Dall’immagine scientifica e vera del corpo agli Esemplari di primo Seicento. Le incisioni del Gabinetto disegni e stampe della Pinacoteca Nazionale di Bologna
La pratica nell’accademia dei Carracci
Sappiamo che nell’accademia dei Carracci il tirocinio si basava sulla pratica del disegno: dalla riproduzione fedele dei modelli dei maestri, si passava all’indagine della forma tridimensionale con l’aiuto di modelli plastici, dal disegno dello scheletro si procedeva per conoscere l’anatomia dei corpi e alla fine del percorso di formazione si passava alla ripresa dal vero, alla resa del naturale come ognuno lo intendeva, decisiva e determinante per la formazione di uno stile personale. Si ricorda che gli allievi prima di essere messi di fronte ad un modello vero e vivo, dovevano imparare a cogliere lo schema geometrico che rappresentasse l’universale del corpo, ma anche la forma essenziale delle singole parti adattabile alle varie necessità. La pratica perciò, nel disegno di particolari fisici del corpo, partiva dai tratti più semplici degli occhi, dei nasi, delle bocche, delle orecchie, per passare poi via via a quelli sempre più complessi, dall’essenziale profilo dei volti ai chiaroscuri e alla biacca per suggerire la tridimensionalità. I frequentanti dell’accademia, Desiderosi prima, Incamminati in seguito, erano di età e di provenienza diversa, non mancavano accanto ai fanciulli gli artisti già formati, anche presso altre botteghe. Anatomia e disegno, disegno e anatomia. A questo intreccio di arte e scienza, cognitivo e formativo, i tre Carracci si rivolsero e con esiti innovativi nel panorama artistico del tempo ancora immerso negli intellettualismi della maniera. Giovambattista Passeri, pittore e letterato romano contemporaneo di Carlo Cesare Malvasia e di Giovan Pietro Bellori, ci conferma che “Introdussero li Carracci lo studio di disegnare il nudo, che chiamano Accademia”, ricordandoci nel Seicento l’identificazione nudo-accademia. [1]Passeri, (1678 ca)1934, p. 22. Ma sarebbe riduttivo fermarsi su queste ricerche. L’esperienza sul corpo nudo, vivo o morto, maschile e femminile, non è sufficiente a spiegare la loro novità. Anche altri si esercitavano sul nudo. A Bologna, Bernardino Baldi sollecitava Bartolomeo Cesi, Alessandro Tiarini, Francesco Albani e gli altri allievi della sua accademia degli Indifferenti al disegno dall’antico nelle ore mattutine e al disegno del nudo nelle ore serali. La frequentarono gli stessi Carracci. Né bastava la sola pratica del disegno, fosse dei reperti antiquari o dei frammenti umani, o dalle numerose stampe di traduzione. Anche nello studio di Passerotti la formazione, con la ricostruzione razionale delle strutture del reale attraverso l’esperienza, prevedeva il disegno del nudo e dei gessi numerosi che, strumento di lavoro e status symbol, ornavano la sua stanza. [2]Lamo, 1996. Denys Calvaert, il benemerito e colto fiammingo che sceso in Italia e a Roma da Anversa aveva scelto Bologna quale sua sede operativa, leggeva ai suoi allievi le regole dell’architettura, della prospettiva, dell’anatomia e li sollecitava ad esercitarsi sulle stampe dei maestri, avvertendoli degli errori. Dalle pareti della sua stanza pendevano “i più famosi bassi rilievi, i più insigni getti, le più singolari teste, i più ricerchi torsi”. Aveva nei cassetti le carte degli incisori nordici e raffaelleschi che costituivano “la più frequente pratica e dilettazione de’ nostri artefici”. [3]Malvasia, 1841, I, p. 199. Quando Pietro Faccini aprirà una scuola in via dei Falegnami, “in faccia alla carracesca” e in aperta concorrenza con gli Incamminati, sua prima preoccupazione sarà l’acquisto di una stufa per il riscaldamento, degli scranni, di una lampada, cioè l’indispensabile per il disegno del nudo. E subito provvederà a ingaggiare “un bell’uomo che facesse il modello”. [4]Ibidem. A Firenze e a Roma sul finire del Cinquecento la didattica basata sul disegno dal vero languiva. I Carracci fecero sì attenzione ai fatti biologici e alle erudite suppellettili e ai gessi numerosi, non mancavano nella loro accademia gli “impronti dei bassirilievi e delle antiche teste di Roma”, [5]Malvasia, 1841, I, pp. 276-277. le medaglie, le monete, ma estesero l’attenzione ai riflessi sul corpo e sul volto dell’esperienza umana e dei sentimenti, delle emozioni, delle fatiche della vita quotidiana. Vollero conoscere dell’individuo con i meccanismi del suo muovere e agire, quelli del patire, del sorridere, del divertirsi, le costanti di natura, emozione ed espressione. E per sollecitare l’esplicitarsi di questa varietà, essi stessi per primi agivano, scherzavano, ridevano, “usavano farsi modelli fra di loro”, facevano musica e ballavano, discorrevano “sopra l’istorie, favole e invenzioni poetiche”, si confrontavano con consapevolezze diverse legate allo Studio, coinvolgevano altri pittori, i Procaccini, il Passerotti. [6]Ivi, 1841, I, p. 405, vita di Giovanpaolo Bonconti. Insomma, “Fu la stanza loro il più frequentato ricetto di quanti letterati di que’ tempi fiorissero, capitandovi, dopo le loro serie fatiche sullo Studio pubblico, l’Aldrovando, il Magini, il Zoppio, il Dempster, l’Achillini, il Lanzoni; riducendovisi il Marini, il Preti, il Rinaldi, oltre i detti Dulcini e Carli a confabular assieme” e ancora “l’Ambrosini architetto, il Conventi scultore, il Mascheroni sonatore, Giuseppe dal Cacapensieri, Camillino della Chitarra, Camillino della Signora e simil gente lieta e festosa”. [7]Ivi, 1841, I, pp. 336 e 338. Occorre fare ordine e circostanziare criticamente l’entusiastico elenco di Malvasia. Sono certi gli scambi culturali ed epistolari con il canonico di San Pietro e giurista Bartolomeo Dolcini, collezionista di ben tredici quadri di Ludovico, con il parmense Ferrante Carli, il consigliere dei cardinali Paolo Emilio Sfondrato e Scipione Borghese, uno dei protagonisti a Bologna della polemica nel 1614 intorno al Marino, con Giovanbattista Marino stesso, diretti quelli fra Ludovico e Agucchi e Sigismondo d’India benché non ricordati da Malvasia, espliciti quelli con Cesare Rinaldi, il maestro del concettismo bolognese, l’anticipatore del gusto barocco, sicuri quelli di Annibale con il letterato reggiano Gabriele Bombasi, precettore di Odoardo Farnese e tramite dell’avventura romana. [8]Perini, 1992, pp. 383-403; Fratarcangeli, 15-16, 1997, pp. 113-130. I rapporti con Aldrovandi, oltre l’incisione del suo ritratto ad opera di Agostino, sono stati di recente smentiti in modo convincente, [9]Battistella, 1905, pp. 119-120; Zapperi, 1989, p. 35. ma già il diverso percorso del verosimile e del naturale intrapreso dall’uno e dagli altri lo segnalavano. I coinvolgimenti dei pittori nelle residenze aldrovandiane di città e di campagna, le tredici imprese di Ulisse dipinte nella villa dei santi Giovanni e Paolo a Sant’Antonio di Savena, [10]Fanti, VIII, 1958, pp. 17-43. Per il programma iconografico, rimando a Pigozzi, 9, 2001, pp. 5-40, in particolare p. 38, nota 63. i disegni per il museo cartaceo non registrano mai il nome dei nostri accanto a Francesco Cavazzoni, a Pietro Cerva e agli altri. Non li interessa la natura rinsecchita e imbalsamata di Aldrovandi, cercano la verità della natura, della storia, degli affetti. In occasione dei funerali di Agostino, l’amico e accademico fra i Gelati Lucio Faberi, notaio della Compagnia dei pittori oltre che notaio e segretario della congregazione di Gabella Grossa finanziatrice dei lettori nello Studio bolognese, accenna al solo Zoppio e sappiamo che Domenico Lanzoni, addottoratosi in medicina nel 1593, la insegnò presso lo Studio dal 1598 al 1601 e dal 1607 al 1629. Quindi solo tardi, e solo dopo l’avvenuta partenza da Bologna di Annibale, il Lanzoni può aver frequentato l’accademia e può aver fornito ad Agostino “corpi morti […] scorticandoli di sua mano”. [11]Malvasia, 1841, I, p. 347; Zapperi, 1989, p. 37; Brogi, 2001, pp. 228-229.Tito Bosio, il medico reggiano che fungerà con il letterato parmigiano e amico affezionato Ferrante Carli da intermediario tra Ludovico e i responsabili a Reggio Emilia della Madonna della Ghiara, sarà nel 1603 priore degli artisti, cioè degli studenti in medicina, e tramite dell’epigrafe dedicata ad Angelo Michele Sacchi, l’“Anatomes Professori Examinatorique Solertissimo”. [12]Forni e Pighi, 1962, pp.190-191, n. 100.Questo scarto cronologico ancor più evidenzia l’autorevolezza delle novità dello stile e della didattica dei tre all’inizio degli anni ottanta, la loro capacità di far coincidere tendenze di gusto figurativo e di gusto letterario con consapevolezze scientifiche individualmente sollecitate e collettivamente interpretate. Ne è scaturita una varietà rara di atteggiamenti e di sentimenti, l’espressione di vere esigenze e di concrete esperienze umane: armonia, energia, estasi, umiltà, passione, affettività, orrore, dolore, enfasi, bizzarria caricaturale. Non v’è nelle loro opere la raffinata astrazione del corpo antico, non la pittura artificiosa, non l’esibizione del corpo atteggiato, anche quando devono rispondere all’appetito insaziabile per il nudo dei committenti, mascherandolo con pretesti religiosi o mitologici. I torsi antichi, i busti, le statue, puntigliosamente esaminati sia come insieme sia nei dettagli, continuano ad essere pietra di paragone, ma non la sola e non la prioritaria, mai pletoricamente ingombrante. E questo anche quando l’impegno classicistico è volutamente esplicitato nelle stesse architetture bolognesi che ospitano i loro interventi e già si è fatta conoscere come percorso alternativo l’archeologia cristiana. L’antico immerso nella natura trionfante diviene per i Carracci allusione, rimpianto, nuova creazione, mai citazione o parafrasi. Anche a Roma Annibale questa antichità la elaborerà di continuo, la confronterà con Raffaello e il suo idealismo formale, la reinventerà, la riproporrà inedita e con fantasia, mai la imiterà, persistendo vitale l’esigenza del confronto e della verifica degli antichi canoni di bellezza con la vita reale, la stessa che constatiamo in riferimento al corpo e che già a Bologna aveva cominciato ad esprimere. [13]Pigozzi, 2015, pp. 20-38. Non lo assorbe la dottrina della selettività, perno dell’approccio classico-idealista. Il racconto della realtà non è mai la realtà, ma Annibale è stato capace di narrare la vita di tutti i giorni, di analizzarne i gesti, i sentimenti, sua è l’abilità di riflettere sulle strutture stilistiche di chi lo ha preceduto e di rinnovarle. L’aneddoto del Laocoonte disegnato da Annibale sui muri di palazzo Farnese raccontatoci da Agucchi e il “disegno in carta d’un altro Laocoonte di sua propria invenzione, tutto diverso da quello antico di marmo” offerto al cardinale lo dimostrano in modo inequivocabile. [14]Zapperi, 1989, p. 133, per l’aneddoto; Malvasia, 1841, I, p. 343.Anche la pittura precedente è criticamente ripercorsa e indagata, e sin dalle sue testimonianze medievali. Per tutti i tre, pur praticandolo, lo studio tradizionale dei gessi e delle incisioni dei grandi maestri non era sufficiente. Non si facevano partecipi né dell’opposizione al culto esclusivo di Michelangelo, né si servivano di richiami alternativi, a Raffaello per esempio. Egli era stato interpretato sovente nella periferica Bologna secondo gli auspici uniformanti di Roma quale portavoce del canone pontificio della bellezza. Sarà particolarmente amato da Annibale ancora nel Seicento e, senza confini, da quei sostenitori dell’ideale classico incapaci di cogliere l’universalità della pittura di Annibale o presto di essa immemori.
