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Un nuovo disegno conferma la fortuna visiva della pala di Monghidoro di Giovanni Antonio Burrini

L’opera che si presenta (fig. 1) è un inedito entrato recentemente nella collezione del Gabinetto dei Disegni e delle Stampe della Pinacoteca Nazionale di Bologna attraverso un acquisto coattivo all’esportazione, privilegio concesso allo Stato ai sensi dell’art. 70 del Decreto Legislativo n. 42 del 2004 (Codice dei beni culturali e del paesaggio) sui beni per i quali viene presentata dal proprietario la richiesta di uscita definitiva dal territorio nazionale. [1]L’acquisto coattivo, proposto dall’Ufficio Esportazione di Milano per la Pinacoteca di Bologna, è stato accolto dal Ministero con DDG ABAP 18/07/2018, N. 744. La documentazione, tra cui la relazione storico-artistica di Raffaella Bentivoglio Ravasio, è conservata presso la sede del Polo Museale dell’Emilia Romagna, Archivio della Pinacoteca Nazionale di Bologna, Acquisti 2018. La motivazione che ha promosso l’acquisizione nella collezione pubblica è la stringente relazione col celebre dipinto di Giovanni Antonio Burrini raffigurante L’Immacolata con i Santi Petronio e Dionigi, oggi custodito presso la parrocchiale di Monghidoro, località dell’Appennino bolognese.

 

Figura 1: Ambito bolognese del XVIII secolo, L’Immacolata con i santi Petronio e Dionigi Matita, carboncino e biacca su carta filigranata beige,  mm 410 x 320, Bologna, Pinacoteca Nazionale, Gabinetto dei Disegni e delle Stampe, inv. 3/2018

 

Il disegno è eseguito con matita nera, carboncino e lumeggiature a biacca su carta filigranata beige. Le condizioni conservative, seppure stabili, attestano problematiche pregresse determinate probabilmente dall’eccessiva esposizione alla luce che ne ha compromesso parzialmente la leggibilità e soprattutto dal contatto con acqua visibile nelle ampie gore. Sono inoltre presenti varie pieghe secche diffuse su tutta la superficie. L’osservazione con la Lampada di Wood [2] Ringrazio Anna Selleri per il prezioso aiuto. ha rivelato i segni di un restauro che ha rinverdito le lumeggiature a biacca, mentre visibile altresì a occhio nudo è la ricostruzione della punta della mitra di San Dionigi. Compito primario della Pinacoteca sarà sottoporre in tempi brevi il foglio a un inevitabile ed effettivo restauro conservativo.

La filigrana (fig. 2) rinvia ai cartari bolognesi Perti e Masetti, le cui iniziali “PM” si leggono in lettere capitali sotto al cerchio con testa di moro sormontato da un trifoglio. [3]Bellettini 1996 (simboli Perti e Masetti pp. 195; 201-202); Borsetti 2009-2010. La filigrana e la tipologia della carta suggeriscono di racchiudere la cronologia del foglio entro la prima metà del Settecento. [4]Ringrazio Pier Angelo Bellettini e Sabrina Borsetti per le indicazioni.

 

Fig. 2: Filigrana: cerchio con testa di moro sormontato da trifoglio e iniziali “PM” sottostanti.

 

Il disegno è giunto a noi entro una cornice rettangolare, in legno chiaro parzialmente dorato, sul cui pannello di chiusura retrostante è incollata una stampa con stemma e iscrizione “Ludovico Amorini Bolognini” (fig. 3).

 

 

Fig. 3: Stemma di Ludovico Amorini Bolognini, stampa incollata su legno.

