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In margine alla mostra Percorsi di segni. Grafica italiana del Novecento nella collezione Luciana Tabarroni della Pinacoteca Nazionale di Bologna

In margine alla mostra Percorsi di segni. Grafica italiana del Novecento nella collezione Luciana Tabarroni della Pinacoteca Nazionale di Bologna

Sono note le originali caratteristiche della raccolta di Luciana Tabarroni, da lei stessa illustrate nei suoi scritti [1]Tabarroni 1979; Tabarroni 1985; Tabarroni 1991; Tabarroni 1993.. È utile tuttavia ricordarne la principale con le sue parole: “L’impostazione della collezione è storica, i grafici –inseriti per quanto possibile nei loro confini nazionali – sono collocati in ordine cronologico come data di nascita e mi sembra che questo sia sufficiente perché ne esca il ‘racconto storico’. Dato così il materiale, un racconto critico (per correnti e per vari e mutabili “ismi”) ognuno, guardando, lo potrà ricavare da solo. Mentre è quasi impossibile fare il cammino inverso. Su una base storica ognuno può fare lo studio o la ricerca che lo interessa sia nell’ambito della patria di quell’artista, sia in parallelo ad altre culture in quel medesimo periodo. Inoltre è proprio da quel convivere e intersecarsi dei vari movimenti artistici che si ha completo e presente in tutte le sue estrinsecazioni spirituali un momento che non può ovviamente mai essere formato né fermato da una sola e monocorde interpretazione della realtà umana” [2]Tabarroni 1979, p. 15.. Nella selezione compiuta per la mostra Percorsi di segni. Grafica italiana del Novecento nella collezione Luciana Tabarroni della Pinacoteca Nazionale di Bologna [3]La mostra, a cura di Elena Rossoni e Fabia Farneti, si è tenuta a Bologna in palazzo Pepoli Campogrande dal 29 gennaio al 25 aprile 2016, con una sezione nella Pinacoteca Nazionale dal titolo Giorgio Morandi, incisioni dalla collezione Luciana Tabarroni., comprendente 104 incisioni individuate fra le 272 della sezione italiana, si è optato per una successione cronologica delle opere, accostate fra loro in base ad affinità tematiche o stilistiche, nella proposta di un “racconto critico” – formatosi quasi spontaneamente a partire dai materiali ordinati con metodo cristallino e secondo le indicazioni da essi stessi implicitamente suggerite – corrispondente a una Storia dell’arte italiana tracciata con gli strumenti dell’incisione. Quasi tutti i maggiori artisti infatti sono rappresentati in collezione se praticarono l’incisione e seppero farlo ai massimi livelli espressivi, pur con una produzione limitata, e vi sono documentate, ove possibile, le tendenze e gli stili del secolo dall’inizio agli anni ottanta, limite imposto dalla data di morte della collezionista, nel 1991. Una rassegna di autori la cui produzione grafica si affianca ad esperienze nel campo della pittura, della scultura, del design, e di autori più specificamente, quando non esclusivamente, votati all’incisione [4]Per l’elenco completo delle opere italiane in collezione e relative immagini si veda il sito www.gdspinacotecabo.it.. Ma tutti inequivocabilmente artisti, poiché Luciana Tabarroni intendeva la grafica nella sua più alta accezione e, in linea con un critico che era stato tra i primi ad interessarsene a fondo nel XX secolo, Lamberto Vitali, non si poneva tra coloro che “ adorano