Il “Museo moderno” di Severino Bonora: Hayez, Malatesta e tante giovani promesse dell’Accademia di Belle Arti di Bologna
Il nome di Severino Bonora ricorre di frequente nell’indagine storico artistica sulla Bologna di metà Ottocento, almeno per aver commissionato un dipinto al pittore italiano più celebre di quegli anni, Francesco Hayez [1]Per la bibliografia più recente con riferimenti ad Hayez e a Bonora: C. Ghibaudi in Francesco Hayez 2015, p. 284, n. 91. Il presente intervento deriva da una prima versione di schematica presentazione dei punti salienti della ricerca, pubblicato in Dall’Ideale Classico al Novecento. Scritti per Fernando Mazzocca, Cinisiello Balsamo 2018, pp. 143 -148. In questa sede i risultati sono esposti in maniera diffusa, analizzando i singoli dipinti provenienti dalla collezione di Severino Bonora attualmente individuati, anche in rapporto con i disegni e i bozzetti di Antonio Muzzi per uno di essi, conservati presso il GDS e la Pinacoteca Nazionale di Bologna. . Il dipinto, Ruth, oggi esposto alle Collezioni Comunali d’Arte di Bologna, è un esempio del tema, più volte affrontato dall’artista, della figura femminile isolata in un interno o, come in questo caso, in un paesaggio, visione sensuale in preda alla malinconica piena dei suoi pensieri [2]Inv. P 357, olio su tela, cm 138 x 100. .
La Ruth, che venne donata al Comune di Bologna nel 1866 come legato testamentario del collezionista [3]Archivio Storico Comunale di Bologna, da ora ASCBo, Comune, Atti della Giunta, 1866, “REGNO d' ITALIA/N° d' ordine 116/ Giunta Municipale di Bologna/ Questo giorno di Giovedì venti /20/ del mese di Settembre dell' anno milleottocesessantasei /1866/N° 10/ Bonora Severino/ dono del Quadro la Ruth dipinta da Hayez./ Prot. 8211/ 8933/ O.G. 896/ Il Signor Assessore prefato rende d'atti due lettere del Signor Direttore del Demanio l'una e del Signor Dottor Stagni Notaro l'altra, colle quali è partecipata al Comune la disposizione testamentaria del fu Signor Severino Bonora a prò del Comune stesso del quadro dipinto da Hayez e rappresentante la Ruth. La Giunta prende nota del dono disponendo che sia eseguita la comunicazione al Consiglio per gli effetti di cui art. 87553 della vigente Legge Comunale”. Un altro riferimento ne “Il Monitore di Bologna”, 22 novembre 1866, dove si cita la sessione straordinaria del Consiglio Comunale, tenutasi il 12 ottobre 1866, in cui si autorizza all’unanimità la Giunta ad accettare la donazione Bonora. , era certamente la perla di una raccolta significativa, che si distingueva per la sua omogeneità e per un preciso disegno di base che merita di essere indagato in maniera più approfondita, alla luce dei documenti emersi da una prima, promettente ricerca archivistica.
Severino Bonora era nato nel 1801 a Santa Maria Co’ di Fiume, una piccola località agricola al confine con la provincia di Ferrara, a poca distanza da Bologna, da una famiglia di proprietari che in breve tempo aveva saputo migliorare a tal punto la propria situazione economica da decidere di trasferirsi in città, per meglio provvedere all’educazione dei tre figli maschi [4]La fonte principale per la ricostruzione della figura di Severino Bonora è certamente l’opuscolo di Gaetano Giordani, pubblicato a un anno dalla morte del collezionista (Giordani 1867). Pier Lucio Bonora e Costanza Parma ebbero tre figli maschi, il primogenito Severino (21 maggio 1801 – 8 agosto 1866), Saturnino e Albino e tre femmine, Maria, Liduina e Ottavia. A Bologna, quando nel 1820 -21 Severino frequentava l’Accademia di Belle Arti, la famiglia risiedeva in via san Felice 92 (Giumanini 2002, p. 72). Il cavalier Albino Bonora, insignito dell’ordine dei santi Maurizio e Lazzaro, fu sindaco di Budrio e morì un anno dopo il fratello, nella sua villa La Riccardina. Aveva sposato Luisa Gandolfi e ne aveva avuto quattro figlie, Maria maritata Alamanno Isolani, Bianca sposa di Annibale Certani e madre di Luisa Certani, Costanza moglie di Carlo Socini e madre di Luisa Socini, e Virginia. Liduina Bonora sposò un membro della famiglia Boari, da cui ebbe 5 figli, e Ottavia un Ferrari. Albino fu imprenditore agricolo di grande intuito e introdusse precocemente nella sua azienda macchine moderne. La qualità eccezionale della canapa prodotta dalle sue tenute fu premiata alle esposizioni di Ferrara, Bologna, Firenze e Londra (cfr. In morte del cav. Albino Bonora, Bologna, 1867). Saturnino, marito di Maria Tanari, aveva tre figli maschi che furono eredi universali dei beni dello zio Severino, e una femmina. .
A differenza dei fratelli, che compirono studi di tipo economico e agrario per gestire al meglio ed accrescere le risorse famigliari, Severino affiancò a quella che era una formazione necessaria per amministrare e mantenere la propria posizione di possidente, studi umanistici ed artistici, frequentando per due anni i corsi di ornato, paesaggio e filosofia dell’Accademia di Belle Arti di Bologna.