Pure nella consapevolezza che la cornice possa essere un reimpiego, si ritiene comunque plausibile supporre la provenienza dell’opera dall’illustre marchesato bolognese di cui è noto l’interesse per il collezionismo d’arte. [5]G. Roversi in Il Palazzo Salina Amorini Bolognini 1994, con riferimenti documentari e bibliografici; A. Buitoni in, Malvezzi Campeggi 2016, pp. 439-440. Ludovico (Bologna 1801-Milano 1855) era figlio di Marianna Ranuzzi e di Antonio Amorini Bolognini (Bologna 1767-1845), il celebre storiografo che diede alle stampe le Vite dei pittori ed artefici bolognesi (1841-1843), opera in cinque parti e due volumi con cui l’autore proponeva la continuazione e correzione della seicentesca Felsina pittrice di Carlo Cesare Malvasia.

Letterato raffinato, studioso d’arte e d’architettura, Antonio fu un personaggio dominante nella Bologna di inizio secolo; ricoprì cariche amministrative, fu nominato Pro – presidente della Pontificia Accademia di Belle Arti di Bologna, socio onorario di varie accademie tra cui quella romana di San Luca, [6]Wandruszka 1969, XI, pp. 355-356; Wandruszka in, Il Palazzo Salina Amorini Bolognini 1994, pp. 125-129.  fondatore e amministratore del Collegio Artistico Venturoli, in ottemperanza alle volontà dell’amico architetto Angelo Venturoli che aveva altresì eseguito gli ammodernamenti del palazzo Amorini Bolognini in piazza Santo Stefano. [7] P. Foschi, Vicende storiche e costruttive in Il Palazzo Salina Amorini Bolognini 1994, p. 104; D. Ravaioli, Palazzo Salina Amorini Bolognini, in Malvezzi Campeggi 2016, pp. 334-352; sito web del Collegio Artistico Venturoli, www.collegioventuroli.it Gli incarichi presso questi istituti bolognesi di istruzione artistica saranno ereditati da Ludovico, la cui formazione umanistica ci viene tramandata da Luigi Frati nell’elogio stilato dopo la morte per colera avvenuta il 5 settembre 1855. [8] Frati 1855; Frati in Sorgato 1858, pp. 240-243; R. Dodi in, Malvezzi Campeggi 2016, p. 142, n. 114. Ludovico Amorini Bolognini è annoverato tra i morti per colera in 1855 Cholera morbus. Società e salute pubblica nella Bologna pontificia, mostra del 2010 e pagina web dell’Archiginnasio di Bologna: badigit.comune.bologna,it/mostre/colera/persone.htm Dalla breve biografia tracciata dallo storico bolognese apprendiamo del marchese la passione per i viaggi, l’interesse per l’arte e la letteratura, la biblioteca prevedibilmente ricca e la scrittura di componimenti teatrali di cui pubblicò una sola opera nel 1835, Il Forestiere, con lo pseudonimo di Ovocaldi.

Una prima indagine dell’Archivio Salina Amorini Bolognini conservato presso l’Archivio di Stato di Bologna non ha purtroppo permesso di rintracciare informazioni che potessero collegarsi al disegno in questione. L’inventario più completo delle opere d’arte, compilato nel 1751 a seguito della morte di Massimiliano Bolognini, tramanda la conservazione dei disegni “con suo cristallo, e cornice gialla e oro”, [9]Archivio di Stato di Bologna, Fondo Salina Amorini Bolognini, busta 133 (libro 36, n. 14), Inventarium legale honorum Domini Maximiliani Bolognini….Rogito del Notaio Giuseppe Gaetano Gardini, 25 ottobre 1751, cc. 13v-19v (dipinti e disegni). Sull’inventario crf. Roversi in Il Palazzo Salina Amorini Bolognini 1994, pp. 112-113. simile a quanto pervenuto in Pinacoteca. Se la prassi di collocare i disegni entro cornici e appenderli alle pareti è notoriamente comune nel collezionismo privato, la corrispondenza tra la descrizione delle cornici di casa Amorini Bolognini con quella giunta a noi consente quanto meno di non escludere la possibilità che la cornice sia stata realizzata proprio per il disegno che contiene. Lo stemma applicato potrebbe lasciare intuire l’acquisizione del foglio da parte dello stesso Ludovico e la conseguente realizzazione di un contenitore uniformato al modello utilizzato nella collezione di famiglia. Del resto, l’eccessiva esposizione alla luce del disegno è tra i fattori che ne hanno compromesso lo stato di conservazione, assieme alle ampie gore che potrebbero essersi generate a seguito di infiltrazioni d’acqua sulla parete.