più l’esecutore che l’artista e per una morsura ben condotta farebbero carte false”, ma tra i “pochissimi che vogliono vedere innanzi tutto il fatto artistico, di saggi calligrafici non sanno che farsene e non abboccano ai miracoli dell’alchimia e del laboratorio” [5]Vitali 1930, p. 28.. Pur riservando il giusto apprezzamento alle capacità degli esecutori, detestava il virtuosismo fine a se stesso e  riteneva, come Vitali, che “soltanto le epoche artisticamente felici hanno una produzione grafica non inferiore: ad artista mediocre, mediocre incisore” [6]Ibidem.. Le sue scelte erano supportate da una puntigliosa documentazione che le consentiva di individuare per la collezione le opere più significative dei migliori artisti-incisori. Di ogni autore prescelto ricercava prove di ottima qualità tecnica, possibilmente in buona tiratura, di datazione relativa al periodo più interessante e, tassativamente, opere ideate per la produzione grafica, escludendo traduzioni di disegni o di dipinti [7]Sulla personalità della collezionista e sulle peculiarità della collezione si veda, oltre ai testi di Luciana Tabarroni: Bologna 2003; Roma 2004 e il testo di E. Rossoni in questo numero della rivista.. Partendo da tali presupposti si è scelto di aprire il percorso in mostra con opere di artisti quali Umberto Boccioni, Luigi Russolo, Gino Severini, tutte risalenti al momento precedente l’adesione al Futurismo (durante il quale non realizzarono incisioni) quando furono fra i primi a rifiutare i facili effetti della grafica decorativa tardo ottocentesca e si rivolsero  alla calcografia con lo stesso impegno di ricerca profuso nella pittura [8]Per i dati relativi agli autori e alle opere in mostra si veda il Repertorio delle Stampe.. Sono i ritratti dedicati da Boccioni alla madre [9]Sulle opere di Boccioni in collezione si veda il testo di G. Virelli in questo numero della rivista.: una puntasecca del 1907 e un’acquaforte del 1910 che, acquistata nel 1953, si colloca fra le prime opere entrate a far parte della raccolta [10]Per le date delle acquisizioni si fa riferimento alle schede redatte dalla collezionista.; la figura appartata e meditabonda rappresentata in acquaforte da Russolo nel medesimo anno 1910; il volto acuto di ragazza reso da Severini con segno sicuro e suggestive lumeggiature in una pregevolissima puntasecca eseguita nel 1909 (fig. 1). Tutte opere frutto di una sensibilità ancora simbolista che vena anche i soggetti più realistici – peraltro molto frequenti in quell’inizio di secolo – e si riscontra nuovamente nel viso avvolto di ombre raffigurato in acquaforte e acquatinta da Pietro Marussig – altra precoce scelta della collezionista nel 1953 – o nella figura assorta di Cino Bozzetti, abile acquafortista meglio noto per la concreta resa della vita contadina che connota solitamente la sua produzione. Sia Bozzetti sia Russolo offrono pure una testimonianza – inconsueta nel loro lavoro – della fascinazione esercitata sugli artisti dal Simbolismo più intriso di letteratura e di mito nelle acqueforti Minotauro del 1907 e Trionfo della morte del 1908, entrambe prove estremamente rare [11]Sul verso del Bozzetti si legge la scritta “rarissima” (cfr. Dragone 1950 n. 14); per il Russolo la scheda redatta dalla collezionista segnala una tiratura di pochi esemplari (cfr. Maffina 1977, n.6).. 1_Tip. 30916

