Stampe bolognesi di Marc’Antonio Raimondi intagliatore”. Ricostruzione del secondo volume della raccolta di stampe della Pinacoteca Nazionale di Bologna
Vicende collezionistiche e conservative
Il secondo volume di stampe della “grande collezione” della Pinacoteca Nazionale di Bologna è dedicato a Marcantonio Raimondi e alla sua cerchia. Il volume, così come il primo costruito intorno alla figura di Giulio Bonasone, oggetto di un articolo nel primo numero di questa rivista, venne composto nei primi anni Novanta del Settecento nell’ambito della risistemazione della raccolta dell’Istituto delle Scienze che, durante la seconda metà del secolo, aveva visto aggiungersi alle importanti donazioni di papa Benedetto XIV Lambertini del 1751 e del 1756 un alto numero di nuovi esemplari, provenienti in particolare dall’acquisto nel 1789 della raccolta del conte Ludovico Savioli. [1]Abbreviazioni archivistiche: ASbo: Archivio di Stato di Bologna; BUB: Biblioteca Universitaria di Bologna; AAbo: Archivio Arcivescovile di Bologna; ASSbo, Archivio Storico della Soprintendenza per i Beni Storici, Artistici ed Etnoantropologici di Bologna. Questo lavoro costituisce il proseguimento dello studio dei volumi di stampe della Pinacoteca Nazionale di Bologna, intrapreso nel 2008 nel primo numero di questa rivista (Rossoni 2008b). Per la modalità con cui venne a formarsi la raccolta di stampe dell'Istituto delle Scienze di Bologna nel Settecento, per le diverse risistemazioni a cui venne sottoposta e per i riferimenti archivistici e bibliografici, si veda Rossoni 2008a. 2 Nota di diverse stampe legate in numero 50 tomi che si presentano alla Santità di Nostro Signore, ASbo, Assunteria di Istituto, Diversorum, b. 31; B. Nota delle stampe mandate in dono da N. Sig. Papa Benedetto XIV felicemente regnante alla Biblioteca dell’Istituto di Bologna a di 4 Aprile 1756, ASbo, Assunteria di Istituto, Diversorum, Biblioteca, busta 21, f. 12.
Nell’elenco dei 50 volumi donati nel 1751 da papa Lambertini all’Istituto delle Scienze, così come in quello della donazione del 1756, non compare alcun volume dedicato in specifico a Marcantonio Raimondi. [2]Nota di diverse stampe legate in numero 50 tomi che si presentano alla Santità di Nostro Signore, ASbo, Assunteria di Istituto, Diversorum, b. 31; B. Nota delle stampe mandate in dono da N. Sig. Papa Benedetto XIV felicemente regnante alla Biblioteca dell’Istituto di Bologna a di 4 Aprile 1756, ASbo, Assunteria di Istituto, Diversorum, Biblioteca, busta 21, f. 12. Stampe di Marcantonio dovevano però essere sicuramente presenti nella prima donazione, visto che diversi esemplari già montati nell’attuale secondo volume sono caratterizzati dalla presenza dello stemma Lambertini apposto, per ordine dello stesso papa, su tutte le stampe raccolte in quei 50 volumi. [3]La richiesta da parte del papa di marchiare le stampe e la coperta dei volumi con il proprio stemma risulta da un resoconto del segretario dell'Istituto, Gabriele Manfredi, del 1751 (cfr. Rossoni 2008a, capitolo "Prima donazione Lambertini (1751)”). Queste dovevano pertanto essere distribuite sotto diversi titoli, in particolare, probabilmente, nei due volumi, allora 9 e 10, dedicati a Raffaello o, forse anche nel volume 3 intitolato a “Francesco Francia, Bonasoni e Primaticcio”, essendo diverse incisioni del nostro ritenute derivate dal maestro bolognese. [4]Per l'elenco dei volumi donati da papa Lambertini nel 1751, cfr. Rossoni 2008a, capitolo "Prima donazione Lambertini (1751)”.
L’Indice generale delle stampe Bolognesi: o sia di Benedetto XIV e di altre Raccolte fatte da diversi, conservato presso la Biblioteca Universitaria di Bologna, databile a prima del 1785, essendo redatto dal bibliotecario Ludovico Montefani deceduto in quell’anno, indica invece la presenza di un volume specificatamente dedicato a Raimondi, mostrando come nell’Istituto si fosse fatta sentire la necessità di una risistemazione della raccolta, dettata evidentemente sia dall’esigenza pratica di organizzare concretamente stampe sciolte, che da esigenze classificatorie. [5]Indice generale delle stampe Bolognesi: o sia di Benedetto XIV e di altre Raccolte fatte da diversi, BUB, Bibliografia bolognese, b. 35. Cfr. anche Rossoni 2008a e Rossoni 2008b, capitolo "Il primo volume. Stampe di Giulio Bonasoni pittore e intagliatore". In questo elenco, compare infatti, dopo il primo volume contenente ancora incisioni di “Francesco Francia, dell’Abb. Primaticcio ed altri” (essendo già state espunte quelle di Giulio Bonasone raccolte nell’allora volume 3), un volume dedicato a Marcantonio, contenente 164 stampe. Non è improbabile che in questo volume siano confluite, oltre alle incisioni Lambertini, anche esemplari provenienti dalla raccolta del generale Luigi Ferdinando Marsili, forse incluse nel cartone contenente 22 stampe con “Scuola italiana di Bologna” donate dal generale all’Istituto delle Scienze nel 1715. [6]Per la donazione Marsigli, cfr. Rossoni 2008a, capitolo "La donazione del conte Luigi Ferdinando Marsigli (1715)".
Questa nuova sistemazione venne ritenuta evidentemente insufficiente a seguito dell’arrivo, come si diceva, nel 1789 della raccolta Savioli, nell’elenco della quale compaiono diversi esemplari che dovettero essere inseriti nel nuovo volume. Nella Notizia Ristretta della Raccolta di Stampe Scelte spettante al Senator Savioli compaiono infatti “n. 23 [stampe] di Marc’Antonio Raimondi, fra le quali trovansi due Stregozzi di Raffaele, il S. Lorenzo di Baccio Bandinelli, la rarissima Santa Cecilia, (…) il rarissimo S. Giovanni, che sta per battezzare il Nostro Signore di Francesco Francia (…) e tant’altro”. Incisioni confluite nel nuovo volume potevano anche venire dal gruppo di 130 stampe Savioli raccolte in una cartella derivanti da Raffaello “incise da diversi troppo ci vorrebbe a definirle”. [7]Asbo, Assunteria dell’Istituto, Diversorum, busta 23, fasc. s.n.
La risistemazione dei diversi nuclei portò dunque, agli inizi degli anni Novanta del Settecento, alla creazione di un volume contenente 260 esemplari, ben 96 in più rispetto alla sistemazione precedente. [8]Una prima analisi delle caratteristiche materiali dei volumi della “grande collezione” (coperte e filigrane dei fogli) è stata realizzata da Sabrina Borsetti nel 2008 (Borsetti 2008), mentre in questo numero della rivista viene realizzata dalla medesima autrice un'indagine di questo secondo volume. Purtroppo di quel materiale è giunta sino a noi solo una parte limitata ed inoltre completamente decontestualizzata, essendo il volume stato oggetto di tre importanti interventi ottocenteschi. Dopo essere stato rigorosamente schedato da Gaetano Roncagli, che catalogò tutta la collezione tra il 1848 ed il 1861 presso la Regia Biblioteca dell’Università di Bologna, il volume fu infatti particolare oggetto di attenzione da parte del custode della Biblioteca Luigi Molina che, da quanto risulta dagli atti del processo penale n. 201 del 1868, fu responsabile di un grosso furto di stampe, coadiuvato nello smercio dal mercante d’arte, Alessandro Foresti. [9]Le schede di Gaetano Roncagli sono raccolte in più cartoni intitolati Documento E, conservate presso l'Archivio Storico della Soprintendenza per i Beni Storici, Artistici ed Etnoantropologici di Bologna. Presso la medesima Soprintendenza è conservata la copia conforme, datata 1881, del Documento F. Nota delle mancanze verificate a tutto il 12 marzo 1868 nella Collezione di Stampe di Benedetto XIV nella R. Biblioteca dell'Università di Bologna, 1868 dell'Archivio di Stato di Bologna. Negli archivi di quest'ultimo (Tribunale Correzionale, Processi, 1868, n. 201) è presente tutto il fascicolo relativo al processo del 1868, un'importante documentazione che sarà oggetto di futuri approfondimenti A questo furto, qualche anno dopo, se ne aggiunse un altro, da parte di Matteo Leonesi, indicato come un “aggiunto” nel testo di Olindo Guerrini del 1898. In questo testo si parla infatti di un furto “scoperto nel 1881, di codici miniati dei secoli XI, XII, XIII, XIV di rarità unica, di 480 stampe e nielli rarissimi della collezione suindicata [Lambertini] e di vari incunaboli di gran valore;” un furto che portò alla decisione nel 1881 di trasferire la raccolta dalla Regia Università alla Regia Accademia di Belle Arti. [10]Nel fascicolo dell'Archivio di Stato citato alla nota precedente, risultano estratti alcuni documenti utilizzati per il processo del 1881, indicato al numero 2094. Purtroppo nell'annata corrispondente degli atti del Tribunale quest'ultimo fascicolo non è presente, pertanto gli estremi del furto risultano al momento delineabili solo sulla base della citazione di Guerrini (Guerrini 1898, p. 23).
Da quanto si può desumere dai verbali di cessione delle stampe, cessione che rese necessaria una quantificazione precisa delle mancanze, uno, o forse entrambi gli autori del furto, provvedevano a staccare progressivamente gli esemplari dai volumi, evidentemente scegliendo i più importanti e meglio conservati, custodendoli poi in una cassa in attesa di poterle vendere. Il verbale, Nota delle stampe ricuperate contenute nella Cassa, distinte in fascicoli, tanto di quelle che hanno il numero progressivo Rosso – Documento F – quanto di quelle che ne sono prive, testimonia infatti il ritrovamento parziale delle stampe già staccate ma evidentemente non ancora vendute al momento della scoperta del secondo furto. [11]Allegato A. Nota delle stampe ricuperate contenute nella Cassa (...), 20 ottobre 1881, ASSbo. Come risulta dall’analisi di alcune opere recuperate, si provvedeva anche a cancellare sulla carta la presenza dello stemma Lambertini, cercando così di elimare la testimonianza della provenienza illecita delle stesse.
