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La raffigurazione del “Credo apostolico” nelle stampe: un’indagine attraverso le opere della Pinacoteca Nazionale di Bologna

Introduzione

Fin dai suoi inizi la comunità cristiana ha avvertito la necessità di dotarsi di brevi “compendi”, che esprimessero in qualche modo la sintesi delle verità fondamentali della fede. [1]Cfr. Kelly 1987, pp. 29ss. Tali testi (denominati anche “professioni di fede”), hanno avuto e hanno un ruolo rilevante nella formazione cristiana, in modo particolare quella dei catecumeni, coloro cioè che si preparano a ricevere i sacramenti dell’iniziazione (battesimo, confermazione, eucaristia). [2]Cfr. Righetti 1959, vol. IV, pp. 74-76,79; Cavallotto 1996, pp. 79ss; Gavrilyuk 2007; Mastacchi 2004. Proprio in relazione alla liturgia cristiana e ai primi grandi concili si sono sviluppate varie “professioni di fede” (o “simboli di fede”), denominati anche Credo, a partire dalla parola posta all’inizio di ogni formulazione. Tra i vari testi formulati, che risalgono ai primi secoli del cristianesimo, due in particolare hanno assunto una particolare rilevanza e si sono di fatto imposti in tutta la Chiesa di Oriente e di Occidente: il “Credo Niceno-Costantinopolitano”, frutto dei primi grandi concili del sec. IV (Nicea e Costantinopoli I) e il “Credo degli apostoli”, da mettersi in diretta relazione con l’antico Credo battesimale della Chiesa di Roma. [3]Cfr. De Ghellinck 1949; Westra 2002, pp. 21-68. Quest’ultimo, che si è poi stabilizzato (attorno alla fine del sec. VIII) nel cosiddetto Textus receptus (T), ha conosciuto una particolare diffusione nella Chiesa latina, diventando uno dei testi base della catechesi e della devozione, principalmente in epoca medievale. [4]Cfr. Mezzadri 2001, vol. I, pp. 248-261; La Rosa 1991, pp. 131-136; Longère 1991. E’ pertanto ovvio che questo testo così fondamentale non poteva non “tradursi” anche nel linguaggio dell’arte cristiana, con la finalità di presentare al popolo credente il Credo professato e spiegato. [5]Mastacchi 2007, p. 25.

Il Credo apostolico per la sua stessa natura e in forza di una leggenda che lo voleva direttamente “composto” dagli apostoli nel giorno di Pentecoste, [6]Come riportato nei due Sermoni dello Pseudo-Agostino: Sermo 240, 1 (Patrologia Latina 39, 2189) e Sermo 241,1 (Patrologia Latina 39, 2190). Cfr. De Lubac 1970, pp. 23-59; Mastacchi 2008a, pp. 115-116. ha trovato la sua raffigurazione più frequente proprio nella presentazione della serie dei dodici apostoli, ciascuno con l’iscrizione di uno dei versetti del Credo (riportato spesso in un libro o filatterio), [7]Cfr. Künstle 1928, vol. I, pp. 181-184; Van Os 1968; Schiller 1980, vol. IV (1), pp. 134-147. in una tipologia iconografica che si può denominare “originaria”. [8]Adottiamo la classificazione proposta dal polacco Prof. Ryszard Knapiński. Cfr. Knapiński 2003. Un arricchimento di questa raffigurazione è rappresentato dall’aggiunta di una serie di profeti (non necessariamente dodici), con propri versetti biblici e posti in relazione agli apostoli, nella tipica Concordantia medievale fra Antico e Nuovo Testamento; si parla di un vero e proprio “Credo profetico”, prefigurazione del “Credo apostolico”. [9]Cfr. Mâle 1949, pp. 246-253. Tale correlazione è chiamata “tipologica”, [10]Cfr. Knapiński 2003, pp. 29-33; Mastacchi 2007, pp. 43-47; Mastacchi 2008a, pp. 41-45, 92-93; Mastacchi 2008b. in accordo con l’esegesi scritturistica patristica, adottata diffusamente in epoca medievale.

Assai meno frequente, ma di notevole interesse, è la cosiddetta raffigurazione “scenica” che cerca di rendere attraverso scene il contenuto teologico di ciascuno degli articoli del Credo. [11]Cfr. Boespflug 1990; Mastacchi 2007, pp. 65-74; Mastacchi 2008a, pp. 63-72. Non mancano anche situazioni “miste”, in cui cioè si possono trovare combinate assieme le varie tipologie sopra descritte. [12]Cfr. Mastacchi 2008a, pp. 47-61.