Figura 1: © Gino Severini, Ritratto di giovane donna, 1909 ca, puntasecca, mm 275×276, inv. Tip. 30916 , Bologna, Pinacoteca Nazionale, Gabinetto Disegni e Stampe

  È un clima che avvolge più esplicitamente nel secondo decennio le stampe, ugualmente poco diffuse, di Arturo Martini e di Adolfo Wildt, due scultori che esprimono anche nell’opera grafica le proprie diverse qualità: l’uno sintetico e potente nelle forme e nel tratto, condotto quasi brutalmente su una matrice d’argilla, l’altro di estenuata eleganza nei segni sottili dell’acquaforte [12]Sulle opere di Wildt in collezione si veda Virelli 2008.. In questa area si muovono a proprio agio molti autori maggiormente legati al mondo della decorazione e dell’illustrazione: grafici raffinati come Duilio Cambellotti e Guido Balsamo Stella, entrambi ideatori di oggetti sofisticati, fra i più pregevoli entro l’ampia produzione di arte applicata che è peculiare del periodo; o come Alberto Martini, sorprendentemente precoce nel passaggio dall’inquieto linearismo liberty con cui illustra Poe e Mallarmé alla visione proto surreale della litografia del Bacio. Sono anni di ricerca che accanto alla dominante simbolista vedono gli artisti muoversi in più direzioni. Persiste la fedeltà ai valori della tradizione nazionale: in Rosai autore, giovanissimo, di una singolare puntasecca in cui è  presente quel mondo di cose semplici entro una forma giottesca che connoterà la sua maturità; in Adolfo De Carolis che ripropone la xilografia secondo i moduli cinquecenteschi e la applica ad illustrare tanto la poesia decadente di D’Annunzio e di Pascoli quanto il paesaggio rurale; solo parzialmente in Francesco Nonni che pure riscopre la xilografia antica, ma subito la arricchisce di una vivacissima gamma cromatica, parte essenziale del suo lavoro nella grafica e nella ceramica, vicino al gusto déco. E dunque neppure manca l’attenzione a quanto si sta elaborando in Europa, particolarmente alla lezione cubista, che affiora nel paesaggio di Ardengo Soffici – una vitrografia in cui si citano direttamente i Maestri francesi – si mescola alle suggestioni futuriste nei ritratti di Achille Lega e di Roberto Baldessari-Iras e si estende, quasi dieci anni dopo, alla natura morta di Paresce, uno dei molti Italiani che animano l’ École de Paris scegliendo la Francia come luogo ideale di contatti e di lavoro. La componente plastica di matrice italiana è palese negli anni venti, testimoniata da Carlo Carrà (fig. 2) e da Giorgio De Chirico con opere all’acquaforte risalenti al periodo più felice del loro impegno grafico; da Achille Funi; da un Wildt che ha superato l’ispirazione simbolista e nella litografia mostra vicinanza ai valori cari al movimento di “Novecento”; da un Soffici ritornato alla pienezza delle forme toscane dopo la riflessione sulle esperienze internazionali. E si afferma nel decennio successivo, ma con nuove tensioni, nelle figure imperscrutabili di Felice Casorati, in quelle frementi di Giacomo Manzù, e in quelle, guizzanti per ombre instabili, di Mino Maccari. 3_Tip. 30905

Figura 2: © Carlo Carrà, Cengio,1924, acquaforte, mm 216×263, inv. Tip. 30905, Bologna, Pinacoteca Nazionale, Gabinetto Disegni e Stampe

  Gli anni venti e trenta sono dominati dalle nature morte e dai paesaggi di Giorgio Morandi (fig. 3), al cui rango di prima grandezza nell’arte e, specificamente, nella grafica italiana è destinato in collezione uno spazio eccezionalmente ampio: diciannove acqueforti che si è scelto di esporre nella loro totalità per documentare compiutamente sia il lavoro meditato dell’artista, colto nei suoi sottili passaggi, sia la particolare considerazione a lui riservata dalla collezionista. Mentre nove incisioni sono state esposte in palazzo Pepoli Campogrande in dialogo con le opere grafiche del Novecento italiano, le restanti dieci hanno trovato posto in una mostra dal titolo Giorgio Morandi, incisioni dalla collezione Luciana Tabarroni allestita, nello stesso periodo 29 gennaio-25 aprile 2016, in Pinacoteca nella sale delle Sinopie dove il colloquio si svolgeva, altrettanto intenso, con il disegno degli artisti bolognesi del Trecento attivi accanto a Vitale nel cantiere di Mezzaratta. Nella interessante selezione della raccolta sono presenze significative le prove del 1912, 1913 e 1915 – le prime incluse da Morandi nel proprio catalogo – altre degli anni cruciali 1921-22, un nucleo importante del periodo particolarmente felice che va dal 1927 al 1934, fra cui la Natura morta del 1933 che Luciana Tabarroni si procurò nel 1952 presso la milanese galleria del Milione: la prima di una serie di oculate acquisizioni morandiane, tutte compiute entro il 1968. In una rassegna che evidenzia la molteplicità delle ispirazioni e dei linguaggi della cultura grafica del periodo, insieme con i paesaggi e con le nature morte di Morandi vanno ricordati quelli di Luigi Bartolini, un incisore puro, molto apprezzato dalla collezionista che amava soprattutto le sue prove più rare e di Giuseppe Viviani, un altro conclamato maestro dell’incisione, rappresentato  con varie opere e, accanto a loro, di due artisti invece ‘a tutto tondo’ quali Carrà e Casorati, anch’essi documentati con più opere di differenti tecniche e date. Negli stessi anni compaiono ritratti potenti, diversamente caratterizzati per linguaggio formale e per metodologie incisorie: una morbida puntasecca di Anselmo Bucci che rappresenta la poetessa Ada Negri sottolineandone lo sguardo acuto; una xilografia a tre legni di Viviani, di rudezza primitiva nella sua intensità; due prove raffinate di Cagnaccio di San Pietro e di Raoul Dal Molin Ferenzona, l’una in litografia e l’altra in puntasecca, che oltrepassano le soglie della perfetta resa naturalistica dei volti per spingersi nei territori della “Nuova oggettività” e del “Realismo magico”.  

