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“Stampe bolognesi di Guido Reni pittore e incisore”. Ricostruzione del quarto volume della raccolta di stampe della Pinacoteca Nazionale di Bologna

Vicende relative all'organizzazione del volume di stampe dedicato a Guido Reni all'interno dell'Istituto delle Scienze

Il gruppo di volumi della cosiddetta “grande raccolta Lambertini” conservato al Gabinetto Disegni e Stampe della Pinacoteca Nazionale di Bologna, così come riorganizzato a fine Settecento, presenta quindici volumi dedicati agli artisti bolognesi [1]Per la storia della “grande collezione Lambertini” e per le vicende settecentesche dei volumi, si veda Rossoni 2008a.. Dopo il primo incentrato su Giulio Bonasone ed il secondo intitolato a Marcantonio Raimondi – volumi già oggetto di ricostruzione e studio in articoli pubblicati in questa rivista [2] Si veda Rossoni 2008b; Borsetti 2008; Rossoni 2009; Borsetti 2009. -, la serie continua con due tomi dedicati a Guido Reni. Il III è così indicato nel frontespizio:

“Stampe di Guido Reni vol. II e Romane di Simone Cantarini pesarese pittore e incisore / Tomo III Fogli 84 Stampe 316 [corretto a matita 151]”,

il IV invece è così descritto:

“Stampe bolognesi di Guido Reni pittore e incisore Volume I vedi Malvasia Part. 3 fogl. 3/ Tomo IV [corretto a matita III] Fogli 84 stampe 173 [corretto a matita 180]”.

 

 

Fig. 1: Coperta del volume IV, Stampe bolognesi di Guido Reni pittore e incisore, Bologna, Pinacoteca Nazionale, Gabinetto Disegni e Stampe

 

Figura 2: Frontespizio del volume IV, Stampe bolognesi di Guido Reni pittore e incisore, Bologna, Pinacoteca Nazionale, Gabinetto Disegni e Stampe

 

Le correzioni a matita dei frontespizi  vengono a segnalare un’inversione indebita della posizione dei volumi, essendo anche in linea logica intuibile la necessità di presentare prima le stampe autografe di Guido e poi le incisioni da lui derivate, ancor più tenuto conto che nel III volume (ma in realtà IV) l’ultima parte viene dedicata in maniera specifica a Simone Cantarini. Essendo l’inversione dovuta con ogni probabilità ad una riorganizzazione dei volumi avvenuta quando questi ancora si trovavano presso la Biblioteca Universitaria, si è deciso di procedere in questo articolo allo studio dell’attuale IV volume, rimandando al prossimo numero della rivista l’analisi del III [3]I volumi pervennero all'Accademia di Belle Arti dalla Biblioteca Universitaria nel 1881 e entrarono definitivamente a far parte della collezione della Pinacoteca, con la sua autonomia nel 1882 (si veda Rossoni 2008a). .

Come avvenuto per i primi due volumi, la ricostruzione e lo studio delle singole stampe hanno l’obiettivo di verificare la logica del montaggio delle incisioni realizzata a fine Settecento, quando nell’Istituto delle Scienze si decise di fondere gli esemplari conservati nei 50 tomi donati da papa Lambertini Benedetto XIV nel 1751, con le altre provenienti da donazioni nel frattempo pervenute, portando così entro la fine del secolo il numero dei volumi da 50 a 81 [4]Rossoni 2008a, capitoli “La risistemazione delle stampe dell'Istituto delle Scienze del 1790-1792” e “Il riordino di fine Settecento”.. Ad esempio sappiamo che nella collezione originaria figurava un solo volume dedicato a Reni. Nella Nota di diverse stampe legate in numero 50 Tomi, che si presenta alla Santità di Nostra Signoria, del 1751 circa, al n. 8 compariva infatti un solo tomo con stampe, non meglio precisate, di “Guido Reno” [5]Rossoni 2008a, capitolo “Prima donazione Lambertini (1751)”.. Tale volume dovette venire già rimaneggiato e sdoppiato entro il 1785, visto che in un documento d’archivio redatto dal bibliotecario Ludovico Montefani, morto in quell’anno, figurano due volumi dedicati a Reni, così descritti all’interno del gruppo della Scuola bolognese [6]Biblioteca Universitaria di Bologna, Bibliografia bolognese, b. 35, f. III (Rossoni 2008a, capitolo “L'eredità Savorgnan”; Rossoni 2008b, capitolo “Il primo volume; “Stampe di Giulio Bonasone pittore e intagliatore”.:

Vol. IX stampe di Guido Reni v. Aula V sub Tab. E.13 stampe n. 197

Vol. X stampe di Guido Reni, di Simone Cantarini detto da Pesaro v. Aula V sub Tab. E.14 stampe n. 101

Se possiamo affermare con certezza che le stampe dotate di timbro Lambertini provengono dal volume originario, non è certa la provenienza degli altri esemplari, tra i quali è probabile comunque siano presenti alcune stampe derivate dall’acquisto da parte dell’Istituto delle Scienze nel 1789 della raccolta di Ludovico Aurelio Savioli [7] Nell'inventario della raccolta compaiono: “N. 66 dd. Nella cartella più grande marcata O, e sono di Raffaello, di Guido Reni, di Carlo Lebrun, Mignard, del Le Seur, Domenichino, li quattro paesi dell’Albani, e altre rare […] (Acquisto di una celebre raccolta di scelte stampe in numero di 5400 per la Biblioteca dell’istituto suddetto, spettanti in proprietà al Sig. Conte Senatore Ludovico Vittorio Savioli (AABo, Miscellanee vecchie, cart. 625 (K255). Per la collezione Savioli e il suo acquisto da parte dell'Istituto delle Scienze si vedano Rossoni 2008a, capitolo , “L'acquisto della raccolta del conte Ludocico Savioli” e Rossoni e e Piazzi 2017..

E’ interessante provare a capire a quale bibliografia o conoscenza sulla grafica di Reni si sia fatto riferimento nella risistemazione dei volumi, come abbiamo visto già diventati due prima del 1785, e probabilmente ulteriormente rimaneggiati all’interno dell’Istituto nel 1790-1792 e poi a fine secolo. [8]Rossoni 2008a, capitoli “La risistemazione delle stampe dell'Istituto delle Scienze del 1790-1792” e “Il riordino di fine Settecento”.

Punto di riferimento primario, fu l’elenco fornito da Carlo Cesare Malvasia all’interno del I volume della sua Felsina pittrice, citato anche nel frontespizio, fondamentale repertorio della grafica bolognese racchiuso all’interno della biografia di Marcantonio Raimondi [9]Malvasia 1678 (1841), I, , pp. 92-94. Per il testo di Malvasia si veda anche l'edizione critica, con relative tavole: Carlo Cesare Malvasia's 2017. Prima di Malvasia, Joachim von Sandrart, nel 1675, aveva stilato un primo elenco di stampe di Guido Reni (Sandrart 1675, II, p. 196; si veda al proposito Faietti 2015, p. 111) ma dubito che questo testo possa essere servito di riferimento per i compilatori dei volumi dell'Istituto delle Scienze.. Allo stesso modo gli accademici poterono certamente consultare il testo di Gori Gandellini, Notizie istoriche degli intagliatori, pubblicato nel 1771 [10] Gori Gandellini 1771, pp. 150-156. che, ampliando in parte l’elenco delle opere stilato da Malvasia, ne mutuava l’opinione di un Reni poco capace di lavorare al bulino, ma abile per contro nel produrre acqueforti con una “certa facilità e disinvoltura parmigianesca”. All’artista si riconoscono infatti un “toccar gajo” e la capacità di rendere con pochi segni immagini dotate di “uno spirito, che appaga e che innamora gl’intendenti”, pochi accenni ma che rendono conto della capacità di intuire, anche se forse non di capire sino in fondo, il livello sperimentale di diverse stampe di Reni, dotate di grazia, leggerezza e velocità del segno. [11] Gori Gandellini 1771, pp. 151-152. Gori Gandellini rielabora e fa proprie le idee espresse da Malvasia (1678 (1841), I, p. 93). Un altro elenco di incisioni dell'artista, stilato a partire dagli anni Settenta del Settecento si deve a Marcello Oretti, Notizie de professori del disegno cioé pittori scultori ed architetti Bolognesi (Bologna, Biblioteca dell'Archiginnasio, ms. B 125, III, n.d., cc. 277-280) ma non sappiamo se disponibile agli ordinatori dei volumi. Per lo stile delle stampe di Reni si veda anche Faietti (2015, p. 118), che propone come lo stile delle acqueforti di Reni rispecchi il suo concetto di disegno.

Più difficile immaginare che gli ordinatori potessero disporre dell’articolo di Adam Bartsch, Catalogue raisonné des estampes gravée au l’eau-forte par Guido Reni, et de celles de ses disciples Simon Cantarini, dit le Pesarese, Jean-André et Elisabeth Sirani, et Laurent Loli, edito a Vienna nel 1795, che cercava di mettere ordine tra le opere grafiche realizzate da Guido e quelle dei suoi allievi, ordine ritenuto necessario sia per similitudini stilistiche che per tirature tarde con apposizioni di responsabilità non sempre veritiere. Bartsch iniziava il suo scritto infatti nel seguente modo:

“La rassemblance frappante qui se trouve entre beaucoup de pieces de plusieurs disciples du Guide e celles de leur maitre; la différences souvent presqu’inpercettible des manieres, dont ces disciples mêmes ce sont servis, et qu’il est très difficile de distinguer, les noms quelques fois foussement ajutés aux planches, ou par erreur, ou à dessein, les copies extrêmement trompeuses des plusieurs des ces estampes; les contre-épreuves très vigoreuses qui rassemblent perfaitement aux épreuves tirées de la plance même – Voilà les difficultée qui se présentent de tous côtés á ceux, qui font le recueil des pieces du Guide, et des celles des ces disciples, et qui les engagent dans un labyrinthe de doutes, où il errent quaelques fois bien long tems, sans en revenitr plus assurés, sur les objets de leur incertitude”. [12]Bartsch 1795, pp. 3-4. Il volumetto è consultabile on line al sito: https://archive.org/details/catalogueraisonn00bart/page/n3. Il volume non figura nel catalogo dell'attuale biblioteca Universitaria di Bologna, erede della collezione di libri provenienti dall'Istituto delle Scienze. Si veda anche Birke 1987, p. 277; per il testo del 1795 di Bartsch si veda anche Faietti 2011, 111-113.

Possiamo bene immaginare come tale confusione fosse percepita anche dagli organizzatori dei nostri due volumi che rispondevano ovviamente alle conoscenze dell’epoca, dove alla difficoltà a volte di distinguere gli originali della copie o derivazioni si aggiungeva una volontà di ordinamento iconografico in fondo indipendente dall’autografia delle opere. Non a caso i volumi nell’insieme mescolano, anche per altri autori, stampe “di” e “da” di determinati artisti, senza rivelare una vera volontà di “fare ordine” nelle attribuzioni. Questo ancor più per quanto riguarda l’individuazione degli autori che derivarono le stampe da Guido, la cui individuazione non risulta certo prioritaria nell’ordinamento.

Come già messo in luce in occasione della ricostruzione dei primi due volumi, fondamentali per capire come si presentava la successione delle stampe per lo meno intorno alla metà dell’Ottocento, sono le schede redatte dal Gaetano Roncagli, il cui lavoro di repertoriazione della collezione della divenuta Biblioteca Universitaria si svolse tra 1848 e il 1861. E’ grazie a queste schede, che potevano già avvalersi dell’importante repertorio redatto da Adam Bartsch nel volune XVIII di Le perintre graveur, che possiamo ricostruire la successione originaria, venuta meno a seguito dello stacco (o meglio del ritaglio) dei fogli più preziosi, ai fini della loro valorizzazione, ad opera di Paul Kristeller nel 1894. [13]Bartsch 1818, pp. 277-329; Rossoni 2008b, capitolo “Gli strumenti per la ricostruzione”. Fortunatamente pare che il volume non sia stato interessato dai furti della seconda metà dell'Ottocento che riguardarono la collezione, furti che portarono alla decisione di trasferire la collezione dalla Biblioteca Universitaria alla Pinacoteca di Bologna nel 1882 (Rossoni 2008a, con bibliografia precedente).

Attualmente infatti delle 177 stampe già nel volume, solo 64 sono ancora incollate nel tomo IV, mentre le altre sono conservate in passe partout in cassettiera, organizzate sulla base del loro autore.

Bisogna segnalare che, dalla numerazione riportata di fianco agli esemplari e negli elenchi Roncagli, risulterebbero 189 esemplari, quando in realtà le stampe effettive corrispondono a 177.

Manca infatti nella raccolta la stampa in posizione 3, raffigurante lo stemma di Bologna con due leoni, del frontespizio della Descrittione degli apparati fatti in Bologna per la venuta di n. s. papa Clemente VIII, Bologna, Benacci, 1598 (o 1599), già riferita da Malvasia, e di conseguenza da Roncagli, allo stesso Guido (indicata come una delle due incisioni realizzate dall’artista a bulino) ma attribuita da Veronica Birke a Francesco Brizio [14]Malvasia 1678 (1841), I, p. 92; Birke 1987, p. 202, .019 Only State. Per l'altra stampa definita a bulino da Malvasia raffigurante la Madonna con un libro e il Bambino, così come per le edizioni del volumetto, si veda oltre nel testo. . La stampa non è oggi reperibile, ma deve essere scomparsa già prima dell’epoca Kristeller, non comparendo nelle schede da lui redatte delle stampe tolte dal volume, e non mancando negli inventari novecenteschi della Pinacoteca [15]Per le schede redatte da Kreisteller si veda Rossoni 2008b, paragrafo “Gli strumenti per la ricostruzione”..

Le stampe in posizione dal 116 al 118 e dal 172 al 179 risultavano invece già mancanti all’epoca di Roncagli, come testimoniato anche in una nota manoscritta nel foglio che contiene il gruppo di schede. Non disponendo delle schede di questi esemplari o di altri elenchi precedenti al parziale smembramento del volume, purtroppo oggi non sappiamo a quali autori e a quali soggetti riferirle.

Delle 177 incisioni già presenti nel IV volume almeno sino all’epoca Roncagli, solo 105 presentano il timbro Lambertini e risultano mescolate a quelle di altra provenienza, secondo una logica basata in primo luogo sulla ritenuta autografia di Guido Reni, seguita da un montaggio derivante da un principio soprattutto iconografico, anche se non rigoroso.

Dopo un primo gruppo compatto di 29 incisioni di Guido Reni ritagliate e incollate sul tomo derivanti dai due volumetti, il sopra citato Descrittione degli apparati fatti in Bologna per la venuta di n. s. papa Clemente VIII, Bologna, Benacci, 1599, e I funerali d’Agostino Carracci fatto in Bologna sua patria da gl’incamminati Accademici, Bologna, Benacci, 1603 [16]  Dei due volumetti si parlerà oltre. , le stampe del maestro vengono alternate con quelle dei suoi traduttori a seconda del soggetto raffigurato. Questo sino alla stampa in posizione 95 (San Rocco che distribuisce beni ai poveri, PN 3974, su cui torneremo). Il volume continua in seguito con incisioni di solo altri autori tratti da dipinti o da stampe di Reni, riprendendo la serie iconografica religiosa interrotta verso il centro del volume da stampe del maestro di carattere profano.

Malgrado il volume sia infatti quasi interamente dedicato a soggetti religiosi (devozionali, Nuovo e Antico Testamento, Sibille ecc.), troviamo in apertura le stampe derivate dai due libretti sopra indicati, oltre che in posizione centrale stampe di natura profana come i Tre bambini con sottocoppa (PN 25139) e l’Amore per lo studio (PN 1812).

Considerata la natura soprattutto didattica della collezione, si può ben immaginare come i due volumi integri permettessero di restituire una visione ampia dell’attività di Reni in quanto incisore e della fortuna delle sue invenzioni, tradotte da artisti bolognesi, italiani, ma anche in particolare francesi.

 

 

 

Guido Reni e la stampa

La presenza di quasi cinquanta stampe attualmente attribuite a Reni nel volume, costituisce un’ottima occasione per analizzare in linea più generale il rapporto dell’artista con l’incisione, rapporto testimoniato dalla realizzazione in prima persona di fogli singoli, soprattutto di soggetto devozionale, e dai suoi documentati rapporti con l’editoria. [17]Per una rivisitazione dell'opera dell'artista e una rassegna bibiografica, soprattutto centrata sulla bibliografia più recente, aggiornata sino al 2017, si veda Rossoni 2017, pp. 39-64.