Alla morte di Agostino, il 23 febbraio 1602, o meglio in occasione delle onoranze funebri promosse dall’accademia carraccesca e svoltesi a quasi un anno di distanza, Lucio Faberi pronunciò l’orazione funebre: le sue parole, dense dell’analiticità del notaio ma anche di affettuosa amicizia, ci aiutano a comprendere la vita che si svolgeva all’interno dell’accademia degli Incamminati. Vi “s’attendeva con mirabile frequenza al disegnar persone vive, ignude in tutto, o in parte […] non mancavano, fossero del maschio o della femmina, i meglio formati corpi, che servissero di risentito e giusto modello”, [15]Malvasia, 1841, I, pp. 306-311. i pittori stessi facevano da modelli. Nel maggio 1597 Ludovico aveva preso in affitto dalla Fabbriceria di San Petronio “il partimento di sopra che guarda verso la fabrica” per farne stanze dell’accademia. [16]Campanini, 43, 1993, p. 692. Il luogo centrale avrebbe dovuto aiutare a confermarle il prestigio sinora acquisito. Le indagini dei Carracci non sfuggono i canoni della rappresentazione figurativa, non ignorano le sue convenzioni retoriche, conoscono il raffinato rapporto ermeneutico tra parola e immagine, però sanno mantenersi libera la strada del naturale, sanno intervenire nella realtà del tempo e dello spazio interpretandola, sanno capire la natura umana e il riflettersi delle emozioni nell’aspetto fisico, le sanno interpretare secondo la loro diversa sensibilità. La natura stessa, parafrasando Emanuele Tesauro, con loro scherza e fraseggia con mille arguti e ingegnosi concetti. [17]Tesauro, 1670. Con questa varia naturalezza essi sanno superare il rigido criterio aristotelico del verosimile e questa naturalezza dalla didattica la estendono alla pratica pittorica e viceversa, non la emarginano in un momento del percorso di formazione. Prassi, teoria e traduzione li accompagnano con sistematicità e con continuo scavo nel naturale, nel teatro della vita e degli affetti per tutto il ventennio di fine Cinquecento. E’ la loro una cultura adeguata alla vita e al suo servizio; secondo la testimonianza di Faberi, disegnavano “armi, animali, frutti, e insomma ogni cosa creata”. [18]L. Faberi, in Malvasia, 1841, I, pp. 307-308. Comprendono la vicende della vita, il mondo che li circonda, al pari della natura, al pari della storia, del mito, dell’allegoria, li interessa la verità degli affetti. La fisiognomica magica, chiromantica, di tradizione cinquecentesca, è superata con decisione dalla ricerca sperimentale del naturale. Anche la satira con l’enfatizzazione somatica entra nel loro linguaggio, “le caricature erano il fruttuoso e più dilettevole passatempo”. [19]Malvasia, 1841, I, p. 277. Sanno ridere e fanno ridere, pur con le differenze caratteriali sempre più pronunciate con l’avanzare degli anni e con la più acuta presa di coscienza delle difficoltà dell’esistere. Ben conobbe questo loro versante scherzoso Pietro Faccini allorché frequentava la loro accademia: per burla Annibale lo spaventò facendo muovere di nascosto e nottetempo quello scheletro con il quale assieme ai compagni si esercitava di giorno in accademia e che voleva studiare da solo anche di notte. [20]Malvasia, 1841, I, p. 398.La bizzarria, il grottesco, l’aderenza al vero, l’espressione sono le categorie che avvicinano i Carracci all’arte medievale, agli interpreti della grande tradizione bolognese del Trecento, a Vitale. Mi è già capitato di scriverlo a proposito di Francesco Cavazzoni, ma credo sia utile ricordarlo anche all’interno della dimensione di studio e didattica assunta dai tre. [21]Cavazzoni, 1999, p. 89.
Gli Esemplari del corpo. La Scuola Perfetta Per imparare a Disegnare tutto il corpo humano
La SCUOLA / PERFETTA / Per imparare / a Disegnare / tutto il corpo humano / cavata dallo studio, e disegni / DE CARACCI, è data alle stampe in Roma. Una suite è prodotta da Pietro Stefanoni, che dedica la serie “Alli nobilissimi amatori del disegno”. [22]Una serie con la dedica di Stefanoni sul frontespizio si conserva presso la Biblioteca Apostolica Vaticana (coll. Stampa V 51) e presso la Graphische Sammlung Albertina di Vienna (coll. HB 36 (2), 2). Rimando a Pigozzi, 2001, pp. 5-40; Eadem, 2005, pp. 1-61. Vicentino, nato nel 1557, appassionato viaggiatore, ricercatore di reperti marmorei, collezionista celebre di monete e gemme, operava a Roma quale antiquario, incisore e calcografo. Amico di artisti, bibliofili, scienziati ed eruditi, sarà attivo sino al 1642, allorché si perdono le sue tracce. Collaborerà anche con Reni ed è Malvasia a ricordarci l’incisione dalla Strage degli Innocenti reniana. [23]Malvasia, 1841, II, p. 18. Questa stampa riproduce nello stesso verso e fedelmente il dipinto con la Strage di Guido Reni realizzato nel 1611 per la cappella Ghisilieri della chiesa di S. Domenico a Bologna e ora conservato nella Pinacoteca Nazionale della città. Alla notizia di Malvasia forse è riferibile il foglio conservato a Bergamo, presso il Gabinetto Disegni e Stampe dell’Accademia Carrara, inv. 439. Della SCUOLA si conosce il raro frontespizio (fig.1): un cippo commemorativo, un’edicola sormontata dal profilo di Mecenate, il potente consigliere culturale di Ottaviano Augusto.
Figura 1: Scuola Perfetta, Francesco Brizio, “PSF”, Roma, Pietro Stefanoni, Roma, Biblioteca di Archeologia e Storia dell’Arte, inv. Rari 548, Frontespizio, n. 1.
Lo confermano le lettere capitali “MECOENAS”, poste a circondare il medaglione con il ritratto tra le due cornucopie dell’Abbondanza. L’edizione prodotta da Pietro Stefanoni ha le tavole siglate in basso dal suo marchio d’impresa “PSF”. [24]Bartsch, (1803-1821)1818, XVIII, p. 158; per le tavole: Bohn, 39 e 39/1, 1980, pp. 294-368; De Grazia, 1984, pp. 63 e 268. (fig. 2)
Figura 2: Scuola Perfetta, Francesco Brizio, “PSF”, Roma, Pietro Stefanoni, Roma, Biblioteca di Archeologia e Storia dell’Arte, inv. Rari 548, Teste di elefante, cinghiale, leone, asino e farfalla, n. 15
In seguito, entro la prima metà del XVII secolo, Giovan Domenico de Rossi (1619-1653), sempre a Roma, edita e mette in vendita nella sua bottega presso la chiesa di Santa Maria della Pace la suite con il titolo: ESEMPLARE DEL DISEGNO IN GRATIA DEI Principianti nell’Arte della Pittura et Scultura: Disegnato da Agostino Carracci e dato in Luce nuovamente per Giovan Domenico Rossi alla Pace. Il frontespizio architettonico, ornato da elaborate colonne tortili e da tralci di frutta e fiori, presenta nel timpano architravato un fanciullo intento a disegnare su una tavoletta. [25]L'esemplare della Biblioteca Passerini Landi di Piacenza proviene dalla ricca biblioteca di Ferdinando Landi (1778-1853). Ha 29 tavole incluso il frontespizio (manca la tavola altrove presente di Domenico Piola = Primo uomo barbuto = tav. 25 non numerata), parrebbe essere successivo al 1737. Nell'esemplare della Biblioteca, le cinque tavole non numerate che seguono la tavola 24 (ultima numerata) sono nell'ordine – e con riferimento all'esemplare riprodotto al link che ripeto qui sotto – la n. 57, la n. 61, la n. 59 (Torzo del Belvedere di Jean Baron), la n. 63, la n. 55 (Secondo uomo barbuto che scrive). https://archive.org/details/esemplaredeldise00carr/page/n5 A testimoniare a distanza di tempo il successo dell’impresa, ancora una Scuola perfetta per imparare a bene disegnare tutto il corpo humano parte per parte. Cavata dalli disegni di Carracci. Novamente data in luce in Roma. Con licenza de superiori esce presso Luigi Fabbri (1778-1835), che aveva bottega a Roma in via del Bufalo 141. [26]Roma, Calcografia Nazionale, inv. 1158, con 25 stampe. Le ricorda Petrucci, 1953, p. 233. Si conservano presso il Gabinetto Disegni e Stampe di Roma, fondo Corsini 91300, volume 50 K 3. Per la terza edizione: Petrucci, 19 n. 1159, p. 233, con 24 stampe. La tavola di concordanza tra disegni e stampe dei e dai Carracci è stata pubblicata da Wittkower, 1952, p. 178. Per le stampe de’Rossi: Indice delle stampe, 1735; Contributo alla storia di una Stamperia romana,1996. Le lastre per le incisioni, come accadrà più tardi per le lastre fotografiche, passavano di stampatore in stampatore sia per eredità sia per acquisto. Sovente le stampe sono riproposte dagli editori in più stati a riprova dell’alto livello di attesa e talora vengono aggiunte altre stampe che rendono sempre variabile il numero della suite. La maggior parte delle lastre di proprietà Fabbri sono giunte alla romana Calcografia camerale nel 1738 per volere di papa Clemente XII e ivi si conservano. Le tre serie ricordate comprendono numeri diversi di tavole, si presentano ora sciolte ora unite in album, e diversi sono i numeri ricordati dalla storiografia. Gli esemplari risultano compositi e quindi la rispondenza del numero delle stampe presenti può risultare ingannevole. Brunet e Nagler scrivono di 44 tavole, Cicognara ricorda nel suo Catalogo ragionato due serie, una di 44 fogli, l’altra di 48. Presso la Biblioteca di Archeologia e storia dell’arte, a Roma, si trovano 47 tavole, altri numeri sono presenti, per restare a