4_Tip. 30960Figura 3: © Giorgio Morandi, Paesaggio sul Savena, 1929, acquaforte, mm 254×248, inv. Tip. 30960, Bologna, Pinacoteca Nazionale, Gabinetto Disegni e Stampe

  Sono ancora all’insegna della varietà di tecnica e di stile le opere degli anni quaranta, fra le quali spiccano l’inventiva surreale di Alberto Savinio in una delle poche acqueforti da lui realizzate e il silenzio arcano di Casorati nei suoi Manichini in litografia; il tocco leggero con cui Filippo De Pisis traduce in litografia la materia dei dipinti e la struttura ordinata con cui Mario Sironi ripropone, nella medesima tecnica, l’architettura delle proprie composizioni pittoriche; le linee avvoltolate e quelle insistite (ma, nel secondo caso, velate dall’acquatinta) che Toti Scialoja e Fabrizio Clerici tracciano con l’acquaforte;  i segni dinamici di Renato Guttuso nella litografia ideata per illustrare l’Agostino di Moravia; fino ai grafismi con cui Massimo Campigli, all’aprirsi dei cinquanta, esprime nella piana tecnica litografica la propria ammirazione per le decorazioni parietali etrusche. In questo momento trova compimento il frantumarsi delle certezze della figurazione anticipato, in mostra, da Leonardo Dudreville in una xilografia “astratta” del 1918 e quindi, negli anni trenta, da Alberto Magnelli e da Mauro Reggiani in due stampe – una litografia e una xilografia – esito delle loro esperienze parigine. Le opere riferibili alle ricerche astratte, spazialiste, informali e cinetiche si susseguono a partire dagli anni cinquanta per proseguire nei due decenni successivi, quelli in cui la collezionista si rapporta più direttamente con la contemporaneità e compie le proprie indagini ‘sul campo’ nelle gallerie e negli ateliers degli artisti, lasciando spazio alle preferenze personali. La tecnica si rivela sempre più uno strumento creativo: come nelle campiture corpose e prive di gradazioni delle serigrafie di Atanasio Soldati, Bruno Munari (fig. 4), Getulio Alviani, Franco Grignani, o delle litografie di Roberto Crippa e di Giuseppe Capogrossi; nella densità pittorica delle litografie di Emilio Vedova e di Afro Basaldella; nella sintesi di segno e colore delle xilografie di Luigi Veronesi e di Luigi Spacal [13]Sulle opere informali in collezione si veda il testo di P. Fameli in questo numero della rivista..   7_Tip. 31025

Figura 4: © Bruno Munari, Composizione, 1955, serigrafia, mm 342×330, inv. Tip. 31025, Bologna, Pinacoteca Nazionale, Gabinetto Disegni e Stampe