A questa ferita, purtroppo insanabile, si aggiunse nel 1894 la risistemazione della raccolta operata da Paul Kristeller che intendeva valorizzare le stampe presenti in collezione estraendole dai volumi, per permettere una loro migliore conservazione e l’eventuale loro esposizione. [12]Cfr. Rossoni 2008b, con bibliografia precedente. Le stampe rimaste ancora rilegate nel secondo volume vennero così completamente staccate, lasciando nella coperta il solo frontespizio.
Figura 1: Frontespizio del volume 2, Stampe bolognesi di Marc’Antonio Raimondi intagliatore © Bologna, Pinacoteca Nazionale, Gabinetto Disegni e Stampe
Figura 2: Interno del volume 2, Stampe bolognesi di Marc’Antonio Raimondi intagliatore © Bologna, Pinacoteca Nazionale, Gabinetto Disegni e Stampe
La schedatura delle stampe staccate effettuata da parte dello stesso Kristeller, che indicava la loro provenienza dal volume o specificava, nel caso di stampe già staccate in occasione dei furti, il numero corrispondente al Documento F (Nota delle mancanze verificate a tutto il 12 marzo 1868 nella Collezione di Stampe di Benedetto XIV nella R. Biblioteca dell’Università di Bologna), [13]Nota datata 20 marzo 1868, ASSbo. l’analisi del medesimo Documento F, dove vengono indicate volume per volume le stampe mancanti con correzioni a matita rossa o a matita blu che permettono di distinguere quelle in seguito trovate da quelle non più rintracciate, e la presenza sulle stampe dei medesimi numeri rossi apposti nel corso della revisione seguita al primo furto, hanno permesso ora, anche attraverso un confronto con i soggetti, di ricondurre al volume un buon numero di stampe attualmente conservate sciolte in collezione. [14]Per una più dettagliata spiegazione della metodologia utilizzata per la ricostruzione dei volumi smembrati, cfr. Rossoni 2008b, capitolo "Gli strumenti per la ricostruzione". Una parte delle stampe del volume, selezionate dalla scrivente, sono state oggetto di una prima schedatura inventariale da parte di Barbara Salimbeni, nell'ambito di un progetto ministeriale dedicato alla schedatura dei depositi dei musei. Delle 260 stampe già presenti nel volume (ma l’elenco riporta 258 numeri, essendo con il numero 181 e il numero 207 indicante due stampe per ognuno), è oggi stato possibile ritrovarne 182, essendo evidentemente perdute quelle oggetto dei furti. Di quelle ancora presenti 45 portano il marchio Lambertini.
La presenza di queste mancanze sarebbe stata una grave lacuna nella possibilità di ricostruire, almeno idealmente, il volume nell’intento di comprenderne la sua composizione alla fine del Settecento, se non potessimo disporre della schedatura di metà Ottocento realizzata da Roncagli. Grazie a queste schede dove, oltre all’attribuzione della stampa, all’indicazione della sua derivazione, alla descrizione del soggetto e delle particolarità dell’esemplare, compare anche il rimando al volume XIV della serie dedicata a Le peintre graveur di Adam Bartsch, o ad altra bibliografia in assenza di questo, possiamo ricostruire integralmente la successione delle stampe del volume, sia di quelle ancora presenti sia di quelle rubate. [15]Bartsch 1803-1821, vol. XIV. Risulta ovvio che, per queste ultime, non si possa andare al di là dell’individuazione del soggetto e dell’antica attribuzione come identificata da Roncagli, non essendo possibile come per quelle ancora presenti, svolgere un’analisi critica. Non si può infatti escludere, come si è verificato invece per gli esemplari ancora presenti in collezione, che delle copie da Marcantonio siano state scambiate da Roncagli per esemplari autentici e che delle attribuzioni siano nel tempo cambiate. E’ per questo motivo che, nel “Repertorio delle stampe” in appendice a questo articolo, per gli esemplari mancanti ci si è limitati a presentare le indicazioni presenti nelle schede Roncagli suggerendo la stampa perduta solo attraverso il riferimento al Bartsch o ad altra bibliografia indicata, senza illustrarla con una riproduzione che avrebbe potuto non corrispondere realmente all’esemplare già presente nella collezione della Pinacoteca Nazionale di Bologna.
La composizione del volume dedicato a Marcantonio Raimondi
Prima di addentrarci in specifico nell’analisi delle singole stampe, torniamo un attimo a fine Settecento per considerare chi, con quale competenze e con quali criteri provvide a comporre questo volume. Come già verificato per il tomo dedicato a Giulio Bonasone, i soggetti coinvolti in questa fase della risistemazione dovettero essere il conte Ercole Orsi, conoscitore di stampe incaricato dall’Assunteria di Istituto di sovrintendere alla riorganizzazione della raccolta, affiancato dal consiglio dell’esperto Giovanni Antonio Armano, figura cardine del collezionismo di disegni e stampe sette-ottocentesco, tra Venezia, Bologna e Roma, studioso di Giulio Bonasone, tanto da curare la pubblicazione nel 1820 del catalogo di vendita delle opere dell’incisore del collezionista Giovanni Battista Petrazzani, e raccoglitore appassionato di stampe di Marcantonio, come dimostra il Catalogo di una insigne collezione di stampe (…) del celebre Marcantonio Raimondi, del 1830. [16]Cfr. Armano 1820; Armano 1830. Per la figura di Armano cfr. S. Massari, in Massari e Prosperi Valenti Rondinò 1989, p. 101; Turrio Baldassarri 2003, pp. 63-106; Preti-Hamard 2007, pp. 312-316; Manfrin 2007, pp. 431-437; Rossoni 2008a, capitoli "L'acquisto della raccolta del conte Ludovico Savioli (1789)" e "Il riordino di fine Settecento"; Rossoni 2008b, capitolo "Il primo volume: Stampe di Giulio Bonasoni pittore e intagliatore": Per Ercole Orsi, Dalfiume s.d. (ma 1805 circa), p. 35; Rossoni 2008a, capitolo "L'acquisto della raccolta di Ludovico Savioli".
Per quanto riguarda la bibliografia disponibile ai compilatori del volume, preziose dovevano essere le indicazioni di Giorgio Vasari e di Carlo Cesare Malvasia, a cui potevano essere aggiunti i repertori di Giovanni Gori Gandellini e, in particolare, di Carl Heinrich Heinecken che, nel primo dei quattro volumi del suo Dictionnaire des Artistes, dont nous avons des estampes, stranamente sotto la lettera A, aveva realizzato un primo repertorio sistematico delle stampe di Marcantonio Raimondi e della sua scuola. [17]Vasari 1568, vol. V, pp. 6 e sgg.; Malvasia 1678, I, pp. 63-74; Gori Gandellini 1771, pp. 101-142.; Heinecken 1778, pp. 273-413. Il primo volume di Heinecken, edito nel 1778 e presente nella collezione di libri dell’attuale Biblioteca Universitaria di Bologna, già Istituto delle Scienze, poteva costituire il supporto più rigoroso per l’epoca, avendo organizzato nel modo seguente il suo repertorio: stampe certe di Marcantonio caratterizzate dai suoi marchi; stampe certe, ma prive di marchi; stampe attribuite in maniera dubbia; stampe eseguite da anonimi che abbiano una qualche famigliarità con le stampe della scuola di Marcantonio. Ogni sezione era a sua volta ordinata per soggetto, a partire dai ritratti, per passare ai soggetti biblici, ai soggetti devozionali, alle storie, profane, ai soggetti di fantasia e invenzioni (divisi tra gruppi di figure, soggetti con tre, due o una figura), animali, bassorilievi, statue, edifici.
Mentre la metodologia proposta da Heinecken, soprattutto in relazione all’organizzazione per soggetti, venne seguita nella composizione del primo volume dedicato a Bonasone, difficile risulta trovare una logica rigorosa nella composizione del volume dedicato a Marcantonio Raimondi. A parte il primo blocco di stampe derivate da Albrecht Dürer, le 17 della serie della Vita della Vergine, e le 35 della Passione di Cristo (mancando la stampa raffigurante il Peccato originale), il volume risulta montato in maniera in parte disomogenea, affiancando a volte con poca logica diversi soggetti tra di loro. E’ vero che esiste una struttura di massima che divide la prima parte del volume dedicata ai soggetti religiosi dalla seconda centrata sui soggetti profani, ma all’interno di questi blocchi si trovano continue eccezioni e soprattutto gli stessi temi religiosi non risultano al loro interno ordinati. Non è neppure pensabile una divisione dei soggetti subordinata o meno alla presenza di marchi, essendo quelli con il monogramma di Raimondi presenti in diverse parti del volume, e tanto meno un’organizzazione di tipo cronologico, come quella adottata da Armano nella sua raccolta. [18]Nel Catalogo del 1830 della collezione di Marcantonio di Armano, le stampe sono organizzate, dividendo quelle ritenute autografe da quelle di scuola, in ordine cronologico (Armano 1830).