La raffigurazione del “Credo apostolico” nell’arte europea compare, sebbene assai raramente, già prima dell’anno mille; ma è a partire dalla fine del sec. XIII che si moltiplicano le raffigurazioni degli apostoli con i versetti del Simbolo. [13]Cfr. Knapiński 2003, p. 11. Attorno al sec. XV questa modalità diviene comune a tutto il territorio europeo, con ampia diffusione, almeno dal punto di vista delle cosiddette “arti maggiori”. Alcuni studi, prevalentemente relativi al Nord-Europa, descrivono le caratteristiche principali delle opere e del loro diffondersi. [14]Cfr. Lacroix 1989, pp. 83-120; Pensée 1993, pp. 81-267. Solo recentemente è stata indagata la situazione italiana nel suo complesso, [15]Cfr. Mastacchi 2007; Mastacchi 2008a. in quanto gli studiosi avevano fino ad ora concentrato la loro attenzione solo su alcune opere particolarmente rilevanti. Dal XV secolo, epoca in cui la stampa comincia a diffondersi, questo tema iconografico (all’apice della sua popolarità) si estende anche alla nuova tecnica, particolarmente adatta alla diffusione popolare delle immagini. [16]Cfr. Landau e Parshall, 1994, pp.1-2. Non di rado inoltre le stampe sono state fonte di ispirazione per i pittori e gli scultori che hanno affrontato questo soggetto. [17]Vedi il caso del Credo presente al Museo di Écouen, in Francia; si tratta di una serie di pannelli scolpiti, a partire da una serie di incisioni di Martin De Vos, raffiguranti il Simbolo apostolico. Cfr. Thirion 1978; Lacroix e Renon 1994. In particolare la xilografia, utilizzando un supporto piuttosto economico, ne ha permesso una larga diffusione. Anche nelle incisioni la raffigurazione più frequente risulta quella del “collegio degli apostoli”, in abbinamento con i 12 versetti del “Simbolo apostolico” (la cui iscrizione può trovarsi su filatteri retti dai personaggi, collocata ai piedi dei santi o sulle cornici di contorno). Vanno innanzitutto citate le incisioni del cosiddetto “Maestro E.S.” [18]Stampe presenti in diverse collezioni (fra cui l’Albertina di Vienna, la Biblioteca Nazionale di Parigi, il Museo di Boston e la Rosenwald Collection di New York). Cfr. Shestack 1967, Catalogo nn. 27-28; Lehrs, 1969, I, pp.220-225; ibidem, vol. II, pp. 167-175; Hébert 1982, vol. I, p. 48; Hutchison 1980, pp. 43-48, nn. 30(19) – 40(19) + 41(20) – 46(20) + 47(21) – 49(21). (attivo tra il 1445 e il 1470; detto anche “Maestro del 1446”), che ispirarono anche artisti contemporanei e successivi, principalmente in Germania (ad es. il “Maestro della Passione di Berlino”, [19]Cfr. Hollstein 1949-, XII, pp. 92-93; Lehrs 1969, III, pp. 94-100. il “Maestro delle banderuole” [20]Cfr. Lehrs 1969, IV, pp. 80-89; Hollstein 1949-, XII, pp. 43-44. e Israhel van Meckenem [21]Da citare una serie (in cui è mancante Tommaso), custodita a Londra in forma completa: cfr. Hollstein 1954-, XV, pp. 100-102; Lehrs 1969, IX, pp. 222-225. Inoltre una serie, con personaggi a coppie e relativi versetti del Credo apostolico, presente in diverse raccolte (ad es. British Museum di Londra, Biblioteca Nazionale di Parigi e Rosenwald Collection di New York). Interessante il particolare che, col procedere del testo del Credo, le immagini divengono sempre più tridimensionali. Cfr. Hollstein 1949-, XXIV, pp. 115ss; Hutchison 1991, pp. 80-85, nn. 79(228) – 83(228) + 83(229); Lehrs 1969, IX, pp. 245-249; Van der Stock 2002, pp. 110-111.) e nei Paesi fiamminghi, con artisti quali Jan Sadeler I, [22]Cfr. De Ramaix 2001, pp. 79-83, nn. .278-285. Jacob de Gheyn II [23]Cfr. Hollstein 1949-, VII, p. 184; Simor 1996, p. 116. e altri [24]Non vanno dimenticate, ad esempio, le serie di Martin Schongauer (cfr. Lehrs 1969, V, pp. 205-206; Le Blanc 1970-1971, IV, p. 467, n. 34), Lucas Cranach il vecchio (cfr. Falk 1980, pp. 341-354) e Adriaen II Collaert (cfr. Diels e Leesberg 2005, pp. 221-241).. La serie non di rado è aperta dal Cristo (spesso raffigurato quale Salvator Mundi), dalla Vergine Maria (Regina Apostolorum) e completata da S. Paolo, l’apostolo delle genti; [25]Cfr. Simor 1996, p. 117. in alcuni cicli si possono trovare anche Giovanni Battista o altri soggetti (quali ad esempio la morte). [26]Come nel caso di una serie di Martino Rota, datata 1569. Cfr. Zerner 1979, p.24, n. 16 (254). Meno frequente è la cosiddetta raffigurazione “tipologica”; tuttavia esistono significativi esemplari di questo tipo: di notevole interesse alcuni Blockbücher tedeschi (ad esempio quelli conservati a Monaco, Heidelberg e Vienna) [27]Cfr. Kristeller 1907; Schreiber 1969-1976, vol. IX, pp. 237-244. e le xilografie del tedesco Hanns Paur. [28]Cfr. Hollstein 1954-, XXXI, pp. 94-95; Simor 1996, pp. 116-117. Più rara anche nelle stampe la cosiddetta raffigurazione “scenica”, che vuole esprimere attraverso le immagini il contenuto teologico di ciascuno degli articoli della professione di fede.