Esempi illustri, presenti nella sua stessa formazione, dovevano averlo indirizzato verso questo interesse e l’argomento non dovette averlo lasciato indifferente sin dalla prima fase della sua attività.

L’artista conosceva sicuramente il rapporto importantissimo che vi era stato tra Raffaello e Marcantonio Raimondi, con molta probabilità doveva conoscere la relazione tra Tiziano e, ad esempio, Cornelis Cort, apprezzava senza dubbio le stampe di Parmigianino e i chiaroscuri da lui tratti da Ugo da Carpi. Si era formato nella bottega dei Carracci, tutti e tre dediti alla stampa, in modo particolare Agostino.

Il rapporto con l’editoria, che cominciò nel 1598 con la realizzazione delle stampe per il volume sopra citato Descrittione degli apparati fatti in Bologna per la venuta di n. s. papa Clemente VIII (fig. 3) continuò con la partecipazione come inventore ad altre imprese quali gli studi di disegni anatomici incisi da Francesco Curti [18] Birke 1987, pp. 364-365; Faietti 2015, p. 113; Takahatake 2017, p. 34.. Vi fu poi l’attività legata alla produzione di frontespizi, che secondo Malvasia sarebbe stata realizzata in particolare per l’amico Virgilio Malvezzi: “Al marchese Virgilio Malvezzi tutti li frontispicii per le opere sue famose, intagliati similmente da uno de’ suddetti Coriolani”, un rapporto tra le due personalità che è stato indagato da José Luis Colomer, che ha proposto di individuare come invenzioni di Reni appunto alcuni dei frontespizi dello scrittore bolognese.

 

 

 

Fig. 3: Frontespizio del volume Descrittione degli apparati fatti in Bologna per la venuta di n. s. papa Clemente VIII, Benacci, Bologna, 1599, Bologna,Pinacoteca Nazionale, Gabinetto Disegni e Stampe, vol. 249

 

Reni a Roma si mise anche al servizio degli oratoriani per la realizzazione dei disegni per le scene della vita di Filippo Neri. Guido venne infatti menzionato dal 1610 al 1612 nei documenti della Vallicella in relazione all’esecuzione di alcuni dei disegni destinati alla realizzazione di una serie di stampe da parte di Luca Ciamberlano, che venne incisa tra il 1609 e il 1614 [19]Malvasia 1678 (1841), II, pp. 28, 46 e 51. Colomer 1996. Per il ruolo del Tarquinio il superbo di Malvezzi e le diverse redazioni della Lucrezia  di Guido Reni, si veda, Rossoni 2016, pp. 110-112.. Malgrado l’attribuzione di disegni riferibili a questa impresa, conservati al Gabinetto Disegni e Stampe della Galleria degli Uffizi (inv. 3476 S, 3477 S, 3478 S) e alla National Gallery of Canada (inv. 28150), sia molto dibattuta, rimane la certezza del fatto che Guido si fosse messo al servizio di un altro progetto editoriale complesso [20]Il resoconto dei pagamenti a Reni per i disegni per la serie dedicata alla vita di San Filippo Neri è pubblicato in Melasecchi e Pepper 1998, pp. 602-603. Per la realizzazione della serie, anche in relazione alle biografie di Filippo, si veda Leone 2010, pp. 291 e sgg.. Tutta la questione relativa ai disegni utilizzati per le stampe è stata riconsiderata da Antonella Pampalone (2017, pp. 74-95) che li riferisce in parte a Cristoforo Roncalli, in parte a Bartolomeo Cavarozzi e in parte a Guido Reni..

Tra i disegni degli Uffizi è presente anche un interessante modello di frontespizio attribuito a Guido Reni da Stephan Pepper e Olga Melasecchi, ma ritenuto di scuola da Babette Bohn, che recita nella scritta “Disegni originali dell’Ecc. Pittore /Sig. Guido Reni Bolognese”, e in basso “Di Luca Ciamberlano / del Urbino”. [21]Accenno solamente ai principali estremi della dibattuta attribuzione di disegni riferiti a Guido Reni per questa impresa. La serie conservata presso la chiesa della Vallicella di Roma, già pubblicata da Federica Papi e Emanuela Zicarelli come di Guido Reni, è stata attribuita da Olga Melasecchi e Stephen Pepper - attribuzione sostenuta anche da Babette Bohn -, a Cristoforo Roncalli (uno degli artisti protagonisti della nascita dell'iconografia di san Filippo Neri) (Papi e Zicarelli 1988; Melasecchi e Pepper 1998; B. Bohn, in Le “stanze” di Guido Reni 2008, p. 146). Altri disegni sono stati identificati da Melasecchi e Pepper a Ottawa (Filippo Neri che cura Papa Clemente VIII, inv. 28150) e agli Uffizi di Firenze (invv. 3476 S, 3477 S, 3478 S,). Questi ultimi, ripassati ad acquerello, a causa soprattutto delle loro condizioni conservative, sono ritenuti di scuola da Babette Bhon (B. Bohn, in Le “stanze” di Guido Reni 2008, pp. 146-147). La raccolta di stampe a cui fa riferimento questo frontespizio non venne probabilmente realizzata e neppure sappiamo se i disegni che dovevano essere tradotti fossero stati forniti direttamente da Reni all’incisore o se Ciamberlano volesse utilizzare fogli dell’artista che si era procurato autonomamente. Il frontespizio infatti stava insieme ad una serie di disegni nel fondo Santarelli, che oggi però non si riesce a ricostruire. [22]Il disegno è pubblicato in B. Bohn, in Le “Stanze” di Guido Reni 2008, pp. 146-147, n. 19. Per Ciamberlano e Reni si veda anche Candi 2016, p. 72 e pp. 118-119.

Se fosse stato realizzato sarebbe stato un importante esempio di una organica traduzione a stampa dei disegni del maestro, di cui conosciamo invece soluzioni nell’ambito dell’editoria molto più tarde, quali ad esempio la Raccolta di varie stampe a chiaroscuro, tratte dai disegni originali di Francesco Mazzola, detto il Parmigianino, e d’altri insigni autori da Anton Maria Zanetti, q.m Gir., che gli stessi disegni possiede. Parte prima, Venezia, 1749, oppure la Raccolta di disegni originali di Mauro Tesi: estratti da diverse collezioni pubblicata da Ludovico Inig del 1787. [23]B. Bohn, in Le “Stanze” di Guido Reni 2008, pp. 146-147, n. 19. Il rapporto tra Guido Reni e Ciamberlano continuò negli anni successivi, anche se per motivazioni diverse. Luca contrasse un grosso debito con Guido, e per estinguerlo gli cedette nel 1613 la Negazione di Pietro di Caravaggio che quest'ultimo dovette offrire in seguito al principe Paolo Savelli (ora al Metropolitan Museum of Art di New York). Si veda Nicolaci e Gandolfi 2011. Probabilmente comunque il progetto rimase tale e al momento non ci è data sapere se fosse solo nella testa dell’incisore e se non sia stato realizzato per l’opposizione di Guido Reni o, semplicemente, interrotto per il rientro dell’artista da Roma a Bologna nel 1614.

Reni partecipò infine anche alla grande impresa che coinvolse altri importanti pittori (ad esempio Pietro da Cortona, Giovanni Lanfranco, il Domenichino, Andrea Sacchi), vale a dire l’illustrazione del De Florum cultura pubblicato a Roma nel 1633 da Giovanni Battista Ferrari [24]Per Zanetti si veda La vita come opera 2018; per l'impresa editoriale Inig, L. Piazzi, in Rossoni e Piazzi 2017, pp. 37-46. Fanno eccezione nel Seicento gli esemplari per il disegno quali la Scelta di disegni dei Carracci, Parmegiani, et Guido Reni, intagliati da Francesco Curti. Per questa tipologia di raccolte si rimanda all'articolo di Marinella Pigozzi in questo numero della rivista..

Le stampe costituivano un’importante presenza all’interno del suo studio. Sappiamo che possedeva dei fogli di Albrecht Dürer che, dice Malvasia, gli servivano soprattutto per lo studio dei panneggi [25] V. Birke, in Guido Reni e l'Europa 1988, p. 394, n. B.61; Colomer 1996, pp. 201-202. . Il canonico fa riferimento in diversi punti della Vita alla presenza nella bottega dell’artista di “tutte le stampe” di proprietà di Reni: una prima volta in merito alla decisione di Guido di svendere tutta la propria opera presente nel suo studio per debiti di gioco, un’altra in merito alla premonizione della sua morte, che l’aveva portato alla decisione di fare un inventario dei suoi beni [26]Malvasia 1678 (1841), II, p. 55. . In quell’occasione Malvasia parla di “due cofani” da cui Reni avrebbe tratto “tutte le stampe”. Inoltre Reni aveva conservato nella sua casa anche le matrici che, vennero rivendicate dal suo aiutante “Marchino” (Marco Bandineli) dopo la sua morte: “Se gli dettero tutti e quanti i rami intagliati per mano dell’istesso Guido” [27] Malvasia 1678 (1841), II, p. 36 e 38-39. . Questo verrebbe a dimostrare come l’artista abbia voluto mantenere in prima persona il controllo delle tirature, che evidentemente venivano prodotte nel suo studio, come sembra suggerire anche la presenza di due torchi rinvenuti al momento della morte [28]Malvasia 1678 (1841), II, p. 43..

In merito alla relazione con gli allievi-incisori presenti nella sua bottega, tra le quali emergono le figure di Giovan Battista Bolognini, Lorenzo Loli, Bartolomeo Coriolano e Simone Cantarini, si rimanda alla recente pubblicazione di Francesca Candi, che ha indagato la fortuna di Reni attraverso le stampe nel corso del Seicento e, per lo specifico di questo volume Lambertini, al suo intervento nel corrispondente paragrafo di questo articolo [29]Per l'argomento relativo alla presenza di elementi riferibili alla stampa, oltre all'inventario pubblicato da Spike (1988, p. 54), si veda Takahatake 2010, p. 119 e Takahatake 2017, p. 32. Stranamente Morselli (2012a, pp. 149-150) afferma che nella casa bottega di Guido non doveva esistere un vero e proprio centro incisorio. Il fatto che la dotazione dello studio di Guido fosse inferiore a quelle individuate nello studio dei due mercanti Bernardino e Cesare Locatelli, presso cui lavorò Simone Cantarini, non esclude una produzione in proprio da parte della bottega di Reni..

Certo è che, come avvenne nel caso di molta sua produzione pittorica, si venne a creare anche per l’incisione un rapporto non sempre chiaro tra la volontà dell’artista e la libera iniziativa degli allievi, che ha portato per la stampa, come per la pittura, a diversi dibattiti in merito all’attribuzione di diversi fogli [30]Candi 2016..

A proposito del coinvolgimento di Reni in traduzioni incise di propri dipinti, pare che l’argomento non costituisse per l’artista una priorità e che, al contrario, mentre promosse la traduzione da propri disegni e da proprie incisioni, per i quali si rimanda all’intervento di Candi, solo in rari casi lo troviamo coinvolto attraverso i propri allievi in questo tipo di produzione [31]Faietti 2015, p. 113, con bibliografia precedente.. E’ probabile ad ogni modo che in diversi casi i suoi allievi si siano mossi anche in maniera autonoma, facendo riferimento alle sue opere realizzate e attingendo a piene mani al ricco repertorio di disegni prodotto dall’artista.

Malvasia infatti narra come la circolazione dei disegni nella sua bottega fosse estremamente fluida ed evidentemente alla portata dei suoi allievi. I numerosi fogli identificati e attribuiti dalla critica all’artista – che ne era anche collezionista visto che il canonico riferisce del suo possesso di un centinaio di fogli di Raffaello [32]Candi 2016. Come risulta evidente dal repertorio citato, le stampe derivate da suoi dipinti che potrebbero essere state eseguite durante la sua vita e sotto il suo controllo sono, per pura via ipotetica, identificabili con la Strage degli Innocenti di Giovan Battista Bolognini (forse in risposta all'autonoma e insoddisfacente incisione ad acquaforte e bulino di Giacomo Antonio Stefanoni), il San Filippo Neri di Luca Ciamberlano, la Madonna del Rosario, da un dipinto perduto, eseguita a bulino di Jérôme David, il Bacco e Arianna sull'isola di Nasso ancora di Bolognini, le due versioni della Fortuna delle due xilografie di Bartolomeo Coriolano. Si vedano rispettivamente in Candi 2016, p. 181, n. 18; p. 182, n. 19; p. 245, n. 107; p. 273, n. 147; p. 269, nn. 139 e 140. Si veda anche Takahatake 2010.- ne testimoniano il suo profondo, assiduo e continuo esercizio, sia per studio di proprie opere che evidentemente come modello per la propria bottega [33]Malvasia 1678 (1841), II, p. 43.. Al momento della sua morte dovevano essere talmente numerosi, da far dire che “i disegni si vendevano a masse intere per vil prezzo” [34]Per una rassegna della bibliografia dedicata a Guido Reni disegnatore, si veda Le “stanze” di Guido Reni 2008 e Faietti 2015, pp. 113, 121, nota 36, 118-119.. D’altra parte sempre il canonico aveva messo in luce come Reni, sprezzante nell’accumulo e conservazione di denaro, avrebbe affermato che, nel caso d’infermità, “ho ben tanti disegni, che senza le collane d’oro che perciò riserbo, potrò sostenermi” [35]Malvasia 1678 (1841), II, p. 43. Nella Pinacoteca Nazionale di Bologna è conservato un disegno con San Michele arcangelo tra gli arcangeli Michele e Gabriele, prima idea per l'affresco con Cristo in gloria tra angeli che recano i simboli della passione, eseguito tra il 1615 e 1616 per il Duomo di Ravenna (P.G. Tordella, in I grandi disegni 2002, n. 22.) .

Morselli, infine, reindagando l’inventario dei beni presenti nella casa dell’artista dopo la sua morte, ne conta ben 1.855 [36]Malvasia 1678 (1841), II, p. 35.. Come ha dimostrato Babette Bhon, a cui si rimanda per una approfondita analisi del ruolo di Reni disegnatore, moltissimi fogli dell’artista, di cui oggi se ne conoscono circa tre centinaia, circolavano liberamente all’interno della sua bottega e continuarono ad essere utilizzati dai suoi allievi anche dopo la sua morte [37]Oltre a questi disegni sciolti, erano presenti anche sei libri di disegni (Morselli 2007, p. 81). La studiosa, oltre alla lista pubblicata da Spike 1988, ha analizzato il documento originale e altri documenti archivistici (Morselli 2007, p. 79)..

 

 

 

Le stampe di Guido Reni nel IV volume della Pinacoteca

Le prime nove stampe (PN 25131, PN 25133, PN 25138, PN 25136, PN 25137, PN 25135, PN 25134, PN 4361, PN 25132) tutte con timbro Lambertini, che aprivano il volume, vennero ritagliate dal libretto originario, Descrittione degli apparati fatti in Bologna per la venuta di n. s. papa Clemente VIII, ed in seguito incollate sul volume. La presenza della stampa raffigurante l’Arco trionfale con fogliame e truppe in marcia (PN 25135, fig. 4), aggiunta nell’edizione del testo del 1599, testimonia come questo gruppo provenga dalla seconda edizione, Benacci, 1599 [38]Bohn 2008, pp. XV-XVI. .