Prima di tentare una disamina stilistica del disegno, credo non sia superfluo rivedere il bellissimo dipinto con cui la nostra piccola opera si relaziona, ripercorrendone i dati fondamentali della storia e della storiografia. (fig. 4)

 

Fig. 4: Giovanni Antonio Burrini, L’Immacolata con i santi Petronio e Dionigi, Olio su tela, cm 305 x 240, Monghidoro (BO), Chiesa di Santa Maria Assunta

 

Con puntuale descrizione nelle Aggiunte alla Bologna Perlustrata, Antonio di Paolo Masini tramanda che il dipinto fu eseguito nel 1684 da Giovanni Antonio Burrini su commissione dei Ratta Garganelli per la cappella di famiglia nella chiesa di San Giacomo Maggiore a Bologna. [10]Masini 1690, p. 63; Arfelli 1957, p. 207. Si pensa che l’artefice dell’incarico possa essere stato Monsignor Antonio Lorenzo Ratta, funzionario fidato di papa Innocenzo XI. Nell’anno il cui Burrini eseguiva l’opera, Innocenzo XI sosteneva il re di Francia, Luigi XIV, nella repressione contro gli ugonotti, azione che confluirà nella revoca dell’editto di Nantes del 1685. L’insolito accostamento tra il patrono di Bologna e il martire di Parigi è stato, pertanto, visto come un sostegno della famiglia Ratta alla politica papale. [11]Riccomini 1999, pp. 175-177, n. 12; Cova in Discover Baroque Art.. Museum Whit no Frontiers (www.discoverarbaroqueart.org).

La presenza del dipinto nella chiesa di San Giacomo Maggiore fu molto breve, poiché già nel 1686 nella cappella che lo custodiva Malvasia segnala la presenza dell’affresco staccato di Lippo di Dalmasio, raffigurante “La Beata Vergine col santissimo Figliuolo”, [12]Malvasia 1686, ed 1969, p. 61. mentre l’opera di Burrini non comparirà neppure nelle minuziose guide successive della città. Non è a tutt’oggi noto il motivo di questo repentino mutamento, se si trattò di un ripensamento o se invece la famiglia avesse voluto esporre il dipinto nella chiesa solamente in via provvisoria, a seguito di qualche circostanza o per mostrarlo alla città prima di collocarlo negli spazi privati di palazzo Ratta in via Castiglione dove sarà documentato da Giovanni Pietro Zanotti nella biografia di Burrini, da Marcello Oretti nel manoscritto B 104 [13] Zanotti  1739, vol. I, p. 327; Oretti (sec. XVIII), ms. B 104, cc. 42 e 152. e in alcuni inventari della prima metà dell’Ottocento. [14] Mazza in, Nell’età di Correggio 1986, pp. 388 – 389, n. 126; Mazza in, Il restauro intelligenza e progetto 1990, pp. 199-201; Riccomini 1999, pp. 175-177, n. 12; Mozzati 2010, pp. 233-234. La recente disamina degli inventari di Casa Ratta, e la trascrizione di un dettagliato inventario del 1707, hanno rivelato l’esatta collocazione della pala di Burrini nella camera detta “del Crocifisso”. [15]Mozzati 2010, pp. 233-234 e p. 238.