Ne esistono interessanti esemplari xilografici provenienti dalla Germania. [29]Vedasi 3 libri xilografici citati in Schiller 1980, p. 141; cfr. anche Field 1981, Catalogo nn. 92-99. Vanno segnalate in particolare una stampa tedesca dipinta a mano (1450/1470), attualmente al Metropolitan Museum di New York, [30]Cfr. Simor 1996, pp. 218-219. la serie di Jan Sadeler I [31]Cfr. Diels e Leesberg 2005, pp. 247-251. Questa serie è stata poi ripresa da diversi incisori successivi. e il ciclo di Daniel Hopfer (del 1522/1523), [32]Cfr. Schiller 1980, pp. 141-142; Boespflug 1990, p.73; A. Tacke in Monaco 2009-2010, pp. 349-350, n. 30. di cui ci occuperemo più sotto.

Le stampe inerenti il Credo si possono trovare sia sciolte che, frequentemente, all’interno di trattati o catechismi, quale strumento di tipo “didattico-catechetico”. Era infatti consuetudine dell’epoca fare uso di piccoli volumi illustrati, utili ai fini della diffusione di tematiche inerenti la religione quali le sacre scritture o i catechismi che, proprio grazie alle immagini – certo più comprensibili del testo scritto – erano fonte di insegnamento anche per i fedeli meno istruiti. Un discreto numero di esemplari circolava attraverso l’Europa, con particolare concentrazione proprio nelle aree di provenienza e di attività degli artisti che ci accingiamo a trattare.

Le stampe della Pinacoteca Nazionale

Nell’ambito di una più ampia indagine su tutto il territorio italiano, si è effettuata una ricerca all’interno della Raccolta del Gabinetto Disegni e Stampe della Pinacoteca bolognese, al fine di individuare incisioni nelle quali fosse presente, tramite iscrizioni o raffigurato in scene, il “Simbolo apostolico” [33]La ricerca, ovviamente, non ha escluso la possible presenza della raffigurazione di altre professioni di fede. Cfr. Mastacchi 2007, p. 129.. Si è proceduto all’indagine senza alcuna limitazione di autore o di epoca storica.