Al termine degli studi iniziò quella esperienza di viaggiatore appassionato che durerà per il resto della sua vita (1825 – 66). Come in una sorta di Grand Tour, allargato ed ininterrotto, che si ripeteva ogni anno dalla metà di aprile al mese di ottobre circa, Severino, in compagnia di giovani artisti con pochi mezzi, che lo accompagnavano a sue spese, visitò la Germania, l’Austria, la Svizzera, la Francia e l’Inghilterra, ma anche Costantinopoli, la Terra Santa e la Russia. I numerosi album – taccuini che ne ricavava, illustrati con un tratto nitido e pulito, a volte acquarellati, testimoniano e documentano i percorsi, le cose viste e le successive riflessioni, estetiche ed architettoniche [5]Gli album di disegni realizzati da Severino al ritorno dai suoi viaggi e ricordati da Giordani come in possesso degli eredi Bonora sono stati dispersi sul mercato, in particolare negli anni ‘80 del Novecento. Un ricco lotto, comprensivo di carteggi autografi, era esposto alla Mostra dell’antiquariato di Bologna nel 1986 (E. Landi, Paesaggi tra realtà ed “ideale”. Disegni di un inedito artista ed apolide viaggiatore emiliano, Severino Bonora (1801 – 1866), in Bologna 1986). Ne sopravvive solo uno completo presso la CARIM di Rimini, che illustra un viaggio in Romagna e alcuni pensieri architettonici ideali, oltre a tre fogli sciolti con leggera acquarellatura presso le Collezioni d’Arte e di Storia della Cassa di Risparmio di Bologna (invv. 29684, 29685, 29686).. Dai fogli ancora rilegati, che compongono un album datato 1837, nelle raccolte della Cassa di risparmio di Rimini, possiamo renderci conto del formato e della tipologia di questi oggetti. Poco più che un quaderno di pagine bianche cucite, con copertina leggera in carta colorata, l’album di Rimini raccoglie vedute di Bologna (l’Annunziata, Villa Aldini) e nitidi ricordi di un viaggio in Romagna e oltre, che conduce Severino a Forlì, Rimini, San Marino, Orvieto, Faenza, Brisighella, alternati ad architetture ideali. L’interesse dell’autore è chiaramente di tipo architettonico, alle vedute manca la presenza umana e anche l’aspetto naturalistico è fortemente schematizzato da un tratto pulito a puro contorno. L’occhio del disegnatore è attratto dalla struttura, dalla resa visiva dei materiali e dalle angolazioni (facciate, absidi, fiancate, archi, membrature). L’interesse prevalente dal punto di vista storico è per le rovine romane e per il Medioevo che rimane un punto centrale anche dei suoi acquisti librari, come vedremo in seguito, esaminando gli inventari della biblioteca di Severino. Anche gli edifici ideali sono frutto di scelte eclettiche, che privilegiano il Medioevo, sia per le architetture ecclesiastiche che per quelle residenziali. Tecnicamente i disegni sono realizzati a penna, con una prima leggera stesura a matita; non si differenziano se non per una leggera acquarellatura i tre fogli sciolti oggi presso le Collezioni d’Arte e di Storia della Fondazione Cassa di Risparmio di Bologna che prediligono soggetti di area bolognese (la Certosa, l’Osservanza, la chiesa di Cinquanta nella pianura bolognese, il palazzo della Mercanzia e una veduta fuori porta sant’Isaia, con il portico ed il santuario di san Luca). Che si tratti di appunti e di idee architettoniche è evidente anche dalla decisione di ripartire il foglio in due porzioni praticamente uguali, ognuna delle quali è destinata ad ospitare uno studio (figg. 1, 2 , 3).
A questa vera e propria attività di viaggiatore – esteta si affianca la creazione di una collezione che aveva sede nella dimora di Bologna, in via di Mezzo San Martino n. 1826, l’attuale via Malcontenti, dove Severino arrivò a costituire un vero e proprio museo di arte contemporanea, facilmente accessibile al pubblico, di cui lo possiamo immaginare entusiastico cicerone (fig. 4).
Figura 1: Severino Bonora, Cimitero Pubblico – Parrocchia di Cinquanta, Bologna, Collezioni d’Arte e di Storia della Fondazione Cassa di
Risparmio in Bologna, inv. F29685
Figura 2: Severino Bonora, Fuori Porta S. Isaia – La Mercanzia, Bologna, Collezioni d’Arte e di Storia della Fondazione Cassa di
Risparmio in Bologna, inv. F29684
Figura 3: Severino Bonora, Convento dell’Osservanza – Ideale, Bologna, Collezioni d’Arte e di Storia della Fondazione Cassa di Risparmio in Bologna, inv. F29686
Figura 4: Casa di Severino Bonora in via di Mezzo san Martino, distrutta nel 1884 per fare posto all’attuale via dell’Indipendenza, Bologna, Collezioni d’Arte e di Storia della Cassa di Risparmio di Bologna, Misc. Ambrosini 084
Membro onorario dell’Accademia di Belle Arti di Bologna dal 1844 [6]Discorsi letti nella grande aula della Pontificia Accademia di belle arti in occasione della solenne distribuzione de' premi: il giorno 17 ottobre 1844, Bologna, Tip. governativa alla Volpe, 1845, p. 56., Bonora partecipa attivamente alle esposizioni annuali acquistando opere esposte, selezionate tra quelle di giovani artisti emergenti, da incoraggiare e sostenere economicamente, o commissionandole appositamente per l’esposizione, ma si reca anche a Milano per le esposizioni di Brera e visita gli studi di artisti di fama, tra questi Adeodato Malatesta, dal quale acquisterà nel 1845 l’Agar [7]Sull’Agar di Adeodato Malatesta cfr. F. Mazzocca, in Reggio Emilia 1998, pp. 166 -7, n. 173. Riporto la descrizione del dipinto fatta da un periodico locale che dà anche un bel ritratto del committente: “....Agar con Ismaele nel deserto...La prima di queste opere ordinata all'artefice per commissione del signor Severino Bonora, uno dei pochissimi incoraggiatori e fautori delle Belle Arti che fanno onore a Bologna, è un modello di espressione, di grazia e di aggiustatezza. Il fanciullo Ismaele trafelato pel caldo, estenuato per le fatiche del disastroso viaggio per lo deserto, e rifinito per la sofferta sete, giace a terra supino con l'anelito della morte; e la madre angosciosa sta in atto di muoversi prontissima al comando dell'angelo che in alto appare e le addita la fonte propizia. Non può disegnarsi in tela una più graziosa