Fig. 4: Guido Reni, Arco trionfale con fogliame e truppe in marcia, da Descrittione degli apparati fatti in Bologna per la venuta di n. s. papa Clemente VIII, Benacci, Bologna, 1599, Bologna, Pinacoteca Nazionale, Gabinetto Disegni e Stampe, PN 25135

Fig. 4: Guido Reni, Arco trionfale con fogliame e truppe in marcia, da Descrittione degli apparati fatti in Bologna per la venuta di n. s. papa Clemente VIII, Benacci, Bologna, 1599, Bologna, Pinacoteca Nazionale, Gabinetto Disegni e Stampe, PN 25135

 

Le stampe, decontestualizzate dalle pagine in cui i medesimi apparati venivano descritti, rappresentano le strutture effimere realizzate in occasione dell’entrata di Clemente VIII a Bologna il 27 novembre 1598, apparati che lo stesso Reni aveva contribuito a realizzare. In gara con  Bartolomeo Cesi e con lo stesso Ludovico Carracci egli ottenne infatti la commissione per la decorazione della facciata del palazzo Pubblico, un perduto dipinto olio su muro di cui rimane una testimonianza proprio nella prima stampa pubblicata nel volume, Facciata del palazzo del Senato (PN 25131) [39] Malvasia 1678 (1841), p. 93; Birke 1987, pp. 291-294). E' possibile sfogliare on line la prima edizione del volume, del 1598, al seguente indirizzo: archive.org/details/descrittionedegl00bena. La serie delle sole stampe è riprodotta anche in Carlo Cesare Malvasia's 2017, 2, 2, pp. 244-246, figg. 587-595. Una nuova edizione seicentesca senza testo, non datata, molto rara e con nuovo frontespizio, venne pubblicata da Gioseffo Longhi (Birke 1987, pp. 292-294)..

La realizzazione di queste acqueforti del giovane Guido testimoniano un momento unico della sua produzione. L’artista infatti fu ben poco interessato nel corso della sua attività alla rappresentazione di architetture e tanto meno di paesaggi, protagonisti per contro di queste rappresentazioni.

Completamente diversa è invece la serie I funerali d’Agostino Carracci fatto in Bologna sua patria da gl’incamminati Accademici, Bologna, Benacci, 1603 [40]Malvasia 1678 (1841), II, p. 11. Morselli 2012b, p. 3, con bibliografia precedente; Birke 1987, pp. 292-300; Emiliani 1988, pp. XLIV-XLV. Mentre il frontespizio venne realizzato da Francesco Brizio, le stampe interne vennero eseguite da Reni, inclusa l'Arco trionfale con elementi vegetali, aggiuta nell'edizione del 1599 (si veda Carlo Cesare Malvasia's 2017, figg. 585, 587-595)..

Il libretto narra delle commemorazioni dedicate all’artista da poco scomparso svoltesi presso la chiesa dell’Ospedale della Morte il 18 gennaio 1603. Nel volume IV le stampe, anche quelle che nel volumetto si trovavano nella stessa pagina, sono scontornate e reincollate. Questa pratica, che si ritrova purtroppo in diversi esemplari della raccolta Lambertini, rispecchia uno scarso interesse dell’epoca per il contesto di provenienza delle opere.

Nel volume IV erano presenti tutte le stampe del libretto, che ora sono montate su di un controfondo all’interno di tre passe partout e che ripropongono il montaggio così come compariva alle pagine 18, 21 e 25 (figg. 5-6). La loro invenzione, secondo quanto riportato nel testo, si devono a differenti artisti, per lo più allievi dei Carracci, che realizzarono i dipinti destinati a decorare la chiesa stessa [41]Malvasia 1678 (1841), I, p. 93.. Compaiono inoltre i Rebus corrispondenti alle pagine 17 (PN 1840 e 1839), 9 (PN 1838) e 26 (PN 1841), tutti privi del marchio Lambertini, quindi probabilmente provenienti da un esemplare del libro diverso [42]Per una dettagliata descrizione delle scene, si veda Birke 1987, pp. 305-311. Le stampe sono riprodotte anche in Carlo Cesare Malvasia's 2017, 2, 2, p. 247. figg. 596-599..

 

Figg. 5-6: Montaggio delle stampe tratte da I funerali d’Agostino Carracci fatto in Bologna sua patria dagl’incamminati Accademici, Bologna, Benacci, 1603, provenienti dal vol. IV, Bologna, Pinacoteca Nazionale, Gabinetto Disegni e Stampe

 

Le stampe di questa serie, sono di carattere molto corsivo e decisamente lontano dalla raffinatezza che si riscontra nella gran parte delle acqueforti di Guido Reni realizzate per fogli sciolti. Evidentemente le piccole dimensioni, la necessità illustrativa, e la non paternità delle invenzioni, aveva portato Reni ad affrontare la produzione di queste incisioni con tratti veloci basati soprattutto su contorni, con poche linee incrociate e scarsità di particolari.

Di ben altra accuratezza sono le incisioni dedicate alla Madonna con Bambino, variamente accompagnate da San Giuseppe e, a volte, San Giovannino. Si tratta in particolare, di stampe dove l’artista sperimenta tutte le variazioni nella narrazione di questa scena famigliare frequentissima nelle stampe, sia sue che dei suoi allievi.

L’incisione con La Madonna con Bambino e San Giovannino (PN 1804, fig. 7), indicata come rara da Bartsch e datata da Birke tra la fine degli anni ’20 del Seicento e l’inizio del decennio successivo, con la sua impostazione barocca, è concentrata sul primo piano. L’ampio tendaggio che la contraddistingue compare anche nella Madonna con Bambino e San Giuseppe (PN 25108), databile ad ante 1613, visto l’indirizzo di van Aelst, dove pure risulta una maggiore attenzione narrativa per lo sfondo, con San Giuseppe che si staglia sul paesaggio inquadrato dall’arco [43]Si può vedere l'intero volume nel seguente sito internet: https://archive.org/details/ilfuneraledagost00more/page/n0. Non sono presenti nel volume IV, il frontespizio di Francesco Brizio, autore anche della raffigurazione delle colonne poste tra la pagina 28 e la pagina 29.. Sempre all’indirizzo di van Aelst è il secondo stato del Gesù Bambino con San Giovannino, con la Madonna e San Giuseppe sullo sfondo, posizionata oltre nel volume (PN 1815, fig. 8), all’interno di un gruppo di stampe dedicato agli infanti (dalla posizione 52 alla 56). [44]Birke 1987, p. 343, n. .034 Only State;  p. 328, n. 029 S3. Nella seconda, al  secondo stato, compare la scritta “Nico Van Aelst for.”, editore che morì nel 1613 (Birke 1984, p. 328). L’ampio paesaggio inquadra la tenera scena con il toccante incontro dei due bambini, mentre la Madonna con San Giuseppe sembrano intenti a raccogliere frutti. Le ombre sono bene marcate con frequenti intrecci di linee.

 

 

Fig. 7: Guido Reni, Madonna col Bambino e san Giovannino, acquaforte, smarginata mm 188×158, unico stato, Bologna, Pinacoteca Nazionale, Gabinetto Disegni e Stampe, PN 1804

 

 

Fig. 8: Guido Reni, Gesù bambino e san Giovannino, acquaforte, smarginata, mm 125×176 secondo stato, Bologna, Pinacoteca Nazionale, Gabinetto Disegni e Stampe, PN 1815

 

Una diversa tipologia dell’intaglio che denuncia un orientamento verso una dimensione sempre più leggera e aggraziate del medesimo, dove le linee si muovono nervose e dove ciò che conta sembra essere soprattutto  l’effetto d’insieme piuttosto che il dettaglio, è la Madonna con Bambino e San Giovanni Battista (PN 25119), una sorta di sperimentazione che si può valutare in fieri nella Madonna con Bambino dormiente in un ovale, presente nel volume nel primo stato, con il disegno incompelto e alcune finiture a bulino (PN 1799) – un esemplare raro segnalato solo nella nostra collezione nel repertorio di Birke – e  nel secondo stato con la figurazione completa (PN 25110, fig. 9). [45]Birke 1987, p. 321, .027, S 2. Una composizione amatissima, da cui sono state derivate diverse copie, allo stesso modo che la stampa con medesimo soggetto, Madonna con Bambino dormiente in un tondo (PN 25115) conosciuta in un unico stato, mentre la sua versione in controparte si conserva in Pinacoteca nel secondo stato (PN 25112). [46]  Birke 1987, pp. 301-302, .016 Only state; p. 313, .025 S 1; p. 313, .25, S 2.

Fig. 9: Guido Reni, Madonna con Bambino, acquaforte e bulino, smarginata, mm 200×170, stato unico, Bologna, Pinacoteca Nazionale, Gabinetto Disegni e Stampe, PN 1815

Il principio della variazione su di un medesimo soggetto lo si ritrova in un altro gruppo di incisioni raffiguranti la Sacra famiglia. In particolare la Sacra famiglia raffigurata davanti ad un altare dotato di un dipinto (PN 1806) mostra il suo forte debito verso Parmigianino, non solo per la rappresentazione della bellissima Vergine, che ricorda chiaramente la Santa Margherita dell’omonima pala oggi alla Pinacoteca di Bologna (figg. 10-11), ma anche per la tecnica esecutiva [47]Birke 1987, p. 331, Only state; p. 330. .030 S 2.. I debiti di Reni verso Mazzola proprio nell’incisione, sono d’altra parte già stati messi in luce dalla critica antica, e sottolineati in un più recente articolo da Marzia Faietti. [48]Birke 1987, p. 287, .004 S 1.

Fig. 10: Guido Reni, Sacra famiglia, acquaforte, smarginata, mm 232×149, primo stato,  Bologna, Pinacoteca Nazionale, Gabinetto Disegni e Stampe, PN 1806

 

Fig. 11: Francesco Mazzola detto il Parmigianino, Madonna di Santa Margherita, tavola, Bologna, Pinacoteca Nazionale, inv. 588 (particolare)

 

Precedono quest’ultima stampa nel volume, le variazioni con la Sacra Famiglia con San Giovannino (PN 25124), mentre seguono in due diversi stati gli esemplari della Sacra famiglia con due angeli (PN 1867 e PN 1868) [49]Malvasia 1678 (1841), I, p. 93; Gori Gandellini 1771, p. 151; Faietti 2015..

A proposito dell’interesse per Parmigianino, ricordiamo che Reni realizzò una stampa derivata dalla sua acquaforte, la Sepoltura di Cristo. L’acquaforte di Reni non è presente nel volume, ma per contro vi compaiono un esemplare dello stesso Parmigianino (PN 3790) e una stampa di medesimo soggetto di Andrea Meldolla detto lo Schiavone (PN 2859). [50]Birke 1987, p. 190, .006 Only state; p. 288, .005 S 1; p. 288, .005 S 2. La notizia dell’esistenza di una stampa di Reni derivata da Mazzola si deve ancora una volta a Malvasia: “Il famoso Cristo sepolto, con le isvenute Marie all’acqua forte, del Parmigianino, ritagliata da Guido così giusta e graziosamente […]” . [51]Per la stampa di Reni, Birke 1987, p. 280, .001; Gnann 2007, p. 43, n. 5. Per la stampa di Parmigianino, Gnann 2007, pp. 35-38. Pe la stampa di Meldolla, Splendori del Rinascimento a Venezia 2015, p. 267. Forse nell’impossibilità di avere l’esemplare di Reni, o forse scambiando quelli inseriti nel volume per sue opere, i compositori della raccolta vollero testimoniare questa notizia con i presenti due esemplari.

La dimensione sperimentale delle acqueforti del Parmigianino, studiata da Reni già nella primissima fase della sua attività – la sua stampa con la Sepoltura di Cristo è databile alla metà degli anni Novanta del Cinquecento – la si ritrova in diversi momenti del suo percorso, un percorso comunque difficile da tracciare in una sicura sequenza cronologica per quanto riguarda le incisioni e con cui ha cercato di confrontarsi, a partire da poche date certe, Veronica Birke. [52] Malvasia 1678 (1841), I,  p. 93; Gori Gandellini 1771, p. 152; Marcello Oretti la cita nel suo manoscritto settecentesco Notizie de professori del disegno cioé pittori scultori ed architetti Bolognesi (Bologna, Biblioteca dell'Archiginnasio, ms. B 125, III, n.d.), c. 278. Si veda anche Faietti 2015, pp. 115-116 e la bibliografia citata a p. 122, nota 59.

Tra le opere di carattere profano, possiamo segnalare l’Allegoria dell’apprendimento (PN 1812, fig. 12), l’Amore che rompe un arco (PN 1807) e i Tre fanciulli con un vassoio e tre bicchieri (PN 25139), spassosissima rappresentazione del garbuglio di piccoli corpi che cercano di tenere in equilibrio il vassoio. [53] Birke 1987, p. 278.

 

Fig. 12: Guido Reni, Allegoria dell’apprendimento, acquaforte, smarginata, mm 159×183, unico stato, Bologna, Pinacoteca Nazionale, Gabinetto Disegni e Stampe, PN 1812

 

Mentre delle opere in posizione da 59 a 83, per lo più raffiguranti teste, risulta oggi riferibile a Reni solo la Testa di vecchio con la barba (PN 1808) [54]Birke 1987, pp. 311-313, .023 Only State; p. 346, .035 Only State; p. 339, . 032 S 1. , ritroviamo una stampa dell’artista in posizione 85 raffigurante San Girolamo (PN 25128), stranamente collocata dopo una copia anonima (PN 1811), a dimostrare evidentemente la difficoltà dei compilatori a distinguere tra gli esemplari dell’artista. [55]Birke 1987, p. 346, .037, Only State.

Si tratta di una stampa molto nervosa, di una sconvolgente libertà espressiva nella resa del segno, che collocherei ancora nel segno di Parmigianino e in relazione alla visione “argentea” che Reni inaugura anche nella pittura, a differenza della più controllata raffigurazione dell’erculeo San Cristoforo (PN 1813), certamente precedente e probabilmente riferibile agli anni 1614-1620 come propone Birke, in cui il possente corpo viene quasi esaltato dalla sua collocazione in uno spazio evanescente. [56]Birke 1987, p. 349, .038 Only State; p. 348, .038 C 2 S 1.

L’ultima stampa riferibile all’artista presente nel volume è la Gloria di Angeli (PN 25144, fig. 13), posta anche in questo caso dopo una copia (PN 25143). [57]Birke 1987, p. 278 e p. 343, .033 Only State. Si tratta di uno dei rarissimi casi di esemplari singoli in cui l’artista tradusse in stampa invenzioni di altri autori, nel caso specifico un soggetto riproposto varie volte da Luca Cambiaso, di cui si conserva un disegno anche presso la Pinacoteca Nazionale di Bologna (inv. 1680, fig. 14), probabile fonte diretta dell’acquaforte di Reni [58]Birke 1987, p. 327, .028 S 3; p. 328, .327-328, C 2; Carlo Cesare Malvasia's 2017, 2, 2, p. 249, fig. 601.. Pubblicata nel terzo stato da Pietro Stefanoni a Roma nel 1607, la stampa costituisce una delle rare acqueforti tratte dall’artista da altri autori, insieme alla Sepoltura di Cristo da Parmigianino di cui si è parlato, e forse all’Elemosina di San Rocco datata 1610 (PN 3974). L’autografia di Reni di quest’ultima stampa già citata come dell’autore da Bellori e Malvasia, è stata messa in dubbio da parte della critica successiva, sino a quando Veronica Birke l’ha trasferita tra le opere di Francesco Brizio. Una attribuzione non condivisa da Marzia Faietti che ritiene invece plausibile il parere delle fonti più vicine al maestro, ritenendola una sorta di omaggio dedicato da Reni all’artista scomparso l’anno precedente. A dimostrare la difficoltà di derimere definitivamente la questione, Naoki Takahatake e Mattia Biffis, nel repertorio delle stampe che illustrano l’edizione critica e tradotta in inglese della Felsina pittrice di Malvasia pubblicata nel 2017, indicano la stampa come di Francesco Brizio o di Guido Reni. [59]Birke 1987, pp. 324-325. Il disegno pervenne alla Pinacoteca nel 1916, acquistato da Giuseppe Ranuzzi de' Bianchi (I. Rossi, in I grandi disegni italiani 2002, pp. 249-250).D’altra parte diverse sono le questioni che rimangono ancora aperte in merito alle attribuzioni avanzate da Malvasia, come nel caso della Madonna con Bambino con un libro – “una picciola mezza Madonnina intagliata in lastra di ottone che pare esca fuore d’un occhio tondo […]” – tratta anch’essa da Annibale Carracci, tolta dal repertorio autografo delle stampe di Reni da Birke e illustrata invece ancora da Takahatake e Biffis come attribuita a Guido Reni (PN 1803). [60]Malvasia 1678 (1841), I, p. 93; Bellori 1672, p. 490; Birke 1987, pp. 251-257; 349, n. .040xx;; Faietti 2011; Faietti 2015, a cui si rimanda anche per la bibliografia precedente citata a p. 121, note 27 e 28; Carlo Cesare Malvasia's 2017, 2,2, p. 192, n. 489; Takahatake 2017, p. 21. Faietti segnala come Malvasia, nei suoi appunti manoscritti alla Felsina pittrice, riferisse di una lettera di Francesco Albani a Pietro Bellori, in cui si discuteva dell'attribuzione di questa stampa e di quella raffigurante Cristo e la Samaritana, allora già dibattute tra Reni e Annibale Carracci (Faietti 2015, p. 113).