Roma, presso la Biblioteca Apostolica Vaticana, la Calcografia. Secondo Adam von Bartsch la suite originaria comprendeva il frontespizio e 81 tavole. [27]Bartsch, 1818, vol. XVIII, pp. 158-170. Brunet, 1860, I, pp. 1596-1597; Cicognara, Pisa 1821, p. 52; Varie sono state le attribuzioni: Gori Gandellini, 1771, I, p. 240; Heinecken, 1778-1790, III, p.649; Le Blanc, 1854, I, pp. 597-605; Graesse, 1861, II, p. 54; Calvesi e Casale, 1965, p. 54, n. 185; De Grazia, 1979; Davoli, 1999, III, p. 103.Oltre alle tavole con la sigla dell’editore Stefanoni, “PSF”, altre simili, ma non uguali, hanno il monogramma “LC”. Si possono quindi ipotizzare in origine la commercializzazione di due suite componibili il numero ricordato da Bartsch. Le tavole circolarono singolarmente, ma potevano essere assemblate in seguito dagli eventuali studenti, dilettanti e/o collezionisti. Sono oggi uno strumento necessario per attingere il maggior grado possibile di conoscenze sulla fortuna, sulle vicende critiche di un artista, di un fenomeno artistico. Ci testimoniano la diffusione e la fortuna della koiné di Agostino Carracci. Aiutano nell’indagine anche sociologica, oltre che artistica, sui fenomeni della committenza, del collezionismo, del mercato. Affiancano l’affermarsi della stampa di traduzione e la sua diffusione a partire dal primo Cinquecento. Le tavole della suite raffigurano particolari del viso, teste maschili e femminili, teste di fanciulli, mani e braccia, piedi e gambe, corpi maschili e femminili, qualche animale, senza alcuna concessione scheletrica o muscolare, senza accenti erotici. Le incisioni erotiche, le Lascivie, avevano procurato ad Agostino lo sdegno di papa Clemente VIII, della curia pontificia e degli ambienti ad essa legati. Cinque tavole delle 81 si diversificano non presentando parti corporee e perché non derivano da suggerimenti carracceschi. Influenze da Dürer, Michelangelo, Rosso Fiorentino, Raffaello, Pontormo, Parmigianino, Reni, sono riscontrabili in alcune tavole. In uno dei fogli appare “AF”, che secondo Bartsch può leggersi Augustinus Fecit. (fig. 3)
Figura 3: Esemplare del Disegno, Roma, Giovan Domenico de Rossi, Piacenza, Biblioteca Comunale Passerini Landi, (L) Arco 07.03.104, “AF”, Profilo di donna con treccia raccolta, n. 8
A chi possiamo ricondurre il passaggio dai ‘disegni’ di Agostino, “sur les desseins et sous la conduite” di Agostino ha scritto Bartsch, [28]Bartsch, 1818, vol. XVIII, pp. 158 e 161 per l’incisione con la sigla “AF”. al bulino? Gli studi compiuti non hanno dimostrato sinora il collegamento delle tavole a disegni ad hoc preparati. Il modus operandi di Agostino, i fogli suoi al Castello di Windsor e in altre istituzioni europee e statunitensi, non permettono di avere dubbi in proposito, le rielaborazioni alla base dei bulini possono riferirsi ai soli incisori. Talora, anche da Bartsch, per i bulini con le lettere “PSF” è stato ricordato il nome di Francesco Brizio (1575-1623), l’allievo di Passerotti che una volta inserito nell’accademia dei Carracci seppe conquistarsi il favore di Agostino e questi “se lo tolse per compagno nell’intagliare […] dandogli propri disegni”. [29]Malvasia, 1841, I, p. 379. Di Agostino curerà la memoria dei funerali bolognesi nel 1603, preparando con Guido Reni e con Valesio le incisioni per la pubblicazione di Morello sul funerale del maestro. [30]Ivi, pp. 379-384; Morello, 1603, e in Malvasia, 1841, I, pp. 417-418; Bellori, 1976, p. 141. Cfr. Ottani, 14, 1972, pp. 369-370; Frisoni, 323, 1977, pp. 72-84; Eadem, 1994, pp. 67-81; Brogi, 4, 1993, pp. 85-127; Whitfield, 38-39, 1998-1999, pp. 5-30; Brogi, 12, 2006, pp. 137-143. Per altre trentasei tavole bisogna fare il nome dell’urbinate Luca Ciamberlano (1570 ca-1641). Attivo prevalentemente a Roma dal 1599 al 1641, pone il suo monogramma “LC” o “Lucas de Urbino F”, o una mano che va delineando il nome per esteso sulle tavole della suite simile, ma non uguale, alla precedente. [31]Bartsch, XX, pp. 27-56; Bohn, 1980, vol. 39, p. 343; Tarditi, 25, 1981. Lo testimoniano i pochi bulini presenti a Bologna nel Gabinetto dei Disegni e delle Stampe della Pinacoteca Nazionale (PN 24780, PN 1939, PN 1941). Le sue composizioni hanno una struttura classicheggiante e si individuano equilibrati giochi chiaroscurali. Se pensiamo Agostino quale sollecitatore di entrambi gli incisori, dobbiamo datare l’operazione entro il 1602, data della sua morte, ma non escluderei la retrodatazione al 1599, quando sino all’aprile il Carracci, Brizio e Ciamberlano sono compresenti a Roma. Il 23 gennaio è documentata una lettera di Pietro Stefanoni ad Ulisse Aldrovandi. L’editore vi ricorda Agostino al lavoro nella sua stamperia per disegnare un insetto, l’insetto stecco. [32]Ricordano la lettera Zapperi, 4, 1987, p. 18; Idem, 1994, p. 122; Olmi, 1992, p. 109; Ginzburg Carignani, 2000, p. 117. La si può leggere trascritta a Bologna, in Biblioteca Universitaria, mss. Aldrovandi, 136, t. XXVII, cc. 241v-242r. Una prima lettera all’Aldrovandi ha la data del 6 gennaio 1599. L’ha ricordata Takahatake, 2006, p. 115. Sappiamo già avviata a questa data la sua collaborazione con Stefanoni anche come incisore, subito prima del ritorno definitivo a Bologna e a Parma a seguito della lite con il fratello per il suo ormai esasperato individualismo, per la sua “insopportabile saccenteria”, [33]Agucchi, in Mahon, 1947, pp. 254-255. La ricorda Annibale in una lettera a Ludovico, cfr. Malvasia, 1841, I, p. 295. Segnalo inoltre il più recente contributo di Rossi, VIII, 2012, pp. 3-28. per il diverso e lacerante ricordo delle loro origini artigiane. Lui solo, secondo Malvasia, era stato nominato fra i Gelati accademico, per “intercessione del fondatore Zoppio”. [34]Malvasia, 1841, I, pp. 83, 294; l’affermazione di Malvasia non ha elementi di prova, Agostino è ricordato quale accademico di secondo ordine, assieme a Mitelli, solo nelle tarde Memorie, imprese e ritratti de’ Signori Accademici Gelati di Bologna raccolte nel principato del Signor Conte Valerio Zani, Bologna 1672, testo che Malvasia certo conosceva. Aveva preparato gli emblemi per tutti i principi, compreso Melchiorre Zoppio, aveva disegnato il frontespizio delle Ricreationi amorose de gli accademici Gelati di Bologna (1588). Eppure a Bologna il maestro era Ludovico, a Roma avevano chiamato Annibale. E perché non inserire fra i motivi della separazione fra i due fratelli anche questa iniziativa della SCUOLA PERFETTA? Essa corrisponde al ruolo culturale e sociale di maestro che Agostino rivendicava, dimentico dell’organizzazione collettiva e non gerarchica alla base della loro unione familiare e della pubblica accademia, dimentico che per legge un solo membro all’interno della stessa famiglia poteva iscriversi all’Arte dei Pittori ed essere riconosciuto maestro. In famiglia questi era Ludovico, ma era lui, Agostino, l’indiscusso intellettuale, lo studioso dell’arte fisionomica, il geografo, l’esperto di corografia, il cosmografo. “Non vi era scienza, ch’a lui fosse nuova rendendo buon conto delle massime della filosofia, degli aforismi della medicina, discorrendo fondatamente delle dimostrazioni matematiche, delle osservazioni astrologiche, delle divisioni e siti della cosmografia; sapendo di politica, d’istoria, d’ortografia e di poesia; componendo sonetti, madrigali e sestine in modo che il Rinaldi, suo grande amico, avesse più volte a dire, comporre meglio lui, e Monsignor Spinola, Vicelegato, a commendarlo per buon segretario non meno che buon pittore”. [35]Malvasia, 1841, I, p. 266. Egli portava seco “certi modelletti piccioli […] di braccia, di gambe di terra creta, che poi fe’ cuocere alla fornace”. [36]Ivi, p. 347. La serie delle tavole risponde alle sue esigenze di definizione formale e di ortodossia espressiva, alla sua ricerca di uno stile composto e appena idealizzato. Resta invece estranea alla concezione dell’arte del “solitario”, “astratto” Annibale, un’arte la sua che cerca il confronto con le tradizioni pittoriche e sceglie la via del naturale nella trattazione del colore e della luce, che va oltre il naturalismo dei soggetti feriali e delle caricature gustose benché ad essi ancorato, un’arte che incolla la vita alla tela, che cerca la verità della storia spingendosi con il suo reportage fra gli artigiani delle Arti per via. Egli giunge anche per questa via feriale a fare “universale” la sua pittura. [37]Mancini, 1956-1957, I, p. 219. Essa ormai dialoga di continuo, e il suo rapporto è continuamente critico, con Correggio, con Tiziano, con il Bassano, con Raffaello, con l’antico scolpito, senza mai dimenticare accanto alla amata storia dell’arte recente e antica la storia della vita, della sua vita di figlio di artigiani. Dovere di ogni pittore è la ricerca della propria originalità e la fedeltà ad essa. L’occhio di Annibale, il vigore del suo tratto, la larghezza del modellato avvolge e penetra il paesaggio, le case, i mobili, gli abiti, i corpi, il carattere, il comportamento, il sentire, l’agire e la sorte degli uomini.