Unico elemento che doveva presentare una notevole coerenza per l’epoca era la quasi unanime attribuzione delle stampe a Marcantonio, salvo le copie che potevano essere realizzate da artisti diversi quali Marco Dente, Agostino Veneziano o anonimi. Come si vedrà, infatti, la gran parte delle stampe presenti nel volume attribuite a partire dall’Ottocento a questi autori, come anche a Enea Vico o Giacomo Caraglio, o erano ritenute a fine del Settecento di Marcantonio o, malgrado proposte diverse, continuavano ad esserlo per lo meno per Armano, che le inserì come tali nella propria collezione. [19]Armano 1830. Quello che risulta strano, rispetto alla partecipazione di quest’ultimo al riordino, è la differenza rispetto alla sua idea di ordinamento delle stampe, un’idea che il collezionista aveva chiaramente espresso in una lettera scritta a Pelli Bencivenni nel 1778. Parlando infatti del catalogo delle stampe di Pierre Jean Mariette, egli così afferma: “Egli aveva 724 stampe di Marc’Antonio e sua scuola, ne fa tre volumi in foglio; ne lega due in vitello, uno in Marocchino, ed in tutti e tre mette gli scolari ed il Maestro; la piccola stampa, e la grande vicina quell’unisce il sacro al profano, quindi i concetti mal espressi, e duri con il capo di bestia il busto umano”. [20]Armano, in Turrio Baldassarri 2003, p. 73. Un disordine iconografico, che troviamo in parte anche nel volume bolognese, dove comunque non bisogna immaginare una totale casualità, in quanto, oltre alla divisione in blocchi di massima di cui sopra si è detto, esiste anche un principio di organizzazione che vede affiancarsi le diverse versioni di un soggetto, giustapponendo ad esempio originali di Marcantonio alle relative copie.
A puro livello di ipotesi si può segnalare, a difesa dei compilatori, il fatto che probabilmente stampe di Marcantonio dovettero emergere nel corso dei lavori di risistemazione della raccolta in diversi volumi, in una situazione di riordino ancore in fieri che rese difficoltosa un’organizzazione rigorosa. Non si può infatti escludere che, posto un primo ordine, nuovi rinvenimenti abbiano reso necessario inserimenti successivi, magari effettuati in un secondo momento anche a cura del solo rilegatore. Si tenga ad esempio presente che il volume venne rilegato lasciando alcune pagine bianche in fondo (con fogli di medesima tipologia di quelli utilizzati per il frontespizio), evidentemente per raccogliere futuri ritrovamente, come dovette avvenire, come vedremo, per le ultime stampe di soggetto religioso. [21]Per lo studio delle carte e delle filigrane dei fogli su cui vennero incollate le stampe nel volume si veda l'articolo di Sabrina Borsetti in questo numero della rivista. Bisogna infine segnalare che quest’ultimo non era destinato in sé ad includere tutte le stampe di Raimondi conservate in collezione, in quanto molte vennero inserite nel I e nel II volume di stampe Romane dedicato a Raffaello (attuali volumi 15 e 16), e nel tomo VI sempre delle stampe Romane, dedicato a Giulio Romano (attuale volume 20). Ma altre considerazioni potranno essere fatte dopo avere effettuato l’analisi del volume.
Marcantonio Raimondi nel volume “Stampe bolognesi di Marc'Antonio Raimondi intagliatore”
Organizzare a Bologna un volume dedicato al grande Marcantonio, voleva dire valorizzare uno dei principali incisori della tradizione locale, colui che si era confrontato con i grandi nomi del Rinascimento, in particolare con Raffaello, e che aveva toccato con i suoi viaggi le principali mete della cultura italiana dell’epoca (da Bologna a Venezia, a Firenze e a Roma, per tornare a Bologna solo dopo il tragico evento del sacco del 1527). Più che soffermarci sulla carriera dell’artista, rimandando per l’argomento all’abbondante bibliografia, [22]La bibliografia dedicata a Marcantonio è amplissima. Segnaliamo in particolare alcune delle principali pubblicazioni edite negli ultimi dieci anni: Urbini 1999; Faietti 2000; Faietti 2001; Rouillard 2002; Faietti 2003; Faietti 2004; Pon 2004; Rodríguez López 2004; Turner 2004; Viljoen 2004; Bellini 2006; Cassius-Duranton 2007; Turner 2007; Avila 2008; Davoli 2008; Villemur 2008; Tal 2009. credo valga la pena sottolineare un’anomalia rispetto alle biografie narrate sull’artista. Sappiano che rimane ancora sconosciuta la sua data di nascita, mentre viene dato per certo il luogo di nascita segnato in tutti i repertori degli ultimi decenni come Sant’Andrea in Argine. In realtà, cercando in maniera capillare nei Comuni e nelle località della pianure bolognese (il termine Argine fa pensare ad un luogo di pianura in prossimità degli argini di un fiume), non si rintraccia alcun luogo che abbia questo nome, essendo presenti un San Martino in Argine, o cercado in nomi dall’etimologia simile, Argelato o Castello d’Argile. [23]Oltre all'elenco dei Comuni e delle frazioni ufficiali della provincia di Bologna, si sono consultate le seguenti fonti: Manaresi 1971; Calori 1983; Caroli 1990. Una chiesa di Sant'Andrea è presente a Maccaretolo, località di San Giorgio di Piano, come anche a Cadriano, località di Granarolo dell'Emilia, ma non risultano situate lungo argini. E’ interessante risalire alla fonte di questa indicazione. Il primo a segnalare come luogo di nascita di Marcantonio “Argini” o “Argene” come località situata vicino a Bologna, fu nel 1888 Benjamin Villon, intepretando una lettera inviata da Jean Deshayes nel 1659 a monsieur Françios Langloys. In questa lettera, Deshayes narra di avere incontrato a Bologna, in un negozio di libri, un presunto discendente del figlio illegittimo di Raimondi, un certo Giorgio, soprannominato Benedetto Verini. Narrando le vicende della propria famiglia, il negoziante avrebbe affermato che, alla sua morte, Marcantonio avrebbe lasciato al figlio dei beni “à Argène, lieu proche d’ici, d’où il estoit”. [24]Fillon 1880, p. 30. In realtà, prendendo per buone le dichiarazioni del presunto discendente e la corretta comprensione tra il signore francesce e il mercante italiano, in questa interpretazione di Deshayes potrebbe esserci già un errore, in quanto la frase sembra far riferimento al luogo dove Raimondi, o forse il figlio, stavano al momento della morte del primo, non necessariamente al luogo dove l’incisore poteva essere nato. [25]Delaborde, ad esempio, interpretò nel seguente modo il passo della lettera, senza fare riferimento a possibili luoghi di nascita “(...) Marc-Antoine possédait, à peau de distance de Bologne, un morceau de terre, un podere, qu'il laissa en mourant à un fils naturel, né à Rome pendant le séjour du maître dans cette ville” (Delaborde 1888, p. 63). Ad approfondire quest’affermazione interviene in maniera personale per la prima volta Alfredo Petrucci, nel suo Panorama dell’incisione italiana. Il Cinquecento del 1964, dove sembra identificare con estrema sicurezza Argine con Sant’Andrea in Argine, “una borgatella a circa 28 Km da Bologna”, forse confusa con San Martino in Argine, effettivamente distante da Bologna circa gli stessi chilometri. [26]Petrucci 1964. Da Petrucci in poi, praticamente indistintamente, nelle biografie l'artista è indicato come nato a Sant'Andrea in Argine. Credo sia inutile insistere ad inseguire una traccia che parte da presupposti così labili e che rende veramente difficile trovare degli appigli sicuri, mentre sembra più proficuo liberare la storia da notizie incerte permettendo così magari un domani di ripartire da capo nella ricerca, al fine di individuare il reale luogo, e soprattutto la data di nascita, di questo importante incisore. Seppure assente dagli indici battesimali della città di Bologna, come si è potuto appurare con una nuova verifica, egli era comunque certamente in città nel 1502 quando, come già indicato da Filippini, il 10 aprile, veniva battezzato a Santa Caterina di Saragozza un figlio chiamato Giulio, evidentemente non illegittimo, avuto dalla moglie Dorotea, mentre nel 1504, l’artista, qualificato come “aurifex”, veniva citato come figlio di Battista Raimondi – e non Andrea Raimondi come proposto ancora da Fillon -, in un rogito del notaio Antonio Cisti, in relazione al ruolo di patrono perpetuo del beneficio di San Giovanni Battista dell’altare di San Bartolomeo nella sacrestia nuova di San Pietro di Bologna. [27]Filippini 1929, p. 324, nota 8; Giudici 1988, p. 355. Per l'ipotesi relativa al nome del padre di Marcantonio, cfr. Fillon 1880, pp. 230-232.
Questi dati, gli unici da cui si dovrà ripartire, corrispondono con l’ipotesi fissata su basi stilistiche da Konrad Oberhuber di una nascita intorno al 1480, proposta accettata dalla critica successiva. [28]Oberhuber 1988, p. 55. Come segnalato da Corinna Giudici infatti, visto che nell’atto notarile del 1504 non sono nominati tutori o curatori, Marcantonio doveva avere per lo meno già l’età di 25 anni. [29]Giudici 1988, p. 355.
Passando alla produzione artistica, bisogna segnalare come affrontare le stampe di Marcantonio e della sua scuola, compresi i diversi stati e le numerose copie, proprio come si presentano gli esemplari ancora conservati in collezione, sia impresa particolarmente ardua. Come già segnalato da Dillon nel 1987, manca uno studio sistematico su tutta la produzione dell’artista, essendo l’ultimo repertorio completo quello di Delaborde del 1888. [30]Dillon 1987, pp. 551-552; Delaborde 1888. E’ vero che nel corso del Novecento sono stati redatti numerosissimi articoli e soprattutto sono state realizzate alcune mostre che hanno provveduto a pubblicare e discutere diversi esemplari, facendo progredire enormemente la conoscenza e la portata dell’attività del nostro – basti qui ricordare, tra le tante, in particolare The engravings of Marcantonio Raimondi del 1981, Bologna e l’Umanesimo del 1988 o ancora Roma e lo stile classico di Raffaello del 1999 -, ma si è comunque trattato o della pubblicazione della produzione di un periodo dell’artista o di una selezione della sua opera, mancando un completo repertorio recente di tutti gli esemplari, dei diversi stati e delle differenti repliche o copie, oltre a una discussione complessiva delle attribuzioni. [31]Lawrence, Chapel Ill, Wellesley 1981-1982, Bologna 1988, Mantova e Vienna 1999. Per la bibliografia recente dedicata all'autore, cfr. nota 1.