La ricerca ha portato all’individuazione di diverse incisioni, qui di seguito elencate:

Una stampa sciolta attribuita ad anonimo italiano [34]Cfr. Zucker 1999, pp. 182-183, n. .012; Hind 1938-1948 (I, p. 261) datava la stampa attorno al 1470-1480 e la collocava in ambito ferrarese. (PN 25188). Una stampa sciolta attribuita a Daniel Hopfer [35]Cfr. Bartsch 1803-1821, VIII, p. 482, n. 33; Koch 1981, p. 111, n. 33(482); Hébert 1982, pp. 199-200; Hollstein 1954-, XV, n. 36. (PN 8109) Una serie di 13 stampe sciolte attribuite a Hendrik Goltzius [36]Cfr. Bartsch 1803-1821, II, pp. 24-26, nn. 43-56; Strauss 1980, pp. 50-56, nn. 43 (24)-56 (26); Strauss 1982, pp. 50-62, nn. .043-.056; Secondo le indicazioni di Bartsch, il primo stato della stampa è senza iscrizione mentre il terzo stato ha il numero in cifre arabe. L'esemplare presente al Gabinetto Disegni e Stampe sarebbe quindi il secondo stato. Cfr. Anche Strauss 1977, 2, pp. 466-491, nn. 267-279. Questa serie, datata 1589, è presente – incompleta - anche nella Raccolta del Gabinetto Disegni e Stampe dell’Archiginnasio di Bologna (Cart. VI, 73-75; IX, 1-4; XIV, 125) ed ha avuto ampia diffusione in numerose raccolte europee. In Le Blanc 1970-1971 (I, p. 306, nn. 41-54) è citata una serie di apostoli con San Paolo a mezzo busto e numerati. Anche il Bartsch accorpa alla serie San Paolo (Strauss 1980, p. 56, n. 56 (25)). Sono quindi incomplete sia la serie presente all'Archiginnasio – mancano infatti il Cristo Benedicente, Pietro, Andrea , Bartolomeo, Mattia,, Paolo – che quella del Gabinetto Disegni e Stampe della Pinacoteca. (PN 9810, PN 9811, PN 9812, PN 9813, PN 9814, PN 9815, PN 9816, PN 9817, PN 9818, PN 9819, PN 9820, PN 9821, PN 9822) Una serie di 14 stampe sciolte, attribuite a Crispin De Passe senior [37]Cfr. Le Blanc 1970-1971, III, p. 148, nn. 164-177; Hollstein 1949-, XV, p. 161 (251). Le incisioni sono datate 1594. (PN 9608, PN 9609, PN 9610, PN 9611, PN 9612, PN 9613, PN 9614, PN 9615, PN 9616, PN 9617, PN 9618, PN 9619, PN 9620, PN 9621) Una serie di 13 stampe sciolte di Johan Bara [38]Questa serie si presenta priva del frontespizio. E’ presente anche nella Biblioteca Palatina di Parma. Cfr. De Ramaix 1998, pp. 268-285, n. .391 S2, .303 S2. (PN 9700, PN 9701, PN 9702, PN 9703, PN 9704, PN 9705, PN 9706, PN 9707, PN 9708, PN 9709, PN 9710, PN 9711, PN 9712) Una serie di 14 stampe sciolte, attribuite a Luca Ciamberlano [39]Cfr. Bellini e Carter Leach 1983, pp. 176-189, 1 (1-14) (55); Petrucci 1953, p. 194. Questa serie di stampe (datata 1616), deriva dagli esemplari di Marcantonio Raimondi, a loro volta ispirati a stampe di Marco Dente tratte da disegni di Raffaello. Per un riassuto relativo all'attribuzione, dibattuta, dei disegni, oltre che della problematica relativa al rapporto tra la serie di Marco Dente e quella di Marcantonio, cfr. Oberhuber 1984, p. 339; Landau e Parshall 1994, pp. 139-141; A. Gnann in Mantova e Vienna 1999, pp. 78-81. Cfr. inoltre, Imolesi Pozzi 2008, pp. 72-75, nn. 11-23. Per quanto ci consta, in Italia la serie di Ciamberlano si trova anche presso la Raccolta Bertarelli di Milano (Art. Cart. M 51,21-32), la Raccolta “Davoli” della Biblioteca Panizzi di Reggio Emilia (Catalogo generale nn. 8406-8419; inv. n. 4403-4415/1) la Biblioteca Casanatense (cat. 20.A.II.22/79-92) e l’Istituto Nazionale per la Grafica (Fondo Corsini: inv. FC 89467-89480, Volume 50H12; Calcografia Nazionale: inv. CL 2293, 9312-9324, Cartella 114). (PN 31214, PN 31215, PN 31216, PN 31217, PN 31218, PN 31219, PN 31220, PN 31221, PN 31222, PN 31223, PN 31224, PN 31225, PN 31226, PN 31227)

Fatta eccezione per la stampa di Daniel Hopfer, di cui tratteremo in seguito, tutte le incisioni individuate sono attribuibili alla cosiddetta tipologia iconografica “originaria” del Credo Apostolico, che pone in relazione ciascun apostolo con uno dei dodici versetti di questa professione di fede. In tre serie (vedi Ciamberlano: PN 31214, De Passe senior: PN 9608, Goltzius: PN 9810) la sequenza apostolica è preceduta da Cristo raffigurato quale Salvator Mundi; in due casi il Salvatore regge la sfera del mondo con la mano sinistra e con la destra benedice.