La plasticità di certi profili dei fogli della SCUOLA PERFETTA, la struttura compositiva classicheggiante di altri fanno collocare le sollecitazioni incisorie nel periodo romano di Agostino (1597-1599), al di fuori dell’esperienza dell’accademia bolognese, pur appartenendo l’esercizio sui modelli alla tradizione di bottega. L’utilizzo dei modelli seriali è frequente nella produzione figurativa e nella trasmissione del sapere artistico già in epoca rinascimentale, soprattutto dopo l’apparire della stampa. La disponibilità seriale coinvolgeva i dilettanti, veicolava i prototipi e stimolava l’invenzione artistica. Ma può Agostino aver avallato la acritica e ripetitiva proposta di questi zibaldoni? di queste sillogi? Può aver tolto egli agli allievi la libertà di decidere quali esempi seguire? O sono piuttosto da interpretarsi come una via didattica, proposta per l’esercizio della mano e della mente, una via selezionata per la ricerca del classico che equipara i moderni suggerimenti carracceschi agli antichi? Malvasia ricorda il “libro de’ principii del disegnare di Agostino, pubblicato dallo Stefanoni”, [38]Malvasia, 1841, I, p. 74. quindi il riferimento ad Agostino era noto nell’entourage malvasiano frequentato da allievi diretti e collaboratori informati. Il sonetto di Agostino Chi vuol farsi un buon pittor cerca e desia è uno scherzoso ricettario che si fa gioco delle astratte formule combinatorie del manierismo tosco romano, ma non rifiuta la matrice veneta e lombarda della pittura dei tre cugini, pone questa tradizione pittorica e culturale in costante dialogo con la realtà fenomenica. Proprio questa dialettica, questa stratificazione di esperienze per nuove invenzioni confermata da tutta la produzione pittorica contrasta con la finalità prescrittiva di questi Esemplari. Non mi sembra però possibile, anche ricordando Malvasia, escludere la volontà didattica di Agostino. Proprio la natura di modelli dell’arte di questi fogli, dai quali è sparita l’indagine anatomica, collima con il ruolo di maestro che egli rivendicava a queste date e che dopo Roma lo porterà a Parma nel palazzo del Giardino, su invito del duca Ranuccio Farnese, essendoci a Bologna spazio per il solo maestro Ludovico.
I primi elementi del disegno di Giovanni Luigi Valesio
Giovanni Luigi Valesio (1561?-1633), il ballerino, schermitore, poeta, calligrafo e pittore, accademico Incamminato, all’inizio del secolo XVII è già artista affermato, dotato di grande fantasia. Nel suo ricco e vario repertorio grafico dimostra di aver unito all’educazione pittorica un’ampia cultura umanistica e una significativa applicazione scientifica. È suo per esempio, e per restare nel campo della grafica, il frontespizio del manuale di medicina Responsionum et Consultationum Medicinalium tomus unicus che il medico bolognese Giulio Cesare Claudino pubblicò a Venezia nel 1606. Intanto, muovendosi fra gli Incamminati, ha contribuito con altri al ricordato funerale di Agostino Carracci riproducendo il sepolcro attorniato da Apollo e dalle Muse. [39]Ivi, II, pp. 91-92. Per il funerale, vedi nota 26. Il primo a tracciare il suo profilo, ma ancorato all’attività romana, è stato Baglione, 1649, p. 354. Malvasia è stato più ricco di notizie nello zibaldone della Felsina, due manoscritti che si conservano a Bologna presso la Biblioteca Comunale dell’Archiginnasio, mss. B. 16-17. Si veda in proposito Scritti originali, 1983, pp. 341-362. Ha preparato a bulino le tavole de I primi elementi del disegno/ in gratia de i principianti nell’arte della pittura/ fatti da Giovanni Valesio l’Instabile Academico Incaminato di Bologna. Dedica “questi suoi principii del disegno” al cardinale Orazio Spinola, grande frequentatore dell’ambiente degli artisti, dei Carracci e di Ludovico in particolare. Lo Spinola, qui precisato Legato di Ferrara, in precedenza era stato vicelegato a Bologna per due mandati, dal 17 marzo 1597 al 22 aprile 1602. Il suo stemma, arricchito dal cappello cardinalizio, orna il cartiglio con il titolo e la dedica. [40]Pubblica il frontespizio Birke,1982, 40, pp. 21-171 (47) e 1987, p. 145. L’originale si conserva a Vienna, Albertina. A Vienna le tavole sono venti e comprendono il frontespizio e la dedica. A Bologna presso il Gabinetto Disegni e Stampe sono ventotto (PN. Inv 11895-11911, 29534-29541) e presentano alcune varianti rispetto a quelle viennesi. Cfr. Incisori, 1973, nn. 947-963. Ricordo che lo stemma del cardinale Spinola, disegnato da Ludovico Carracci, era stato inciso anche da Francesco Brizio, lo ricordano Robertson e Whistler, 1997, p. 56. Il ricordo del genovese nel ruolo di cardinale legato a Ferrara, fu nominato da Paolo V, àncora cronologicamente questi fogli al 1606 e ai due anni successivi, costituendo una ulteriore prova indiretta della precocità delle tavole della SCUOLA PERFETTA, il cui magistero i fogli di Valesio, che si nomina “l’Instabile Academico Incaminato di Bologna”, riflettono. La fortuna della serie di venti tavole con profili di visi, nasi, occhi, orecchie, bocche, visi di donne, di fanciulli, d’uomini, mani, piedi di fronte e di profilo, è testimoniata dalla successiva edizione romana riveduta e ampliata, ventiquattro sono ora le incisioni, edita da Andrea Vaccario con dedica al letterato Romolo Paradisi. [41]Fece parte dell’Accademia degli Umoristi, la maggiore dell’epoca a Roma in campo letterario, e vi ebbe la carica di censore. Si veda Superanzi, Romae, 1623. La data della sua morte, 1623, ci aiuta a collocare entro questo anno la seconda tiratura. Nel frontespizio la Pittura e la Scultura tutelano l’apprendimento dei due fanciulli intenti al disegno seduti in primo piano (fig 4, PN 11898 , PN 11900 , PN 11906 , PN 11907 ,PN 11909 , PN 23916).
Figura 4: Giovanni Luigi Valesio, Giovan Battista Rossi, Roma, Frontespizio, ante 1623 (da Bartsch, vol. 40, p. 47)
Malvasia, che non risparmia critiche al Valesio per questa sua “debole” iniziativa, ricorda però le teste di fanciulli, di giovani e di vecchi in tutte le posizioni, riunite in un ovale, e le molto ardite parole che le accompagnano: Dodici principali movimenti della testa, per chi desidera intenderli nella pittura [42]The Illustrated Bartsch, 40, 1982, p. 18; Malvasia, 1983, pp. 345, 361; Birke, 1987, p. 144. Per la sua attività di disegnatore, incisore, pittore: Takahashi, 2007, con la analitica bibliografia precedente. Valesio arrivò primo ben nove volte ai concorsi di disegno organizzati da Ludovico in Accademia. Lo ricorda Malvasia, in Scritti, 1983, p. 349, v. 29. Presso il Gabinetto Disegni e Stampe della Galleria Nazionale degli Uffizi trovasi un disegno (inv. 4272) proveniente dalla collezione Santarelli con venti profili di teste riuniti in un cerchio. (PN 11911). I fogli si rivolgono, secondo l’affermazione non sempre benevola del canonico, ai principianti della pittura. Offrono un selezionato prontuario delle parti del corpo, senza nessun riferimento scheletrico o muscolare. Il successo didattico e collezionistico della seconda serie è confermato dalla ripresa de I primi elementi del disegno a Roma nella stamperia di Giovan Battista de Rossi in piazza Navona. [43]Takahashi, 2007, p. 71, ill. 13. Conosciamo anche alcuni disegni prossimi alla suite. Si conservano a Stoccolma, presso il Nationalmuseum. Furono acquistati assieme ad altri a Parigi da Carl Gustaf Tessin in occasione dell’asta della collezione di Pierre Crozat nel 1741 (inv. 1158/1863-1177/1863). [44]Ivi, pp. 111-115. Inoltre Bjurstrom, Loisel, Pilliod, 2002, cat. nn. 1659, 1664; Scrase, 2011. Nel frattempo, Valesio dal 1617 era entrato al servizio quale segretario del conte Orazio Ludovisi e nel 1621, nominato papa il cardinale Alessandro (assunse il nome di Gregorio XV), fratello di Orazio, si era trasferito a Roma restando legato ai Ludovisi. Nato a Correggio da genitori spagnoli ma formatosi a Bologna, privilegiando l’incisione, era passato allo stile analitico e composto di Agostino tralasciando quello franco ed emozionale di Ludovico Carracci, suo primo maestro. Questi all’allievo dedicatosi già adulto al disegno sovente aveva fornito modelli di draghi, di leoni, di aquile e d’altri animali per i suoi fogli di soggetto araldico o letterario. [45]Malvasia, 1841, I, pp. 225-228. Il pittore sembra essersi appropriato, arricchendole di fantasia araldica, delle sollecitazioni didattiche che all’interno dell’accademia Ludovico e Agostino avevano sostenuto, prima del trasferimento a Roma di Agostino al seguito di Annibale. Questo procedimento di riproduzione assunto da Valesio ha però un rischio: sposta l’attenzione dall’indagine del sempre vario naturale all’astraente ricerca della perfezione. E comporta una conseguenza del tutto contraria alla didattica carraccesca: l’impostazione pratica sfocia nella prescrizione. Invece, ancora nel primo Seicento, Annibale a Roma sta perseguendo un rapporto equilibrato tra tradizione classica, tradizione pittorica, invenzione e natura, forma, luce e colore. Di lì a poco alla sua armonia subentrerà per scelta di altri, teorici e artisti, la dottrina della selettività, centrale nell’approccio classico idealista. Si farà strada una bellezza figurativa aggraziata nella posa, in sintonia nel gesto e nell’abbigliamento con il ruolo narrativo e morale, in equilibrio con l’ambiente circostante, sia esso naturale o architettonico. La figura umana si farà insomma paradigmatica, stabilirà un modello di chiarezza e di ordine per tutte le componenti del dipinto, sarà con la sua perfezione portavoce di retti principi morali, sarà con la postura interprete sincera della poetica degli affetti, insomma nulla a che vedere con la spontaneità degli uomini e delle donne di Annibale. La capacità di intervenire nella realtà si ridurrà continuamente. Questo rischio fa parte dell’eredità classica e aristotelica: seguendo il procedimento adottato da Zeus, l’artista, o aspirante tale, può scegliere quanto vi è di più perfetto in più individui e combinarlo. Sappiamo che il procedimento è stato più volte adottato e ciclicamente riappare. Ne scaturisce una qual certa ripetitività, un repertorio di mestiere, una perdita di misura critica e di spessore interpretativo.