Se si considera la notevole presenza di esemplari in cattivo stato di conservazione, di tirature tarde, oltre che di esemplari fortemente ritoccati, di “falsi stati” realizzati artificiosamente per aumentare il valore delle stampe, come ancora di repliche o di copie quasi identiche agli originali, tanto da far supporre, con buona dose di probabilità, la realizzazione da parte di Marcantonio di più lastre dedicate allo stesso soggetto, è facile capire la difficoltà di analisi dei singoli esemplari. [32]L'intreccio di queste problematiche è stato ben evidenziato da Zeno Davoli nel suo recente articolo pubblicato in “Grafica d'Arte” (Zavoli 2008). Si veda anche, per la realizzazione di più lastre di uno stesso soggetto da parte di Marcantonio, Dean 1999, pp. 25-29; Pon 2004, pp. 118-122 Problematiche simili sono state segnalate anche da Donata Minonzio in relazione alla produzione di Agostino Veneziano (Minonzio 1980, p. 298) e da Suzanne Bortsch per quanto riguarda Marco Dente (Boorsch 2000). Per una sintesi dei differenti editori che ritoccarono e pubblicarono nuovamente le lastre, cfr. Imolesi Pozzi 2008, pp. 50-51. Sul ruolo delle repliche e delle copie nella cerchia di Raimondi, cfr. Landau e Parshall 1994, pp. 131-142. A questo si aggiunga, come vedremo, la rilevazione di copie o di stati sino ad ora non segnalati dalla critica, che andranno ridiscussi in un futuro lavoro sistematico e completo. Negli ultimi anni è stato anche considerato in maniera diversa il rapporto di dare e avere tra Marcantonio e i suoi collaboratori, in quanto è dimostrato che non solo questi ultimi trassero stampe da esemplari del maestro, ma che avvenne anche il contrario, facendo immaginare una bottega poco strutturata gerarchicamente, in cui lo stesso rapporto diretto ad esempio con i disegni di Raffaello potesse essere vissuto da ciascuno dei componenti. Basti citare il caso della serie con Cristo e i dodici apostoli o la stampa raffigurante l’Incensiere di Francesco I (il Bruciaprofumi) derivate da Marcantonio da Marco Dente. [33]Per Cristo e i dodici apostoli vedi oltre nel testo; per l'Incensiere di Francesco I, cfr. A. Gnann in Mantova e Vienna 1999, p. 223.
Rimandando al “Repertorio delle stampe” l’elenco di tutte le opere già presenti nel volume, con relativa bibliografia, ci soffermeremo ora solo su alcune di esse, considerandole soprattutto da tre diverse prospettive: l’individuazione di particolari blocchi di cui si compone il volume, la discusione di attribuzioni problematiche e la segnalazione di stati o copie al momento non repertoriate.
Figura 1: Albrecht Dürer, Adorazione dei pastori (dalla serie: Vita della Vergine), xilografia, mm 299×207, inv. PN 1600 © Bologna, Pinacoteca Nazionale, Gabinetto Disegni e Stampe
Figura 2: Marcantonio Raimondi, Adorazione dei pastori (dalla serie: Vita della Vergine), da Albrecht Dürer, bulino, esemplare smarginato mm 295×213, inv. PN 25092 © Bologna, Pinacoteca Nazionale, Gabinetto Disegni e Stampe
Il volume si apre con la serie, tratta da Albrecht Dürer, dedicata alla Vita della Vergine. La serie venne forse iniziata da Marcantonio, che dimostra di conoscere la grafica di Dürer già dalle prime stampe databili al 1504-1505, a Bologna, ma venne portata a termine a Venezia, visto che gli editori, i fratelli Nicolò e Domenico del Gesù, erano veneziani. Il loro marchio compare infatti nell’ultima stampa della serie, la Glorificazione della Vergine, insieme al monogramma dei gesuati che, come ha dimostrato Lisa Pon, dovettero sostenere gli editori sino a circa il 1520. [34]Per le influenze di Dürer sulla prima produzione di Marcantonio, cfr. M. Faietti in Bologna 1988, pp. 150-154; Faietti 2003, p. 60; Pon 2004, pp. 53, 62 e sgg. Per l'ipotesi secondo il quale i monogrammi non siano stati tracciati da Marcantonio, ma aggiunti da altra mano, forse dall'editore, cfr. Pon 2004, p. 62. Probabilmente lungi dal volere realizzare un plagio, in un’epoca in cui il “diritto d’autore” ancora non esisteva e in cui problematiche di questo genere erano nel pieno della discussione e definizione, Marcantonio creò una serie di 17 stampe, esattamente il numero di cui disponeva al momento in cui realizzò il proprio lavoro, visto che Dürer eseguì le ultime tre stampe che compongono la serie di 20, tra il 1510 e il 1511. [35]Fara 2007, pp. 281 e sgg., con bibliografia precedente.
Gli esemplari presenti in collezione sono riferibili al secondo stato, in cui alle lastre venne aggiunta una numerazione. [36]Delaborde 1888, p. 262; M. Faietti in Bologna 1988, p. 153. Frutto delle aggiunte del secondo stato, sarebbe anche la data 1506 presente nelle stampe raffiguranti l’Annunciazione (PN 25088) e l’Adorazione dei Magi (PN 25094), data seguita nel primo caso da una scritta forse indentificabile con “ = VIA” o “= VIR” e nel secondo caso con una dicitura leggibile come “+ MUS”. [37]Risulta difficile interpretare la scritta sull'Annunciazione, come proposto da David Landau, come "1506 = D i8" (Landau e Parshall 1994, P. 145).
Diversi autori hanno sostenuto l’ipotesi che gli esemplari di secondo stato, con l’aggiunta della data, siano stati tirati nell’Ottocento, escludendo così la possibilità che questa informazione possa servire concretamente a datare gli esemplari raimondiani. [38]Oberhuber 1984, p. 335, nota 21 a p. 342; Faietti in Bologna 1988, p. 152. Oberhuber riporta questa notizia facendo riferimento ad una ipotesi avanzata da “Mende 1971”, riferimento bibliografico che non viene sviluppato nella bibliografia finale del catalogo della mostra e che non si è riusciti a rintracciare. Landau e Parshall propendono invece per una apposizione originale, ipotizzando che Marcantonio abbia inserito la data ispirandosi alle iscrizioni poste su dipinti veneti quali la celebre Laura di Giorgione. [39]Landau e Parshall 1994, p. 145, e nota 138 a p. 389. Una verifica potrà essere realizzata confrontando la carta utilizzata nelle tirature presenti nelle diverse collezioni. Certo è che gli esemplari bolognesi, ancora incollati sulla pagina ritagliata dal volume e perciò non correttamente interpretabili, dovettero essere tirati per lo meno entro la fine del Settecento, momento della composizione del volume stesso. Un’anomalia presente negli esemplari della collezione bolognese riguarda la presenza di correzioni a penna della numerazione delle stampe, essendo invertiti il numero 13 con il 14, e il 10 con l’11.
Il secondo gruppo di stampe riguarda la serie con la Vita di Cristo, tratta dalla Piccola Passione di Dürer. Le xilografie, realizzate dall’artista tra il 1508 e il 1510, e riunite in volume rilegato nel 1511, vennero riprodotte da Marcantonio, questa volta senza il monogramma di Dürer ma con la tavoletta vuota, intorno al metà del secondo decennio del Cinquecento. [40]M. Faietti in Bologna 1988, p. 153. Landau ha ipotizzato che la serie sia stata realizzata non da Marcantonio, ma da Agostino Veneziano, per questioni stilistiche e per il modo in cui è tracciata da tavoletta, molto più in prospettiva che negli esemplari riferiti a Marcantonio (D. Landau in Landau e Parshall 1994, p. 389, nota 139). Lisa Pon ha rifiutato questa ipotesi, pur riconoscendo la presenza del segno di Agostino in alcuni esemplari quali il Cristo prende congedo dalla madre e l'Entrata di Cristo in Gerusalemme (Pon 2004, pp. 70-72; Fara 2007, pp. 202-203). Della serie si conoscono tre diversi stati, uno senza numerazione, il secondo con ogni esemplare numerato in basso a destra, ed un terzo stato con la numerazione inserita nella tavoletta. [41]Delaborde 1888, p. 265; Fara 2007, p. 203
Figura 1: Albrecht Dürer, Cristo caccia i mercanti dal tempio (dalla serie: Piccola passione), xilografia, mm 126×97, inv. PN 1477 © Bologna, Pinacoteca Nazionale, Gabinetto Disegni e Stampe
Figura 2: Marcantonio Raimondi, Cristo caccia i mercanti dal tempio (dalla serie: Piccola passione), da Albrecht Dürer, bulino, esemplare smarginato mm 131×99, inv. PN 28122 © Bologna, Pinacoteca Nazionale, Gabinetto Disegni e Stampe
La serie presente nella collezione di Bologna, mescola esemplari in primo stato ( PN 28121; PN 28124; PN 28137; PN 28136; PN 28123; PN 28122; PN 28135; PN 28134; PN 28132; PN 28155; PN 28145; PN 28143; PN 28138; PN 28131; PN 28130; PN 28146; PN 28147; PN 28148; PN 28149; PN 28150; PN 28129; PN 28126) ed esemplari di secondo stato ( PN 28153, PN 28140; PN 28142; PN 28144; PN 28141; PN 28151; PN 28152; PN 28127), alcuni dei quali con numero abraso sulla carta ( PN 28128; PN 28125). Un’abrasione di questo tipo si trova anche sul Giudizio Universale (PN 28139), unico esemplare in terzo stato, già dotato della numerazione entro la tavoletta. Di difficile interpretazione, vista la presenza di lacune nella parte bassa sono invece Cristo lava i piedi agli apostoli (PN 28154) e Cristo davanti ad Anna (PN 28133), probabili primi stati.
A partire dalla stampa che si trovava in posizione 53 nel volume, ebbero inizio gli stacchi eseguiti in occasione dei due furti ottocenteschi, che purtroppo, se sono veri i rimandi al Bartsch segnati sulle schede Roncagli, riguardano gli esemplari più importanti della produzione di Marcantonio.
E’ chiaro che, in previsione della vendita, si puntasse a questi, anche se non mancano tra quelle prelevate, ed evidentemente vendute, copie da Marcantonio o stampe eseguite da altri incisori, forse presenti in volume in esemplari particolarmente buoni e ben conservati. [42]Per l'elenco delle mancanze si veda il "Repertorio delle stampe".