Il dipinto giunse a Monghidoro nel 1949, attraverso la donazione alla Parrocchia da parte del Generale Aldo Monteguti. [16] Archivio della Parrocchia di Santa Maria Assunta di Monghidoro. L’opera, collocata nella chiesa, [17]Nel 2014 il dipinto è stato tolto dalla chiesa per ragioni conservative, sottoposto a restauro e collocato nel museo parrocchiale. In anni precedenti fu conservato più volte nella Pinacoteca di Bologna. fu casualmente notata da Andrea Emiliani che vi riconobbe lo stile di Giuseppe Antonio Burrini e la volle esporre alla mostra sul Seicento emiliano che si tenne nel 1959 a Bologna, [18]Maestri della pittura del Seicento emiliano, 1959. La scheda del dipinto di Burrini, redatta da Maurizio Calvesi, è la n. 94, p. 193. presso il palazzo dell’Archiginnasio, avviandone gli studi e la partecipazione ad ulteriori mostre, tra cui ricordiamo Nell’età di Correggio e dei Carracci nel 1986, curata dallo stesso Emiliani.

Marcello Oretti [19] Oretti (sec. XVIII), ms. B 130, c. 82 tramanda altresì l’esistenza in casa Ratta di una “Tavolina/ con la B.V. sopra la Luna, S. Petronio e S. Dionigio/Aeropagita (…) scieltissima”, che la critica, in un primo momento, [20]Mazza in, Nell’età di Correggio 1986, pp. 388 – 389, n. 126; Mazza in, Il restauro intelligenza e progetto 1990, pp. 199-201; Roli in, Disegni emiliani 1991, pp. 222-224, n. 60. aveva ipoteticamente legato a un esemplare conservato presso il Museo Narodowe di Varsavia (inv. M. Ob. 232 MNW), supposizione poi esclusa in quanto l’opera è stata giudicata stilisticamente non congrua alla mano di Burrini. [21]Mazza in, Disegni emiliani 1994, pp. 174-176, n. 56; Riccomini 1999, pp. 175-177, n. 12. Ad oggi resta sconosciuta la collocazione della “tavolina” citata da Oretti, pertanto il dipinto di Varsavia va inteso come una testimonianza dell’interesse che la giovanile opera del pittore bolognese dovette suscitare agli occhi dei contemporanei. (fig. 5)

 

Fig. 5: Ambito bolognese fine sec. XVII o secolo XVIII, L’Immacolata con i santi Petronio e Dionigi, Tavola, cm 98 x 73, Varsavia, Muzeum Narodowe, inv. M. Ob. 232 MNW

Una prova ulteriore di questa fascinazione è rappresentata da un disegno a matita rossa conservato presso il Gabinetto dei Disegni e delle Stampe della Pinacoteca di Brera (inv. 660), recante sul controfondo l’iscrizione “Aureliano Milani”. (fig. 6)

 

Fig. 6: Aureliano Milani, L’Immacolata con i santi Petronio e Dionigi, Matita rossa e lumeggiature a gessetto su carta bruna, mm 368 x 256, Milano, Pinacoteca di Brera, Gabinetto dei Disegni e delle Stampe, inv. 66

 

L’attribuzione fu confermata da Angelo Mazza alla luce della forte impronta stilistica connaturata al disegno e alla dedizione, plausibile per il pittore bolognese di diciannove anni più giovane di Burrini, alla “moderna riflessione critica sull’eredità dei Carracci” [22]Mazza in, Disegni emiliani 1994, p. 174. di cui il dipinto Ratta si faceva mirabilmente portavoce. Se lo schema piramidale rinvia a numerose pale di Ludovico e di Annibale Carracci, a cui si aggiunge l’osservazione di Guido Reni per la raffigurazione dell’Immacolata, la stesura libera e istantanea della pittura di getto, rapidissima e frangiata, il movimento della luminosa superficie cromatica che sembra non volersi arrendere alla rassicurante compiutezza dell’opera, il brillante virtuosismo del “non finito” rendono la pala di Monghidoro un innovativo e straordinario capolavoro della pittura del Seicento. Il ventottenne Burrini, pur cercando nella sopraccitata, grande tradizione i suoi principali modelli riflette sui più innovativi esempi della pittura del secondo Seicento bolognese e coglie appieno la stesura corsiva del suo maestro Domenico Maria Canuti, il cromatismo brillante di Sebastiano Ricci e della pittura veneta, tramutandoli in una personalissima e inimitabile connotazione stilistica che non trovò uguali né seguito nell’arte bolognese.