Nessuno stupore ad ogni modo circa l’inserimento come stampe di Reni di questi ultimi esemplari citati da parte dei compilatori del volume IV, fedeli, come esplicitato d’altra parte nel frontespizio, soprattutto alle indicazioni del biografo Malvasia [61]Malvasia 1678 (1841), I, pp. 92-93; Birke 1987, p. 354, .042xx; Faietti 2011, p. 281; Carlo Cesare Malvasia's 2017, 2,2, p. 243, fig. 586..

Fig. 13: Guido Reni, Gloria di angeli, acquaforte e bulino, smarginata, mm 412×274, terzo stato, Bologna, Pinacoteca Nazionale, Gabinetto Disegni e Stampe, PN 25144

Fig. 14: Luca Cambiaso, Gloria di angeli, inchiostro e penna su carta preparata, mm 387×259, Bologna, Pinacoteca Nazionale, Gabinetto Disegni e Stampe, inv. 1680

 

 

Elena Rossoni

Il quarto volume della raccolta di stampe della Pinacoteca Nazionale di Bologna e la fortuna incisoria di Guido Reni nel Seicento

A parte una trentina di stampe realizzate da intagliatori del Settecento – sono presenti i nomi più rappresentativi del secolo, come Giuliano Traballesi, Robert Strange, Francesco Rosaspina – la maggior parte delle incisioni presenti nel IV volume della raccolta della Pinacoteca Nazionale di Bologna, dedicato a Guido Reni, risalgono al Seicento, a dimostrazione di un’immediata fortuna del pittore nel campo delle riproduzioni a stampa. Fortuna che fu grandissima nel contesto bolognese, sia nella sua bottega che dopo la sua morte, a Roma e in Francia, senza dubbio i centri di produzione artistica e incisoria più rilevanti e avanzati del secolo, da dove le invenzioni e lo stile del pittore videro una diffusione a livello internazionale.

La prima osservazione che si impone osservando il Repertorio derivato dalla ricomposizione del volume è di carattere iconografico e riguarda la netta predominanza di soggetti religiosi e devozionali. Ad essere più riprodotte non sono le grandi invenzioni sacre di Reni, come la cappella dell’Annunciata al Quirinale, «picciolo modello in terra della gloria che dovrassi godere in cielo», secondo Malvasia [62] Le due stampe sono assegnate a Guido Reni anche nelle schede manoscritte di Roncagli.o la Gloria d’angeli dell’oratorio di Santa Silvia, «orazione che giunge al cielo divotamente» per Bellori [63]Malvasia 1678 (1841), II, pp. 15-16., bensì piccole invenzioni devozionali che il pittore affida al disegno, alle acqueforti, ai quadri da stanza.

Tra tutte, l’immagine sacra che registra la fortuna incisoria più ampia nel Seicento e nei secoli successivi è quella della Madonna con Bambino dormiente (si vedano nel Repertorio delle stampe, PN 4599, PN 4605, PN 4606, PN 4608). Lungo tutta la sua carriera, Reni declina infatti questo soggetto con intonazioni e particolari diversi utilizzando medium differenti (pittura, disegno, acquaforte), anche in risposta a un mercato interessato a questo genere di immagini, nel contesto del revival del culto mariano introdotto dalla Controriforma [64]Bellori 1672 (1976), p. 498..

In alcuni casi – ne vedremo un esempio tra poco – promuove, all’interno della sua bottega o del suo più stretto entourage, incisioni derivate da sue invenzioni di soggetto devozionale, concorrendo, a mio parere in maniera decisiva, ad attirare su di sé l’aura di pittore devoto che lo connoterà sempre, non solo con la sua pittura di alto afflato mistico, dunque, ma anche attraverso disegni e incisioni immediatamente riprodotti nella sua bottega, su sua iniziativa.

Già negli anni Trenta la letteratura encomiastica bolognese elogiava infatti questa sua particolare abilità nella pittura devozionale, come si evince, nel celeberrimo Il Trionfo del pennello (1633), dai componimenti di Claudio Achillini [65]Sul tema si veda Bianchi 2008, in particolare le pp. 171-212 con rimandi a Mâle 1932 (1984), pp. 42-43. e Giovan Battista Manzini [66] Su Claudio Achillini (1574-1640) si veda Il sangue dell’ucciso 2008.. La Felsina Pittrice, uscita nel 1678, si limitò a fissare questa interpretazione del pittore, capace addirittura, per Malvasia, di destare «sensi di pietà e di compassione in un seno di tigre» [67]Su Giovan Battista Manzini (1599-1664) e la sua attività letteraria si vedano Raimondi 1988, pp. CXXXIV-CXXXV..

A proposito del soggetto della Madonna con Bambino dormiente e della promozione reniana di tali invenzioni nel contesto della propria bottega, ci soffermiamo sulle due acqueforti autografe, già citate da Elena Rossoni, una con cornice ovale [68] Malvasia (1678) 1841, vol. 2, pp. 22, 38., l’altra circolare [69]Citata in Bartsch 1802-1821, vol. 18, p. 279, n. 2 (pubblicata in Birke 1982, p. 148). Esiste anche un esemplare privo del ritocco al bulino pubblicato in Gaeta Bertelà e Ferrara 1973, n. 845, e in Birke 1987, pp. 312-313, n. 025 S1., documentate nel IV volume (PN 25110, PN 25115) [70]Pubblicata in Gaeta Bertelà e Ferrara 1973, n. 848, e in Bartsch 1802-1821, vol. 18, p. 279, n. 3 (Birke 1982, p. 149)..

La fortuna incisoria di queste invenzioni è notevole e precoce: si tratta di uno dei casi in cui è difficile non attribuire a Reni la regia della loro riproduzione, dal momento che le incisioni d’après più antiche furono realizzate dal noto Bartolomeo Coriolano (1599 ca.-1676?), celebre membro della sua bottega, e dall’intagliatore francese Jérôme David, appartenente al suo più stretto entourage, negli anni Trenta. Sono anni cruciali per la sua fama, bolognese e internazionale, che il pittore sa abilmente alimentare, ma alla quale deve anche fare fronte cercando di soddisfare le richieste di un mercato esigentissimo [71]Birke 1987, pp. 277-278, 331..

Sulle due stampe di Coriolano, una a bulino in controparte della Madonna con Bambino entro ovale di Reni, realizzata prima del 1630, e un’altra licenziata proprio quell’anno, derivata dalla versione entro tondo [72]Intorno agli anni Trenta Guido Reni era un pittore di immensa fortuna. A Bologna le sue opere venivano ricercate con grande energia da appassionati di ogni estrazione sociale, non solo nobili, ma anche rappresentanti di una classe media variegata di intellettuali legati all’Università, commercianti e artigiani. Il collezionismo cittadino, e lo sarebbe stato per secoli a venire, appariva interessato alla pittura contemporanea locale in maniera pressoché esclusiva. Sul tema si veda Morselli 2001, con riferimento anche a Perini 1981 e Morselli 1998. Lo ricorda anche Malvasia 1678 (1841), vol. 2, p. 23: il desiderio di accaparrarsi sue opere muoveva re e principi di tutta Europa e anche i «meno comodi […] ed i più bassi artigiani»., torneremo analizzando il III volume delle stampe reniane, cui Elena Rossoni ha fatto cenno poco sopra.

Ci soffermiamo invece sulla Madonna con Bambino dormiente entro tondo realizzata da Jérôme David (1590/1600-1663 ca.). In Italia dall’inizio degli anni Venti fino al 1637 e, dal principio del quarto decennio, a Bologna, l’incisore eseguì altre due derivazioni da Reni [73]Bartsch 1971, nn. 52.5 I e 52.5 III, 53.6 e 53.7, e Gaeta Bertelà e Ferrara 1973, nn. 347-349, 362.: tra il 1633 e il 1634 la traduzione di una Madonna del Rosario oggi perduta, ricordata anche da Malvasia e, nello stesso giro di anni, quella tratta dall’antica icona della Madonna di San Luca, forse realizzata su disegno di Reni (PN 4602) [74]Su Jérome David si vedano Le Blanc 1854-1890 (1970-1971), I, ad vocem, Thuillier 1987 e Loire 1998: in particolare quest’ultimo studioso ha ricostruito il viaggio italiano del bulinista, attribuendogli, oltre il tradizionale soggiorno romano, anche inusuali peregrinazioni in Italia settentrionale tra Milano, Padova e Genova e, appunto, Bologna. Qui, tra il 1630 e il 1634, eseguì molte incisioni, come l’interessante stampa derivata da Ercole de’ Roberti e raffigurante l’Andata di Cristo al Calvario su disegno di Florio Macchi, esempio molto raro di riproduzione di un’opera ‘primitiva’ (cfr. Borea 2009, vol. 1, p. 352).. Prima della sua partenza per Parigi nel 1636, David era dunque assai vicino al più celebre e celebrato pittore bolognese. La stessa dedica all’abate Claudio Fieschi che reca il bulino con la Madonna con Bambino – nella stampa del IV volume assente, perché smarginata (PN 25298), ma visibile in un esemplare conservato presso la Bibliothèque Nationale di Parigi [75]Similmente a un chiaroscuro di Coriolano tratto dal medesimo modello, oggi irreperibile, che Malvasia 1678 (1841), I, p. 97 dice realizzato su disegno di Reni, pensiamo che anche la stampa di David sia stata eseguita a partire da un disegno del maestro. Sia l’evidente filtro del suo stile nella resa dell’antica icona, che la citazione di Malvasia del bulino tra i d’après Reni depongono a favore di questa ipotesi. – rafforza l’idea di una iniziativa nata nel più stretto entourage reniano, con Reni consenziente alla riproduzione, se non promotore della stessa. Fieschi era figlio di Anne Le Veneur, dama di compagnia della regina di Francia Maria de’ Medici, nonché, probabilmente, promotore dei panegirici bolognesi per il Ratto di Elena, di conseguenza di certo partecipe di un giro di frequentazioni che includevano il pittore e i letterati bolognesi [76]Parigi, Bibliothèque Nationale, inv. Bd. 26fol., p. 9, n. 22: cfr. Candi 2016, p. 207, n. 52..

Le acqueforti di Reni trovarono dunque un immediato canale di diffusione, un successo fulmineo, come detto, di certo indirizzato dal pittore, a cui seguirono altre derivazioni nel corso del Sei e Settecento. La fortuna del soggetto della Madonna con Bambino dormiente così come Reni l’aveva rappresentato nelle sue acqueforti fu tale da fornire anche un modello per un altro pittore, nello specifico, Giovan Battista Salvi, detto il Sassoferrato (1609-1685). La tela conservata presso la Pinacoteca Nazionale di Brera di Milano (fig. 15), arricchita dall’inserzione originale dei cherubini sullo sfondo, è solo un esempio, fra i tanti possibili nella produzione di Sassoferrato, del suo debito nei confronti delle stampe reniane [77]Ricostruisce la figura di Claudio Fieschi Anthony Colantuono 1997, pp. 115-117. Ricordiamo che nel Trionfo del pennello compaiono due lettere indirizzate all’abate, una di ‘Iacobus Gaufridius’ e l’altra di Giovan Battista Manzini; ancora a Fieschi, e al principe cardinale Santacroce, è dedicato un altro panegirico per il Ratto di Elena, redatto sempre nel 1633 dal letterato Annibale Marescotti..

 

Fig. 15: Giovanni Battista Salvi detto il Sassoferrato, Madonna con Bambino dormiente, Milano, Pinacoteca di Brera
(© Bologna, Fototeca Zeri, inv. 103002)

 

Un altro fortunato soggetto devozionale è quello della Madonna orante, di cui esistono diverse versioni (PN 3550). Mi soffermo su quella con gli occhi umilmente rivolti verso il basso e le mani giunte in preghiera per la quale, anche in questo caso, non è noto un prototipo pittorico. Anche se non lo conosciamo, forse esisteva, visto il pinxit di Reni presente nelle iscrizioni dei due bulini che riproducono l’invenzione reniana. Oppure, se non proprio attraverso un dipinto, l’immagine di Reni dovette circolare in altro modo, attraverso un disegno o un’incisione, a Roma intorno alla metà del Seicento, dal momento i due intagliatori francesi che realizzarono i bulini, Jean Baron (1616?-1650 post, fig. 16) [78]La tradizione storiografica vuole Sassoferrato allievo di Domenichino o dello stesso Reni, senza alcun fondamento documentario (Russell 1977). Anche se i dati biografici rimangono incerti, il pittore nutre un’innegabile ammirazione per la pittura bolognese, che non esclude la possibilità di un soggiorno nella città, come suppone Macé de Lépinay 1976, p. 50. Sull’artista e la sua produzione si veda Id. 1990 e Il Sassoferrato 2009. Il debito di questo affascinante pittore nei confronti dell’incisione contemporanea è stato sottolineato in Boyer, Macé de Lépinay 1981, articolo dedicato alle ‘Mignardes’ di Sassoferrato, derivate da stampe di François de Poilly a loro volta tratte da tele di Pierre Mignard., e il ben più noto François de Poilly (1623-1693, PN 3549) [79]Notizie su Jean Baron sono fornite da Le Blanc 1854-1890 (1970-1971), pp. 151-152 (la Madonna orante al n. 4)., risiedevano a quelle date in città.

 

Fig. 16: Jean Baron, Madonna orante, New York, The Metropolitan Museum of Art, inv. 17.3.1584

 

Non solo Guido dalla sua Bologna, dunque, ma anche intagliatori e stampatori presenti a Roma intorno alla metà del secolo contribuirono a creare la fortuna devozionale del pittore bolognese, riconoscendo soprattutto il potenziale commerciale di alcune sue invenzioni religiose. La fortuna è tanta che, come nel caso della Madonna con Bambino dormiente, anche la Madonna orante viene riprodotta più volte in pittura da Sassoferrato: tra tutte ricordiamo almeno la bellissima tela della National Gallery di Londra [80]Su François De Poilly si vedano Lothe 1994 e Fumaroli 1995, pp. 621-694. Baldinucci [1686] 1767, p. 10 ricorda l’intagliatore come esecutore di opere prettamente devozionali derivate da Raffaello, dai Carracci e da Guido Reni e lo apprezza per la sua «dolcezza infinita». (fig. 17).

 

Fig. 17: Giovanni Battista Salvi detto il Sassoferrato, Madonna orante, Londra, National Gallery (© Bologna, Fototeca Zeri, inv. 102893)

 

Il modello, in questo caso, è un’invenzione reniana mediata dall’interpretazione dell’incisore che la riproduce, forse François de Poilly, con cui il Salvi aveva sicuramente rapporti, la cui Madonna è, per Malvasia, «giusta di disegno, inarrivabile di taglio» [81] Altre versioni di questo soggetto sono pubblicate in Giovan Battista Salvi 1990, p. 69., o forse Jean Baron. Il bulino di quest’ultimo reca infatti la dedica a Francesco Angelo Rapaccioli (1608-1657) che, non solo, permette di circoscrivere gli anni di esecuzione dell’incisione (tra il 1643 e il 1653) [82] Malvasia 1678 (1841), I, p. 95., ma che crea anche un collegamento tra Baron e Sassoferrato. Il pittore marchigiano autore del Ritratto del cardinal Rapaccioli oggi conservato a Sarasota, poteva infatti conoscere la derivazione reniana di Baron dedicata allo stesso cardinale [83]Per la precisione Francesco Angelo Rapaccioli fu creato cardinale da Urbano VIII nel 1643 e portò a compimento i lavori di restauro della cattedrale di Terni nel 1653: nella dedica compaiono riferimenti a questi due estremi cronologici. Sull’ecclesiastico si vedano Sapori 2001 e Haskell 1963 (1966), pp. 220-221..

Tornando a osservare il Repertorio delle stampe del IV volume, l’altro aspetto che salta agli occhi è la presenza assai rilevante di d’après riconducibili alla ‘scuola’ reniana, laddove con tale termine intendiamo riferirci a personalità che facevano parte della sua bottega o della sua cerchia o ancora che, anche dopo la morte del pittore, avevano accesso ai modelli, soprattutto grafici, presenti in grandissima quantità e circolanti in maniera assai fluida nel contesto artistico cittadino, come già spiegato bene da Elena Rossoni.