Tra le perdite più significative di questo primo blocco, si possono ricordare l’Adamo ed Eva nell’Eden (B. XIV, 1), Cristo al Limbo (B. XIV, 41), la Poesia (B. XIV, 382) ed un gruppo consistente di “piccoli santi” che Vasari diceva fossero stati realizzati da Raimondi come repertorio ad uso di “poveri pittori, che non hanno molto disegno”. [43]Vasari 1568, p. 12. E’ molto probabile che la serie in realtà fosse piuttosto destinata ad un mercato di religiosità popolare e che si inserisse in quella vasta produzione che Lisa Pon ha rilevato nella stessa bottega degli editori veneziani Nicolò e Domenico del Gesù. [44]Pon 2004, p. 59. Cfr. anche Shoemaker 1981, p. 9; Oberhuber1984, p. 335-336. La prova che si trattasse di un produzione devozionale è testimoniata anche dalla grande diffusione che ebbero non solo gli originali di Raimondi, ma anche le numerosissime copie che ne vennero tratte, da autori quasi sempre anonimi. [45]Numerose copie sono citate nel repertorio di Delaborde 1888, e sono presenti, come si vedrà oltre, anche nella collezione della Pinacoteca di Bologna. Non potendo visionare gli originali, possiamo solo tenere per buono il parere di Roncagli che li riteneva in gran parte di Marcantonio, opinione che potrebbe essere confermata dal fatto che questo gruppo si trovava isolato nel volume rispetto ad un altro gruppo che, come vedremo, è costituito soprattutto da copie.
Dopo questa prima gruppo di piccoli santi, il volume riprendeva con la serie dedicata a Gesù Cristo e gli Apostoli, tratta da disegni attribuiti a Raffaello, forse direttamente realizzati per essere trasposti a stampa. La serie di Marcantonio non proviene direttamente dai disegni del maestro, ma da una prima loro trasposizione a stampa realizzata in controparte da Marco Dente. [46]Per un riassuto relativo all'attribuzione, dibattuta, dei disegni, oltre che della problematica relativa al rapporto tra la serie di Marco Dente e quella di Marcantonio, cfr. Oberhuber 1984, p. 339; Landau e Parshall 1994, pp. 139-141; A. Gnann in Mantova e Vienna 1999, pp. 78-81. Cfr. inoltre, Imolesi Pozzi 2008, pp. 72-75, nn. 11-23. Della serie rimangono in collezione, provenienti dal volume 2, solamente otto apostoli ( PN 2186, PN 2185, PN 21433, PN 2187, PN 2184, PN 21431, PN 2212, PN 2213), tutti in primo stato e dotati del timbro Lambertini che denuncia la loro provenienza dalla donazione del 1751.
Figura 1: Marcantonio Raimondi, San Giovanni Evangelista (dalla serie: Gesù Cristo e gli Apostoli), da Marco Dente detto Marco da Ravenna, bulino, esemplare smarginato mm 207×135, inv. PN 2186 © Bologna, Pinacoteca Nazionale, Gabinetto Disegni e Stampe
Figura 2: Marcantonio Raimondi, San Giuda Taddeo (dalla serie: Gesù Cristo e gli Apostoli), da Marco Dente detto Marco da Ravenna, bulino, esemplare smarginato mm 208×136 © Bologna, Pinacoteca Nazionale, Gabinetto Disegni e Stampe
Dalla medesima collezione Lambertini proviene anche la stampa successiva, raffigurante Cristo la Madonna e San Giovanni Battista con San Paolo e Santa Caterina d’Alessandria (PN 2210), una copia da un originale di Raimondi, già citata da Bartsch. [47]Bartsch 1803-1821, vol. XIV, p. 100, n. 113 B. Esemplare di buona qualità, estremamente vicino all’originale, ma più stretta di circa mm 12, essa era correttamente segnalata come copia di anonimo italiano da Roncagli e nella scheda redatta da Stefano Ferrara nel repertorio degli Incisori bolognesi ed emiliani del sec. XVI della Pinacoteca Nazionale di Bologna, mentre per un semplice errore, visto che neppure l’esemplare riprodotto corrisponde a quello bolognese, è stata pubblicata come originale nel catalogo Giulio Romano pinxit et delineavit del 1993. [48]Ferrara e Gaeta Bertelà 1975, n. 355; Massari 1993, pp. 5-6, n. 3. Non citata nei repertori, segnalata come originale da Ferrara, ma corretamente indicata come copia nel volume dedicato dei restauri della Pinacoteca del 1990, è la Madonna tra le nuvole (PN 2201) che, più che derivata dalla versione di Marcantonio con capelli al vento (B. XIV, 52), sembra tratta in controparte dalla versione con capelli raccolti (B. XIV, 53), anch’essa attribuita, non senza qualche perplessità, allo stesso Marcantonio. [49]Bartsch 1803-1821, XIV, pp. 58-60, n. 52 e 53; S. Massari in Raphael invenit 1985, pp. 193-194, n. 1 e 4.
Dopo le incisioni citate, il volume proseguiva con una serie di stampe di soggetto religioso, sia autografe che copie, alcune delle quali sottratte dai furti, come Dio appare a Noè (B. XIV, 3), altre ancora in collezione, quali il Battesimo di Cristo (PN 23704), chissà se quello citato come esemplare raro nella raccolta Savioli, [50]Notizia Ristretta della Raccolta di Stampe Scelte spettante al Senator Savioli, AAbo, Miscellanee vecchie, cart. 625 (K255), f. 43 g. e la cosiddetta Madonna del pesce (PN 21432), già riferita da Roncagli, sulla scorta di Bartsch, a Marco Dente, ma ritenuta di Marcantonio da Gori Gandellini e Armano. [51]Gori Gandellini 1771, p. 104; Armano 1830, p. 101, foglio n. 13, I o II (?); Bartsch 1803-1821, XIV, pp. 61-63, n. 54. Dalla posizione 103 alla posizione 125 si trovava il secondo blocco della serie dedicata ai piccoli santi. Gli esemplari in volume, già staccati per essere venduti, ma evidentemente recuperati entro la cassa essendo presente sul verso un numero tracciato in rosso corrispondente alla Nota delle stampe ricuperate contenute nella Cassa (…), [52]Allegato A. Nota delle stampe ricuperate contenute nella Cassa (...), 20 ottobre 1881, ASSbo. sono tutti copie, forse ad eccezione del San Festo di Benevento (?) (PN 3807), considerata autografa da Bartsch e Delaborde malgrado non sia presente la marca, [53]Bartsch 1803-1821, XIV, p. 134, n. 155 (come San Lorenzo); Delaborde 1888, p. 117, n. 39 (come San Festo di Benevento). e la Santa Caterina da Siena (PN 3812), di cui non sono citate copie da Bartsch e Delaborde, ma di cui una copia nello stesso verso e con la medesima scritta è citata da Passavant. [54]Bartsch 1803-1821, XIV, p. 146, n. 176; Delaborde 1888, p. 122, n. 53; Passavant 1860-1864, VI, p. 22, n. 107. Per quanto riguarda le copie, vale la pena segnalare i seguenti esemplari non citati nei principali repertori: San Giuseppe (PN 3815), diverso dall’esemplare indicato dal Bartsch – la cui autografia a Raimondi era d’altra parte messa in dubbio da Delaborde – per la forma dell’ombra in basso a destra, per il profilo del bastone e in generale per il tipo di intaglio; [55]Bartsch 1803-1821, XIV, p. 134, n. 154; Delaborde 1888, p. 297, n. 7. il San Sebastiano (PN 3817), diverso da quello indicato da Bartsch per le ombre intorno al piede destro del santo e per diversi altri particolari, soprattutto negli alberi; [56]Cfr. Bartsch 1803-1821, XIV, p. 140, n. 166; Oberhuber 1978, p. 175, n. 166 (140). Santa Cecilia (PN 3818), con la scritta diversa dalle copie conosciute; [57]Cfr. Bartsch 1803-1821, XIV, pp. 146-147, n. 177; Delaborde 1888, p. 120, n. 47. San Michele (PN 3821), diverso dall’esemplare pubblicato da Bartsch per alcuni particolari nella figura del diavolo e per le differenze relative alla linea dell’orizzonte; [58]Cfr. Bartsch 1803-1821, XIV, p. 136, n. 158. la Morte (PN 3822), con la marca più grande dell’originale, le dita diversamente articolate della mano sinistra dello scheletro e dal tratteggio diverso nella zona vicina al profilo del teschio. [59]Cfr. Bartsch 1803-1822, XIV, p. 151, n. 184.
Probabilmente affiancate nel volume dovevano essere i due esemplari della celebre Santa Cecilia, tratta da un disegno di Raffaello. [60]Per la relazione tra la stampa di Raimondi e l'invenzione di Raffaello, cfr. Winkelmann 1983, pp. 183-185; Faietti 1983a, pp. 187-191. La stampa PN 2211, una copia di anonimo ancora presente in collezione, si trovava in posizione 128, dunque stranamente prima dell’esemplare originale di Marcantonio (B. XIV, 116) sottratto dai furti. Entrambe scomparse sono invece le due versioni della Madonna della culla, sia quella riferita a Marcantonio (B. XIV, 63), che quella attribuita dubitativamente da Bartsch a Marco Dente (B. XIV, 63 A). [61]Cfr. Bartsch 1803-1822, XIV, pp. 70-72, n. 63.