figura e con più leggiadre forme e gentili di questa dell'Agar, né con più grazia e decoro adattarle un vestimento così vago e accarezzante: Quanto al giacente fanciullo, esso è tanto mirabile nella sua espressione, che potrebbe credersi morto se nol si vedesse pur respirare. Di tanto l'arte è capace! Un sole ardente illlumina e riscalda tutta l'opera e pure assai ben disegnato è l'angioletto avvolto nell'iride, che rende tutto il quadro un color risentito e molto ben adatto...” (Osservatorio 1850), e Francesco Hayez, dal quale otterrà la Ruth. La sua personalità di uomo colto, sensibile e attento alle novità filosofiche e letterarie, emerge nelle pagine dei pochi scritti finora giunti fino a noi, perché conservati negli archivi dei pittori a cui indirizza le sue lettere, Hayez e Malatesta [8]Le due lettere di Bonora indirizzate a Francesco Hayez sono conservate presso la Biblioteca Braidense di Milano (Hayez II B, 47 e 48), mentre il nucleo più consistente di quelle ad Adeodato Maltesta si trova presso la Biblioteca Poletti di Modena. Ringrazio la direzione della biblioteca Poletti per aver messo a mia disposizione le scansioni delle lettere per permettermi di realizzare realizzare questo studio.. Sono frammenti di una ben più ricca produzione letteraria fatta di epistolari, diari di viaggio, scritti di estetica e di riflessioni sulle arti, in particolare sull’architettura, specie quella del Medioevo, che si intuisce dalle pagine del Giordani e che risulta attualmente dispersa [9]Giordani cit.. Una tale ricchezza di riflessioni derivava indubbiamente anche dalle sue frequentazioni e dal dibattito ideologico che si svolgeva in questi ambienti politico – culturali. Severino fu infatti membro del Consiglio comunale e di quello provinciale di Bologna, amministratore del Ricovero di Mendicità e assunto della Fabbriceria di san Petronio [10]Ib., p. 32.. In quest’ultimo ruolo va considerato il suo impegno per la conservazione dei dipinti di Giovanni da Modena sulle pareti della cappella di sant’Abbondio, che viene riallestita in stile neogotico, con vetrate, dipinti e sculture, a rilievo e tuttotondo in marmo, proprio sotto la sua supervisione rispecchiando quel precoce interesse per la rinascita del Medioevo al quale sono improntati i suoi disegni [11]Ib., pp. 32 – 5..
A differenza dei fratelli, Severino scelse di non sposarsi, forse per motivi di salute. Dalle pagine del Giordani e dalle sue lettere a Malatesta apprendiamo che era affetto da epilessia e che ogni crisi severa gli lasciava “sempre un mal essere, uno scoraggiamento, che mi portano ad una totale indiferenza (sic) della vita” [12]Modena, Biblioteca Poletti, Fondo Malatesta, da ora BPMo, FM, Lettera di Severino Bonora ad Adeodato Malatesta, 7 dicembre 1854.. Una malattia invalidante, e per quei tempi non controllabile, che lo portò a fare scelte di vita radicali e ad informarsi anche su terapie alternative, che potessero alleviare la sua condizione. Un interesse che è dimostrato anche dalla presenza di volumi di medicina, in particolare sulle patologie nervose e sulle loro cure, nella sua biblioteca [13]Archivio di Stato di Bologna, da ora ASBo, Notarile, Stagni Cesare, 43/307. Tra questi il volume di Pacinotti sulle Malattie nervose (1834) e i due di Zimmermann Sulla Solitudine (1834) e Sull’esperienze della medicina (1830).. Sappiamo per esempio che riponeva grande fiducia nel potere terapeutico del viaggio, anche se nel 1845 fu quasi vicino alla morte in occasione di una crisi particolarmente violenta che lo colse in Terra Santa.
Dalle pagine del Giordani si apprende che Bonora aveva elaborato un progetto collezionistico di stampo etico morale, dimostrazione effettiva delle sue personali opinioni in fatto di arte. Convinto che i tempi moderni non potessero offrire agli artisti molte occasioni per operare, come era invece avvenuto nel passato, quando i grandi principi e la devozione religiosa avevano promosso commissioni e cantieri di grande respiro, Bonora accantonava ogni anno una somma di denaro dalle sue rendite e la investiva in un’opera d’arte, scelta all’esposizione o commissionata in precedenza ad un artista di cui voleva favorire il talento, sia con un aiuto economico che con l’occasione espositiva che gli veniva offerta [14]BPMo, FM, Lettera di Severino Bonora a Adeodato Malatesta del l’11 novembre 1843. Giordani ricorda che il fine di Bonora era quello di costituire una raccolta che rispecchiasse lo stato attuale dell’arte in Italia, e non solo a Bologna, quando questa veniva favorita da un ricco committente e arriva a definirla “un museo moderno”. . Le cronache delle esposizioni artistiche ed industriali di Bologna ne sono la prova. Nel 1844, per esempio, si espone un paesaggio di “Helff Giuseppe Luigi tirolese una veduta esterna della città di Bologna a panorama presa da un punto elevato fuori di Porta san Mammolo e Saragozza colorita all’acquerello per commissione del sig. Severino Bonora Accademico d’onore” [15]Discorsi letti, cit., p. 50.. Nel 1846 Bonora acquisterà invece un’opera esposta, un Cieco del pittore bolognese Ippolito Bonaveri [16]Relazione 1847, p. 89. “Bonaveri Ippolito della Molinella, ½ figura dipinta ad olio di un cieco ritratto dal vero, opera acquistata dal sig. Severino Bonora, socio d'onore”. Per Bonaveri Bologna 1980; Babini 1983.. L’anno successivo è la volta di “Alberi prof. Clemente, cattedratico di pittura – La Sonnambula di grandezza al naturale, figurata come apparve sui tetti delle case in tempo di notte a Dresda nel 1833, dipinta ad olio per commissione del sig. Severino Bonora, socio onorario di questa Pontificia Accademia di Belle Arti” [17]Relazione 1847, p. 61. Per C. Alberi cfr. R. Grandi in Bologna 1980, pp. 70-71; E. Farioli in Bologna 1983, pp. 84 – 87.. Si tratta di un dipinto importante, anche per comprendere la storia dell’Agar di Malatesta. Le prime lettere di Bonora al pittore modenese, infatti, saranno in una empasse proprio perché il committente propone questo particolare soggetto, evidentemente non gradito al