Agli artisti contemporanei, in una Bologna che in quegli anni di fine secolo era già orientata verso un più rassicurante classicismo che dominerà quasi interamente lo scenario artistico del Settecento, non potevano certamente sfuggire queste sorprendenti e straordinarie peculiarità che si associavano, peraltro, a un pittore che si era conquistato un’indubbia fama in città ancor prima dell’esecuzione della pala Ratta con gli affreschi in palazzo Albergati a Zola Predosa (BO) [23]Riccomini 1999, pp. 165-171, nn. 8a – 8h.  Possiamo immaginare la curiosità e l’ammirazione per questa meteora, il desiderio dei giovani artisti di studiarla o dei collezionisti di possederne un’economica e poco ingombrante copia di piccole dimensioni o una semplice traduzione a matita.

Le caratteristiche della virtuosistica pittura di Burrini si riflettono indubbiamente nella grafica, seppure nell’ambito di una straordinaria varietà esecutiva e, potremmo dire, stilistica. Riccomini riconosce e apprezza nei disegni del pittore la “volubile capacità di svariare da una maniera all’altra”, [24]Riccomini 1999, p. 217. indubitabile prova di destrezza che rende tuttavia particolarmente complesso giungere a punti fermi. Per questo motivo, analizzare il disegno pervenuto nella collezione della Pinacoteca significa inserirsi nel terreno minato della grafica di Burrini, da cui occorre partire per considerare se si tratti di un disegno autografo o se sia, come appare più credibile, un’ulteriore traduzione da parte di un artista “stregato” dal capolavoro del maestro.

L’unico studio sino ad oggi acclarato come preparatorio per il dipinto è un disegno della Royal Collection Trust di Windsor, riproducente il particolare con la Testa di San Dionigi l’Aeropagita (inv. RCIN 905288). [25]https://www.rct.uk/collection/search#/9/collection/905288/the-head-of-a-bishop-saint Fu Laura M. Gilles [26]Gills 1989, pp. 418 – 420. Sul disegno si vedano anche: Roli in, Disegni emiliani 1991, pp. 222-224, n. 60, fig. 60.1 e Riccomini 1999, p. 220, n. 6, tav. 102. a sottrarre il foglio alla precedente attribuzione a Giacomo Cavedoni avendo riconosciuto la corrispondenza del soggetto col santo vescovo del grande quadro di Burrini. La complementarietà è di grande interesse in quanto, come nel Dionigi su tela, si ritrova nel disegno persino la leggera rotazione del capo verso l’interno della composizione, espediente di particolare raffinatezza esecutiva che l’artista ottiene con rapidi e corposi tratti a carboncino, rifinendo solo in parte lo schizzo con lumeggiature a biacca. Nel disegno della Pinacoteca non rintracciamo, nonostante la compiutezza, la medesima rotazione ma un semplice orientamento verso l’alto del capo di Dionigi il cui volto non possiede la forza espressiva del foglio di Windsor, ma sembra piuttosto limitarsi a un’accademica riproduzione dell’atteggiamento del santo del dipinto. Lo stesso si dirà per Petronio, dall’esecuzione diligente ma non scioltissima nel disegno in cui l’autore non raggiunge il mirabile e magnetico volto pensoso del corrispettivo santo riportato sulla tela.