Roncagli attribuiva le due stampe perdute, in posizione 135 e 137, raffiguranti La Vergine svenuta sostenuta dalle pie donne e La Vergine piange Cristo morto, rispettivamante ad un autore anonimo e a Marco Dente da Ravenna, ma non indicava nelle sue schede rimandi al repertorio del Bartsch. Mentre della prima non sappiamo nulla (Roncagli la descrive come “stampa in lungo brutta, studiata e mal disegnata, di taglio irregolare”), della seconda sappiamo, grazie al rimando bibliografico a Zani, che si doveva trattare di una copia della cosiddetta Madonna dal braccio coperto (B. XIV, 35) senza però la tavoletta, [62]Zani 1819-1824, II, VIII, p. 263. probabilmente corrispondente a quella indicata anche da Bartsch (B. XIV, 35 A). In collezione è invece presente la stampa in posizione 136 con La Vergine piange il Cristo morto (PN 2239) con il braccio scoperto, la cui attribuzione, fortemente dibattuta dalla critica ottocentesca, è attualmente orientata, come in antico, verso l’autografia di Marcantonio. [63]Tra gli autori che hanno messo in dubbio l'attribuzione a Raimondi si contano ad esempio Heinecken, Passavant e Delaborde (Heinecken 1778, p. 337, n. 17; Passavant 1860-1864, VI, p. 14, n. 14; Delaborde 1888, pp. 108-109, n. 20 e p. 296, n. 5). Per una ricapitolazione delle diverse opinioni, anche più recenti, cfr. I.H. Shoemaker in Lawrence, Chapel Ill, Wellesley 1981-1982, pp. 130-132.
Cristo consegna le chiavi a Pietro (PN 2427) costituisce un classico caso di attribuzione problematica. Derivata da uno dei cartoni di Raffaello per gli arazzi per la Cappella Sistina, era ritenuta da Heinecken come non di Raimondi e da Zani come di Nicola Beatricetto. [64]Zani 1819-1824, II, VII, p. 50; Heinecken 1778, p. 396, n. 26. Per il rapporto con gli arazzi, cfr. Cirillo Archer 1995, p. 15-16, n. 015. Fu forse l’intervento di Armano, che nel suo catalogo pubblicato nel 1830 riferiva la stampa a Marcantonio, a influenzare l’inserimento dell’opera nel volume, mentre la critica successiva si è divisa tra Agostino Veneziano, Bonasone e Beatricetto. [65]Armano 1830, p. 91, foglio n. 79; Bartsch 1803-1821, XV, p. 17, n. 6; Shearman 1972, p. 68, p. 97, n. 19; S. Massari in Raphael invenit 1985, p. 130, Arazzi scuola vecchia II, n. 2. Al momento attuale si ritiene comunque di dover mantenere la stampa, come già proposto da Madelina Cirillo Archer, nell’ambito dell’anonimato, non potendo rintracciare tratti sufficientemente distintivi per avanzare con certezza un nome. [66]Cirillo Archer 1995, pp. 15-16, n. 015. Sempre ad anonimi vanno riferite la cosiddetta Madonna della scala (PN 2197), secondo stato con aggiunta della scritta e ritocchi nel cielo della copia segnalata da Bartsch (B. XIV, 45 A) di una stampa di Marcantonio ((B. XIV, 45), [67]Bartsch 1803-1821, XIV, pp. 51, n. 45 A. e il Discorso di San Paolo nell’aeropago di Atene (PN 2200), copia di un originale di Marcantonio (B. XIV, 44) citata nel catalogo della collezione di Armano del 1830 e da Zani nel 1832. [68]Armano 1830, p. 160, foglio n. 64; Zani 1819-1824, II, IX, p. 266. Più problematico è l’esemplare sempre con il Discorso di San Paolo nell’areopago di Atene con numero di inventario PN 2199, soprattutto a causa delle condizioni conservative che ne rendono difficile la lettura. Riferita in maniera dubitativa a Marcantonio da Stefano Ferrara, e pubblicata come opera autografa nel repertorio delle opere restaurate della Pinacoteca di Bologna, essa sembra differire decisamente dall’originale, tanto da far pensare che neppure si possa trattare di un esemplare ritoccato. [69]Ferrara e Gaeta Bertelà 1975, n. 333; A. Selleri in Il restauro intelligenza e progetto 1990, p. 497. Diverso è infatti il volto del personaggio alle spalle di San Paolo che, a differenza dell’originale, presenta la bocca aperta in atto di stupore, inoltre è assente la profilatura della base su cui poggia la statua posta a destra e decisamente semplificato è l’intaglio delle gambe della medesima statua. [70]Delaborde parla di una copia con il piedistallo della statua liscio e con la tavoletta appoggiata al bordo della stampa invece che un poco distanziata come nell'originale di Marcantonio (Delaborde 1888, p. 133-134, n. 84). Risulta difficile verificare quest'ultimo particolare nella nostra stampa, visto che la smarginatura non permette di vedere il bordo della stampa stessa, ma la mancanza della segnalazione delle differenze nel volto del personaggio alle spalle di San Paolo fa pensare che si tratti di un altro esemplare.
Dopo il perduto Cristo alla tavola con Simone fariaseo (B. XIV, 23), il volume continuava con diserse stampe dedicate ancora a temi religiosi. Il San Giorgio e il drago (PM 2241), stampa giovanile del nostro, realizzata nei primi anni bolognesi, è presente in collezione in una tiratura tarda segnalata anche da Bartsch, caratterizzata dalla presenza di righe nere orizzontali e verticali soprattutto in prossimità del monogramma. [71]Bartsch 1803-1821, XIV, p. 86, n. 98. Delle tre stampe dedicate al Martirio di Santa Cecilia, una, in cattive condizioni conservative, è riferibile a Marcantonio (PN 2214), un’altra è copia di Etienne Delaune (PN 4281), mentre una terza, come già indicato da Ferrara, risulta di difficile lettura (PN 2192): [72]Ferrara e Gaeta Bertelà, n. 360. essa potrebbe infatti essere stata stampata dalla lastra originale ma fortemente ritoccata da Lafrey, costituendo pertanto un terzo stato non repertoriato, oppure essere una copia anch’essa non repertoriata.
Stupisce a questo punto del volume incontrare la stampa con Giovane con il teschio (PN 2289) a fine Settecento non pubblicata, tanto è vero che ancora Roncagli nella sua scheda affermava che “appena [la] si conosce”. Ritenuta da diversi autori di Giulio Campagnola, ma riferita dalla critica più recente ad un autore anonimo della sua cerchia, è possibile che sia stata confusa con una stampa di Raimondi dai compilatori del volume in considerazione dei riferimenti a Dürer del paesaggio e ai richiami a dipinti di Giorgione che Marcantonio avrebbe potuto conoscere nel suo soggiorno veneziano già narrato da Vasari. [73]Vasari 1568, pp. 6-7; Pittaluga 1928, pp. 204-205, fig. 133 (Giulio Campagnola); Hind 1948, V, p. 204, n. 20 (non di Campagnola); D'Amico 1980, n. 22 (Giulio Campagnola); Zucker 1984, pp. 489-490, n. 018 (incisore veneziano); Chiari Moretto Wiel 1988, pp. 53-54 note 6 e 18 (ambito di Campagnola); G. Dillon in Brescia e Francoforte 1990, p. 223, n. III. 3f; Lambert 1999, p. 384, n. 711 (attribuzione a Campagnola dubbia).
Da questo punto del volume, inizia un’ampia sezione dedicata a soggetti profani, alcuni derivati dall’antico, altri mitologici e allegorici, in ordine però abbastanza sparso. La serie con le Virtù, che segue le quattro stampe dedicate agli imperatori Tito e Vespasiano (PN 2227), Scipione l’africano (PN 2225), Marco Curzio ( PN 21740) e Orazio Coclite (PN 2226) – il terzo in primo stato, gli altri in terzo stato -, è costituita tutta da copie, estremamente simili agli originali, tanto da essere spesso scambiate per tali da Roncagli e ancora da Ferrara nel 1975. [74]Ferrara e Gaeta Bertelà 1875, nn. 430, 431, 434, 429, 432. Rispetto al repertorio di quest’ultimo, dove vengono segnalate come originali, si ritengono copie, in gran parte non repertoriate, la Fortezza (PN 2268), la Speranza (PN 2262), la Fede (PN 2266) e la Temperanza (PN 2265) , tutte dall’intaglio estremamente debole, la prima tra l’altro senza numero, la seconda con il numero 6 al posto del 4, la terza con il numero 3 al posto del 2 e la quarta con il numero 2 al posto del 5. Nulla possiamo dire ovviamente degli esemplari rubati, tutti segnalati da Roncagli come di Marcantonio.
Mantenendo con coerenza il gruppo di altre figure entro nicchia, seguivano gli esemplari sottratti con Il fauno e la tigre (B. XIV, 307), Venere e amore (B. XIV, 311), Apollo (B. XIV, 334) e quelli ancora conservati con Olimpo (PN 2299) e Bacco (PN 2298), recentemente attribuiti, anche se in maniera dubitativa dopo un’ipotesi verso Marco da Ravenna avanzata per primo da Bartsch, a Marcantonio, ma già ritenuti del bolognese da Heinecken e Armano. [75]Heinecken 1778, p. 371, n. 82; Armano 1830, p. 43, foglio n. 12 (?); II; A. Bartsch 1803-1821, XIV, p. 233, n. 309; A. Gnann in Mantova e Vienna 1999, p. 122, nn. 61 e 62
Per il gruppo di stampe successive, dalla posizione 171 alla 186, per le quali si rimanda al “Repertorio delle stampe”, ci limitiamo a segnalare la presenza di temi mitologici e allegorici, intercalati però a volte ancora con temi religiosi quali il David con la testa di Golia (B. XIV, 12).