PN 9810(1) PN 9608 PN 9712 PN 31214

Figura 1: Goltzius Hendrick, Salvator Mundi, bulino, foglio smarginato, mm 162×113, inv. PN 9810 © Bologna, Pinacoteca Nazionale, Gabinetto Disegni e Stampe
Figura 2: Crispin De Passe il vecchio, Salvator Mundi, bulino, foglio smarginato, mm 142×96, inv. PN 9608 © Bologna, Pinacoteca Nazionale, Gabinetto Disegni e Stampe
Figura 3: Johan Bara, Cristo benedicente, acquaforte e bulino, foglio smarginato, mm 201×124, inv. PN 9712 © Bologna, Pinacoteca Nazionale, Gabinetto Disegni e Stampe
Figura 4: Luca Ciamberlano, Cristo benedicente, acquaforte, mm. 423×290, inv. PN 31214 © Bologna, Pinacoteca Nazionale, Gabinetto Disegni e Stampe

Nella serie di De Passe il Cristo è associato al testo di 1 Corinti 1,30: “Hic factus est nobis sapientia a Deo, iustitia, sanctificatio et redemptio”, [40]“(Cristo Gesù, il quale) per noi è diventato sapienza, per opera di Dio, giustizia, santificazione e redenzione”. mentre in Goltzius è posto in relazione con il mandato del Risorto agli apostoli riportato nel Vangelo di Marco (16,15-17): “Ite in mundum universum, et praedicate evangelium omni creaturae. Qui crediderit et baptizatus fuerit, salvus erit: qui vero non crediderit condemnabitur. Porro signa eos qui crediderint haec subsequentur. Per nomen meum daemonia eiicient, etc.”. [41]“Andate in tutto il mondo e proclamate il Vangelo a ogni creatura. Chi crederà e sarà battezzato sarà salvato, ma chi non crederà sarà condannato. Questi saranno i segni che accompagneranno quelli che credono: nel mio nome scacceranno demoni…”. Nella serie di Ciamberlano, che si rifà a stampe di Marcantonio Raimondi, Cristo (con il titolo di Salvator Mundi) è rappresentato per intero, incedente e benedicente, mentre regge il vessillo della vittoria con la mano sinistra. Nell’incisione di Johan Bara [42]De Ramaix 1998, pp. 268-285, nn. .391-.398. Questa serie di stampe si trova anche in prestigiose raccolte europee. (PN 9712) il Salvatore benedicente, a busto intero, è collegato alle parole presenti nel testo di Giovanni 20,21 (“Sicut misit me Pater, et ego mitto vos”) [43]“Come il Padre ha mandato me anch’io mando voi”. e nel già citato testo di Marco 16,15-17.

E’ evidente pertanto che in tutte queste serie di stampe, il collegio degli apostoli con i versetti del Credo è posto in relazione diretta con il mandato ricevuto da Cristo risorto, in ordine all’annuncio del Vangelo su tutta la terra. Il Credo è quindi considerato come un “compendio” della predicazione evangelica, elemento fondamentale dell’identità cristiana per i credenti di ogni luogo geografico.

Gli apostoli sono quasi sempre raffigurati con i loro attributi tipici, che per la maggioranza di essi sono relativi al martirio subito. [44]Cfr. Ciceri 2004; Lanzi e Lanzi 2007, pp. 53-71. Si differenzia in parte la serie di Bara. Mentre nel frontespizio [45]Cfr. De Ramaix 1998, pp. 268-269, n. .390. Mancante presso la Pinacoteca di Bologna. il martirio è raffigurato in piccoli riquadri sui bordi, nelle singole stampe gli apostoli sono collocati all’interno di un paesaggio più ricco e viene evidenziato l’aspetto “itinerante” della predicazione evangelica, oltre al legame con il “libro”. [46]E’ di frequente un attributo iconografico di sibille, profeti, evangelisti, apostoli, dottori della Chiesa e altri santi. Cfr. Hall 2007, p. 244-245; Heinz-Mohr 1995, pp. 201-203. Quest’ultimo tema si trova anche in tutte le stampe di Goltzius, in cui i Dodici sono in atteggiamento di meditazione o preghiera.

