexit) alla c. 1r del terzo Graduale della serie di Bagnacavallo, [65]Bagnacavallo, Biblioteca Comunale Giuseppe Taroni, Graduale del Tempo dalla quarta domenica di Quaresima al Sabato Santo, 1518, ca. 1510, Iniziale R (Resurrexit), c. 1r. o dalla S di un Ufficio della Settimana Santa proveniente dalla chiesa di San Salvatore, oggi conservato presso il Museo Civico Medievale di Bologna (c. 112r, fig. 21), [66]Bologna, Museo Civico Medievale, Corale 78, ms. 588, c. 112r. datato al 1523-24, cronologicamente prossimo al nostro alfabeto (fig. 22). In entrambi i casi elementi decorativi di origine classica, architetture di racemi, vasi con fiori e frutti sono reinterpretati in chiave grottesca, secondo un uso ornamentale piuttosto comune nella Bologna del secondo e terzo decennio del XVI secolo, [67]Nicolini 2000, p. 190. anni in cui la reperibilità delle incisioni, in parte agevolata da una maggiore tiratura delle lastre, accorcia le distanze fra gli artisti al di qua e al di là delle Alpi.
Figura 21: Ufficio della Settimana Santa, ms. 588, c. 112r, particolare © Bologna, Museo Civico Medievale
Figura 22: Daniel Hopfer, Alfabeto maiuscolo latino grottesco, acquaforte su ferro, mm 160×229, inv. PN 8136, particolare © Bologna, Pinacoteca Nazionale, Gabinetto Disegni e Stampe
L’estensione del mercato librario, sia dal punto di vista quantitativo – le innovazioni tecniche aumentano il numero di copie stampate, diminuendo i costi di produzione, che qualitativo, conseguente all’ampliamento e alla diversificazione dei fruitori, è un fattore che incoraggia alcuni miniatori italiani ad applicarsi all’illustrazione tipografica, anche se non in maniera esclusiva, contribuendo a una vera e propria osmosi del lessico ornamentale fra le due differenti tecniche artistiche. Si possono allora citare alcune personalità assai versatili nel campo dell’attività libraria dell’Italia settentrionale, come il già menzionato Damiano da Moile o Benedetto Bordon, [68]Marcon 2004, pp. 121-124. anch’egli attivo sia come miniatore, che come disegnatore per incisioni e curatore di testi illustrati, fra i quali il celebre Hypnerotomachia Poliphili, stampato da Aldo Manuzio a Venezia nel 1499. Proprio a Bologna è invece attivo come libraio Domenico de Lapis, almeno dal 1474, quando prende accordi con Matteo di Pierino Moretti da Brescia per realizzare cinquecento copie del Liber Pandectarum medicinae di Matteo Silvatico, [69]De Lapis subentra a Giovanni Vuster, tipografo prima attivo a Mantova. L’atto è datato 28 gennaio 1474: cfr. Guernelli 2009, p. 76. mostrandosi così pronto a convertire la propria consolidata attività di miniatore, che svolgeva da almeno dieci anni, in quella di libraio, intuendo appieno le nuove esigenze del mercato editoriale.
Note
Bibliografia
Erasmus 1522
Desiderius Erasmus, Ad reverendum in Christo p. et illustrem principem Christophorum episcopum Basiliensem epistola apologetica, Augsburg, 1522 (VD16 E 1899).
Tagliente 1527
A. Tagliente, Opera nuoua che insegna alle donne a cusire, a racammare & a disegnar a ciascuno, et la ditta opera sara di molta utilita ad ogni artista, per esser il disegno ad ognuno necessario, la qual e intitolata esempio di recammi, Venezia, 1527.
Tagliente 1529
A. Tagliente, Esemplario di lauori, doue le tenere fanciulle & altre donne nobile potranno facilmente imparare il modo & ordine di lauorare, cusire, raccamare Venezia, 1529.
Nagler 1879
K. Nagler, Die Monogrammisten, V, München, 1879.
Briquet 1923
M. Briquet, Les filigranes: dictionnaire historique des marques du papier dès leur apparition vers 1282 jusqu’en 1600, vol. IV, Leipzig, 1923.
Schéle 1965
S. Schéle, Cornelis Bos: a study of the origins of the Netherland grotesque, Stockholm, 1965.
TIB 1979
The illustrated Bartsch. Italian artists of the sixteenth century. School of Fontainebleau, a cura di H. Zerner, vol. XXXIII, New York, 1979.
Warncke 1979
P. Warncke, Die ornamentale Groteske in Deutschland, 1500-1650, vol. I, Berlin, 1979.
Nardella Petrucci 1984
F. Nardella Petrucci, Cresci, Giovanni Francesco, in Dizionario Biografico degli Italiani, XXX, Roma, 1984, pp. 668-671.
Béguin 1986
S. Béguin, Bologna e Fontainebleau: vicende di un dialogo, in Nell’età di Correggio e dei Carracci: pittura in Emilia dei secoli XVI e XVII, catalogo della mostra (Bologna 1986 – Washington 1986 – 1987 – New York 1987), Bologna, 1986, pp. 21-30.