Lo stesso vale per le stampe successive ancora esistenti, per il quale credo valga la pena segnalare come gran parte di quelle oggi, ma a volte già nell’Ottocento, venivano attribuite ad allievi, erano ancora considerate di Marcantonio o nella bibliografia settecentesca o da Armano, se si considerano le attribuzioni che si possono rilevare nel catalogo della sua raccolta. [76]Armano 1830. Questo discorso vale sia per le stampe collocate ancora nella sezione religiosa – Le Sante donne vanno al sepolcro di Cristo (PN 2330), considerata dubitativamente di Agostino Veneziano a partire da Bartsch, ma ritenuta da Gori Gandellini di Marcantonio, [77]Gori Gandellini 1971, p. 104; Bartsch 1803-1821, XIV, p. 39, n. 33. oppure il Dio appare ad Isacco (PN 2315), riferito a partire da Bartsch a Marco da Ravenna, ma di Marcantonio per Heinecken -, che per stampe presenti nel blocco dei soggetti profani. Tra queste si possono ricordare: Venere e Cupido (PN 2322) attribuita da Bartsch a Agostino Veneziano, ma di Marcantonio per Armano; [78]Armano 1830, p. 92, foglio n. 85; Bartsch 1803-1821, XIV, pp. 239-240, n. 318. Enea e Anchise fuggono da Troia in fiamme (PN 2556) di Caraglio per Bartsch, ma ancora di Marcantonio per Gori Gandellini, Heinecken e Armano; [79]Gori Gandellini 1771, p. 116; Heinecken 1778, pp. 346-347, n. 2; Armano 1830, pp. 15-16, foglio 41. Apollo e Dafne (PN 2362), già indicato come possibile opera di Agostino Veneziano da Heinecken, ma repertoriato ancora sotto Raimondi da Armano; [80]Heinecken 1778, p. 353, n. 17; Armano 1830, p. 80, foglio n. 43, I. il Furore (PN 2539) riferita a Caraglio da Bartsch, ma a Marcantonio da Armano; [81]Bartsch 1803-1821, XV, pp. 92-93, n. 58; Armano 1830, p. 83, foglio 50. i due esemplari con Ifigenia in Tauride (PN 2335 e PN 2336) di Agostino Veneziano, non citati nel catalogo di Armano, ma ritenuti di Marcantonio da Gori Gandellini; [82]Gori Gandellini 1771, p. 24; Bartsch 1803-1821, XIV, pp. 158-159, n. 194. la Lotta tra un satiro e un caprone (PN 2311) presente in collezione in secondo stato non repertoriato, di Marco da Ravenna per Bartsch ma di Marcantonio per Armano; [83]Bartsch 1803-1821, p. 181, n. 221; Armano 1830, p. 94, foglio n. 96. il Contadino e una donna con uova (PN 2355) di Agostino Veneziano, ritenuta di Raimondi da Heinecken e Armano; [84]Heinecken 1778, 324, n. 37; Armano 1830, p. 49, foglio 27, II. la Morte di Anania (PN 21364), di collaborazione tra Marcantonio e Agostino per Heinecken, solo di Marcantonio per Gori Gandellini e Armano. [85]Gori Gandellini 1771, p. 104; Heinecken 1778, p. 338, n. 19; Armano 1830, p. 119, foglio 75.
Figura 1: Agostino Musi detto Agostino Veneziano, Apollo e Dafne, da Baccio Bandinelli, bulino, esemplare smarginato mm 228×16, inv. PN 2362 © Bologna, Pinacoteca Nazionale, Gabinetto Disegni e Stampe
Figura 2: Giovanni Giacomo Caraglio, Furore, da Rosso Fiorentino, bulino, esemplare smarginato mm 250×18, inv. PN 2539 © Bologna, Pinacoteca Nazionale, Gabinetto Disegni e Stampe
Tra le stampe di Marcantonio di questa parte relativa a temi profani, troviamo la stampa con Marte Venere e Cupido (PN 3860), presente in collezione nello stato in cui vennero aggiunte la testa di Medusa nello scudo di Marte, la torcia in mano a Venere ed altri dettagli. Se si considera, come già segnalato da Marzia Faietti, il secondo stato ignorato dalla critica più recente, ma citato da Delaborde, in cui alla prima redazione sarebbe stato aggiunto solo il punteggio, il presente esemplare sarebbe da considerare un terzo stato. Secondo il parere di Clay Dean, che ha analizzato esemplari conservati in collezioni statunitensi, le aggiunte di questo stato non sarebbe riconducibili a Marcantonio, ma sarebbero probabilmente da riferire ad una mano operante intorno agli anni ’40 del Cinquecento. In attesa che la presente considerazione possa essere più o meno confermata a seguito dell’analisi di esemplari conservati in altre collezioni, si segnala che l’esemplare di Bologna è dotato di una filigrana, difficilmente leggibile, che pare raffigurare un fiore di giglio iscritto in due cerchi, filigrana non repertoriata da Briquet. [86]Briquet 1966, nn. 6710-72-23. Dean cita esemplari con filigrana raffigurante uno schematico albero di quercia iscritto in un cerchio, anch'essa di difficile datazione (Dean 1999, pp. 30-31). Si veda anche R.S. Field in New Haven 1999-2000, p. 5.
Un uomo e una donna con una sfera (Giovane uomo protetto dalla Fortuna) (PN 2256), secondo stato di una stampa eseguita da Raimondi intorno al 1506, presenta una biffatura con 9 barre che si incrociano diagonalmente. Come segnalato da Faietti, l’intervento, più che da attribuirsi alla volontà di eseguire tirature limitate come divenne usuale soprattutto a partire dall’Ottocento, sarebbe da attribuire ad un intervento di censura come quello adottato da Leone XII nel 1823. [87]Faietti 2003, p. 65. Lisa Pon ha indicato come data ante quem per la realizzazione di questa stampa il 1813 (Pon 1999). Bisogna comunque considerare che in questo caso l’intervento deve essere ritenuto più antico, visto che l’esemplare bolognese, portando il timbro Lambertini, deve essere stato eseguito prima del 1751.
Già pubblicata come originale di Marcantonio, ma in realtà una copia non repertoriata dalla versione B. XIV 297A di Marcantonio, è la stampa con Venere che esce dal bagno (PN 2248). [88]Ferrara e Gaeta Bertelà 1975, n. 409; Faietti 1983b, p. 74, n. 89; A. Selleri in Il restauro intelligenza e progetto 1990, p. 497. La versione B. 297A, come già ipotizzato da Bartsch, è considerata replica della stampa B. 297 (Bartsch 1803-1821, XIV, p. 225; Landau e Parshall 1994, p. 136). Oltre alla bassa qualità dell’intaglio, si possono notare diverse differenze quali il diverso livello in cui appare la linea dell’orizzonte della stanza alle spalle di Cupido, la lunghezza dei capelli che scendono in direzione della coscia di Venere, la mancanza dell’ombreggiatura sullo stipite della finestra.
Della Peste frigia (il Morbetto) sono presenti nel volume tre esemplari. Le stampe in posizione 225 (PN 2233) e 228 (PN 2235) sono due esemplari della medesima lastra, attribuita dubitativamente a Giovanni Antonio da Brescia, copia in contropare dell’originale di Raimondi (B. XIV, 417). [89]Ferrara e Gaeta Bertelà 1975, nn. 442, 442a; S. Massari in Raphael invenit 1985, p. 233, Storia, III, 2b. Caso particolare è invece quello dell’esemplare PN 2234, pubblicato da Ferrara come stato sconosciuto, tra il secondo ed il terzo-sesto degli stati citati da Delaborde, della stampa di Marcantonio (B. XIV, 417). La difficoltà di definire lo stato viene riferita alla presenza di lacune in prossimità della zona dove doveva comparire il nome dell’editore. [90]Ferrara e Gaeta Bertelà 1975, n. 441. In realtà le lacune risultano spostate un poco più a destra, e l’esemplare sembra corrispondere al quarto stato repertoriato da Stefania Massari, da cui sarebbe stato abraso il nome dell’editore Salamanca presente nel terzo stato. [91]S. Massari in Raphael invenit 1985, p. 233. Il Ratto di Elena (PN 2219), in posizione 137, come già segnalato da Ferrara, deve essere un quarto stato non citato nei repertori. [92]Ferrara e Gaeta Bertelà, 1975, 396a.
La lunga sezione, abbastanza confusa, dedicata in senso ampio ai temi profani – all’interno di questa si trovava anche il perduto cosiddetto Sogno di Raffaello (B. XIV, 359) e diverse stampe di tipo allegorico come Apollo e il suo amante (PN 2243), [93]La possibilità di interpretare la stampa già intitolata Apollo e Giacinto, come Apollo e il suo amante, si deve a Guy Tal (Tal 2009). l’Allegoria del Tempo (PN 23701), l’Allegoria della musica (PN 2278 e 2277) e l’Allegoria della vita umana (PN 2242) -, è intercalata nella parte finale del volume da tre soggetti di particolare importanza, riferibili al nuovo e all’antico testamento, oltre che alla vita di un santo. Si fa riferimento per primo alla celebre stampa con il Massacro degli innocenti, presente in collezione in tre esemplari, due copie assenti dai principali repertori ma già pubblicate da Ferrara (PN 2237 e 3944) ed un terzo esemplare (PN 3942) probabilmente originale di Marcantonio della versione con la “felcetta”, ma di difficile lettura a causa delle sue cattive condizioni, in ogni caso se originale, uno stato tardo ritoccato. [94]Landau e Parshall descrivono tre stati della versione del Massacro degli innocenti cosiddetto con la felcetta (Landau e Pashall 1994, p. 134). Si veda anche Pon 2004, pp. 118-136.
Marcantonio Raimondi, Davide decapita Golia, da Raffaello Sanzio (?), bulino, esemplare smarginato mm 266×39, inv. PN 23707 © Bologna, Pinacoteca Nazionale, Gabinetto Disegni e Stampe
Del Davide e Golia erano presenti nel volume due esemplari. Quello inventariato con numero PN 2229, corrisponde al terzo stato descritto da Delaborde e da Massari, con la tavoletta e l’indirizzo di Antonio Salamanca, un esemplare stanco, fortemente ritoccato. [95]Delaborde 1888, pp. 279-280, n. 1; S. Massari in Raphael invenit 1985, pp. 75-76, Logge, 24; A. Gnann in Mantova e Vienna 1999, p. 170, n. 107. Di estremo interesse è invece è l’esemplare PN 23707, in quanto sembra corrispondere ad uno stato avanti lettera sinora non repertoriato. Nella scheda di Ferrara esso è semplicemente descritto come primo stato privo della tavoletta, ma a differenza del primo stato ad esempio dell’Albertina di Vienna, esposto alla mostra Roma e lo stile classico di Raffaello, vi sono alcune parti incompiute, come parte dello stendardo, la spada di Davide, parte del cespuglio alle spalle del soldato di sinistra e in generale il cielo e il paesaggio. La qualità delle parti compiute, decisamente alta, fa pensare ad una lastra forse lasciata incompiuta da Marcantonio e in seguito portata a termine dalla sua cerchia, forse da Agostino Veneziano a cui diversi autori, quali Delaborde e Zani, hanno attribuito la stampa stessa. [96]Zani 1819-1824, II, III, p. 282; Gnann, nella scheda del catalogo, ipotizza una possibile collaborazione tra i due autori (Gnann in Mantova e Vienna 1999, p. 170).