  I fogli si alternano ad altri in cui domina, quasi a contrasto, la classica arte dell’acquaforte e dell’acquatinta condotta con grande perizia, secondo la tradizione, da Piero Dorazio, Luigi Perilli, Giulio Turcato. Accanto a queste compaiono opere in cui la calcografia è praticata, invece, piegandone le norme e la prassi alle nuove esigenze espressive: sono le prove, da una parte, di artisti precipuamente votati all’incisione, quali Riccardo Licata, Giorgio Bompadre, Angelo Savelli e, dall’altra, di alcuni di coloro che rappresentano il vertice del panorama artistico anche nella pittura e nella scultura: Pietro Consagra, Alberto Burri, Lucio Fontana, Giuseppe Santomaso, i fratelli Arnaldo e Gio  Pomodoro. In certi esemplari di grande maestria tecnica assume un’importanza decisiva il ruolo degli stampatori, fra cui si segnalano Renzo Romero della stamperia omonima e Walter ed Eleonora Rossi e Franco Cioppi della stamperia 2RC. Di entrambe sono presenti in collezione fogli ragguardevoli, talvolta acquistati direttamente presso l’editore poco dopo la realizzazione, come nel caso delle acqueforti di Burri e di Fontana stampate da 2RC per le edizioni Marlborough. Per quanto riguarda gli acquisti, Luciana Tabarroni aveva dei riferimenti privilegiati fra cui fu a lungo al primo posto la libreria antiquaria Prandi di Reggio Emilia, poi affiancata da alcune gallerie bolognesi, romane, veneziane, mentre il rapporto assiduo mantenuto costantemente con case d’asta e gallerie europee riguardava soprattutto la ricerca di opere straniere [14]Anche per i luoghi di acquisto, come per le date, si fa riferimento alle schede autografe di Luciana Tabarroni.. Sono di particolare interesse le acquisizioni fatte alle Biennali veneziane nel periodo 1958-68, testimonianza dell’attenzione vivissima prestata alla sperimentazione in campo grafico. Alla sfaccettata rappresentazione dell’arte italiana del secondo dopoguerra concorrono anche le invenzioni di artisti che scelgono di non abbandonare completamente la figurazione: i tratti con cui Paolo Manaresi e, più liberamente, Luciano De Vita interpretano il magistero morandiano nell’acquaforte, di cui sono continuatori nell’Accademia di Belle Arti di Bologna; i profili taglienti della litografia di Franco Gentilini e della puntasecca di Antonio Ligabue; la veduta angusta dell’acquaforte di Lorenzo Vespignani e il paesaggio rarefatto di quella di Antonio Music, addolcita dall’acquatinta; il calibrato palinsesto di Giuseppe Zunica e la lacerazione luministica di Gianfranco Ferroni, entrambi maestri nella calcografia; le figure scultoree ma scattanti che Marino Marini (fig. 5) effigia dominando le varie tecniche nelle quali si cimenta. Negli anni sessanta affiorano le tracce dell’emergente movimento Pop nelle acqueforti in cui Domenico Gnoli palesa la propria sensibilità di illustratore, Concetto Pozzati manifesta uno sguardo più ‘politico’ e ironico ed Enrico Baj non rinuncia a un personale spirito dadaista (fig. 6). Una cultura che viene rappresentata pienamente nel decennio successivo dalle silhouettes con le quali Mario Ceroli traduce in serigrafia le sagome delle proprie sculture e dall’ icona impertinente del talentuoso acquafortista Paolo Carosone; ed ancora viene evocata all’inizio degli anni ottanta, già in clima di Nuova Figurazione, dagli oggetti di Emilio Tadini, pressati nei colori della serigrafia.   8_Tip. 31014     9_Tip. 31079 Figura 5: © Marino Marini, Cavalli, 1963, acquaforte e acquatinta, mm 364×284, inv. Tip. 31014, Bologna, Pinacoteca Nazionale, Gabinetto Disegni e Stampe Figura 6: © Enrico Baj, Le Baron Gunther Sachs von Opel travesti en Vicomtesse de Ribes, 1967, acquaforte, vernice molle, collage, mm 284×243, inv. Tip. 31079, Bologna, Pinacoteca Nazionale, Gabinetto Disegni e Stampe   Il percorso si conclude in mostra con i solidi poliedri delineati in litografia dall’artista-matematico Lucio Saffaro e con le lievi foglie realizzate in un’acquatinta di delicatezza orientale da Davide Benati, a cui appartiene l’opera di data più recente (1988) nella sezione italiana della raccolta. Infatti in collezione non sono compiutamente rappresentati gli artisti che erano giovani al tempo della morte di Luciana Tabarroni, alla quale mancò il tempo e, di conseguenza, la distanza emotiva e critica per effettuare le proprie scelte con la consueta razionalità. Sono in tutto dieci le incisioni italiane risalenti agli anni ottanta, per lo più di autori già maturi in quel periodo [15]Oltre alle opere citate di Tadini, Saffaro e Benati, risalgono agli anni ottanta una serigrafia di Maria Luisa de Romans, un’acquaforte di Walter Valentini, una seconda litografia di Lucio Saffaro, una serigrafia di Alberto Biasi, un’acquaforte di Adriano Boni, una xilografia di Franco Vecchiet, un’acquaforte di Silvio Lacasella che, nato nel 1956, è il più giovane fra gli artisti italiani in collezione.. Il “racconto” si fa balbettante prima di giungere alla inesorabile interruzione. Ma fino all’ultimo, solo perdendo un poco in chiarezza e in estensione, riflette la curiosità e l’impegno che sempre sono stati a fondamento delle scelte della studiosa e hanno alimentato il suo lavoro, le cui molteplici qualità, leggibili ancora negli ultimi anni, sono testimoniate con inconfutabile evidenza dalle opere risalenti al lungo periodo precedente: tre quarti di secolo “raccontati” con la passione, con l’acume e con l’incrollabile dedizione che sono solo dei grandi Collezionisti.