Malatesta, che si limiterà a glissare, fino a quando non gli verrà proposto di sentirsi libero riguardo al tema, eventualmente anche di fronte ad una proposta di acquisto di un quadro già visto e apprezzato, come l’Agar, che il collezionista aveva ammirato all’esposizione di Brera. Le lettere di approccio con due pittori celebri e venerati, come Malatesta ed Hayez, partono entrambe da questo schema. Il committente propone un soggetto, per Hayez un episodio ben circoscritto della Francesca da Rimini di Silvio Pellico, di cui si citano perfino i versi [18]Lettera di Severino Bonora a Francesco Hayez, Bologna 20 settembre 1850, BBMi, Hayez 47, il soggetto proposto, ispirato all’atto III, scena II della tragedia, è contenuto nei versi “Commosso/ mi ti accostai. Perplessi eran miei detti/ perplessi pure erano i tuoi. Quel libro/ mi porgesti e legemmo. Insiem leggemmo di Lancillotto come amor lo strinse. / Soli eravamo e senza alcun sospetto/ Gli sguardi nostri s’incontraro….il viso/ mio scolorossi….tu tremavi”. , per Malatesta, La Sonnambula di Dresda. Nel primo caso si fornisce all’artista anche una precisa descrizione del formato, sia per le figure sia per le dimensioni (m 1 cm 93 per m 1 cm 30, dipinta per il lungo). Indicazioni che andranno puntualmente disattese, fino a quando Bonora non comprenderà che il silenzio dei maestri era forse imputabile alla sua gestione troppo opprimente della commissione e li lascerà liberi. Non rinunciando, però, nel caso della Sonnambula, a fare svolgere il tema da un altro pittore, il più disponibile Clemente Alberi, professore di Pittura all’Accademia di Bologna [19]Il dipinto è ricordato anche nella commemorazione di Clemente Alberi: “...una Sonnambula con effetto di notte, posseduta dall'amatore di Belle Arti Severino Bonora” (Atti 1864, p. 28). Nel 1850 l’interesse di Bonora sembra rivolgersi a temi orientalisti. Pochi anni prima aveva compiuto un viaggio in Terra Santa. Eccolo quindi proporre a Malatesta una scena con crociati o anche “una beduina”, magari ispirata ad alcune illustrazioni di costumi arabi della sua collezione, che propone al pittore di visionare personalmente [20]Lettera di Severino Bonora ad Adeodato Malatesta, Bologna 8 maggio 1851, BPMo. Nel ringraziare il pittore per aver accettato una sua nuova commissione “… sono convinto che una Beduina, meglio che altro dalla Bibbia, sarà questo un concetto più interessante perché nuovo e più adatto al gusto dei nostri giorni”. . Sarà proprio Hayez invece, a raccogliere l’idea della bella beduina con la sua Ruth, esposta a Bologna nel 1853 [21]Relazione 1854, p. 61 Per la Ruth cfr. anche R. Grandi in Collezioni Comunali 1989, n. 44, pp. 51-2..
Se la Ruth e l’Agar saranno i punti chiave della collezione, per la fama dei loro autori e per la indubbia qualità pittorica, vale tuttavia la pena di considerare l’intera raccolta così come ce la presenta l’inventario post mortem dello stato patrimoniale di Severino Bonora che descrive stanza per stanza l’interno della sua casa bolognese, permettendo di svolgere anche qualche riflessione sui rapporti iconografici tra le opere, che costituiscono un vero e proprio progetto, espositivo e di committenza [22]ASBo, Notarile, Stagni Cesare, 43/307, cit. . L’inventario viene redatto a circa un mese dalla morte del collezionista e si compone, secondo l’uso, di una descrizione delle stanze e del loro mobilio, e di ulteriori stime allegate (dipinti, gioielli e libri). La collezione di circa 50 dipinti ricordata dal Giordani non è descritta al completo nell’apposito allegato, stilato dal pittore Napoleone Angiolini, e mancano del tutto le sculture, che pure, a detta del biografo, dovevano essere presenti, anche se in numero minore rispetto ai quadri. Risulta comunque di estremo interesse la disposizione dei dipinti all’interno delle varie stanze, in accostamenti che non possono ritenersi casuali, ma frutto di un piano espositivo messo a punto da tempo e di commissioni mirate [23]Giordani, cit., pp. 25 -6, ricorda come i dipinti commissionati da Bonora per la sua collezione avevano come soggetto episodi della sua vita che si erano rivelati particolarmente formativi o in generale appartenenti “a questo pellegrinaggio mondiale, che si chiama umana vita”, tratti da fatti veri riportati dalle cronache o tratti da opere, musicali o letterarie. I dipinti si prestavano alla riflessione “di sapienza e moralità” e per questo dovevano essere essenziali e privi di dettagli esornativi troppo ingombranti. L’altro gruppo di soggetti era costituito da vedute dei luoghi che il collezionista aveva visitato nei suoi viaggi. . I dipinti sono prevalentemente esposti in quattro stanze disposte in successione, prospettanti sulla via di Mezzo San Martino. La prima di esse, posta a destra dell’ingresso, contiene quattro dipinti, due Prospettive del pittore specializzato Domenico Ferri [24]Su D. Ferri , pittore e scenografo attivo a Parigi, Londra, Napoli e Milano, cfr. R. Grandi in Bologna 1983, pp. 127 – 130; Calori 2012; Rubbi 2013; Rubbi 2017., e due quadri di storia, Giulietta e Romeo e la Sonnambula di Dresda. Il primo soggetto, di chiaro gusto romantico, è opera di un giovane artista bolognese, Girolamo Dal Pane, ed è ben noto, dato che è ricordato nella già citata lettera di Bonora ad Hayez, anche se attende ancora di essere identificato. Nella lettera, lasciando il pittore libero di scegliere un soggetto di suo gusto, e suggerendo quello della Francesca da Rimini, Bonora lo prega di evitare Romeo e Giulietta che è già presente nella sua collezione, opera di un giovane artista bolognese [25]Su G. Dal Pane, pittore di figura e decoratore di cui si ricorda l’attività in San Martino a Bologna, parrocchia bolognese di Severino Bonora (1853) e nelle sale di Palazzo Comunale, e dei palazzi Malvezzi de’ Medici e Spada cfr. D. Benati, Bologna 1980, p. 102.. La Sonnambula è il dipinto di Clemente Alberi descritto in precedenza, una storia romantica e allo stesso tempo scapigliata, che ha al centro una figura femminile a lume di notte.