PN 9618

Crispin De Passe il vecchio, San Simone, bulino, foglio smarginato, mm 142×97, inv. PN 9618 © Bologna, Pinacoteca Nazionale, Gabinetto Disegni e Stampe

Per quanto riguarda l’ordine della sequenza apostolica, ferme restando le posizioni di Pietro (1° articolo), Andrea (2°), Simone (10°) e Mattia (12°), si osservano alcune variazioni rispetto alla sequenza più consueta. [47]Cfr. Heinz-Mohr 1995, pp. 46-48; Mastacchi 2007, pp. 31-42.

Goltzius e De Passe utilizzano un ordine identico: Pietro, Andrea, Giacomo maggiore, Giovanni, Filippo, Bartolomeo, Matteo, Tommaso, Giacomo minore, Simone, Taddeo, Mattia; mentre Bara e Ciamberlano in parte se ne discostano.

In Bara: Pietro, Andrea, Giovanni, Giacomo maggiore, Tommaso, Giacomo minore, Filippo, Bartolomeo, Taddeo, Simone, Matteo e Mattia.

In Ciamberlano: Pietro, Andrea, Giacomo maggiore, Giovanni, Tommaso, Giacomo minore, Filippo, Bartolomeo, Matteo, Simone, Taddeo, Mattia. In quest’ultima serie di stampe si ritrova l’ordine presente nel Sermo 240,1 dello “Pseudo-Agostino”, [48]Cfr. Mastacchi 2008a, pp. 115-116. che fra l’altro è quella del “Canone romano” della Messa ed è la più consueta. [49]Cfr. Gordon 1965. Rimane invece assai difficile comprendere il motivo delle variazioni presenti nelle altre incisioni, se non a partire da eventuali “fonti” cui gli “inventori” si potrebbero essere ispirati. [50]Cfr. Bühler 1953; Guyot 1993.

In tutte le serie di stampe indagate, fatta eccezione per Bara e Goltzius [51]Anche se esistono diverse edizioni in cui è presente, dopo i Dodici, anche Paolo; cfr. Strauss 1982, pp. 50-57., l’apostolo delle “genti” (Paolo) è aggiunto in ultima posizione, come peraltro si può osservare in numerose incisioni europee di questo tipo. [52]Paolo si trova come ultimo membro (al posto di Mattia) della serie degli Apostoli nelle stampe di Martin Schongauer (vedi nota 24). Versione alternativa è il suo inserimento in coda alla serie dei Dodici, come in Lucas Cranach (vedi nota 24), in Gerardus de Jode (Ruyven Zeman e Leesberg 2004, pp. 16-21, nn. 1141-1152), Hieronymus Wierix (Ruyven Zeman e Leesberg 2004, pp. 25-42) e Thomas de Leu (Linzeler 1932, I, p. 487 (nn. 129-142); Dumesnil 1868, vol. X, pp. 60, 206-219). Questa posizione ha evidentemente anche un carattere “cronologico”, relativo all’inizio del suo ministero. [53]Sebbene a lui coevo, non conobbe direttamente Gesù e, come tanti connazionali ebrei, avversava la nascente comunità cristiana, arrivando a perseguitarla direttamente. Secondo gli Atti degli Apostoli (9, 1ss) e nella testimonianza dello stesso Paolo (Galati 1,12-17) un giorno, mentre si recava da Gerusalemme a Damasco per perseguitare i cristiani della città, venne accecato da una luce e si sentì chiamato da Gesù risorto a cambiare vita e mettersi a servizio dell’annuncio del Vangelo. Divenne infatti l’”Apostolo delle genti”.

Di particolare interesse la stampa del sec. XV raffigurante l’apostolo ed evangelista Giovanni seduto in trono insieme all’iscrizione del 5° articolo del Credo, riguardante la “discesa agli inferi e risurrezione” di Cristo (PN 25188). Sorprende che, almeno per quanto è dato sapere nell’ambito dell’arte italiana, Giovanni non sia praticamente mai associato a questo articolo di fede, mentre è di frequente abbinato a quello precedente. [54]Cfr. Mastacchi 2008a., pp. 26-29.