Baer 1993
C. Baer, Die italienischen Bau-und Ornamentformen in der Augsburger Kunst, Frankfurt am Main, 1993.
Bauer-Eberhardt 1993
C. Bauer-Eberhardt, Matteo da Milano, Giovanni Battista Cavalletto und Martino da Modena, ein Miniatore-Trio am Hofe der Este in Ferrara, in “Bruckmanns Pantheon”, 51, 1993, pp. 52-86.
Bruxelles-Roma 1995
Fiamminghi a Roma 1508-1608, catalogo della mostra a cura di A. C. De Liedekerke (Bruxelles-Roma 1995), Milano, 1995.
Dürer 1995
A. Dürer, Viaggio nei Paesi Bassi, a cura di A. Lugli, Torino, 1995.
Van der Coelen 1995
P. van der Coelen, Cornelis Bos – where did he go? Some new discoveries and hypotheses about sixteenth-century engraver and publisher, in “Simiolus: Netherlands Quarterly for the History of Art”, 1995, 23, 2/3, pp. 119-146.
Parigi 1999
Reliures royales de la Renaissance: la librairie de Fontainebleau 1544-1570, catalogo della mostra a cura di P. Lafitte, F. Le Bars (Parigi 1999), Paris, 1999.
Bauer-Eberhardt 2000
U. Bauer-Eberhardt, La bottega di Giovanni Battista Cavalletto e i corali di Rinaldo Graziani da Cotignola e Bagnacavallo, in Corali miniati di Faenza, Bagnacavallo e Cotignola: tesori dalla Diocesi, catalogo della mostra a cura di F. Lollini (Cotignola 2000), Faenza, 2000, pp. 107-116.
Cotignola 2000
Corali miniati di Faenza, Bagnacavallo e Cotignola: tesori dalla Diocesi, catalogo della mostra a cura di F. Lollini (Cotignola 2000), Faenza, 2000.
Nicolini 2000
S. Nicolini, Scheda n. 15: Graduale del tempo dall’Avvento al sabato dopo la terza domenica di Quaresima, in Corali miniati di Faenza, Bagnacavallo e Cotignola: tesori dalla Diocesi, catalogo della mostra a cura di F. Lollini (Cotignola 2000), Faenza, 2000, n. 15, pp. 187-191.
Campbell 2002
T. P. Campbell, Tapestry in the Renaissance, art and magnificence, New Haven-London, 2002.
Marcon 2004
S. Marcon, Bordon, Benedetto, in Dizionario Biografico dei Miniatori Italiani, secoli IX-XVI, a cura di M. Bollati, Milano, 2004, pp. 121-124.
Romani 2005
V. Romani, Primaticcio pittore e disegnatore, in Primaticcio: un bolognese alla corte di Francia, catalogo della mostra a cura di D. Cordellier, J. Bentini (Bologna 2005), Milano, 2005, pp. 21-35.
Bologna 2008 – 2009
Giovanni Battista Cavalletto: un miniatore bolognese nell’età di Aspertini, catalogo della mostra (Bologna 2008- 2009) a cura di M. Medica, Milano, 2008.
Borea 2009
E. Borea, Lo specchio dell’Arte Italiana. Stampe in cinque secoli, Pisa, vol. II, 2009.
Guernelli 2009
D. Guernelli, Qualche nota sulla miniatura bolognese del terzo quarto del Quattrocento. Interazioni tra decorazione libraria, letteratura e stampa, in “Il Carrobbio”, 2009, 35, pp. 61-91.
Monaco 2009-2010
Daniel Hopfer. Ein Augsburger Meister der Reinassance, catalogo della mostra a cura di C. Metzger (Monaco 2009-2010), Berlin, 2009.
Butera 2011
V. Butera, Funambolici equilibri. Gli alfabeti antropomorfi della Pinacoteca Nazionale di Bologna, in “Il Carrobbio”, 2011, 37, pp. 57-68.
Guernelli 2011
D. Guernelli, Considerazioni su Giovanni Battista Cavalletto e la miniatura bolognese tra Quattro e Cinquecento, in “Bollettino d’Arte”, 2011 (Serie VII), 9, pp. 38-58.
Merback 2011
B. Merback, Daniel Hopfer, in “Print Quarterly”, 2011, 28, 1, pp. 80-83.
Butera 2013
V. Butera, ABC di corpi: alcuni alfabeti figurati del XVI secolo della Pinacoteca Nazionale di Bologna, in “Intrecci d’arte”, 2013, 2, pp. 51-66.
Butera 2014
V. Butera, Fra ironia e gioco. Alfabeti figurati della Pinacoteca Nazionale di Bologna, in “Grafica d’arte”, 2014, 98, pp. 17-21.