Nel contesto della bottega, è chiaro che accanto a episodi di autopromozione, come quello già illustrato delle acqueforti con le Madonne con Bambino dormienti affidate a Coriolano e David, ce ne sono altri in cui non è possibile stabilire se l’iniziativa di un’incisione sia imputabile al pittore stesso o ai suoi allievi, vista, appunto, la mole di schizzi del maestro a costante disposizione dei membri della sua bottega. Certo Reni non intrattenne con nessuno dei suoi incisori il rapporto pressoché simbiotico che Guercino ebbe con Giovan Battista Pasqualini e non affidò loro, se non in rari casi di cui vedremo tra poco un esempio, riproduzioni di suoi dipinti. Nei ricordi di Malvasia viene addirittura tratteggiato, in un celebre passo, un Reni costretto a difendersi da alcuni allievi, arrivati al punto di intagliare «le prime bozze capaci di pentimento e mutazione» delle sue creazioni [84]Può legittimamente sorgere l’idea che l’invenzione originale di questa Madonna orante spetti invece a Sassoferrato e che l’invenit di Reni sia stato apposto sulle stampe per convenienza commerciale, tuttavia sia la citazione malvasiana della stampa di Poilly con l’esplicito rimando a Guido, sia la frequenza con cui il Salvi si ispirò alle stampe d’après Reni nei suoi quadri, ci fanno propendere per l’opinione espressa qui sopra..

Nonostante questo e altri aneddoti riportati dallo storiografo sembrino negare l’idea di un controllo serrato sulla sua produzione e sulla propria bottega, il pittore ebbe un’alta coscienza dell’importanza delle derivazioni a stampa per diffondere il suo stile e si adoperò con convinzione per far «passare, oltre i monti […] il suo nome», facendo ricorso proprio ai suoi collaboratori, «al Parisini, a’ Coriolani e altri intagliatori in rame, e in legno» [85]Ivi, p. 24. e prediligendo su tutti Simone Cantarini [86]Malvasia 1678 (1841), II, pp. 50-51.. E, come afferma giustamente Armanda Pellicciari, il disegno servì anche da mezzo di controllo stilistico della sua bottega [87]Ivi, pp. 376-377. Sulla bottega reniana si vedano Pellicciari 1988 e La scuola di Guido Reni 1992.: il fine didattico è per esempio lampante in un’impresa come l’Esemplare per li principianti del disegno (1633), manuale di propedeutica artistica costituito da stampe di Francesco Curti (1603-1670 ca.) tratte da mani e teste copiate dalle opere più celebri di Reni, e da cinque suoi fogli originali [88]Si veda Pellicciari 1989. Sui disegni di Reni si veda anche Bohn 2008.; accanto a questo, anche la libera circolazione di modelli grafici all’interno della bottega fu di certo un mezzo utilizzato dal pittore per diffondere e imporre il proprio stile e le proprie invenzioni.

Uno degli incisori che si formò nella bottega di Reni e contribuì ad alimentarne la fortuna fu Giovan Battista Bolognini (1611/1612-1688), educato attraverso lo studio e la replica delle tele del maestro, ora ricordato da Malvasia come uno degli allievi più promettenti, ora menzionato, nella biografia di Simone Cantarini e a confronto con quest’ultimo, come un artista non particolarmente dotato [89]Su Francesco Curti si vedano Lolli 1985, e Bagni 1988, pp. 90-105. Sui manuali di propedeutica artistica bolognesi si veda Maugeri 1982.. Al di là delle sue reali doti attestate da pochi dipinti superstiti, Bolognini rivestì un ruolo centrale nella bottega reniana come traduttore di opere chiave, come la Crocifissione dei Cappuccini [90] Malvasia 1678 (1841), II, pp. 43 e 377. Su Giovan Battista Bolognini si vedano Zamboni 1969, ad vocem con bibliografia precedente, e N. Roio, in La scuola di Guido Reni 1992, pp. 33-44. Lo ricordano anche Scannelli 1657 (1966), p. 370 e Zanotti 1739, vol. 2, p. 27. (PN 4622), il Bacco e Arianna sull’isola di Nasso o la Consegna delle chiavi a san Pietro (PN 4631).

Nel volume ricostruito in questa sede, troviamo, ad esempio, la riproduzione all’acquaforte della notissima Strage degli innocenti (PN 24839), ricordata da Malvasia come un dipinto fondamentale per i giovani artisti e per i «bravi maestri» che lo utilizzavano per «fortificarvisi sopra collo studio» [91]Bolognini realizzò anche copie pittoriche della Crocifissione dei Cappuccini: lo ricorda Malvasia 1678 (1841), II, p. 23.. La stampa è smarginata, ma ne esiste una versione recante la dedica a «Don Ferdinando Gonzaga Duca di Guastalla Principe di Molfeta & c.» che ne pone l’esecuzione entro il 1640 (fig. 18). Il nobiluomo potrebbe essere Ferrante II Gonzaga, divenuto duca di Guastalla nel 1621, già principe di Molfetta, morto di peste nel 1630. Al di là di tale identificazione, l’acquaforte venne realizzata entro il 1640, perché in quell’anno il ramo cadetto della dinasta mantovana, i Gonzaga di Guastalla, perse il principato di Molfetta [92]Ivi, pp. 17-18.. Bolognini eseguì dunque la derivazione della Strage degli innocenti all’interno della bottega del maestro, che doveva averne approvato, se non caldeggiato, la realizzazione.

 

Fig. 18: Giovan Battista Bolognini, Strage degli innocenti, acquaforte, New York, The Metropolitan Museum of Art, inv. 51.501.4428

 

Morto Guido Reni nel 1642, la seconda metà del secolo e tutto il Settecento non videro tramontare l’astro del pittore e gli artisti bolognesi continuarono a riconoscere in lui un vero e propria caposcuola. Malvasia, nella Felsina Pittrice e ne Il claustro di S. Michele in Bosco (uscito postumo nel 1694), restituisce l’orizzonte d’attesa dei contemporanei nei confronti delle stampe.

Nella Vita di Marc’Antonio Raimondi ed altri intagliatori bolognesi, inclusa nel primo volume della Felsina, sottolinea l’importanza della traduzione incisoria nella diffusione delle soluzioni iconografiche e del linguaggio personale degli artisti a beneficio delle nuove generazioni [93]Si veda I Gonzaga di Guastalla 2006, p. 45. Ricordiamo anche che l’incisione di Bolognini viene menzionata da Malvasia in due passi: nel primo (1678 (1841), I, p. 95) con dedica al «Serenissimo» di Guastalla e nel secondo (ivi, II, pp. 17-18) con dedica al duca di Mantova. Forse questa confusione deriva dal fatto che proprio nel 1678, anno di pubblicazione della Felsina Pittrice, Ferdinando Carlo Gonzaga-Nevers (1652-1708), già duca di Mantova, divenne anche duca di Guastalla.. Ne Il claustro esalta la funzione eternante dei d’après, capaci, come nel caso dell’acquaforte di Giacomo Maria Giovannini da Reni (PN 4642), di salvare gli affreschi di San Giovanni in Bosco dalla distruzione e dall’oblio [94]Malvasia 1678 (1841), I, p. 57.. Dalle opinioni espresse dallo storiografo si desume tra l’altro l’esistenza, a Bologna, di un contesto di incisori, collezionisti, committenti, intendenti, alquanto consapevole e progredito [95] Sulla fortuna storiografica e visiva del chiostro di San Michele in Bosco, in particolare nel Seicento, si veda Campanini 1994, pp. 89-135..

Nella derivazione reniana del secondo Seicento e del Settecento, sono presenti sia la finalità celebrativa, che quella didattica, individuate da Malvasia per le stampe di traduzione, come nel caso dell’acquaforte di Giuseppe Maria Mitelli che riproduce il San Giobbe che riceve gli omaggi del popolo di Reni, oggi in Notre Dame a Parigi, ma originariamente destinata alla cappella della Gilda della Seta nella chiesa bolognese di Santa Maria della Pietà (fig. 19). La stampa è inclusa nella raccolta di dodici acqueforti tratte dalle più significative pale d’altare bolognesi intitolata Bononiensium pictorum celebrioris gloriae delineatae (1679), una sorta di compendio visivo alla Felsina Pittrice uscita solo un anno prima o alla Bologna perlustrata di Paolo di Antonio Masini (pubblicata nel 1650 e riedita nel 1666), dall’alto valore, appunto, sia encomiastico che pedagogico.

 

Fig. 19: Giuseppe Maria Mitelli, San Giobbe riceve gli omaggi dal popolo, acquaforte, Londra, British Museum, inv. U,3.280

 

I protagonisti della scena pittorica cittadina continuarono poi a perpetrare la fortuna di Guido, scegliendo di riprodurre i testi capitali della sua arte, consegnati come modelli alle nuove schiere di artisti cittadini e non. Lo fa, sulla metà del Seicento, Flaminio Torri, allievo di Cantarini oltre che di Reni per brevissimo tempo [96]Come afferma Marzia Faietti nell’introduzione ad Agostino, Annibale e Ludovico Carracci 2003, p. XIV, un fenomeno ancora tutto da indagare è il collezionismo bolognese di stampe; la ricerca, secondo la studiosa, dovrebbe svilupparsi contemporaneamente su documenti, fonti, letteratura storiografica, cataloghi di vendita e opere stesse con timbri e marchi dei collezionisti., firmando acqueforti derivate dalla celeberrima Pala della Peste e dal Sansone (PN 3381). O ancora Domenico Maria Canuti (1626-1684) [97]Sulla Bologna perlustrata di Antonio di Paolo Masini si vedano Mario Fanti nell’introduzione a Masini 1666 (1986), I, pp. V-XXXIII e Arfelli 1957. Il San Giobbe, documentato appunto nella chiesa dell’Ospedale di Santa Maria della Pietà dei Mendicanti in strada San Vitale, è citato in Masini 1666 (1986), I,  p. 135. che, probabilmente entro i primi anni Quaranta del Seicento [98]Su Flaminio Torri (1620-1661) si vedano Colombi Ferretti 1977, Ead., in L’Arte degli Estensi 1986, pp. 203-207 e Roli 1989, p. 249: secondo la critica fu figura di svolta nel graduale superamento del «naturalismo classicizzato di Reni» e nell’apertura bolognese al barocco, insieme al collega Lorenzo Pasinelli., riprodusse il San Francesco del Pallione del Voto (PN 2121), esaltato per l’alto valore devozionale anche da un breve componimento dell’Accademico Confuso nelle Lodi al signor Guido Reni pubblicate nel 1632 [99]Su Domenico Maria Canuti si vedano Roli 1977, pp. 41-47, 91-92, e in particolare Stagni 1988. Introdotto nella bottega di Reni da Saulo Guidotti, dopo la morte del maestro passa un anno «fuor di se stesso» nel ricordo di Malvasia (1961, p. 31). Entrò in contatto con tutte le personalità artistiche bolognesi, da Francesco Albani a Giovanni Andrea Sirani, completando la sua formazione. Pittore di storia, Canuti svolse, insieme ad Agostino Mitelli, un ruolo di primo piano nella grande decorazione bolognese, soprattutto tra il 1665 e il 1685..

Accanto alla preponderante presenza di stampe bolognesi, il IV volume conserva anche un buon numero di incisioni di intagliatori francesi, la maggior parte, e di alcuni fiamminghi e olandesi.

Roma è un altro grande centro di produzione di derivazioni reniane nel corso del Seicento. Se nella seconda metà del secolo, le istituzioni accademiche, in particolare, in Francia, l’Académie Royale de Peinture et Scupture, e, a Roma, la ‘succursale’ dell’Académie inaugurata nel 1666 e l’Accademia di San Luca, operarono un controllo serrato sulla scelta degli artisti e delle opere oggetto di d’après, nella prima metà del Seicento le derivazioni incisorie sono riconducibili a moventi meno rigidi, ascrivibili a iniziative del collezionismo, del mercato e degli intagliatori stessi.

Un esempio è fornito dalle derivazioni del più caravaggesco dei dipinti di Guido, la Crocifissione di san Pietro realizzata per la chiesa di San Paolo alle Tre Fontane, oggi ai Musei Vaticani, realizzate dall’olandese Nicolaes Lastman [100]Si veda Modesti 2001, p. 159. Fa propendere per questa idea la presenza dell’excudit di Giuseppe Longhi il Vecchio, «sotto le Scolle all'Insegna di S. Paolo», membro di una famiglia di stampatori molto importanti per la diffusione delle incisioni della famiglia Sirani fin dagli anni Quaranta. Dunque l’acquaforte potrebbe essere stata realizzata durante la permanenza di Canuti presso la bottega di Giovanni Andrea, tra il 1642 e il 1643, o intorno a quelle date. e dal fiammingo Hieronymus Wierix [101]Lodi al signor Guido Reni 1632, p. 7. entro il primo decennio del Seicento (PN 4632 e PN 4633). Entrambi mossi da un’adesione di gusto al trattamento fortemente chiaroscurale e ‘naturale’ del soggetto adottato da Reni nel dipinto romano, solo molti anni dopo deprecato dalla storiografia [102]Su Pietersz Claes (o Nicolaes) Lastman (Olanda, 1586 ca.-1625), si vedano A. Tümpel, in Pieter Lastman 1991, pp. 134-135, Golahny 2008, pp. 157-165, e Seifert 2011., andarono di certo anche incontro alle predilezioni estetiche della committenza dei paesi d’origine.

Gli intagliatori francesi presenti a Roma nella prima metà del secolo furono invece influenzati, nelle loro scelte incisorie, dai connazionali che alle stesse date andavano elaborando i fondamenti dell’estetica classicista [103]  Su Hieronymus Wierix (Anversa, 1553-1619) si vedano Les estampes des Wierix 1978-1983 e Hollstein, vol. 69, 2004.. Un gusto condiviso anche dai collezionisti che, in quegli anni, stimolati dall’esempio del marchese Vincenzo Giustiniani, promotore della Galleria Giustiniana (1630-1636) [104]Bellori 1672 (1976), pp. 496-497, Passeri 1772 (1976), pp. 59, 61 e 67, e Malvasia 1678 (1841), II, p. 13., cominciavano a incoraggiare con entusiasmo la riproduzione dei tesori delle proprie raccolte. Crediamo dunque che le derivazioni, per esempio, dal San Michele Arcangelo di Santa Maria della Concezione di Remy Vuibert [105]Si rimanda a Candi 2016, dove il tema della creazione storiografia del concetto di classicismo e della declinazione di un particolare classicismo di Guido Reni contrapposto a quello di Domenichino, viene ripercorso sulla base degli interventi critici più importanti, alle pp. 23-28. e Pieter de Bailliu o quella del Ratto di Elena di Louis Boullogne il Vecchio del 1637 (fig. 20), siano nate dall’iniziativa dei committenti e collezionisti delle opere reniane [106]Catalogo ante litteram delle sculture della sua collezione, realizzato tra il sotto la direzione del tedesco Joachim von Sandrart (1606-1680), questa famosa impresa editoriale diede un grandissimo impulso alla stampa di traduzione. Sulla Galleria Giustiniana si vedano Algeri 1985, Cropper 1992 e Fusconi 2001. Sugli incisori coinvolti nell’impresa si vedano Danesi Squarzina, Capoduro 2000..

 

Fig. 20: Louis Boullogne il Vecchio, Ratto di Elena, acquaforte, Bologna, Pinacoteca Nazionale, Gabinetto Disegni e Stampe, volume 3, inv. 4569

 

Mi soffermo in particolare su una coppia di bulini realizzati dal francese Sébastien Vouillemont (1610 ca.-1660 post), presenti nel IV volume della raccolta di stampe della Pinacoteca Nazionale di Bologna.