La semplificazione rispetto alle pose dinamiche delle figure del dipinto è un dato rintracciabile nell’intera composizione del foglio della Pinacoteca, dato piuttosto incoerente con l’attenzione che Burrini nei suoi studi grafici riserva proprio al movimento delle figure, con soluzioni sempre articolate e mai scontate. I volti vivi in cui la forza espressiva è sempre dominante, sia che si tratti di abbozzi che di disegni più finiti, sono una caratteristica costante dell’artista che si fatica a rintracciare nella circostanziata grafica del disegno in esame, in cui l’autore sembra preoccuparsi maggiormente di tenere fede a un modello piuttosto che seguire una personale ideazione. Unica deroga è il bellissimo volto dell’Immacolata, reso con un’identità fisionomica autonoma rispetto al dipinto ma non troppo distante dalla piccola Maddalena in adorazione del Crocifisso che Burrini eseguì nel 1683. [27]Riccomini 1999, pp. 174-175, n. 11, tav. 24.

La qualità del segno regge per l’intero foglio e, nonostante le alterazioni subite, rivela un autore esperto nella resa dei particolari, del chiaroscuro e consapevole dei caratteri propri della pittura di Burrini. Matita, carboncino e biacca vengono impiegati abilmente nella resa della fluidità pittorica dei volumi, del ripiegarsi dei panneggi con le conseguenti ombreggiature, dell’espressiva gestualità delle mani perfettamente corrispondente al dipinto. Ma queste corrispondenze puntuali sono assolutamente sospette e contribuiscono a spostare l’ago della bilancia lontano dall’autografia, avvicinandolo invece alla possibilità che il disegno sia un’ulteriore traduzione grafica e un’ulteriore testimonianza dell’ampio consenso riscosso dal dipinto. Meno credibile sarebbe giustificare il calligrafismo con la necessità da parte di Burrini di dover presentare ai committenti uno studio che fosse il più rispondente possibile al dipinto, dal momento che la pala di Monghidoro è resa con un impeto esecutivo ben distante dai toni morigerati del disegno.

Nonostante si consideri da escludere l’autografia di Burrini, occorre sottolineare l’importanza di questa acquisizione che ha assegnato alle collezioni statali un’opera che aggiunge un tassello alla fortuna visiva di uno dei dipinti più ingegnosi e innovativi della grande stagione del Seicento bolognese.

 

 

 