Nella seconda stanza, oltre alla Ruth di Hayez e all’Agar di Malatesta con la valutazione massima dell’intero inventario, pari a 600 lire ciascuno, troviamo due dipinti a pendant raffiguranti le Tre Arti dell’Immaginazione e le Tre Religioni in Europa, valutati 250 lire. Entrambi i dipinti sono attualmente conservati presso le Collezioni d’Arte e di Storia della Fondazione Cassa di Risparmio di Bologna con una attribuzione comune ad Alessandro Guardassoni, amico e allievo di Malatesta [26]C. Poppi, in Bologna 2006, p. 36 , n. 4 a e b , inv. M 133, olio su tela, 232 x 144 cm, inv. M 134, olio su tela, 234 x 145 cm, pp. 32- 3.. Di analoghe dimensioni essi nascono a pendant, in un dialogo ideale che ben veicola le idee del committente (figg. 5 e 6).
Figura 5: Alessandro Guardassoni, Le tre Arti dell’Immaginazione, Collezioni d’Arte e di Storia della Cassa di Risparmio di Bologna, inv. M133
Figura 6: Ippolito Bonaveri, Le tre Religioni in Europa, Collezioni d’Arte e di Storia della Cassa di Risparmio di Bologna, inv. M 134
Amante delle arti e della letteratura Bonora commissiona una scena che le ritrae insieme in un giardino dove la Musica, seduta e rivestita dei colori della bandiera italiana, pizzica ispirata le corde di un mandolino, mentre la Poesia, incoronata d’alloro, in un abbigliamento neomedievale, coglie l’ispirazione con lo stilo alzato. La Pittura in vesti rinascimentali ne esegue ritratto, tracciandolo sulla tela, in bilico su un cavalletto neogotico, dai sostegni simili a guglie. Un’osservazione più attenta del secondo dipinto rivela rispetto al primo, in cui compaiono le costanti stilistiche ben note di Guardassoni, alcuni elementi dissonanti. Le figure allungate e sfumate, i colori più delicati, una maggiore chiusura della composizione mettevano in difficoltà per una datazione coeva dei due dipinti e soprattutto per una attribuzione allo stesso artista. La lettura dell’inventario, che attribuisce il secondo dipinto al giovane pittore bolognese Ippolito Bonaveri, figura ancora da analizzare e ricostruire, permette così di risolvere il problema attributivo in modo definitivo. Le tre religioni in Europa abitano un mondo di puro pensiero; sospese su un globo, contro un fondo uniformemente azzurro, le figure sostano sotto l’arcobaleno disteso sopra le loro teste come uno stendardo da una figura angelica. Il Cristianesimo dalle vesti luminose indossa una stola trapunta ed una mitra episcopale e regge nella sinistra la croce astile egizia, simbolo della chiesa d’Oriente. Ai suoi fianchi stanno l’Ebraismo, con le tavole della Legge ed il capo avvolto in un turbante con soggolo, che ricorda la figura di Rebecca nelle illustrazioni di Hayez per l’Ivanoe di Scott, e l’Islam, una fanciulla dalla pelle dorata in preziose vesti da harem. Se altri due dipinti esposti in questa sala, raffiguranti una Bagnante e un Cieco, opera rispettivamente di Andrea Besteghi [27]Su Andrea Besteghi (Bologna 1817 – 1869), pittore e incisore, professore di pittura all’accademia di Ravenna cfr. D. Benati, in Bologna 1980, p. 100; E. Farioli in Bologna 1983, pp. 115 – 6. e Ippolito Bonaveri sono ancora da individuare, ben tre tele, tutte di formato verticale e di analoghe dimensioni, sono emerse in una collezione privata. Si tratta del Francesco Ferrucci di Cesare Masini [28]Su C. Masini, A. Borgogelli in Bologna 1980, pp. 94 -6 dove si cita il Francesco Ferrucci commissario della Repubblica Fiorentina, esposto nel 1857 a Bologna; Ead., in Bologna 1983, pp. 107 -9., del Dolore di una madre di Massimiliano Lodi e della ben più celebre, e finora ritenuta dispersa, Linda di Chamounix di Giulio Cesare Ferrari [29]I tre dipinti sono tutti eseguiti ad olio su tela. La Linda di Chamonix misura 193 x 131 cm, il Francesco Ferrucci 210 x 170 cm e Il Dolore di una madre 192 x 130 cm. . Quest’ultimo dipinto, esposto a Brera nel 1857 e successivamente a Firenze, all’Esposizione Nazionale del 1861, dove riscosse un notevole successo, era finora noto solo grazie alla illustrazione che compare nelle Gemme dell’Arte [30]L. Toldo, in Gemme d’arti italiane, XII, 1859, Milano e Venezia, Tipografia P. Ripamonti Carpano, p. 1; nella stessa collana uscirà anche la recensione di P. Guadagnini all’Agar di A. Malatesta, anch’essa nella collezione Bonora (Gemme d’Arte italiane, XIV, 1861, p. 45) e Dall’Accademia al vero, Bologna 1983, p. 83. Giordani ricorda il dipinto tra quelli prediletti da Bonora e tra i più fortunati dell’autore, al quale ne vennero chieste varie repliche. . Anche in questo caso Bonora sceglie un episodio romantico, ispirato ad un’opera lirica contemporanea, la Linda di Chamonix di Gaetano Donizetti. Non manca alcun elemento della tradizione melodrammatica romantica: il candore fragile della fanciulla, il paesaggio aspro ed essenziale della montagna, lo sfinimento vicino alla meta ed il dubbio continuo di una incombente infelicità (fig. 7).