Chiude il volume, che nell’ultima parte concentra diverse stampe tra le più importanti di Raimondi, quali ad esempio il Giudizio di Paride nella versione di Marco da Ravenna (PN 3232) e in esemplare molto consunto di Marcantonio (PN 3233) e il Parnaso di Marcantonio già sottratto dai furti (B. XIV, 247) oltre alla copia ancora presente in collezione (PN 254), il Martirio di San Lorenzo tratto da Baccio Bandinelli. Dei due esemplari già incollati sui fogli con la medesima filigrana di quelli utilizzati per il frontespizio, erano presenti due esemplari di Marcantonio, di cui un secondo stato ancora esistente (PN 3179) ed uno stato oggi non definibile , sottratto (B. XIV, 104). Tra i due si trovava la stampa di medesimo soggetto tratta da Marcantonio di Diana Scultori dedicata al cardinale Medici (PN 3309).
L’analisi del volume nel suo insieme permette ancora una volta, come già verificato per il volume di Bonasone, di comprendere in gran parte la logica con cui venne composto. Il parziale “disordine” sembra infatti tradire una difficoltà ancora in corso nel trattare il vasto materiale inerente Marcantonio e la sua cerchia, che, a differenza di oggi, era intesa in senso molto gerarchico. Nel volume infatti, basandosi sulla bibliografia dell’epoca, vennero inserite quasi esclusivamente le stampe allora ritenute di Raimondi, mentre quelle della scuola comparivano solamente se derivate dal maestro. Da questo punto di vista, il volume voleva essere esplicitamente solo l’espressione dell’arte di Raimondi, essendo le copie solo una conferma della fortuna del suo operato, e non illustrazione di produzione autonoma da parte degli altri incisori. Chi a fine Settecento si recava all’istituto delle Scienze a consultare il volume per avere un ragguaglio della produzione di Raimondi poteva certamente pensare di avere di fronte un panorama significativo della produzione dell’artista, e doveva ancora ragionare, come gli stessi compilatori, in un doppio binario catalogatorio, evidentememente in via di trasformazione. La presenza di un volume dedicato in specifico a Marcantonio non implicava ancora infatti, come venne sancito nell’Ottocento soprattutto a partire dagli studi di Bartsch, la raccolta organica di tutte le incisioni dell’artista, ma rimaneva in parte legata ad un ordine legato agli inventori, ordine sulla base del quale erano stati strutturati gli stessi volumi della raccolta Lambertini.
Note
Bibliografia
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J.D. Passavant, Le peintre graveur, Leipsic, 1860-1864, 6 voll..
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Mantova e Vienna 1999
Roma e lo stile classico di Raffaello, 1515-1527, catalogo della mostra a cura di K. Oberhuber (Mantova e Vienna 1999), Milano 1999.
Pon 1999
L. Pon, Marcantonio Printing / Printing Marcantonio, in Changing impressions: Marcantonio Raimondi & sixteenth-century print connoisseurship, catalogo della mostra a cura di C. Dean; T. Fairbanks; L. Pon (New Haven 1999-2000), New Haven, 1999, pp. 61-74.
Urbini 1999
Urbini Silvia, Marcantonio as book illustrator, in “Print quarterly”, 16, 1999, pp. 50-56
Fotocopia
Boorsch 2000
S. Boorsch, Confusion concerning Marco Dente, in Festschrift für Konrad Oberhuber, a cura di A. Gnann e H. Widauer, Milano, 2000, pp. 116-120.
Faietti 2000
Faietti Marzia, Marcantonio sulle tracce di Amico, Gnann Achim (a cura di), Festschrift für Konrad Oberhuber, Milano, Electa, 2000, pp. 23-31
Faietti 2001
M. Faietti, Amico invenit: Marcantonio sculpsit ; il Compianto su Cristo morto di Berlino, in M. Di Giampaolo (a cura di), Scritti di storia dell’arte in onore di Sylvie Béguin, Napoli, 2001, pp. 167-178.
Viljoen 2001
M. Viljoen, Raphael and the restorative power of prints, in “Print quarterly”, 18, 2001, pp. 379-395
Rouillard 2002
P. Rouillard, Marc-Antoine Raimondi: les Massacres des Innocents, in “Nouvelles de l’estampe”, 179/180, 2001-2002, pp. 12-32.
Faietti 2003
M. Faietti, Marcantonio Raimondi e la grande stagione del bulino in Italia, in Le tecniche calcografiche d’incisione diretta. Bulino Puntasecca Maniera nera, a cura di G. Mariani, Roma, 2003, pp. 58-66.
Turrio Baldassarri 2003
M. Turrio Baldassarri, Lettere di Giovanni Antonio Armano a Giuseppe Pelli Bencivenni (1778-1779), in “Paragone. Arte”, 49, 2003, pp. 63-106.
Faietti 2004
M. Faietti, Paradigma di regole e di sregolatezze : l’antico a Bologna tra Quattrocento e Cinquecento, in “Schede umanistiche”, N.S. 18, 2004, 1, pp. 123-157.
Pon 2004
L. Pon, Raphael, Dürer, and Marcantonio Raimondi: copying and the Italian Renaissance print, New Haven, 2004.
Rodríguez López 2004
M.I. Rodríguez López, “Quos Ego”: la transmisión iconográfica de la historia de Dido, in “Goya”, 299, 2004, pp. 45-54.
Turner 2004
J. Turner, Marcantonio’s lost Modi and their copies, in “Print quarterly”, 21, 2004, 4, pp. 363-384.
Viljoen 2004
M. Viljoen, Prints and false antiquities in the age of Raphael, in “Print quarterly”, 21, 2004, 3, pp. 235-247.
Modena 2005
Nicolò Dell’Abate. Storie dipinte e la pittura del Cinquecento tra Modena e Parigi, catalogo della mostra a cura di S. Béguin e F. Piccinini (Modena 2005), Cinisello Balsamo, 2005.
Bellini 2006
P. Bellini, Il trionfo di Galatea, in “Grafica d’arte”, 17, 2006, 66, pp. 8-11
Bologna 2006-2007
La stagione dei Bentivoglio nella Bologna rinascimentale, catalogo della mostra (Bologna 2006-2007), Argelato, 2006.
Carpi 2006-2007
Imperatori e Dei. Roma e il gusto per l’antico nel Palazzo dei Pio a Carpi, catalogo della mostra a cura di M. Rossi (Carpi 2006-2007), s.l., 2006.
Cassius-Duranton 2007
M.L. Cassius-Duranton, Le Songe de Marcantonio Raimondi: proposition d’interprétation, in “Studiolo”, 5, 2007, pp. 97-114.
Fara 2007
G.M. Fara, Albrecht Dürer. Originali, copie e derivazioni, Gabinetto Disegni e Stampe degli Uffizi, Inventario Generale delle Stampe, Firenze, 2007.
Manfrin 2007
N. Manfrin, Amico mio stimatissimo, ieri mi capitò un bel caso”: una lettera di Giovanni Antonio Armano a Giovanni Maria Sasso, in Il cielo, o qualcosa di più: scritti per Adriano Mariuz, a cura di E. Saccomani, Cittadella (PD), 2007, pp. 431-437.
Preti Hamard 2007
M. Preti Hamard, ‘Celleberrimi Francisi Mazzola Parmensis graphides’: les collections de dessins du Parmesan à Venise et à Bologne; collectionneurs, marché, édition, in M.T. Caracciolo e G. Toscano (a cura di), Jean-Baptiste Wicar et son temps, 1762 – 1834, Villeneuve d’Ascq, 2007, pp. 311-335.
Turner 2007
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Ávila 2008
A. Ávila, Los “modi” y los “sonetos lujuriosos”: Giulio Romano, Marcantonio Raimondi, Jean-Frédéric-Maximilien Waldeck y Pietro Aretino, Madrid, Siruela, 2008.
Bologna 2008
Giovanni Battista Cavalletto. Un miniatore bolognese nell’età di Aspertini, catalogo della mostra a cura di M. Medica (Bologna 2008), Cinisello Balsamo (MI), 2008.
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S. Borsetti, Analisi materiale del volume “Stampe di Giulio Bonasoni pittore e intagliatore” della Pinacoteca Nazionale di Bologna, in “Aperto. Bollettino del Gabinetto dei Disegni e delle Stampe della Pinacoteca Nazionale di Bologna”, 1, 2008 (www.aperto.gdspinacotecabo.it).
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Z. Davoli, Il “Giudizio di Paride” e Marcantonio Raimondi: problemi, in “Grafica d’Arte”, 19, 2008, 76, pp. 14-17.
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E. Rossoni, Nuovi studi sulla collezione di stampe della Pinacoteca Nazionale di Bologna: ricerche su donazioni e acquisti del secolo XVIII, in “Aperto. Bollettino del Gabinetto dei Disegni e delle Stampe della Pinacoteca Nazionale di Bologna”, 1, 2008 (www.aperto.gdspinacotecabo.it).
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E. Rossoni, “Stampe di Giulio Bonasoni pittore e intagliatore”. Ricostruzione del primo volume della raccolta di stampe della Pinacoteca Nazionale di Bologna, in “Aperto. Bollettino del Gabinetto dei Disegni e delle Stampe della Pinacoteca Nazionale di Bologna”, 1, 2008 (www.aperto.gdspinacotecabo.it).
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F. Villemur, L’énigmatique d’un rêve renaissant: la gravure de Marcantonio Raimondi dite “Le songe de Raphaël” (c. 1508), in D. Martin, L’énigmatique à la Renaissance: formes, significations, esthétiques, Paris, 2008, pp. 175-194.
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