A Firenze nel 1637, l’intagliatore fu poi a Roma, tra gli anni Trenta e Cinquanta, dove si dedicò al ritratto e alla stampa di traduzione [107]Conservata presso la Bibliothèque Nationale, inv. Bd. 26fol., album Marolles, p. 3, n. 7. Si veda Candi 2016, p. 259, n. 125.. Al 1649 risale la derivazione di una coppia di dipinti [108]Si veda Candi 2016, pp. 113-121., la Madonna con Bambino e san Giovannino che gli bacia il piede e la Vergine che cuce (PN 4594, PN 4592), che la critica ha identificato con il pendant di rami che Reni realizzò per papa Paolo V Borghese intorno al 1606, ricordati da Malvasia e, grazie alla citazione nella Felsina Pittrice, attestati nella collezione reale di Francia già nel 1678 dopo un passaggio presso i Ludovisi [109]Su Sébastien Vouillemont si vedano Thieme-Becker, vol. 34, 1940, p. 565 e Robert-Dumesnil 1835-1871, vol. 9, pp. 184-235..

Uno degli elementi del pendant è stato riconosciuto in un piccolo olio su rame oggi al Louvre (inv. 524) [110]Anche se negli esemplari della Pinacoteca Nazionale di Bologna non compare chiaramente la data (è abrasa in basso a destra, ma abbastanza leggibile, nel bulino derivato dalla Madonna con Bambino e san Giovannino), sono Le Blanc 1854-1890 (1970-1971), II, ad vocem, n.11, e Robert-Dumesnil 1835-1871, IX, p. 190, n. 11, a riportare tale datazione. che vi proponiamo nella derivazione fedele di Jean Boulanger (1607/1613-1680 ca.) [111]Malvasia 1678 (1841), II, p. 13: il cardinale Borghese rimane soddisfatto in particolare di «due rametti da letto graziosissimi, co’ quali avea Guido regalato il Papa (e che furono poi nel seguente Pontificato di Ludovisi donati come cosa rara a Lodovico, Cardinal Nipote, ed oggi sono presso la Maestà Christianissima)». Ne Le carte di Carlo Cesare Malvasia 1980, c. 104, viene definito anche il soggetto dei due rametti eseguiti per Scipione Borghese: «in uno la B.V. sedente col figliuolino, al quale S. Giovannino bacia il piede, nell’altro la B.V. che cuscie al cussino coll’ago trapinge un laceto alla presente d’Angioli che la servono».pubblicata da François De Poilly (fig. 21). La Maria Vergine che cuce risulta invece dispersa: resta solo la descrizione di André Félibien che parla di una Madonna vestita di rosso e di tre angeli, da non confondere con quella raffigurata in un altro quadro di Reni, la cosiddetta Couseuse, anch’essa oggi irreperibile tra le opere provenienti dalla collezione reale, che aveva con sé quattro angeli e un abito bianco [112]Pepper 1988, pp. 222-224. Cfr. anche L'inventaire Le Brun 1987, pp. 431-433, e S. Loire, in École italienne 1996, pp. 282-286..

 

Fig. 21: Jean Boulanger, Madonna con Bambino e san Giovannino, bulino, New York, The Metropolitan Museum of Art, inv. 51.501.4442

 

Il movente delle derivazioni di Vouillemont è, di certo, l’orgoglioso desiderio dei collezionisti di eternare opere tanto prestigiose: nel 1649 doveva trattarsi dei Ludovisi, che Malvasia e altri documenti attestano come i possessori dei rametti prima dell’arrivo in Francia [113]Su Jean Boulanger si vedano Le Blanc 1854-1890 (1970-1971), I, ad vocem e Inventaires 1951, pp. 1-51, e Sirocchi 2015, pp. 220-221. Sull’argomento, con ulteriori osservazioni, si veda Candi 2016, pp. 132-138..

Tali bulini rivestono di conseguenza un ruolo documentario fondamentale per ricostruire l’aspetto dell’elemento del pendant perduto, la Vergine che cuce, e quello originario della Madonna con Bambino e san Giovannino. Lo sfondo del rame del Louvre è infatti diverso da quello riprodotto nell’incisione di Vouillemont e pensiamo possa essere frutto di un rimaneggiamento eseguito quando il pendant si trovava nella raccolta di Pierre Beauchamps, il collezionista che vendette entrambi i dipinti a Luigi XIV nel 1685 [114]  Si veda. Pepper (1988, p. 224) con riferimento agli Entretiens di Félibien. Notizie sulla Couseuse, recentemente passata all’asta parigina Reunier & Associés (4 dicembre 2006, n. 9), sono reperibili in L’inventaire Le Brun 1987, p. 433.. Per essere più precisi il rimaneggiamento sarebbe da collocare prima del 1680, quando muore Jean Boulanger, autore della derivazione più fedele al rame del Louvre con il vaso di fiori alla finestra nello sfondo (fig. 8).

Accanto a Roma, Parigi, nel corso del Seicento, è il centro propulsore di molte importanti derivazioni reniane. Sono le numerose opere del pittore bolognese presenti nella collezione del re di Francia a essere riprodotte dagli intagliatori parigini membri dell’Académie Royale de Peinture et Sculpture. Fin dagli anni Trenta la monarchia d’Oltralpe attuò un’avveduta politica a favore degli intagliatori con l’emissione di privilegi [115]A conferma di quanto affermato da Malvasia nella Felsina Pittrice, i due rametti Borghese passano nella collezione Ludovisi nel 1621, quando Alessandro Ludovisi ascende al soglio papale con il nome di Gregorio XV. Lo documenta l’inventario datato 1633 pubblicato da Garas 1967. Sull’argomento si veda anche Pepper 1988, p. 223., fondando l’Imprimerie Royale presso il Louvre nel 1640, includendo l’incisione tra le arti liberali con l’editto di Saint Jean de Luz (1660) e, infine, dando la possibilità agli intagliatori di accedere all’Académie [116]Nonostante Malvasia affermi che nel 1678, anno di pubblicazione della Felsina Pittrice, i rami di Guido Reni si trovavano già presso la monarchia francese, fonti archivistiche ricordano invece il loro acquisto da parte del re dal Chevalier Beauchamp nel 1685, si vedano Pepper 1988, p. 223, e S. Loire, in École italienne 1996, p. 282.. Queste iniziative portarono alla supremazia francese nel campo dell’incisione, ricordata anche da Filippo Baldinucci nel suo Cominciamento e progresso dell’intagliare in rame (1686) [117]Grivel 1986, soprattutto le pp. 96-99 e 104-112, in cui la studiosa spiega la natura dei privilegi, veri e propri strumenti di garanzia dei diritti di riproduzione da parte della corona francese..

Nel IV volume è presente, ad esempio, la riproduzione a bulino dell’Estasi di san Francesco oggi al Louvre (PN 4635), inclusa anche nella celebre impresa editoriale dei Tableaux du Cabinet du Roy (1677) [118]Sull’argomento si vedano Fumaroli 1995, pp. 621-694, Gaehtgens 2015 e Préaud 2015. Cfr. anche McAllister 1982 e Michel 2010 per quanto riguarda lo status degli incisori all’interno dell’Académie Royale de Peinture et Sculpture e la pratica dei morceaux de réception incisi., accanto alle meravigliose derivazioni delle Storie di Ercole di Reni. L’autore di queste stampe è Gilles Rousselet (1610-1686), incisore prediletto di Charles Le Brun fin dal 1637 [119]Sul tema si veda l’introduzione di Evelina Borea a Baldinucci 1686 (2013), pp. II-XV.. Filippo Baldinucci ne esalta la «maniera assai più moderna», lontana dalle «crudezze» degli intagliatori che l’avevano preceduto [120]Sui Tableaux du Cabinet du Roi si vedano Sauvy 1973 e Grivel 1985. Sull’importanza politica rivestita da questa iniziativa si veda Kirchner 2009..

Il bulino che riproduce il San Francesco di Reni riporta l’appartenenza del dipinto al «Cabinet du Roy» e, nella raccolta dei Tableaux, una lusinghiera descrizione di Félibien e la citazione delle vicende collezionistiche del dipinto, che passò dalla raccolta dei Savelli di Roma a quella di Camillo Pamphilj e giunse nelle mani del re di Francia nel 1665.

Per l’Académie si trattava di un dipinto altamente rappresentativo della vocazione alla pittura sacra di Reni e della sua predisposizione alle composizioni a una figura sola, nobili e solenni. Queste sono le peculiarità che ravvisa nella tela Paul Fréart de Chantelou, riportando l’entusiastico giudizio di Gian Lorenzo Bernini nel Journal de voyage du Cavalier Bernin en France [121]Su Gilles Rousselet si veda la recente monografia Meyer 2004. La studiosa ricorda che, per la diffusione delle proprie opere, Rousselet si affidò agli stampatori più importanti dell’epoca, prima a Jean Leblond I, poi, a partire dal 1638, a Pierre Mariette I..

 

Francesca Candi

 

 