Figura 7: Giulio Cesare Ferrari, Linda di Chamonix, Collezione privata
Il dipinto fatto realizzare da Bonora era il suo orgoglio, come scrive a Malatesta che di Ferrari era stato il maestro [31]BPMo, Lettera di Severino Bonora a Adeodato Malatesta, Bologna 7 dicembre 1854. Su G. C. Ferrari cfr. Conti 2013., perché dimostrava la rapida maturazione artistica del giovane pittore, anche nella bella resa della luce. Nella recensione delle Gemme la Linda è accostata all’Innominato e il cardinal Borromeo di Alessandro Giardassoni, esposto nella stessa occasione ed anch’esso protagonista dell’esposizione. Entrambe le opere si prestavano ad una riflessione sulle arti come strumento di trasmissione di idee morali, cristiane, patriottiche, secondo un pensiero condiviso da Bonora e largamente partecipato con il circolo di artisti e intellettuali che frequentava la sua casa. Qui Ferrari coglie il momento finale dell’opera semiseria, quando Pierotto e Linda sono ormai vicini al villaggio natale. Protagonista del dipinto è certamente la luce dorata del sole al tramonto, che batte sulle spalle della fanciulla stremata dal lungo cammino ed illumina di rosa le montagne sullo sfondo. Centrale è l’espressione, allo stesso tempo languente e spiritata della protagonista, colta nel gesto di rialzarsi di nuovo per procedere verso il luogo che il compagno di viaggio le addita. I grandi occhi scuri, sottolineati dalle occhiaie marcate, le trecce disfatte, la posa ripiegata, le mani abbandonate dicono il lungo viaggio e le sue fatiche ed esprimono la disperazione a cui è inconsciamente in preda la protagonista [32]Il dipinto, tra i più celebri dell’artista, fu più volte replicato. Mi è nota una versione firmata dall’autore ad olio su tavola presso la Walters Art Gallery di Baltimora (inv. 37.1758), di formato ridotto (34 x 24.9 cm ) identificata come un bozzetto per il dipinto finito, proveniente dalla collezione romana di don Marcello Massarenti costituita prevalentemente a Bologna (fig. 7b)..
Il Francesco Ferrucci di Masini, esposto a Bologna nel 1857 [33]Bellentani 1857. Su C. Masini cfr. A. Borgogelli in Bologna 1980, pp. 94 -6 che lo cita con il titolo Francesco Ferrucci commissario della Repubblica Fiorentina; Ead. in Bologna 1983, pp. 107 – 9. , presenta figure quasi grandi al vero e un formato verticale, piuttosto raro per i dipinti di storia di questo periodo: formato però preferito, e spesso esplicitamente richiesto, da Bonora e più tardi anche da un altro collezionista bolognese, Carlo Alberto Pizzardi, per il suo Salone del Risorgimento, nella cui decorazione saranno coinvolti alcuni degli stessi artisti [34]C. Collina, Il “Salone del Risorgimento” di Luigi Pizzardi mecenate. Nascita di una galleria privata, in Bologna 1994, pp. 67 -77.. L’azione si esaurisce nel primo piano, dove le figure giganteggiano anche nel loro valore morale. Indubbio protagonista del dipinto è lo scintillio dell’armatura completa che riveste l’eroe da capo a piedi (fig. 8).
Figura 8: Cesare Masini, Francesco Ferrucci, Collezione privata
Al Dolore di una madre, presentato all’esposizione di Bologna nel 1863, opera commissionata da Bonora al ferrarese Massimiliano Lodi [35]Atto 1863, p. 26., appartiene invece una ambientazione più intima e di decisa adesione al gusto del romanzo sentimentale della seconda metà dell’800. La donna seduta ai piedi del letto dove giace il suo bambino malato, forse morente, è l’Agar moderna, la martire laica in abiti contemporanei che riflette sulla immutabile eternità del dolore (fig. 9).
Figura 9: Massimiliano Lodi, Il Dolore di una madre, Collezione privata
La terza stanza ospitava a confronto due momenti della vita del committente, la Malattia in Terra Santa, affidato a Gaetano Serrazanetti, ancora da individuare, che illustrava l’episodio citato di un attacco epilettico di Bonora durante un viaggio in Oriente [36]Su G. Serrazanetti D. Benati in Bologna 1980, pp. 96-7; E. Farioli in Bologna 1983, pp. 112-5. e Severino Bonora che intrattiene tre fanciulle nel parco di Pillnitz (fig. 10), certo il capolavoro Biedermeier di Antonio Muzzi, dove finalmente compare il ritratto del collezionista forse intento, come indurrebbero a pensare i volti compresi delle trepide ascoltatrici, a narrare proprio l’episodio di viaggio illustrato sulla parete vicina [37]Si tratta certamente del dipinto più noto della collezione Bonora, dopo i due capolavori di Hayez e Malatesta. Pubblicato da E. Gottarelli (1979) e G. Martinelli Braglia ( 1991, pp. 258 -9, n. 373), è ripreso da A. Zacchi (Bologna, 1998, pp. 366 -7, n. 137 e in Pinacoteca 2013, pp. 94-5, nn. 84 a-c.); vedi anche A. Borgogelli in Bologna 1983, p. 100 dove il dipinto è ricordato con il titolo Il racconto, e Albonico 2016, part. p. 152.. Il dipinto, già molto noto a partire dai contributi di G. Martinelli Braglia e di E. Gottarelli, è identificabile con il ritratto di Severino lasciato in eredità ai fratelli, opera di Antonio Muzzi, di cui si parla nel testamento del collezionista. Grazie al lascito degli eredi Muzzi alla pinacoteca Nazionale di Bologna (1926) siamo oggi in grado di ripercorrerne l’evoluzione creativa. I bozzetti ritraggono una scena del viaggio in Germania di Bonora che lo portò nel 1846 a Pillnitz, presso Dresda, come documenta anche una scritta sul retro del n. 1112 [38] Pinacoteca Nazionale, Invv. 1210, 1211 e 1215. Si tratta di tre piccoli formati, i nn. 1210 e 1215 sono dipinti ad olio su tela e il n. 1211 è un olio su cartone, ma cfr. Pinacoteca 2013, cit.. La scena è costruita sul contrapposto tra il protagonista e le tre fanciulle