Eppure, non cessa l’interesse per questo tipo di interventi editoriali, essi vanno anzi intensificandosi e non solo a Roma.
Il vero modo et ordine per dissegnar di Odoardo Fialetti
Il bolognese Odoardo Fialetti (1573-1637/38), dopo aver frequentato giovanissimo la bottega di Giovanni Battista Cremonini, pittore originario di Cento ma con scuola a Bologna, trasferitosi a Venezia entra in quella di Tintoretto. Tutta la sua successiva e variamente articolata produzione dimostra il tentativo di coniugare la cultura carraccesca con quella veneta della tarda maniera. È conosciuto soprattutto per la sua vasta opera grafica, anche medica. Con Giulio Cesare Casserio, il medico anatomista originario di Piacenza ove era nato attorno al 1552, Fialetti collaborò nel 1627 alla pubblicazione veneziana delle sue Tabulae anatomicae e del De Formato Fetou nel 1631. [46]Per Casserio anatomista: Cunsolo, 2005, pp. 91-110. Di gusto carraccesco è il precedente suo manuale di disegno: Il vero modo et ordine/ per dissegnar/ tutte le parti/ et membra del corpo humano, che pubblica nel 1608 da Justus Sadeler in laguna. Una targa ricorda il pittore nella veneziana Santa Maria del Rosario, la chiesa dei Gesuati. Firmando il frontespizio delle sue manualistiche tavole, le dedica al duca di Modena, Cesare d’Este. Si tratta di una serie di tavole al bulino, pensate per gli amatori e i dilettanti del disegno, che illustrano con carattere analitico e didattico le varie parti del corpo umano. Erano organizzate in due libri, ognuno col proprio frontespizio. Il piccolo libro dei disegni, datato 1608 e con dedica al ricordato duca di Modena, comprende dieci incisioni. Il grande libro dei disegni non è datato, si compone di trentasei tavole dedicate a Giovanni Grimani, il cui stemma compare nel frontespizio sopra il disegno del cartiglio che Ercole e Sansone reggono. In tutti i fogli, editi da Justus Sadeler, l’editore, incisore e mercante di stampe fiammingo, suo abituale collaboratore, Fialetti si rivela attento alla metodologia disegnativa carraccesca, in particolare a quella del periodo romano di Agostino. A Roma, ove secondo Boschini, suo allievo, e Malvasia, Fialetti si reca sul finire del Cinquecento dopo la morte di Tintoretto nel 1594, il Carracci andava studiando l’eleganza classica preferendola al disegno dal naturale e Fialetti, che può aver conosciuto il bolognese già a Venezia, ad essa si attiene. Oltre a occhi, orecchie, braccia, gambe, torsi, visi, in due tavole del grande libro ci mostra fanciulli e adulti che si esercitano in una bottega d’artista disegnando reperti classici che vediamo in primo piano (PN 25725) e misurando le proporzioni di statue antiche. [47]Masini, 1666, pp. 635-636; Malvasia, 1841, I, p. 234; Bartsch, XVII, 1818, p. 298; Incisori, nn. 569-613; Maugeri, XII (1982), pp. 148 s.; Eadem, 47, 1997, pp. 322-324; Ames-Lewis, 1996, p. 59; Greist, 2014, pp. 12-18. Boschini in La carta del navigar pitoresco (Venezia, 1660, pp. 467-468) scrive: “Odoardo Fialeti Bolognese, ma venetian per el so’ bravo inzegno, el qual ha hauu tal don d’esser sta degno che’l Tentoreto assistà a le so imprese…”. L’esemplare presente presso il Rijksmuseum di Amsterdam con il titolo Tutte le parti del corpo Humano diviso in più pezzi , reso noto da Greist nel 2014, presenta al verso di alcune tavole, 9 per la precisione, alcune didattiche righe dello stesso Fialetti. Oltre all’”Avertimento a gli Benigni Lettori”, il verso delle tavole spiega come disegnare orecchio, bocca, naso e mento, teste di profilo, teste di fanciulli, teste in scorcio, la Maestà in un ovato perfetto. L’esemplare di Amsterdam non è datato. A Monaco, Graphische Sammlung, si conserva una ulteriore suite con la data 1609. Sempre con Marcus Sadeler e a Venezia nel 1626, Fialetti diede alle stampe anche De gli habiti delle religioni. Numerose sono altre sue tavole con fregi e grottesche.
Jacopo Palma il Giovane e i suoi De Excellentia et Nobilitate delineationis libri duo
Jacopo Negretti, detto Palma il Giovane, che collabora all’esemplario di Fialetti del 1608 or ora citato con due tavole finali e fuori contesto, Madonna e Bambino con santi, Cristo e l’Adultera, autonomamente e per i tipi di Giacomo Franco (1550-1620) dà alle stampe a Venezia nel 1611, tre anni dopo l’edizione di Fialetti, i suoi De Excellentia et Nobilitate delineationis libri duo. Nel frontespizio, vediamo Pittura e Scultura mostrare gli strumenti del loro lavoro (PN 2774). Disegnatore fecondo e versatile, più libero nella grafica che nella pittura, sul finire del Cinquecento e all’inizio del secolo seguente, al ritorno dal viaggio romano, Palma è il protagonista della pittura veneziana in laguna, ma è richiesto anche negli stati Estensi, a Reggio Emilia in particolare, e opera a lungo per i Pico a Mirandola. Nel breve saggio introduttivo al primo libro nell’edizione del 1611, l’incisore Giacomo Franco riprende le idee vasariane sul disegno e dà rilievo al ruolo dell’esercizio grafico nella formazione di un artista. Seguono le ventisei tavole di principii del disegno, esempi morfologici del corpo umano disegnati da Palma, (PN 2773 , PN 2780) ispirandosi a Fialetti e accentuando i toni chiaroscurali in chiave tintorettesca. Dimostra l’adesione allo stile del maestro anche nei disegni, ove ai densi tratti a matita nera aggiunge lumeggiature a biacca. La sua eleganza manieristica, non immune da ricordi parmigianineschi, [48]Palma ebbe occasione di vedere i fogli del Mazzola comprati dall’amico Alessandro Vittoria. Lo ricorda Mason Rinaldi, 1990, p. 25. già volge verso il dinamismo e l’espressività che saranno propri del barocco. Nel secondo libro offre una serie di illustrazioni all’antica, con cammei, trionfi, elementi ornamentali. Tutte le tavole furono incise dal ricordato Giacomo Franco detto il Semolei, importante editore di libri e stampe, non solo incisore, e le ritoccò il figlio di Palma, Giacomo. Nel 1636 Marcus Sadeler ristampò l’opera con il titolo Regole per imparare a disegnare i corpi umani, e ancora nel 1659 Stefano Scolari, che aveva la tipografia a Venezia, locata all’insegna delle Tre Virtu’ a S. Zulian, ripropose con successo l’esemplario. Il progetto originario di Franco era ben più articolato, comprendeva anche incisioni da disegni di Palma con figure di santi: il 19 gennaio 1611 gli era stata concessa la stampa, con i relativi diritti d’autore, per trenta anni. Al momento di pubblicare “Il libro della nobiltà del DISEGNO” lo dedicò, il 20 settembre 1611, sia a Gio Battista du Val, segretario della Regina di Francia, sia agli studiosi del disegno. [49] La dedica duplice è visibile negli esemplari conservati a Firenze presso il Gabinetto disegni e stampe della Galleria Nazionale degli Uffizi e a Parigi presso la Bibliothèque Nationale. Per l’artista rimando a Forlani Tempesti, 1958 e ancora a Mason Rinaldi, 1984; Eadem, 78, 2013.
Gasparo Colombina e il suo Discorso
Nel frattempo, è il 1623, a Padova è apparso il Discorso sopra il modo di disegnare, dipingere et spiegare secondo l’una e l’altr’arte gli affetti principali si naturali, come accidentali nell’huomo, secondo i precetti della fisionomia, del padovano Gasparo Colombina (1580 ca-1651) (fig. 5).
Figura 5: Gasparo Colombina, Discorso sopra il modo di disegnare, Londra, British Museum, Prints & Drawings, inv. 1869, 0410.2423
Il frontespizio riporta la personificazione della Pittura ripresa dalla Pittura trionfante di Giulio Cesare Gigli, edita a Venezia nel 1615. L’immagine era stata intagliata da Fialetti su disegno di Palma il Giovane. Colombina la riprende per il frontespizio del suo Discorso. Nella prima parte ricorda la teoria dell’ut pictura poesis per giustificare la resa fisiognomica dei volti umani e la scelta naturalistica; nella seconda parte, intitolata Li primi elementi della simmetria o sia commensuratione del disegno delli corpi humani, e naturali a giovamento delli studiosi di questa nobil Arte, ci sono le illustrazioni di Filippo Esengren, pittore e antiquario, “uomo da metamorfosi, prima orafo, poi pittore, appresso ristoratore, e in fine sensale di quadri”. [50]Puppi, 27, 1982, pp. 144-146. Il testo sarà ristampato con altro frontespizio a Venezia presso Giovanni Temini nel 1650 ca, cfr. https://digi.ub.uni-heidelberg.de/diglit/colombina1650/0005 Insomma la ricerca del corpo nuovo, l’affermazione della pittura, scultura e architettura come arti liberali, la didattica del disegno come sfida al monopolio delle corporazioni sul tirocinio artistico, l’esercizio del disegno per i dilettanti aristocratici, il mercato, l’editoria vanno di pari passo a Padova e a Bologna, meta preferita della peregrinatio studiorum, ma con il coinvolgimento degli editori di Venezia che dalla laguna meglio potevano assicurare la diffusione delle opere. All’interesse degli studenti, di scienza e d’arte, e al loro reciproco interagire, si era aggiunto quello dei dilettanti, nobili e non, che accettavano la nuova posizione delle arti, le aspirazioni intellettuali degli artisti e riconoscevano nella pratica del disegno e nella conoscenza anatomica della figura umana il fondamento della educazione artistica. Il sensale e mercante di perle false, ma anche incisore e da ragazzo allievo di Palma il Giovane, insomma Marco Boschini e la sua Breve Instruzione ci confermano nei territori della Serenissima il successo di queste strategie didattiche introdottevi da Odoardo Fialetti e continuate da altri nel palazzo della famiglia Nani: “E grand’obligazione dovrebbe professare senza dubbio il Dilettante di Pittura ad uno non mai abastanza da celebrarsi, Senatore amplissimo di questa Patria, indagatore diligente delle cose più recondite della Natura, e dell’Arte, cultore indefesso della Virtù, e liberal Mecenate di qualunque la professa, non ignaro del dissegno, e dell’arte medesima del colorire, il quale, havendo eretta in sua Casa in S. Trovaso una Academia universale, co’l nome de’ FILALETI, cioè a dire Amatori della Verità, concede à vecchi, & à giovani Pittori, & à qual si sia dilettante curioso di questa professione libero l’addito, per introdursi à dissegnare dal Nudo, in Stanze terrene, à ciò destinate, con pensiero d’arricchirle di tutti li Rillevi, che migliori di gesso potrà raccogliere, per servizio, e commodo de studenti, & in oltre dà libertà à cadaun altro professore di qual si voglia facoltà liberale, ne giorni festivi di tutto l’anno, di congregarsi nelle sue stanze superiori, ove s’habbia liberamente à discorrere di Pittura, di Prospettiva, d’Ottica, d’Architettura, di Geometria, & in somma di tutte quelle scienze, che più sono d’aggradimento à congregati: & è cultore particolarmente di tutte le matematiche, amatore di musica, & hà un’elatissima cognizione de i fiori più pellegrini, e più rari, e de semplici ancora, de quali pure ne và facendo per suo studio copiosa raccolta. Ivi per tanto, ò Dilettanti, accorrete, se sete volonterosi d’apprender la prattica di quanto bramate d’intedere, che mercé la generosità, e grandezza dell’animo di quel nobilissimo Cavaliere, più bella, più virtuosa, e più proficua ricreazione di questa non potete ricevere: E se vi sono tante altre Virtuose Academie, perché non questa? Essendo forse la più necessaria di tutte le altre per conservare, aumentare, e da nuovo far rissorgere quei talenti (per così dire) smarriti di quegli Oracoli che oggidì vengono da tut- ti ossequiati, dico d’un Tiziano, d’un Giorgione, d’un Pordenone, d’un Palma vecchio, d’un Tintoretto, d’un Paolo Veronese, d’un Zilotti, d’un Bassano, d’un Salviati, e di tanti altri […]”. [51]Boschini, (1674)1966, pp. nn. ma 72-73; Puppi e Rugolo, 1997, pp. 659-661; Cecchini, 2000, pp. 215-225.