Note

[1] Per la storia della “grande collezione Lambertini” e per le vicende settecentesche dei volumi, si veda Rossoni 2008a.
[2] Si veda Rossoni 2008b; Borsetti 2008; Rossoni 2009; Borsetti 2009.
[3] I volumi pervennero all'Accademia di Belle Arti dalla Biblioteca Universitaria nel 1881 e entrarono definitivamente a far parte della collezione della Pinacoteca, con la sua autonomia nel 1882 (si veda Rossoni 2008a).
[4] Rossoni 2008a, capitoli “La risistemazione delle stampe dell'Istituto delle Scienze del 1790-1792” e “Il riordino di fine Settecento”.
[5] Rossoni 2008a, capitolo “Prima donazione Lambertini (1751)”.
[6] Biblioteca Universitaria di Bologna, Bibliografia bolognese, b. 35, f. III (Rossoni 2008a, capitolo “L'eredità Savorgnan”; Rossoni 2008b, capitolo “Il primo volume; “Stampe di Giulio Bonasone pittore e intagliatore”.
[7] Nell'inventario della raccolta compaiono: “N. 66 dd. Nella cartella più grande marcata O, e sono di Raffaello, di Guido Reni, di Carlo Lebrun, Mignard, del Le Seur, Domenichino, li quattro paesi dell’Albani, e altre rare […] (Acquisto di una celebre raccolta di scelte stampe in numero di 5400 per la Biblioteca dell’istituto suddetto, spettanti in proprietà al Sig. Conte Senatore Ludovico Vittorio Savioli (AABo, Miscellanee vecchie, cart. 625 (K255). Per la collezione Savioli e il suo acquisto da parte dell'Istituto delle Scienze si vedano Rossoni 2008a, capitolo , “L'acquisto della raccolta del conte Ludocico Savioli” e Rossoni e e Piazzi 2017.
[8] Rossoni 2008a, capitoli “La risistemazione delle stampe dell'Istituto delle Scienze del 1790-1792” e “Il riordino di fine Settecento”.
[9] Malvasia 1678 (1841), I, , pp. 92-94. Per il testo di Malvasia si veda anche l'edizione critica, con relative tavole: Carlo Cesare Malvasia's 2017. Prima di Malvasia, Joachim von Sandrart, nel 1675, aveva stilato un primo elenco di stampe di Guido Reni (Sandrart 1675, II, p. 196; si veda al proposito Faietti 2015, p. 111) ma dubito che questo testo possa essere servito di riferimento per i compilatori dei volumi dell'Istituto delle Scienze.
[10] Gori Gandellini 1771, pp. 150-156.
[11] Gori Gandellini 1771, pp. 151-152. Gori Gandellini rielabora e fa proprie le idee espresse da Malvasia (1678 (1841), I, p. 93). Un altro elenco di incisioni dell'artista, stilato a partire dagli anni Settenta del Settecento si deve a Marcello Oretti, Notizie de professori del disegno cioé pittori scultori ed architetti Bolognesi (Bologna, Biblioteca dell'Archiginnasio, ms. B 125, III, n.d., cc. 277-280) ma non sappiamo se disponibile agli ordinatori dei volumi. Per lo stile delle stampe di Reni si veda anche Faietti (2015, p. 118), che propone come lo stile delle acqueforti di Reni rispecchi il suo concetto di disegno.
[12] Bartsch 1795, pp. 3-4. Il volumetto è consultabile on line al sito: https://archive.org/details/catalogueraisonn00bart/page/n3. Il volume non figura nel catalogo dell'attuale biblioteca Universitaria di Bologna, erede della collezione di libri provenienti dall'Istituto delle Scienze. Si veda anche Birke 1987, p. 277; per il testo del 1795 di Bartsch si veda anche Faietti 2011, 111-113.
[13] Bartsch 1818, pp. 277-329; Rossoni 2008b, capitolo “Gli strumenti per la ricostruzione”. Fortunatamente pare che il volume non sia stato interessato dai furti della seconda metà dell'Ottocento che riguardarono la collezione, furti che portarono alla decisione di trasferire la collezione dalla Biblioteca Universitaria alla Pinacoteca di Bologna nel 1882 (Rossoni 2008a, con bibliografia precedente).
[14] Malvasia 1678 (1841), I, p. 92; Birke 1987, p. 202, .019 Only State. Per l'altra stampa definita a bulino da Malvasia raffigurante la Madonna con un libro e il Bambino, così come per le edizioni del volumetto, si veda oltre nel testo.
[15] Per le schede redatte da Kreisteller si veda Rossoni 2008b, paragrafo “Gli strumenti per la ricostruzione”.
[16]   Dei due volumetti si parlerà oltre.
[17] Per una rivisitazione dell'opera dell'artista e una rassegna bibiografica, soprattutto centrata sulla bibliografia più recente, aggiornata sino al 2017, si veda Rossoni 2017, pp. 39-64.
[18] Birke 1987, pp. 364-365; Faietti 2015, p. 113; Takahatake 2017, p. 34.
[19] Malvasia 1678 (1841), II, pp. 28, 46 e 51. Colomer 1996. Per il ruolo del Tarquinio il superbo di Malvezzi e le diverse redazioni della Lucrezia  di Guido Reni, si veda, Rossoni 2016, pp. 110-112.
[20] Il resoconto dei pagamenti a Reni per i disegni per la serie dedicata alla vita di San Filippo Neri è pubblicato in Melasecchi e Pepper 1998, pp. 602-603. Per la realizzazione della serie, anche in relazione alle biografie di Filippo, si veda Leone 2010, pp. 291 e sgg.. Tutta la questione relativa ai disegni utilizzati per le stampe è stata riconsiderata da Antonella Pampalone (2017, pp. 74-95) che li riferisce in parte a Cristoforo Roncalli, in parte a Bartolomeo Cavarozzi e in parte a Guido Reni.
[21] Accenno solamente ai principali estremi della dibattuta attribuzione di disegni riferiti a Guido Reni per questa impresa. La serie conservata presso la chiesa della Vallicella di Roma, già pubblicata da Federica Papi e Emanuela Zicarelli come di Guido Reni, è stata attribuita da Olga Melasecchi e Stephen Pepper - attribuzione sostenuta anche da Babette Bohn -, a Cristoforo Roncalli (uno degli artisti protagonisti della nascita dell'iconografia di san Filippo Neri) (Papi e Zicarelli 1988; Melasecchi e Pepper 1998; B. Bohn, in Le “stanze” di Guido Reni 2008, p. 146). Altri disegni sono stati identificati da Melasecchi e Pepper a Ottawa (Filippo Neri che cura Papa Clemente VIII, inv. 28150) e agli Uffizi di Firenze (invv. 3476 S, 3477 S, 3478 S,). Questi ultimi, ripassati ad acquerello, a causa soprattutto delle loro condizioni conservative, sono ritenuti di scuola da Babette Bhon (B. Bohn, in Le “stanze” di Guido Reni 2008, pp. 146-147).
[22] Il disegno è pubblicato in B. Bohn, in Le “Stanze” di Guido Reni 2008, pp. 146-147, n. 19. Per Ciamberlano e Reni si veda anche Candi 2016, p. 72 e pp. 118-119.
[23] B. Bohn, in Le “Stanze” di Guido Reni 2008, pp. 146-147, n. 19. Il rapporto tra Guido Reni e Ciamberlano continuò negli anni successivi, anche se per motivazioni diverse. Luca contrasse un grosso debito con Guido, e per estinguerlo gli cedette nel 1613 la Negazione di Pietro di Caravaggio che quest'ultimo dovette offrire in seguito al principe Paolo Savelli (ora al Metropolitan Museum of Art di New York). Si veda Nicolaci e Gandolfi 2011.
[24] Per Zanetti si veda La vita come opera 2018; per l'impresa editoriale Inig, L. Piazzi, in Rossoni e Piazzi 2017, pp. 37-46. Fanno eccezione nel Seicento gli esemplari per il disegno quali la Scelta di disegni dei Carracci, Parmegiani, et Guido Reni, intagliati da Francesco Curti. Per questa tipologia di raccolte si rimanda all'articolo di Marinella Pigozzi in questo numero della rivista.
[25] V. Birke, in Guido Reni e l'Europa 1988, p. 394, n. B.61; Colomer 1996, pp. 201-202.
[26] Malvasia 1678 (1841), II, p. 55.
[27] Malvasia 1678 (1841), II, p. 36 e 38-39.
[28] Malvasia 1678 (1841), II, p. 43.
[29] Per l'argomento relativo alla presenza di elementi riferibili alla stampa, oltre all'inventario pubblicato da Spike (1988, p. 54), si veda Takahatake 2010, p. 119 e Takahatake 2017, p. 32. Stranamente Morselli (2012a, pp. 149-150) afferma che nella casa bottega di Guido non doveva esistere un vero e proprio centro incisorio. Il fatto che la dotazione dello studio di Guido fosse inferiore a quelle individuate nello studio dei due mercanti Bernardino e Cesare Locatelli, presso cui lavorò Simone Cantarini, non esclude una produzione in proprio da parte della bottega di Reni.
[30] Candi 2016.
[31] Faietti 2015, p. 113, con bibliografia precedente.
[32] Candi 2016. Come risulta evidente dal repertorio citato, le stampe derivate da suoi dipinti che potrebbero essere state eseguite durante la sua vita e sotto il suo controllo sono, per pura via ipotetica, identificabili con la Strage degli Innocenti di Giovan Battista Bolognini (forse in risposta all'autonoma e insoddisfacente incisione ad acquaforte e bulino di Giacomo Antonio Stefanoni), il San Filippo Neri di Luca Ciamberlano, la Madonna del Rosario, da un dipinto perduto, eseguita a bulino di Jérôme David, il Bacco e Arianna sull'isola di Nasso ancora di Bolognini, le due versioni della Fortuna delle due xilografie di Bartolomeo Coriolano. Si vedano rispettivamente in Candi 2016, p. 181, n. 18; p. 182, n. 19; p. 245, n. 107; p. 273, n. 147; p. 269, nn. 139 e 140. Si veda anche Takahatake 2010.
[33] Malvasia 1678 (1841), II, p. 43.
[34] Per una rassegna della bibliografia dedicata a Guido Reni disegnatore, si veda Le “stanze” di Guido Reni 2008 e Faietti 2015, pp. 113, 121, nota 36, 118-119.
[35] Malvasia 1678 (1841), II, p. 43. Nella Pinacoteca Nazionale di Bologna è conservato un disegno con San Michele arcangelo tra gli arcangeli Michele e Gabriele, prima idea per l'affresco con Cristo in gloria tra angeli che recano i simboli della passione, eseguito tra il 1615 e 1616 per il Duomo di Ravenna (P.G. Tordella, in I grandi disegni 2002, n. 22.)
[36] Malvasia 1678 (1841), II, p. 35.
[37] Oltre a questi disegni sciolti, erano presenti anche sei libri di disegni (Morselli 2007, p. 81). La studiosa, oltre alla lista pubblicata da Spike 1988, ha analizzato il documento originale e altri documenti archivistici (Morselli 2007, p. 79).
[38] Bohn 2008, pp. XV-XVI.
[39] Malvasia 1678 (1841), p. 93; Birke 1987, pp. 291-294). E' possibile sfogliare on line la prima edizione del volume, del 1598, al seguente indirizzo: archive.org/details/descrittionedegl00bena. La serie delle sole stampe è riprodotta anche in Carlo Cesare Malvasia's 2017, 2, 2, pp. 244-246, figg. 587-595. Una nuova edizione seicentesca senza testo, non datata, molto rara e con nuovo frontespizio, venne pubblicata da Gioseffo Longhi (Birke 1987, pp. 292-294).
[40] Malvasia 1678 (1841), II, p. 11. Morselli 2012b, p. 3, con bibliografia precedente; Birke 1987, pp. 292-300; Emiliani 1988, pp. XLIV-XLV. Mentre il frontespizio venne realizzato da Francesco Brizio, le stampe interne vennero eseguite da Reni, inclusa l'Arco trionfale con elementi vegetali, aggiuta nell'edizione del 1599 (si veda Carlo Cesare Malvasia's 2017, figg. 585, 587-595).
[41] Malvasia 1678 (1841), I, p. 93.
[42] Per una dettagliata descrizione delle scene, si veda Birke 1987, pp. 305-311. Le stampe sono riprodotte anche in Carlo Cesare Malvasia's 2017, 2, 2, p. 247. figg. 596-599.
[43] Si può vedere l'intero volume nel seguente sito internet: https://archive.org/details/ilfuneraledagost00more/page/n0. Non sono presenti nel volume IV, il frontespizio di Francesco Brizio, autore anche della raffigurazione delle colonne poste tra la pagina 28 e la pagina 29.
[44] Birke 1987, p. 343, n. .034 Only State;  p. 328, n. 029 S3. Nella seconda, al  secondo stato, compare la scritta “Nico Van Aelst for.”, editore che morì nel 1613 (Birke 1984, p. 328).
[45] Birke 1987, p. 321, .027, S 2.
[46]   Birke 1987, pp. 301-302, .016 Only state; p. 313, .025 S 1; p. 313, .25, S 2.
[47] Birke 1987, p. 331, Only state; p. 330. .030 S 2.
[48] Birke 1987, p. 287, .004 S 1.
[49] Malvasia 1678 (1841), I, p. 93; Gori Gandellini 1771, p. 151; Faietti 2015.
[50] Birke 1987, p. 190, .006 Only state; p. 288, .005 S 1; p. 288, .005 S 2.
[51] Per la stampa di Reni, Birke 1987, p. 280, .001; Gnann 2007, p. 43, n. 5. Per la stampa di Parmigianino, Gnann 2007, pp. 35-38. Pe la stampa di Meldolla, Splendori del Rinascimento a Venezia 2015, p. 267.
[52] Malvasia 1678 (1841), I,  p. 93; Gori Gandellini 1771, p. 152; Marcello Oretti la cita nel suo manoscritto settecentesco Notizie de professori del disegno cioé pittori scultori ed architetti Bolognesi (Bologna, Biblioteca dell'Archiginnasio, ms. B 125, III, n.d.), c. 278. Si veda anche Faietti 2015, pp. 115-116 e la bibliografia citata a p. 122, nota 59.
[53] Birke 1987, p. 278.
[54] Birke 1987, pp. 311-313, .023 Only State; p. 346, .035 Only State; p. 339, . 032 S 1.
[55] Birke 1987, p. 346, .037, Only State.
[56] Birke 1987, p. 349, .038 Only State; p. 348, .038 C 2 S 1.
[57] Birke 1987, p. 278 e p. 343, .033 Only State.
[58] Birke 1987, p. 327, .028 S 3; p. 328, .327-328, C 2; Carlo Cesare Malvasia's 2017, 2, 2, p. 249, fig. 601.
[59] Birke 1987, pp. 324-325. Il disegno pervenne alla Pinacoteca nel 1916, acquistato da Giuseppe Ranuzzi de' Bianchi (I. Rossi, in I grandi disegni italiani 2002, pp. 249-250).
[60] Malvasia 1678 (1841), I, p. 93; Bellori 1672, p. 490; Birke 1987, pp. 251-257; 349, n. .040xx;; Faietti 2011; Faietti 2015, a cui si rimanda anche per la bibliografia precedente citata a p. 121, note 27 e 28; Carlo Cesare Malvasia's 2017, 2,2, p. 192, n. 489; Takahatake 2017, p. 21. Faietti segnala come Malvasia, nei suoi appunti manoscritti alla Felsina pittrice, riferisse di una lettera di Francesco Albani a Pietro Bellori, in cui si discuteva dell'attribuzione di questa stampa e di quella raffigurante Cristo e la Samaritana, allora già dibattute tra Reni e Annibale Carracci (Faietti 2015, p. 113).
[61] Malvasia 1678 (1841), I, pp. 92-93; Birke 1987, p. 354, .042xx; Faietti 2011, p. 281; Carlo Cesare Malvasia's 2017, 2,2, p. 243, fig. 586.
[62] Le due stampe sono assegnate a Guido Reni anche nelle schede manoscritte di Roncagli.
[63] Malvasia 1678 (1841), II, pp. 15-16.
[64] Bellori 1672 (1976), p. 498.
[65] Sul tema si veda Bianchi 2008, in particolare le pp. 171-212 con rimandi a Mâle 1932 (1984), pp. 42-43.
[66] Su Claudio Achillini (1574-1640) si veda Il sangue dell’ucciso 2008.
[67] Su Giovan Battista Manzini (1599-1664) e la sua attività letteraria si vedano Raimondi 1988, pp. CXXXIV-CXXXV.
[68] Malvasia (1678) 1841, vol. 2, pp. 22, 38.
[69] Citata in Bartsch 1802-1821, vol. 18, p. 279, n. 2 (pubblicata in Birke 1982, p. 148). Esiste anche un esemplare privo del ritocco al bulino pubblicato in Gaeta Bertelà e Ferrara 1973, n. 845, e in Birke 1987, pp. 312-313, n. 025 S1.
[70] Pubblicata in Gaeta Bertelà e Ferrara 1973, n. 848, e in Bartsch 1802-1821, vol. 18, p. 279, n. 3 (Birke 1982, p. 149).
[71] Birke 1987, pp. 277-278, 331.
[72] Intorno agli anni Trenta Guido Reni era un pittore di immensa fortuna. A Bologna le sue opere venivano ricercate con grande energia da appassionati di ogni estrazione sociale, non solo nobili, ma anche rappresentanti di una classe media variegata di intellettuali legati all’Università, commercianti e artigiani. Il collezionismo cittadino, e lo sarebbe stato per secoli a venire, appariva interessato alla pittura contemporanea locale in maniera pressoché esclusiva. Sul tema si veda Morselli 2001, con riferimento anche a Perini 1981 e Morselli 1998. Lo ricorda anche Malvasia 1678 (1841), vol. 2, p. 23: il desiderio di accaparrarsi sue opere muoveva re e principi di tutta Europa e anche i «meno comodi […] ed i più bassi artigiani».
[73] Bartsch 1971, nn. 52.5 I e 52.5 III, 53.6 e 53.7, e Gaeta Bertelà e Ferrara 1973, nn. 347-349, 362.
[74] Su Jérome David si vedano Le Blanc 1854-1890 (1970-1971), I, ad vocem, Thuillier 1987 e Loire 1998: in particolare quest’ultimo studioso ha ricostruito il viaggio italiano del bulinista, attribuendogli, oltre il tradizionale soggiorno romano, anche inusuali peregrinazioni in Italia settentrionale tra Milano, Padova e Genova e, appunto, Bologna. Qui, tra il 1630 e il 1634, eseguì molte incisioni, come l’interessante stampa derivata da Ercole de’ Roberti e raffigurante l’Andata di Cristo al Calvario su disegno di Florio Macchi, esempio molto raro di riproduzione di un’opera ‘primitiva’ (cfr. Borea 2009, vol. 1, p. 352).
[75] Similmente a un chiaroscuro di Coriolano tratto dal medesimo modello, oggi irreperibile, che Malvasia 1678 (1841), I, p. 97 dice realizzato su disegno di Reni, pensiamo che anche la stampa di David sia stata eseguita a partire da un disegno del maestro. Sia l’evidente filtro del suo stile nella resa dell’antica icona, che la citazione di Malvasia del bulino tra i d’après Reni depongono a favore di questa ipotesi.
[76] Parigi, Bibliothèque Nationale, inv. Bd. 26fol., p. 9, n. 22: cfr. Candi 2016, p. 207, n. 52.
[77] Ricostruisce la figura di Claudio Fieschi Anthony Colantuono 1997, pp. 115-117. Ricordiamo che nel Trionfo del pennello compaiono due lettere indirizzate all’abate, una di ‘Iacobus Gaufridius’ e l’altra di Giovan Battista Manzini; ancora a Fieschi, e al principe cardinale Santacroce, è dedicato un altro panegirico per il Ratto di Elena, redatto sempre nel 1633 dal letterato Annibale Marescotti.
[78] La tradizione storiografica vuole Sassoferrato allievo di Domenichino o dello stesso Reni, senza alcun fondamento documentario (Russell 1977). Anche se i dati biografici rimangono incerti, il pittore nutre un’innegabile ammirazione per la pittura bolognese, che non esclude la possibilità di un soggiorno nella città, come suppone Macé de Lépinay 1976, p. 50. Sull’artista e la sua produzione si veda Id. 1990 e Il Sassoferrato 2009. Il debito di questo affascinante pittore nei confronti dell’incisione contemporanea è stato sottolineato in Boyer, Macé de Lépinay 1981, articolo dedicato alle ‘Mignardes’ di Sassoferrato, derivate da stampe di François de Poilly a loro volta tratte da tele di Pierre Mignard.
[79] Notizie su Jean Baron sono fornite da Le Blanc 1854-1890 (1970-1971), pp. 151-152 (la Madonna orante al n. 4).
[80] Su François De Poilly si vedano Lothe 1994 e Fumaroli 1995, pp. 621-694. Baldinucci [1686] 1767, p. 10 ricorda l’intagliatore come esecutore di opere prettamente devozionali derivate da Raffaello, dai Carracci e da Guido Reni e lo apprezza per la sua «dolcezza infinita».
[81] Altre versioni di questo soggetto sono pubblicate in Giovan Battista Salvi 1990, p. 69.
[82] Malvasia 1678 (1841), I, p. 95.
[83] Per la precisione Francesco Angelo Rapaccioli fu creato cardinale da Urbano VIII nel 1643 e portò a compimento i lavori di restauro della cattedrale di Terni nel 1653: nella dedica compaiono riferimenti a questi due estremi cronologici. Sull’ecclesiastico si vedano Sapori 2001 e Haskell 1963 (1966), pp. 220-221.
[84] Può legittimamente sorgere l’idea che l’invenzione originale di questa Madonna orante spetti invece a Sassoferrato e che l’invenit di Reni sia stato apposto sulle stampe per convenienza commerciale, tuttavia sia la citazione malvasiana della stampa di Poilly con l’esplicito rimando a Guido, sia la frequenza con cui il Salvi si ispirò alle stampe d’après Reni nei suoi quadri, ci fanno propendere per l’opinione espressa qui sopra.
[85] Ivi, p. 24.
[86] Malvasia 1678 (1841), II, pp. 50-51.
[87] Ivi, pp. 376-377. Sulla bottega reniana si vedano Pellicciari 1988 e La scuola di Guido Reni 1992.
[88] Si veda Pellicciari 1989. Sui disegni di Reni si veda anche Bohn 2008.
[89] Su Francesco Curti si vedano Lolli 1985, e Bagni 1988, pp. 90-105. Sui manuali di propedeutica artistica bolognesi si veda Maugeri 1982.
[90] Malvasia 1678 (1841), II, pp. 43 e 377. Su Giovan Battista Bolognini si vedano Zamboni 1969, ad vocem con bibliografia precedente, e N. Roio, in La scuola di Guido Reni 1992, pp. 33-44. Lo ricordano anche Scannelli 1657 (1966), p. 370 e Zanotti 1739, vol. 2, p. 27.
[91] Bolognini realizzò anche copie pittoriche della Crocifissione dei Cappuccini: lo ricorda Malvasia 1678 (1841), II, p. 23.
[92] Ivi, pp. 17-18.
[93] Si veda I Gonzaga di Guastalla 2006, p. 45. Ricordiamo anche che l’incisione di Bolognini viene menzionata da Malvasia in due passi: nel primo (1678 (1841), I, p. 95) con dedica al «Serenissimo» di Guastalla e nel secondo (ivi, II, pp. 17-18) con dedica al duca di Mantova. Forse questa confusione deriva dal fatto che proprio nel 1678, anno di pubblicazione della Felsina Pittrice, Ferdinando Carlo Gonzaga-Nevers (1652-1708), già duca di Mantova, divenne anche duca di Guastalla.
[94] Malvasia 1678 (1841), I, p. 57.
[95] Sulla fortuna storiografica e visiva del chiostro di San Michele in Bosco, in particolare nel Seicento, si veda Campanini 1994, pp. 89-135.
[96] Come afferma Marzia Faietti nell’introduzione ad Agostino, Annibale e Ludovico Carracci 2003, p. XIV, un fenomeno ancora tutto da indagare è il collezionismo bolognese di stampe; la ricerca, secondo la studiosa, dovrebbe svilupparsi contemporaneamente su documenti, fonti, letteratura storiografica, cataloghi di vendita e opere stesse con timbri e marchi dei collezionisti.
[97] Sulla Bologna perlustrata di Antonio di Paolo Masini si vedano Mario Fanti nell’introduzione a Masini 1666 (1986), I, pp. V-XXXIII e Arfelli 1957. Il San Giobbe, documentato appunto nella chiesa dell’Ospedale di Santa Maria della Pietà dei Mendicanti in strada San Vitale, è citato in Masini 1666 (1986), I,  p. 135.
[98] Su Flaminio Torri (1620-1661) si vedano Colombi Ferretti 1977, Ead., in L’Arte degli Estensi 1986, pp. 203-207 e Roli 1989, p. 249: secondo la critica fu figura di svolta nel graduale superamento del «naturalismo classicizzato di Reni» e nell’apertura bolognese al barocco, insieme al collega Lorenzo Pasinelli.
[99] Su Domenico Maria Canuti si vedano Roli 1977, pp. 41-47, 91-92, e in particolare Stagni 1988. Introdotto nella bottega di Reni da Saulo Guidotti, dopo la morte del maestro passa un anno «fuor di se stesso» nel ricordo di Malvasia (1961, p. 31). Entrò in contatto con tutte le personalità artistiche bolognesi, da Francesco Albani a Giovanni Andrea Sirani, completando la sua formazione. Pittore di storia, Canuti svolse, insieme ad Agostino Mitelli, un ruolo di primo piano nella grande decorazione bolognese, soprattutto tra il 1665 e il 1685.
[100] Si veda Modesti 2001, p. 159. Fa propendere per questa idea la presenza dell’excudit di Giuseppe Longhi il Vecchio, «sotto le Scolle all'Insegna di S. Paolo», membro di una famiglia di stampatori molto importanti per la diffusione delle incisioni della famiglia Sirani fin dagli anni Quaranta. Dunque l’acquaforte potrebbe essere stata realizzata durante la permanenza di Canuti presso la bottega di Giovanni Andrea, tra il 1642 e il 1643, o intorno a quelle date.
[101] Lodi al signor Guido Reni 1632, p. 7.
[102] Su Pietersz Claes (o Nicolaes) Lastman (Olanda, 1586 ca.-1625), si vedano A. Tümpel, in Pieter Lastman 1991, pp. 134-135, Golahny 2008, pp. 157-165, e Seifert 2011.
[103]   Su Hieronymus Wierix (Anversa, 1553-1619) si vedano Les estampes des Wierix 1978-1983 e Hollstein, vol. 69, 2004.
[104] Bellori 1672 (1976), pp. 496-497, Passeri 1772 (1976), pp. 59, 61 e 67, e Malvasia 1678 (1841), II, p. 13.
[105] Si rimanda a Candi 2016, dove il tema della creazione storiografia del concetto di classicismo e della declinazione di un particolare classicismo di Guido Reni contrapposto a quello di Domenichino, viene ripercorso sulla base degli interventi critici più importanti, alle pp. 23-28.
[106] Catalogo ante litteram delle sculture della sua collezione, realizzato tra il sotto la direzione del tedesco Joachim von Sandrart (1606-1680), questa famosa impresa editoriale diede un grandissimo impulso alla stampa di traduzione. Sulla Galleria Giustiniana si vedano Algeri 1985, Cropper 1992 e Fusconi 2001. Sugli incisori coinvolti nell’impresa si vedano Danesi Squarzina, Capoduro 2000.
[107] Conservata presso la Bibliothèque Nationale, inv. Bd. 26fol., album Marolles, p. 3, n. 7. Si veda Candi 2016, p. 259, n. 125.
[108] Si veda Candi 2016, pp. 113-121.
[109] Su Sébastien Vouillemont si vedano Thieme-Becker, vol. 34, 1940, p. 565 e Robert-Dumesnil 1835-1871, vol. 9, pp. 184-235.
[110] Anche se negli esemplari della Pinacoteca Nazionale di Bologna non compare chiaramente la data (è abrasa in basso a destra, ma abbastanza leggibile, nel bulino derivato dalla Madonna con Bambino e san Giovannino), sono Le Blanc 1854-1890 (1970-1971), II, ad vocem, n.11, e Robert-Dumesnil 1835-1871, IX, p. 190, n. 11, a riportare tale datazione.
[111] Malvasia 1678 (1841), II, p. 13: il cardinale Borghese rimane soddisfatto in particolare di «due rametti da letto graziosissimi, co’ quali avea Guido regalato il Papa (e che furono poi nel seguente Pontificato di Ludovisi donati come cosa rara a Lodovico, Cardinal Nipote, ed oggi sono presso la Maestà Christianissima)». Ne Le carte di Carlo Cesare Malvasia 1980, c. 104, viene definito anche il soggetto dei due rametti eseguiti per Scipione Borghese: «in uno la B.V. sedente col figliuolino, al quale S. Giovannino bacia il piede, nell’altro la B.V. che cuscie al cussino coll’ago trapinge un laceto alla presente d’Angioli che la servono».
[112] Pepper 1988, pp. 222-224. Cfr. anche L'inventaire Le Brun 1987, pp. 431-433, e S. Loire, in École italienne 1996, pp. 282-286.
[113] Su Jean Boulanger si vedano Le Blanc 1854-1890 (1970-1971), I, ad vocem e Inventaires 1951, pp. 1-51, e Sirocchi 2015, pp. 220-221. Sull’argomento, con ulteriori osservazioni, si veda Candi 2016, pp. 132-138.
[114]   Si veda. Pepper (1988, p. 224) con riferimento agli Entretiens di Félibien. Notizie sulla Couseuse, recentemente passata all’asta parigina Reunier & Associés (4 dicembre 2006, n. 9), sono reperibili in L’inventaire Le Brun 1987, p. 433.
[115] A conferma di quanto affermato da Malvasia nella Felsina Pittrice, i due rametti Borghese passano nella collezione Ludovisi nel 1621, quando Alessandro Ludovisi ascende al soglio papale con il nome di Gregorio XV. Lo documenta l’inventario datato 1633 pubblicato da Garas 1967. Sull’argomento si veda anche Pepper 1988, p. 223.
[116] Nonostante Malvasia affermi che nel 1678, anno di pubblicazione della Felsina Pittrice, i rami di Guido Reni si trovavano già presso la monarchia francese, fonti archivistiche ricordano invece il loro acquisto da parte del re dal Chevalier Beauchamp nel 1685, si vedano Pepper 1988, p. 223, e S. Loire, in École italienne 1996, p. 282.
[117] Grivel 1986, soprattutto le pp. 96-99 e 104-112, in cui la studiosa spiega la natura dei privilegi, veri e propri strumenti di garanzia dei diritti di riproduzione da parte della corona francese.
[118] Sull’argomento si vedano Fumaroli 1995, pp. 621-694, Gaehtgens 2015 e Préaud 2015. Cfr. anche McAllister 1982 e Michel 2010 per quanto riguarda lo status degli incisori all’interno dell’Académie Royale de Peinture et Sculpture e la pratica dei morceaux de réception incisi.
[119] Sul tema si veda l’introduzione di Evelina Borea a Baldinucci 1686 (2013), pp. II-XV.
[120] Sui Tableaux du Cabinet du Roi si vedano Sauvy 1973 e Grivel 1985. Sull’importanza politica rivestita da questa iniziativa si veda Kirchner 2009.
[121] Su Gilles Rousselet si veda la recente monografia Meyer 2004. La studiosa ricorda che, per la diffusione delle proprie opere, Rousselet si affidò agli stampatori più importanti dell’epoca, prima a Jean Leblond I, poi, a partire dal 1638, a Pierre Mariette I.
[122] Baldinucci 1686 (1767), p. 10.
[123] Si veda Bernini in Francia 2007, pp.  373, 379, 401. L’episodio è commentato anche da S. Loire, in École italienne 1996, pp. 300-303.