che ne ascoltano il racconto, partecipando emotivamente alla narrazione su tre registri differenti di coinvolgimento emotivo. La figura centrale seduta, illuminata dalla veste chiara che indossa, offre un commento lieve e flebile, quella che le siede accanto una più drammatica partecipazione, sottolineata anche dai toni più cupi dell’abbigliamento, mentre la giovane donna in piedi, la più definita nelle indicazioni fisiognomiche, sembra voler meditare nel suo cuore tutte le cose che le vengono narrate, avvolta da un velo d’ombra malinconica. Nel primo studio (inv. 1215, fig. 11) le figure femminili occupano il lato sinistro del quadro e Severino quello destro, traducendo in pittura lo spunto già presente in un disegno conservato presso il GDS della Pinacoteca (inv. 7239) [39]Il foglio (mm. 271 x 284), pubblicato da Zacchi (Bologna 1998) presenta due versioni della scena, una sul recto ed una sul verso. La prima versione sembrerebbe quella a matita sul verso, ripresa dallo studio PN 1211, con le figure femminili a sinistra. La versione sul recto, ad acquerello policromo, che riporta il riferimento all’occasione ritratta e la memoria della sua realizzazione in un dipinto di grande formato, presenta le figure invertite, con Severino seduto a sinistra. Entrambi gli schizzi sono rapidi ed accattivanti, in particolare quello a matita che dispone le figure su una diagonale di profondità che è destinata a perdersi nelle elaborazioni successive, in cui le figure si dispongono parallele al piano dell’osservatore. Sul recto il personaggio romantico, dalla chioma folta e dalla gestualità vivace, affidata ad entrambe le mani, si contrappone al sommesso coro delle tre fanciulle e viene ripreso da PN n. 1210 che riprende il gesto della figura di sfondo appoggiata alla spalla della compagna e le mani congiunte in grembo di quest’ultima (fig. 13). . La versione dipinta manterrà la disposizione del disegno acquerellato sul recto, cogliendo alcuni dei dettagli avanzati che compaiono nel bozzetto 1212, dove si vedono già l’alta pianta fiorita alle spalle di Severino e i dettagli dell’abbigliamento della fanciulle (fig. 12).
La quarta stanza della dimora di via di Mezzo di San Martino ospitava paesaggi, uno dei quali un drammatico Temporale di Orazio Campedelli [40]Su O. Campedelli R. Grandi in Bologna 1983, pp. 98 -100., contrapposti a due dipinti di figura di Rossi ancora da identificare: una Derelitta, forse un piccolo formato, dato il prezzo contenuto di 75 lire, e le Tre Sorelle, valutato invece 100 lire [41]Potrebbe essere individuabile in un dipinto di Rossi dal titolo Due sorelle, esposto nel 1843 e recensito nel periodico “La Farfalla “, n. 49. .
Figura 10: Antonio Muzzi, Il Racconto, collezione privata
Figura 11: Antonio Muzzi, Il Racconto (Severino Bonora che intrattiene tre fanciulle nel parco di Pillnitz), Bologna, Pinacoteca Nazionale, inv. 1215
Figura 12: Antonio Muzzi, Il Racconto (Severino Bonora che intrattiene tre fanciulle nel parco di Pillnitz), Bologna, Pinacoteca Nazionale, inv. 1212
Figura 13: Antonio Muzzi, Il Racconto (Severino Bonora che intrattiene tre fanciulle nel parco di Pillnitz), Bologna, Pinacoteca Nazionale, inv. 1210
La collezione era completata da una ricca serie di 210 litografie, da tre incisioni e da una biblioteca di 135 volumi, valutati nell’insieme più di 900 lire. Alle guide di regioni e di città splendidamente illustrate, fondamentali per la preparazione dei viaggi, si alternano grammatiche delle lingue moderne e dizionari di inglese, tedesco e francese. I romanzi sono soprattutto recenti, stampati alcuni decenni prima e con un ricco corredo di illustrazioni, spiccano quelli storici, come l’Ettore Fieramosca di Massimo D’Azeglio e la Margherita Pusterla di Cesare Cantù o l’Angiola Maria di Giulio Carcano, e tra i testi tradotti Notre Dame de Paris di Victor Hugo. L’interesse per le lingue moderne è documentato da edizioni originali e traduzioni della stessa opera, come Il Vicario di Wakefield di Goldsmith, I Viaggi di Gulliver di Swift e Corinne di M.me de Stael. Non mancano le raccolte di poesie (Milton, Tasso), ma anche i trattati di medicina, filosofia e estetica. Tra gli studi filosofici spiccano quelli di spirito neoguelfo e di conciliazione tra politica e religione, in linea con il pensiero cattolico del padrone di casa (Il papato e l’impero di Liverani, Dei doveri degli uomini di Pellico, Delle Speranze d’Italia di Balbo, Del primato morale e civile degli italiani di Gioberti), libri di edificazione, come i quattro volumi del Genio del Cristianesimo di Chateaubriand e volumi di storia, memorialistica ed economia politica. Ma sono comunque i volumi di storia e teoria dell’arte, principalmente di storia dell’architettura, spesso in folio, con tavole pregiate a ricoprire il ruolo principale. L’interesse è concentrato sull’architettura gotica, avvertita come la più consona allo spirito del proprietario, di chiaro indirizzo neoguelfo, ma anche sull’Oriente e sull’archeologia.
In attesa dunque che ricompaia almeno qualcuno dei suoi carteggi, la personalità di Severino Bonora emerge prepotente anche solo da una rapida scorsa all’inventario dei suoi beni, e le linee guida del suo progetto di collezionista di arte contemporanea, di promotore delle arti in genere, di cultore della letteratura, del teatro e dell’opera lirica sono ben evidenti. In questo modo dipinti come la Ruth di Francesco Hayez o l’ Agar di Adeodato Malatesta non sono solo episodi di spicco nella carriera dei loro autori, ma pagine artistiche di un contesto preciso, pensato e voluto da un committente.