Guercino e I principi del disegno
Ritornando a Bologna e nei suoi dintorni, vediamo che a questa metodologia didattica da bottega, e alla ricerca collezionistica che subito accompagnò questi bulini, non si sottrae lo stesso Guercino. Bartolomeo Fabbri, amico e committente dell’artista, gli aveva offerto due stanze della sua casa di Cento e qui il pittore fondò la sua prima accademia del Nudo, modellandola sull’esempio carraccesco. Secondo Malvasia, nel 1617 aveva ventitré studenti. L’anno seguente, nel 1618, il piacentino Oliviero Gatti (1580 ca-1648) fu chiamato a Cento dal protettore e promotore del Guercino, padre Antonio Mirandola dei Canonici regolari di San Salvatore. Questi affidò al Gatti il compito di incidere su rame gli studi eseguiti dal pittore per I principi del disegno, un manuale antologico con occhi, bocche, teste, mani, piedi, braccia e torsi. Intagliato un anno dopo, nel 1619, fu molto ammirato a Venezia da Palma il Giovane, qualche anno prima interprete di una esperienza analoga. La suite di bulini ebbe la dedica a Ferdinando Gonzaga, l’allora duca di Mantova, il cui stemma la Pittura va dipingendo nella prima tavola della serie (PN 3786 , PN 3793 , PN 3797; PN 22256/17 , PN 22256/18 , PN 22256/19 , PN 22256/22). Per due dei bulini si conoscono i disegni originali riferiti a Guercino, apparsi in anni recenti sul mercato antiquario. Gatti era stato allievo prima di Agostino, e morto questi di Valesio, artisti che abbiamo visto intrecciati ad analoghe esperienze. Come i suoi maestri, egli fu un abile illustratore di frontespizi e un disegnatore accanito di imprese nobiliari e di emblemi. Però, secondo Malvasia, non riuscì a riprodurre “que’ bei segnoni interi e arrischiati del secondo maestro, stentacchiandoli e rompendoli in modo che dimostrano sempre pusillanimità e timore”. [52]Malvasia, 1841, II, pp. 104, 252, 259. Lo aveva ricordato per primo Masini, 1666, p. 635. Più ammirati erano i bulini realizzati dalle opere del giovane Guercino dall’allievo di Gatti, il centese Giovanni Battista Pasqualini, che aveva seguito Guercino anche a Roma nel 1621. L’album de I principi del disegno, con ventidue tavole compreso il frontespizio, fu diffuso in secondo stato a Roma da Giovan Giacomo De Rossi, il nuovo possessore delle lastre (PN 22829). Egli vi appose, oltre all’indirizzo della sua bottega, la scritta “questo è il vero originale”. [53]Malvasia, 1841, II, p. 259; Calvi, 1808; Bartsch,1818, XIX, p. 29; The Illustrated Bartsch, ed. Spike, 1981, 41, p. 109. Nel 1650 circa, altra edizione intagliò Bernardino Curti reggiano. Essa aveva lo stesso frontespizio dell’edizione romana del 1619 e la dedica a Paolo Coccapani, vescovo di Reggio Emilia. Per le incisioni presso il Gabinetto Disegni e Stampe della Pinacoteca di Bologna: Incisori 1973, nn. 653-656, inv. PN 22256/ 1-22. Voleva con probabilità distinguerle dalle copie fatte stampare sia da Pierre Mariette (1603-1657), in Rue Saint Jacques à l’Esperance a Parigi nel 1642, sia da Bernardino Curti (Reggio Emilia, 1611-1679), sia da Francesco Curti (Bologna, 1610-1690). Questi nel 1633, aveva intagliato anche l’Esemplare per li principianti, ideato da Guido Reni in una serie di dodici tavole (PN 1808 , PN 1809, PN 1810). L’incisore a queste ne aggiunse altre cinque, ricavandole sempre da disegni del Reni. La suite comprensiva di diciassette stampe nel frontespizio fu dedicata al marchese e senatore Antonio Lignani. [54]Bologna, Gabinetto Disegni e Stampe della Pinacoteca Nazionale, inv. PN 22256/23-42; Incisori, 1973, nn. 499-518; Davoli, 1999, III, p. 268.
In questa furia, sia didattica, sia collezionistica, sia di mercato, per rispondere alle richieste di amatori bolognesi e forestieri, va inserita anche la Scelta di disegni del Caracci, Parmegiani et di Guido Reni dedicata da Francesco Curti al cardinale Farnese, allora Legato a Bologna, e qui pubblicati. [55]Malvasia, 1841, II, p. 92. L’album del centese per lo studio del disegno ebbe prima la dedica a monsignor Giulio degli Oddi, quindi al marchese Francesco Montecuccoli e il titolo: Guercino. Elementi di figura [56]Davoli, 1999, III, pp. 266-268.. Diminuiscono, anzi scompaiono, le tavole anatomiche a favore dei particolari del viso, delle mani, dei piedi, delle teste e dei busti. Il collegamento con la SCUOLA PERFETTA di Agostino è particolarmente evidente nello studio delle posture delle mani.
Gli ESEMPLARI Per facilitar gli amatori del Disegno di Giuseppe Caletti
La stessa frenesia istruttiva e incisoria coinvolge il cremonese Giuseppe Caletti, attivo soprattutto nella vicina Ferrara fino al settembre 1641, interessato alla frequentazione più di taverne che di accademie. Nonostante la sua vita sregolata ricordata dalla storiografia, ma sono rare le informazioni sicure sulla sua vita, con il segno parallelo e ondulato che gli è proprio, con i contorni precisati ora dalla fitta punteggiatura ora dal tratteggio, egli ha lasciato testimonianza del fascino su di lui esercitato dalla grafica guercinesca, ma anche dalla prassi sia di Dosso, sia di Tiziano, sia di Lionello Spada. Lo riscontriamo nella stravaganza e rustica umanità delle sue figure, nella tecnica adottata nelle tavole conservate presso il Gabinetto dei Disegni e delle Stampe della Pinacoteca di Bologna. I numeri “7” e “8” riscontrabili in alto a sinistra nella Testa di giovane donna e nella Testa virile (PN 2986/7, PN 22866/8) fanno pensare alle tavole numerate di un esemplario del disegno non diverso da quelli sinora considerati e rivolto nell’area ferrarese a discepoli, dilettanti e collezionisti (PN 22863, PN 22864). Si ha infatti notizia degli ESEMPLARI Per facilitar gli amatori del Disegno Del signor Gioseppe Cremonese dedicati al molto illustre Sig. Ruberto Canonici Nobile Ferrarese, bulini usciti a Venezia nel 1628 presso l’incisore ed editore Catarino Doino, già collaboratore di Francesco Valesio nella sua bottega in Spadaria. [57]Per la data di morte: Bondanini, 2000, p. 256, nota 11. Cfr. Riccomini, 1969, pp. 19-20, 41-47; Bargellesi, 1973, 16, pp. 683-686; Turner, 1984, II, pp. 681-688; Vicentini, 27, 2016, pp. 193-200. Resta sempre utile la verifica in Bartsch, XX, 1820, pp. 134-135. Il rapporto con il naturalismo bolognese è evidente nell’asprezza di certi profili. Roberto Canonici era noto a Ferrara per la sua collezione di pitture, medaglie, monete, bronzi, antichità, disegni che aveva riunito nella galleria del suo palazzo di città, in via San Benedetto (li testimonia il suo testamento) [58]Baruffaldi, 1844, Vol. I, pp. 129-130; vol. II, pp. 209-216; Savonuzzi, 2, 1972, pp. 32-36; Sframeli, 40, 1991, pp. 384-386; Barboni e Cortona, 2, 1996, pp. 127-135; Barboni, 2012, pp. 21-32. Di recente un disegno di Caletti con un fanciullo elegantemente vestito abbracciato ad un cane è stato reso noto in Kazlepka e Zlatohlavek, 2016, pp.118-119., e che andò dispersa con l’incendio che colpì la casa nel 1638.