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Pellicciari 1989

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Roli 1989

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Giovan Battista Salvi 1990

Giovan Battista Salvi ‘Il Sassoferrato’, catalogo della mostra a cura di F. Macé de Lépinay, P. Zampetti e S. Cuppini Sassi (Sassoferrato 1990), Cinisello Balsamo 1990.

Macé de Lépinay 1990

F. Macé de Lépinay, G.B. Salvi detto ‘Il Sassoferrato’: pittore vittima delle semplificazioni della storia?, in Giovan Battista Salvi ‘Il Sassoferrato’ 1990, pp. 35-43.

Pieter Lastman 1991

Pieter Lastman, the man who taught Rembrandt, catalogo della mostra a cura di A. Tümpel e P. Schatborn (Amsterdam 1991-1992), Zwolle 1991.

Cropper 1992

E. Cropper, Vincenzo Giustiniani’s “Galleria”. The Pygmalion Effect, in Cassiano Dal Pozzo’s Paper Museum, atti del convegno a cura di I. Jenkins e J. Montagu (Londra, 1989), Ivrea 1992, vol. 2, pp. 101-126.

The New Hollstein 1992

The new Hollstein Dutch & Flemish Etchings, Engravings and Woodcuts 1450-1700, Roosendaal-Amsterdam 1992-.

La scuola di Guido Reni 1992

La scuola di Guido Reni, a cura di M. Pirondini ed E. Negro, Modena 1992.

Campanini 1994

M.S. Campanini, Il chiostro dei Carracci a San Michele in Bosco, Bologna 1994.

Lothe 1994

J. Lothe, L’œuvre gravé de François et Nicolas De Poilly d’Abbeville, Parigi 1994.

Fumaroli 1995

M. Fumaroli, La scuola del silenzio. Il senso delle immagini nel XVII secolo, Milano 1995.

Colomer 1996

J.L. Colomer, Peinture, histoire antique et scienza nuova entre Rome et Bologne. Virgilio Malvezzi et Guido Reni, in Poussin et Rome, Parigi, 1996, pp. 201-214.

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Pommier 1996

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Colantuono 1997

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O. Melasecchi e S. Pepper, Guido Reni, Luca Ciamberlano and the Oratorians. Their relationship clarified, in “The Burlington Magazine”, 140, 1998, pp. 596-603.

Morselli 1998

R. Morselli, Collezionisti e quadrerie nella Bologna del Seicento. Inventari 1640-1707, Los Angeles (CA)-Torino 1998.

Danesi Squarzina e Capoduro 2000

S. Danesi Squarzina e L. Capoduro, Nuove date e nuovi nomi per le incisioni della “Galleria Giustiniana”, in Studi di storia dell’arte in onore di Denis Mahon, a cura di M.G. Bernardini, S. Danesi Squarzina e C. Strinati, Milano 2000, pp. 153-164.

Fusconi 2001

G. Fusconi, Classicismo e realismo nei disegni di Sandrart per la Galleria Giustiniana, in I Giustiniani e l’antico 2001, pp. 15-27.

Geografia del collezionismo 2001

Geografia del collezionismo. Italia e Francia tra il XVI e il XVIII secolo; atti delle giornate di studio dedicate a Giuliano Briganti, a cura di O. Bonfait, M. Ochmann, L. Spezzaferro e B. Toscano (Roma, 1996), Toma, 2001.

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Morselli 2001

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I grandi disegni italiani 2002

I grandi disegni italiani della Pinacoteca Nazionale di Bologna, a cura di M. Faietti, Cinisello Balsamo, 2002.

Agostino, Annibale e Ludovico Carracci 2003

Agostino, Annibale e Ludovico Carracci. Le stampe della biblioteca Palatina di Parma, a cura di R. Cristofori, Bologna 2003.

The Art of Parmigianino 2003

The Art of Parmigianino, catalogo della mostra a cura di D. Franklin, con un saggio di D. Ekserdjian (Ottawa e New York2003), Ottawa, 2003.

Meyer 2004

V. Meyer, L’œuvre gravé de Gilles Rousselet, graveur parisien du XVIIe siècle, Parigi 2004.

I Gonzaga di Guastalla 2006

I Gonzaga di Guastalla nel XVII secolo: archivi, politica, dinastia, diplomazia, religione, atti della giornata di studi a cura di E. Bartoli e S. Balbi Settino (Guastalla, 2003), Guastalla 2006.

Bernini in Francia 2007

Bernini in Francia. Paul de Chantelou e il Journal de Voyage du cavalier Bernin en France, a cura di D. Del Pesco, Napoli 2007.

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Il sangue dell’ucciso 2008

Il sangue dell’ucciso: un poeta in utroque. Poesie e prose di Claudio Achillini, a cura di M. Pieri e L. Salvarani, Lavis 2008.

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Le “Stanze” di Guido Reni. Disegni del maestro e della scuola, catalogo della mostra a cura di B. Bohn (Firenze 2008), Firenze, 2008.

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Il Sassoferrato. Un preraffaellita tra i puristi del Seicento, catalogo della mostra a cura di M. Pulini (Cesena 2009), Milano 2009.

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R. Morselli, Guido Reni da Bologna a Roma e ritorno, in Roma al tempo di Caravaggio, catalogo della mostra a cura di R. Vodret (Milano 2011-2012), Milano, 2012, pp. 285-293.

Faietti 2015

M. Faietti, “Una certa facilità e disinvoltura parmigianesca”. Guido Reni e l’acquaforte, in Aus aller Herren Länder, a cura di S. Meurer, A. Schreurs-Morét & L. Simonato, Turnhout, 2015, pp. 110-123.

Gaehtgens 2015

T.W. Gaehtgens, The Arts in the service of the King’s Glory, in A Kingdom of Images 2015, pp. 1-8.

Préaud 2015

M. Préaud, Printmaking under Louis XIV, in A Kingdom of Images 2015, pp. 9-14.

Sirocchi 2015

S. Sirocchi, Jean Boulanger (Troyes-1608, Modène-1660). La formation et le portrait troyen du “premier peintre du duc”, in “Mémoires de la Société Académique de l’Aube, CXXXVIII, 2015, pp. 215-240.

Splendori del Rinascimento a Venezia 2015

Splendori del Rinascimento a Venezia: Schiavone tra Parmigianino, Tintoretto e Tiziano, catalogo della mostra a cura di E. Dal Pozzolo e L. Puppi (Venezia 2015-2016), Milano 2015.

Rossoni 2016

E. Rossoni, Le interpretazioni di una tragica scelta: Lucrezia Romana da Parmigianino a Guido Reni, in Lucrezia romana. La virtù delle donne da Raffaello a Reni, catalogo della mostra a cura di M. Scalini, E. Fiori e E. Rossoni (Parma 2016-2017), Cinisello Balsamo (MI), 2016, pp. 93-115.

Candi 2016

F. Candi, D’après le Guide. Incisioni seicentesche da Guido Reni, Bologna 2016.

Carlo Cesare Malvasia’s 2017

Carlo Cesare Malvasia’s Felsina pittrice. Lives of the Bolognese Painters, 2017, 2 voll.

Pampalone 2017

A. Pampalone, La vita di San Filippo Neri nei cicli figurativi, in A. Pampaleone e S. Branchesi, Iconografia di un Santo. Nuivi studi sull’immagine di san Filippo Neri, Roma, 2017, pp. 9-188.

Rossoni 2017

E. Rossoni, Guido Reni, “sopra d’ogni altro famoso ed eccellente”, in Nesso e Dejanira di Guido Reni dal Louvre di Parigi alla Pinacoteca di Bologna, a cura di M. Scalini e E. Rossoni, Bologna, 2017, pp. 39-65.

Rossoni e Piazzi 2017

E. Rossoni e M.L. Piazzi, Ludovico Aurelio Savioli “ciamberlano dell’Elettore Palatino di Baviera” e la collezione di stampe della Pinacoteca Nazionale di Bologna, in Dialogo tra Italia e Germania. Arte, Lettteratura, Musica, a cura di M. Pigozzi, Bologna, 2017, pp. 21-48.

Takahatake 2017

N. Takahatake, Carlo Cesare Malvasia and printmaking in Bologna, in Carlo Cesare Malvasia’s. Felsina pittrice. Lives of the bolognese painters, edizione critica a cura di L. Pericolo, vol. I, Washington, 2017, pp. 1-51.

La vita come opera 2018

La vita come opera. Anton Maria Zanetti e le sue collezioni, catalogo della mostra a cura di A. Craievich (venezia 2018-2019), Crocetta del Montello, 2018.