Ringraziamenti
Carla Bernardini, Cristina Bersani, Alessandra Borgogelli, Graziella Martinelli Braglia, Giampiero Cammarota, Anna Maria Matteucci, Alessandro Zacchi
Collezioni d’Arte e di Storia della Fondazione Cassa di Risparmio di Bologna, CARIM
Note
Bibliografia
Discorsi letti 1845
Discorsi letti nella grande aula della Pontificia Accademia di belle arti in occasione della solenne distribuzione de’ premi: il giorno 17 ottobre 1844, Bologna, Tip. governativa alla Volpe, 1845.
Relazione 1847
Relazione degli atti della Pontificia bolognese Accademia di belle arti nel biennio 1845-46 letta dal professore segretario Cesare Masini in occasione della solenne dispensa de’ premii il di 29 ottobre 1846, Bologna, s.l., 1847.
Osservatorio 1850
Opere di pittura del prof. Adeodato Malatesta esposte in Bologna nella sala Magnani nel giugno 1850, in “L’Osservatorio”, 22 giugno 1850.
Relazione 1854
Relazione di Cesare Masini professor-segretario della Pontificia bolognese Accademia di belle arti per la distribuzione de’ premii l’anno 1854, Bologna, Tipi Governativi alla Volpe, 1854.
Bellentani 1857
G. Bellentani, Le esposizioni e premiazioni di B A e industria in Bologna, Bologna, 1857.
Atto 1863
Atto verbale della sessione del Corpo accademico delle belle arti dell’Emilia per la esposizione e premiazione triennale in Bologna, s.l., s.l., 1863.
Atti 1864
Atti della Reale Accademia Centrale, Bologna, R. Tipografia, 1864.
Bologna 1867
In morte del cav. Albino Bonora, Bologna, 1867.
Giordani 1867
G. Giordani, Severino Bonora amatore delle Belle Arti Socio di varie accademie in Italia, Bologna 1867.
Gottarelli 1979
E. Gottarelli, Il pittore accademico Antonio Muzzi a Bologna e Pietroburgo, in “Il Carrobbio”, V, 1979, pp. 229 – 242.
Bologna 1980
I Concorsi Curlandesi, catalogo della mostra (Bologna 1980), a cura di R. Grandi, Bologna 1980.
Babini 1983
S. Babini, Ippolito Bonaveri dalla formazione bolognese all’insegnamento a Lugo, in “Rumagna”, 8.1983/4, pp. 105- 8.
Bologna 1983
Dall’Accademia al Vero. La Pittura a Bologna prima e dopo l’unità, catalogo della mostra (Bologna 1983), a cura di R. Grandi, Casalecchio di Reno 1983.
Bologna 1986
E. Landi, Paesaggi tra realtà ed “ideale”. Disegni di un inedito artista ed apolide viaggiatore emiliano, Severino Bonora (1801 – 1866), in La MostraBella, Bologna, 1986.
Collezioni Comunali 1989
Le Collezioni Comunali d’Arte. L’Appartamento del Legato in Palazzo d’Accursio, a cura di C. Bernardini, Bologna, 1989.
Martinelli Braglia 1991
G. Martinelli Braglia, La pittura dell’800 in Emilia Romagna, in Storia della Pittura Italiana, L’Ottocento, Milano, 1991, Vol. I.
Bologna 1994
Collezionisti a Bologna nell’Ottocento. Vincenzo Valorani e Luigi Pizzardi, a cura di C. Poppi, catalogo di mostra (Bologna 1994), Casalecchio di Reno 1994.
Bologna 1998
Figure, a cura di M. Faietti e A. Zacchi, catalogo di mostra (Bologna-, 1998), Milano, 1998.
Reggio Emilia 1998
Modelli d’arte e di devozione. Adeodato Malatesta (1806-1891), catalogo della mostra (Modena – Reggio Emilia 1998), Milano 1998.
Giumanini 2002
M. Giumanini, Tra disegno e scienza: gli studenti dell’Accademia di belle arti di Bologna, 1803-1876, Bologna, 2002.
Bologna 2006
Alessandro Guardassoni: l’avanguardia impossibile, a cura di C. Poppi, catalogo di mostra (Bologna 2006) Bologna, 2006.
Calori 2012
T. Calori, Il molinellese Domenico Ferri, Molinella, 2012.
Conti 2013
I. Conti, Notizie sulla vita e sulle opere del pittore Giulio Cesare Ferrari, in “Strenna Storica Bolognese”, LXIII, 2013, pp. 103 – 114.
Pinacoteca 2013
Catalogo Pinacoteca Nazionale di Bologna, Catalogo generale, 5 Ottocento e Novecento, a cura di G.P. Cammarota, J. Bentini, A. Mazza, D. Scaglietti Kelescian, A. Stanzani, Venezia 2013.
Rubbi 2013
V. Rubbi, Il soggiorno parigino di Domenico Ferri, dalla scenografia alla pittura, in Crocevia e Capitale della migrazione artistica: forestieri a Bologna e bolognesi nel mondo (secolo XVIII), a cura di S. Frommel, Bologna 2013, pp. 513 – 525.
Milano 2015
Francesco Hayez, catalogo della mostra a cura di F. Mazzocca, (Milano 2015-16), Cinisiello Balsamo 2015.
Albonico 2016
C. Albonico, I disegni di Antonio Muzzi, in “Aperto. Bollettino del Gabinetto dei Disegni e delle Stampe della Pinacoteca Nazionale di Bologna”, 3, 2016, pp. 137 – 171.
Rubbi 2017
V. Rubbi, Francesco Cocchi, Domenico Ferri: l’eredità di Antonio Basoli “Maestro” di scenografia, Argelato 2017.
Mampieri 2018
A. Mampieri, Severino Bonora, un collezionista bolognese di arte contemporanea, in Dall’Ideale Classico al Novecento. Scritti per Fernando Mazzocca, a cura di F. Leone e S. Grandesso, Cinisiello Balsamo 2018, pp. 143 -148.