Francesco Cavazzoni e il suo Essemplario della nobile arte del disegno
Allorché Cavazzoni nel 1612 si appresta a preparare per Roderico Pepoli, suo frequente mecenate, un manuale del disegno, non è la sola essenzialità grafica a caratterizzare il suo Essemplario della nobile arte del disegno. La novità consiste nell’unire raffigurazione e testo, prossimi e interagenti, certo di essere in questo modo visto, letto, compreso velocemente e senza difficoltà. Il testo infatti fornisce essenziali, didascaliche spiegazioni. Le immagini relative vogliono istruire, suggerire esercizi allo scopo di migliorare la manualità prima, l’abilità tecnica e la ricchezza conoscitiva, quindi sollecitare l’imitazione dai maestri, infine stimolare l’invenzione. Egli ancora vede nell’esercizio del disegno il basilare strumento di formazione e di affinamento, la via per nobilitarsi con la pittura se artisti, per arricchire l’onore se dilettanti gentiluomini. Dopo gli esempi relativi alle progressive fasi di apprendimento, le sue proposte si riallacciano alle testimonianze della tradizione pittorica e scultorea, al repertorio classico, sono una somma di citazioni e di esperienze diverse per tempo e luogo. Al pari delle sue pitture, i disegni risultano la riorganizzazione di materiali desunti da altri e fortemente eterogenei. I suoi esempi sono adatti a essere inseriti in tipi differenti di composizione, sono “pseudo accademie” di esercizio, ove l’arte del particolareggiare, sua propria, si esplicita con nitidezza. Solo dopo che si sarà reso padrone del disegno lo scolaro potrà ritrarre “il buon rilievo, il quale li mostrerà la via del naturale”. [59]Cavazzoni, 2000, p. 136. Cavazzoni, ma ormai non solo lui, cerca il naturale nella statuaria antica che i ritrovamenti di primo Seicento avevano reso di grande attualità. Pur certo della prassi nobilitante del disegno, trasformerà l’imitazione in un processo meccanico di divisione e ricomposizione di citazioni. Il metodo della citazione si era diffuso con la silografia rinascimentale e le sue matrici smontabili: alcuni elementi grafici intercambiabili (parti del corpo, paesaggi, quinte di alberi) erano incisi su tavolette per così dire prefabbricate, che venivano inserite in “finestre” di dimensione standard lasciate vuote nella matrice principale; la stessa mano, o la stessa nuvola, o lo stesso albero, potevano essere utilizzate in illustrazioni diverse. [60]Ivi, p. 228. Nel disegno, come già nella sua produzione pittorica, Cavazzoni utilizza queste citazioni. Nella Nascita del Battista, tela nella parrocchiale di Riolo di Castelfranco Modenese, con la torsione della figura femminile inginocchiata presso il lavabo e voltata, egli cita la figura analoga della Trasfigurazione di Raffaello, la cui incisione sin dal 1538 l’editore Antonio Salamanca aveva provveduto a diffondere. [61]Lo ricorda Carpo, 1998, p. 60. Per il disegno con due varianti della Madonna di San Luca, ora a Darmstadt, e per quello con lo stesso soggetto inserito in Corona di Gratie, [62]La Nascita del Battista è tela della Pinacoteca Nazionale di Bologna in deposito presso la parrocchiale di Riolo; cfr. Cavazzoni, 1999, p. 165; Pigozzi, 2006, pp. 198-199; Pigozzi, 2015. egli si ricorda delle figure che rovistano inserite da Baldassarre Peruzzi in basso a destra nel cartone dell’Adorazione dei Magi per i Bentivoglio. In mezzo alla folla di persone e di animali, fra gli archi trionfali e la natura arborea e rocciosa, il gruppo rappresenta uno dei molteplici episodi del racconto dinamico del senese, nel foglio di Cavazzoni assume un rilievo di primo piano. Ricordo questi due soli esempi: essi esprimono la cultura pittorica di interpreti che oltre che a Roma hanno operato anche per Bologna, i soli che Cavazzoni ha voluto citare. In particolare la fortuna del cartone di Baldassarre era stata confermata di recente, nel 1579, dall’incisione di Agostino Carracci dedicata nel suo primo stato al cardinale Paleotti, in uno dei due rari momenti in cui il pittore ha interloquito con il cardinale. [63]Darmstadt, Hessisches Landesmuseum, inv. AE 1550. Corona di Gratie si conserva a Bologna, Biblioteca Comunale dell’Archiginnasio, ms. B. 298. Cavazzoni aveva visto l’originale in casa di Battista Bentivoglio e lo ricorderà fra le pitture notabili della città. [64]Bohn,1995, 39, p. 30. Altra occasione sarà la dedica al cardinale della pianta di Bologna con la sua succinta storia. Mentre il suo stile prosegue con coerenza la linea pittorica dei ‘manierosi’ bolognesi, in particolare di Passerotti e di Samacchini che gli sono stati maestri, le sue citazioni rimandano ad artisti di primo Cinquecento che prediligono il confronto con l’antico, ma che mostrano memoria di favole gotiche. Egli cita Raffaello e Peruzzi non già quali interpreti dell’antico, ma per coglierne quelle torsioni dinamiche, quei profili aguzzi prossimi alla tradizione gotica. Una tradizione che sappiamo persistente a Bologna e della quale i Pepoli, i referenti del nostro pittore e scrittore, erano i paladini. Oltre ad una antologica di esempi figurati, in cui il ricordo della strategia di Agostino, di Palma il Giovane e di Fialetti è costante, Cavazzoni propone a Roderico Pepoli, ai figli e ai suoi aristocratici amici dilettanti le prime tappe di un itinerario di formazione artistica. “Il virtuoso scolare si potrà dilettare di sapere con qualche buon studio d’annotomia […]. Sarà bene che il studioso scolaro impari qualche buoni termini di geometria, che senza questa virtù non potrà operare molto cosa buona […]. Dopo questo si eserciterà il scolare a fare qualche buon studio di proporzione, che senza questa non si può fare cosa buona nella Pittura […]. Ancora sarà necessario, che il buon scolare facci qualche studio nelli ordini di buona architettura, che poco sono le opere disegnate, over colorite, che non vi sia di questa scienza, over arte onorata”. [65]Cavazzoni, 1999, p. 57.
Il sistematico rivolgersi alle proporzioni dell’uomo di Vitruvio da Alberti a Lomazzo ci accompagna per tutto il Rinascimento assieme alla proporzione modulare derivata da Dürer. Il suo testo Della simmetria dei corpi humani (lo ricordiamo tradotto in italiano nel 1591) testimonia che il pittore non meno dell’architetto ha bisogno di una base strutturale enunciabile con proporzioni geometriche che lo rassicurino nell’impostazione della figura nello spazio. L’ideale classico della concinnitas, una soluzione ciceroniana retorico-letteraria, è infatti ripreso nelle arti figurative e nell’architettura del Rinascimento come principio generale. Lo si fonda su proporzioni armoniche e rapporti di simmetria e lo si congiunge all’idea aristotelica dell’opera d’arte come organismo vivente. [66]Ivi, pp. 147-150. Vitruvio nel terzo libro del suo De Architectura, riallacciandosi ai canoni policletei della scultura, ha proposto una serie di numeri relativi alle proporzioni simmetriche della figura umana ideale e ad essi fa riferire anche l’architettura del tempio. [67]Aristotele, 1973, p. 208. Alberti aveva inventato l’exempeda, uno strumento di misura che gli consentiva di rapportare l’altezza di un soggetto da esaminare ad una scala teorica perfetta: un piede doveva corrispondere ad un sesto dell’altezza. [68]Vitruvio, 1990, p. 125. L’analogia tra anatomia e architettura è esplicitata da Francesco Sansovino già nel titolo del suo libro, L’edificio del corpo umano, pubblicato da Comin da Trino nel Monferrato nel 1550. Di lì a poco Lomazzo teorizzerà che la figura umana può derivare solo dalla triade proporzione-disegno-armonia [69]Alberti, 1998, p. 17, fig. 1. e non pochi artisti nel corso del Cinquecento hanno lavorato sulla figura umana seguendo un metodo stereometrico, agendo per volumi geometrici e ricorrendo alla simmetria come principio generale di costruzione. Ancora all’inizio del Seicento Francesco Cavazzoni consiglierà questo metodo in alcune delle tavole del suo Essemplario. [70]Lomazzo, 1973-1974, I, p. LXV. (figg. 6-10)
Figura 6: Francesco Cavazzoni, Essemplario della nobile arte del disegno, 1612, Francesco Cavazzoni, Frontespizio, Roma, Biblioteca di Archeologia e Storia dell’Arte, ms. inv. 65
Figura 7: Da Francesco Cavazzoni, Luigi Crespi ?, Frontespizio, Bologna, Biblioteca Comunale dell’Archiginnasio, ms. B 330
Figura 8: Francesco Cavazzoni, Adamo ed Eva, Roma, Biblioteca di Archeologia e Storia dell’Arte, ms. inv. 65
Figura 9: Francesco Cavazzoni, Corpi maschili muscolosi, Roma, Biblioteca di Archeologia e Storia dell’Arte, ms. inv. 65
Figura 10: Da Francesco Cavazzoni, Luigi Crespi ? Busto femminile con quadrettatura, Bologna, Biblioteca Comunale dell’Archiginnasio, ms. B 330, cc. 34v-35r
La definizione della figura umana in studi di composizione attraverso essenziali e razionali volumi cubici permette di studiarne con maggior precisione l’inserimento nello spazio e la coerenza con quello spazio prospettico nel quale essa va ad inserirsi. Questa scomposizione della figura in masse volumetriche di forma geometrica è una pratica rintracciabile già a Milano e dintorni fra la fine del secolo XV e l’inizio del seguente e più tardi a Roma nella vitruviana Accademia della Virtù presieduta da Marcello Cervini, il futuro papa Marcello II. L’accademia, fondata da Claudio Tolomei, umanista, filologo, poeta, ecclesiastico, diplomatico senese, attiva a Roma dal 1542, era frequentata oltre che da artisti e da aristocratici dilettanti anche da matematici. Vi si dibatteva, dopo le esperienze leonardesche e bramantesche, che il cubo era una forma pura, un archetipo per costruire la forma umana, fiduciosi nella proporzione geometrica della figura e nel suo inserimento nello spazio. Anche il pittore ligure Luca Cambiaso aveva utilizzato questa strategia geometrica per l’organizzazione dei corpi nello spazio dei suoi disegni.