Note

[1] Tabarroni 1979; Tabarroni 1985; Tabarroni 1991; Tabarroni 1993.
[2] Tabarroni 1979, p. 15.
[3] La mostra, a cura di Elena Rossoni e Fabia Farneti, si è tenuta a Bologna in palazzo Pepoli Campogrande dal 29 gennaio al 25 aprile 2016, con una sezione nella Pinacoteca Nazionale dal titolo Giorgio Morandi, incisioni dalla collezione Luciana Tabarroni.
[4] Per l’elenco completo delle opere italiane in collezione e relative immagini si veda il sito www.gdspinacotecabo.it.
[5] Vitali 1930, p. 28.
[6] Ibidem.
[7] Sulla personalità della collezionista e sulle peculiarità della collezione si veda, oltre ai testi di Luciana Tabarroni: Bologna 2003; Roma 2004 e il testo di E. Rossoni in questo numero della rivista.
[8] Per i dati relativi agli autori e alle opere in mostra si veda il Repertorio delle Stampe.
[9] Sulle opere di Boccioni in collezione si veda il testo di G. Virelli in questo numero della rivista.
[10] Per le date delle acquisizioni si fa riferimento alle schede redatte dalla collezionista.
[11] Sul verso del Bozzetti si legge la scritta “rarissima” (cfr. Dragone 1950 n. 14); per il Russolo la scheda redatta dalla collezionista segnala una tiratura di pochi esemplari (cfr. Maffina 1977, n.6).
[12] Sulle opere di Wildt in collezione si veda Virelli 2008.
[13] Sulle opere informali in collezione si veda il testo di P. Fameli in questo numero della rivista.
[14] Anche per i luoghi di acquisto, come per le date, si fa riferimento alle schede autografe di Luciana Tabarroni.
[15] Oltre alle opere citate di Tadini, Saffaro e Benati, risalgono agli anni ottanta una serigrafia di Maria Luisa de Romans, un’acquaforte di Walter Valentini, una seconda litografia di Lucio Saffaro, una serigrafia di Alberto Biasi, un’acquaforte di Adriano Boni, una xilografia di Franco Vecchiet, un’acquaforte di Silvio Lacasella che, nato nel 1956, è il più giovane fra gli artisti italiani in collezione.

Bibliografia

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Bollettino del Gabinetto dei Disegni e delle Stampe della Pinacoteca Nazionale di Bologna”, 2009, 2 (rivista on line: aperto.pinacotecabologna.beniculturali.it). Ferrara 2009 Morandi: l’arte dell’incisione, catalogo della mostra a cura di L. Ficacci (Ferrara 2009), Ferrara 2009. Forlì 2013 Wildt. L’anima e le forme da Michelangelo a Klimt, catalogo della mostra a cura di F. Mazzocca e P. Mola (Forlì 2013), Milano, 2013. Parigi 2015 Adolfo Wildt. Le dernier symboliste, catalogo della mostra (Parigi 2015), Milano, 2015. Bologna 2016 Percorsi di segni. Grafica italiana del Novecento nella collezione Luciana Tabarroni della Pinacoteca Nazionale di Bologna, opuscolo di mostra a cura di E. Rossoni e F. Farneti (Bologna 2016), Bologna, 2016            

Indice
Fabia Farneti
In margine alla mostra Percorsi di segni. Grafica italiana del Novecento nella collezione Luciana Tabarroni della Pinacoteca Nazionale di Bologna
In margine alla mostra Percorsi di segni. Grafica italiana del Novecento nella collezione Luciana Tabarroni della Pinacoteca Nazionale di Bologna Note Bibliografia Repertorio delle Stampe Scarica la versione in PDF