Note

[1] L’acquisto coattivo, proposto dall’Ufficio Esportazione di Milano per la Pinacoteca di Bologna, è stato accolto dal Ministero con DDG ABAP 18/07/2018, N. 744. La documentazione, tra cui la relazione storico-artistica di Raffaella Bentivoglio Ravasio, è conservata presso la sede del Polo Museale dell’Emilia Romagna, Archivio della Pinacoteca Nazionale di Bologna, Acquisti 2018.
[2] Ringrazio Anna Selleri per il prezioso aiuto.
[3] Bellettini 1996 (simboli Perti e Masetti pp. 195; 201-202); Borsetti 2009-2010.
[4] Ringrazio Pier Angelo Bellettini e Sabrina Borsetti per le indicazioni.
[5] G. Roversi in Il Palazzo Salina Amorini Bolognini 1994, con riferimenti documentari e bibliografici; A. Buitoni in, Malvezzi Campeggi 2016, pp. 439-440.
[6] Wandruszka 1969, XI, pp. 355-356; Wandruszka in, Il Palazzo Salina Amorini Bolognini 1994, pp. 125-129.
[7] P. Foschi, Vicende storiche e costruttive in Il Palazzo Salina Amorini Bolognini 1994, p. 104; D. Ravaioli, Palazzo Salina Amorini Bolognini, in Malvezzi Campeggi 2016, pp. 334-352; sito web del Collegio Artistico Venturoli, www.collegioventuroli.it
[8] Frati 1855; Frati in Sorgato 1858, pp. 240-243; R. Dodi in, Malvezzi Campeggi 2016, p. 142, n. 114. Ludovico Amorini Bolognini è annoverato tra i morti per colera in 1855 Cholera morbus. Società e salute pubblica nella Bologna pontificia, mostra del 2010 e pagina web dell’Archiginnasio di Bologna: badigit.comune.bologna,it/mostre/colera/persone.htm
[9] Archivio di Stato di Bologna, Fondo Salina Amorini Bolognini, busta 133 (libro 36, n. 14), Inventarium legale honorum Domini Maximiliani Bolognini….Rogito del Notaio Giuseppe Gaetano Gardini, 25 ottobre 1751, cc. 13v-19v (dipinti e disegni). Sull’inventario crf. Roversi in Il Palazzo Salina Amorini Bolognini 1994, pp. 112-113.
[10] Masini 1690, p. 63; Arfelli 1957, p. 207.
[11] Riccomini 1999, pp. 175-177, n. 12; Cova in Discover Baroque Art.. Museum Whit no Frontiers (www.discoverarbaroqueart.org).
[12] Malvasia 1686, ed 1969, p. 61.
[13] Zanotti  1739, vol. I, p. 327; Oretti (sec. XVIII), ms. B 104, cc. 42 e 152.
[14] Mazza in, Nell’età di Correggio 1986, pp. 388 – 389, n. 126; Mazza in, Il restauro intelligenza e progetto 1990, pp. 199-201; Riccomini 1999, pp. 175-177, n. 12; Mozzati 2010, pp. 233-234.
[15] Mozzati 2010, pp. 233-234 e p. 238.
[16] Archivio della Parrocchia di Santa Maria Assunta di Monghidoro.
[17] Nel 2014 il dipinto è stato tolto dalla chiesa per ragioni conservative, sottoposto a restauro e collocato nel museo parrocchiale. In anni precedenti fu conservato più volte nella Pinacoteca di Bologna.
[18] Maestri della pittura del Seicento emiliano, 1959. La scheda del dipinto di Burrini, redatta da Maurizio Calvesi, è la n. 94, p. 193.
[19] Oretti (sec. XVIII), ms. B 130, c. 82
[20] Mazza in, Nell’età di Correggio 1986, pp. 388 – 389, n. 126; Mazza in, Il restauro intelligenza e progetto 1990, pp. 199-201; Roli in, Disegni emiliani 1991, pp. 222-224, n. 60.
[21] Mazza in, Disegni emiliani 1994, pp. 174-176, n. 56; Riccomini 1999, pp. 175-177, n. 12.
[22] Mazza in, Disegni emiliani 1994, p. 174.
[23] Riccomini 1999, pp. 165-171, nn. 8a – 8h
[24] Riccomini 1999, p. 217.
[25] https://www.rct.uk/collection/search#/9/collection/905288/the-head-of-a-bishop-saint
[26] Gills 1989, pp. 418 – 420. Sul disegno si vedano anche: Roli in, Disegni emiliani 1991, pp. 222-224, n. 60, fig. 60.1 e Riccomini 1999, p. 220, n. 6, tav. 102.
[27] Riccomini 1999, pp. 174-175, n. 11, tav. 24.

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S. Borsetti, Analisi materiale del volume “Stampe bolognesi di Marc’Antonio Raimondi intagliatore” della Pinacotaca Nazionale di Bologna, in <<Aperto. Bollettino del Gabinetto dei disegni e delle stampe della Pinacoteca Nazionale di Bologna>>, n. 2, 2009 (marzo 2010), rivista on line, http://aperto.pinacotecabologna.beniculturali.it/

Mozzati 2010

T. Mozzati, Le Sibille di Casa Ratta: Domenichino, Grimaldi, Guecino, Canuti e Pasinelli nella quadreria d’una famiglia bolognese, in “Nuovi Studi” (2009), XV, pp. 223-254.

Malvezzi Campeggi 2016

G. Malvezzi Campeggi, Bolognini. Storia genealogia e iconografia con cenni sulle famiglie Amorini e Salina, “Le famiglie senatorie di Bologna. 4”, Bologna 2016.

 

Indice
Mirella Cavalli
Un nuovo disegno conferma la fortuna visiva della pala di Monghidoro di Giovanni Antonio Burrini
Note Bibliografia Scarica la versione in PDF