Itinerario fra gli Esemplari: didattica, diffusione della koiné, mercato
Alberti ci aveva dimostrato che l’arte era diventata scienza. Le ricerche di Leonardo, primo interprete delle arti, delle scienze e della letteratura unite, avevano precisato le modalità di conoscenza del corpo umano e Dürer aveva confermato con le sue indagini antropometriche l’approccio scientifico e la comune assunzione del significato pedagogico del disegno del corpo umano. Dopo le intellettualistiche interpretazioni delle ansie cinquecentesche, il rappel à l’ordre dell’accademia di Firenze, confermato dalle iniziative analoghe di Roma e dall’Accademia di San Luca, le sollecitazioni devozionali postconciliari e la relativa esigenza di controllo, ma soprattutto l’esperienza bolognese dei Carracci avevano sollecitato nuovi percorsi d’arte e nuove modalità. Aveva cominciato Alessandro Allori a Firenze con Il primo libro de’ Ragionamenti delle Regole del disegno d’Alessandro Allori con M. Agnolo Bronzino, rimasto manoscritto sino al secolo scorso. Il suo procedimento, ragionare prima sulle singole parti del volto e disegnarle, poi studiare le articolazioni, quindi il corpo intero, sarà confermato da tutti gli autori, scrittori e/o disegnatori considerati. Francesco Cavazzoni in particolare adotterà a Bologna e rispetterà il binario scrittura-disegno relativo [71]Per l’Essemplario di Cavazzoni, vedasi alla Biblioteca di Archeologia e Storia dell’Arte di Roma, il ms. 65 e presso la Biblioteca Comunale dell’Archiginnasio di Bologna il ms. B 330, appartenuto a Luigi Crespi, con probabilità riconducibile alla sua bottega, e pubblicato in Cavazzoni, 1999, pp. 113-191.. Con evidenza il testo di Allori aveva espresso una prassi di formazione diffusa in tutti gli ambienti dell’arte e derivata dall’esercizio di bottega. Restava fedele a rapporti proporzionali desunti dalla tradizione figurativa ed empiricamente li mostrava, ricorrendo anche al processo della quadrettatura, o graticola, sia graficamente che letterariamente. Si va invece perdendo quell’intreccio anatomia-arte che aveva caratterizzato, accanto alle arti, la ricerca scientifica e la sua rappresentazione tipografica nel corso del secolo XVI. L’ultimo a soffermarsi su un osso, sui suoi muscoli, sulla sua pelle sembra proprio Cavazzoni. Si evince in tutti gli Esemplari la progressiva indipendenza dalla natura e dal vero, l’allontanarsi dall’anatomia. Il disegno dal vivo e dal naturale, perno dell’insegnamento dei Carracci uniti nella loro accademia dei Desiderosi e sollecitanti la libera circolazione delle idee in relazione a ciò anche nel momento della nuova intitolazione di Incamminati, aveva riportato nella pratica e nella didattica dell’arte il pragmatico metodo scientifico di conoscenza. Essi, come abbiamo ricordato, hanno saputo e voluto riferirsi al naturale dei sensi e delle emozioni con vigore. Non hanno inteso rendere prioritari i canoni delle convenzioni retoriche della rappresentazione. Eppure li conoscevano, gli amici letterati di cultura bembesca e petrarchista li dibattevano con loro nella sede di via de’ Falegnami e poi in quella al Mercato. Non hanno inteso fare argine alla loro ansia di verifica con l’imitazione dall’antico o dai maestri del passato, pur amati e studiati. Erano in tre, e al di là della ovvia pluralità che il numero subito esplicita, il proporre le loro interpretazioni diverse e la reciproca interazione paritaria immediatamente annullava il rapporto gerarchico e autoritario del maestro con l’allievo che l’apprendistato in bottega aveva, ed ha, conservato. Non solo. Più “censori” intervenivano nello stilare la graduatoria dei fogli disegnati dagli allievi in accademia, estendendo il raggio delle valutazioni, il confronto con culture diverse per geografia e tempo. Questo equilibrato interagire sembra interrompersi con la partenza di Annibale per Roma. Durante il pontificato di Clemente VIII, nel clima di severo moralismo di quegli anni, scompare la rappresentazione del corpo intero e nudo; se presente, come in Cavazzoni, è pudico, gli si coprono le parti intime con censorie foglie di fico per non offrire all’occhio il veleno della tentazione. Valesio, Curti, Gatti, Cavazzoni e gli altri interpreti di esemplari del corpo, i manuali di primo Seicento, hanno definito un repertorio articolato (paradigmatico e sintagmatico) di selezionati elementi iterabili e associabili. Non è diverso il comportamento del tipografo di fronte ad una riga di testo. Unica libertà resta la dimensione, la scala, soprattutto se volgiamo la nostra attenzione ai sintagmi architettonici. Lo “studioso corso” cede il passo ad una via breve, una scorciatoia per evitare, o almeno ridurre, i rischi inerenti ad un’imitazione inesperta. Mentre per il dilettante la ripetizione diviene ripetibilità, l’artista integra questa consapevolezza acquisita nel processo creativo che sempre si rinnova con il coinvolgimento della scienza acquisita e della personale capacità d’inventare. Con il suo Essemplario, come con gli analoghi manuali, Cavazzoni evita lo studio dal modello vivo e vero, dagli esempi della natura, dalle testimonianze dell’antico personalmente individuate e con varietà interpretate. Egli preferisce mantenere vitale il legame con gli stilemi della maniera tosco romana: la struttura per piani digradanti o per contrapposti, la luce teatralmente drammatica, il forte avvitamento delle figure, l’oratoria gestuale, la consistenza della materia pittorica. Si è persa la ricerca del vero e del vivo che aveva accompagnato i Carracci nel loro magistero didattico, oltre che nella loro produzione. Si è persa la varietà delle proposte, la libertà di farsi giudici di esse in una nuova sintesi di cultura figurativa e di quotidiano naturalismo: “l’imitare un solo è un farsi di lui seguace, e […] il tor da tutti e sceglier dagli altri, è un farsi di essi il giudice e ’ l caporione”, ricordava l’avveduto Ludovico ad Annibale, per temprarne il furore. [72]Malvasia, 1841, I, p. 284. Il Faberi, nell’orazione in morte di Agostino recitata al termine delle solenni esequie celebrate a Bologna il 18 gennaio 1603 nella chiesa dell’ospedale di Santa Maria della Morte, è molto preciso sul suo metodo: “Dipingendo il Carracci alcuno dal naturale considerava la qualità, l’età, il sesso, il luogo, e l’occasione. Osservava quelle parti della fisionomia ch’erano più proprie del volto che ritrar dovea, e gli affetti e le passioni, e di poi con tanta facilità e felicità lo rappresentava al vivo, che niente più. Al vivo rappresentava non pur le parti del corpo, ma quelle dell’animo”. [73]Ivi, p. 309. L’entusiastico riscontro fisiologico e fisiognomico dell’accademico e notaio Faberi che sigillava il ritratto artistico e umano di Agostino sarà mitigato ma confermato da Bellori [74]Bellori, 1976, pp. 105, 119-132. e pochi anni dopo, secondo il procedimento storiografico a lui consueto, sarà assunto da Malvasia nella Felsina. [75]Malvasia, 1841, I, pp. 409-433. Gli studi di Charles Dempsey hanno avviato una decisa riconsiderazione dell’attendibilità storiografica del Faberi, [76]Dempsey, 1977, pp. 54-55; Zapperi, 1989, pp. 12-14, 31-32, 42-43, note 17 e 23. risulta oltre che amico anche testimone veritiero. Conosciamo il mutare umano e professionale di Agostino negli ultimi anni della sua vita. L’adesione al vero e al naturale, alle suggestioni dei sensi, viene meno con il cessare dell’interagire fra tutti i membri del triumvirato, ne scaturisce una diversa identità, la scelta di percorsi professionali diversi. L’identità della pittura di Annibale assurgerà a identità universale, a comune codice linguistico, ma il suo allontanarsi frantumerà l’Accademia a Bologna. Con gli esemplari viene meno l’equilibrio critico fra elemento tecnico ed esecutivo, la consapevolezza soggettiva, l’invenzione. Il disegno non coincide più con l’idea originata dal confronto con la realtà, la natura, l’arte recente e antica, la storia. La speculazione cinquecentesca, di Vasari e di altri, sulle arti, sul primato delle arti, è soffocata. Il vero pone di fronte ad una continua varietà tipologica, l’esemplario offre modelli da imitare, la ripetibilità si sostituirà all’invenzione, emarginandone gli interpreti nella periferia dell’arte anche quando vivono a Roma. Occorre chiedersi allora di che cosa questi modelli sono espressione. Mi sembra che possiamo riconoscerli in primis quale occasione e strumento didattico di esercizio manuale e visivo per artisti e dilettanti, ma non solo. Essi, con il sostegno del mercato e con un rapporto nuovo con la critica, aspirano a diventare veicoli di diffusione del nascente universale classicismo. Ci offrono esempi selezionati del classicismo che Agostino aveva abbracciato a Roma, subito applicandolo anche a Parma sulle pareti del farnesiano palazzo del Giardino. Esso diventerà ideale con Guido Reni e gli Esemplari di Valesio, di Fialetti, di Caletti, di Curti, di Gatti contribuiranno a renderlo addirittura europeo, ma non universale come la pittura di Annibale.
Fra i vari e numerosi manuali che l’effervescente editoria, non solo architettonica e decorativa, distribuisce in questi anni, mi sembra opportuno ricordarne almeno due. Oltre alle immagini xilografiche antropomorfe, ricche di riferimenti a fonti culturali precedenti, della sempre citata Iconologia di Cesare Ripa, va presa in considerazione anche L’arte de’ cenni di Giovanni Bonifacio, giureconsulto padovano, letterato, accademico Filarmonico. L’opera, pubblicata a Vicenza nel 1616, si presenta sin dal frontespizio più di un galateo, si propone infatti quale manuale di comportamento con l’apologia dei gesti e le citazioni della persuasiva pittura che li ritrae quale esempio di linguaggio universale. Divisa in due parti, «Nella prima si tratta dei cenni, che da noi con le membra del nostro corpo sono fatti, scoprendo la loro significatione, e quella con l’autorità dei famosi autori confirmando. Nella seconda si dimostra come di questa cognitione tutte l’arte liberali, e mecaniche si prevegliano». [77]Stefani, II, 1990, pp. 257-266; Eadem, 1990, vol. 53, pp. 307-312; Eadem, 1993, pp. 17-29; L'Iconologia di Cesare Ripa, 2013; Biferali, 2016. Per Bonifacio: Gazzola, XX, 39, 2010, pp. 147-169. Per il rapporto di Bonifacio con i testi in musica: Pigozzi, 1982, 12, pp. 171-182; Eadem, 1985 a, p. 192. Bonifacio si sofferma sulla storia della gestualità e sulla concezione del gesto, sul mondo delle immagini, un mondo solo alluso, essendo aniconico il suo testo. Entrambe le pubblicazioni di Ripa e Bonifacio testimoniano, come gli Esemplari, quanto sia forte l’esigenza di queste comode enciclopedie dell’apprendimento e del sapere.
La stretta relazione tra forma, funzione e rappresentazione, sull’esempio della stampa scientifica, come abbiamo visto abbraccia ormai da oltre un secolo tutta la produzione culturale, quella devozionale, quella artistica, quella teatrale. Con il secolo XVII, in tutti i campi, a parte alcune eccezioni, l’iperrealtà è da alcuni preferita alla ricerca del vero perché più reale della vita reale, all’esperienza del vero si contrappone l’illusione di una continuità spaziale e visuale tra colui che guarda e la rappresentazione, la connessione verosimile fra testimonianza e rappresentazione si sostituisce al rapporto veritiero con la vita. L’esperienza dell’unione mistica, il tema dominante della santità di primo Seicento, diventa la sfida di pittori e scultori, molti immemori della quotidianità della vita e della sua materialità. Il classicismo statuino, dottrinario e curialesco di Domenichino e di Albani subentra alla critica e organica consapevolezza del classico di Annibale sempre innovatore e apripista, sempre disposto a mettersi in gioco e a giocare con la vita e con la storia.
Note
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