PN 31214

Luca Ciamberlano, San Paolo (dalla serie: Cristo e gli Apostoli), acquaforte, mm. 423×29, inv. 31227 © Bologna, Pinacoteca Nazionale, Gabinetto Disegni e Stampe

Non è dato sapere se si tratti di una raffigurazione singola o se facesse parte di una serie, ma occorre fare una precisazione di possibile interesse. Nel primo Rinascimento [55]Cfr. Heinz-Mohr 1995, pp. 180-184; Hall 2007, p. 214. si inizia a diffondere un’iconografia analoga alla presente che raffigura apostoli e santi seduti in trono a fianco di Cristo Giudice, come se partecipassero in un qualche modo a questa sua attività. La stampa – in questo caso sciolta – potrebbe quindi aver fatto in origine parte di una serie di soggetto similare. L’Apostolo Giovanni è spesso raffigurato seduto in trono nell’atto di scrivere in quanto evangelista; nella stampa il santo viene infatti raffigurato con la penna nella mano destra secondo la sua tradizionale iconografia [56]Cfr. Hall 2007, pp. 207-208. e seduto in trono, in accordo con un’impostazione piuttosto diffusa in ambito ferrarese.

Le serie fin qui passate in rassegna presentano caratteristiche comuni che ci permettono di tracciare le linee guida della raffigurazione del Credo di ascendenza cattolica. Poniamo ora lo sguardo sull’esemplare realizzato da Daniel Hopfer, che appartiene alla raffigurazione cosiddetta “scenica” e merita un’analisi più attenta.

Il Credo di Daniel Hopfer

L’esemplare (PN 8109) si colloca agli inizi della Riforma luterana [57]La sua realizzazione risalirebbe al terzo decennio del Cinquecento, periodo immediatamente successivo ai tumulti provocati da Martin Lutero, caratterizzato perciò da una grande instabilità nel mondo cristiano. e nell’ambito della raffigurazione “scenica” del Credo; ciascuno degli articoli del “Simbolo apostolico” è narrato attraverso piccole scene che vogliono renderne il contenuto teologico-dottrinale in modo accessibile.

PN 8109

Daniel Hopfer, Il Credo, acquaforte, foglio smarginato, mm. 314×443, inv. PN 8109 © Bologna, Pinacoteca Nazionale, Gabinetto Disegni e Stampe

I 12 riquadri sono raccolti in un unico foglio e disposti su 3 registri, e sono da leggersi da sinistra verso destra così come avviene di fronte ad un testo scritto. Sopra ogni scena si trova il nome di un apostolo (a cui è associato ciascun versetto del Credo apostolico). Le frasi a commento di ciascuna scena presentano forti analogie con il cosiddetto “Piccolo catechismo” di Lutero. [58]Cfr. Schiller 1980, p. 142; Wegner 1957; Muller 1993. E’ noto che, a partire da Lutero stesso, il Simbolo Apostolico fu collocato al centro della catechesi riformata (unitamente al Decalogo e al Padre Nostro), come si può rilevare sia nel “Piccolo” che nel “Grande catechismo”. Questo compendio della fede viene considerato infatti il “minimo” essenziale che ciascun fedele è tenuto a credere.

Tuttavia, pur conservando la suddivisione in 12 articoli, Lutero ha privilegiato una ripartizione tripartita: Dio Padre (collegato al tema della Creazione), il Figlio (la Redenzione), lo Spirito Santo (la Santificazione). Proprio per questo motivo nelle prime edizioni dei catechismi di Lutero la professione di fede apostolica fu proposta in 3 articoli fondamentali e illustrata prevalentemente da tre incisioni: il Padre con la creazione, il Figlio con la crocifissione e lo Spirito Santo con l’episodio della Pentecoste. Tuttavia la suddivisione in 12 articoli (associati agli apostoli) venne mantenuta nelle incisioni riformate su stampe sciolte, quale è quella da noi qui considerata. [59]Cfr. Harasimowicz 1993.

Occorre altresì precisare che, per quanto legata alla tradizione luterana, la stampa viene ideata in anni in cui le dispute dottrinali sono nel pieno del loro fervore e le fratture interne al mondo cristiano non sono ancora definitive. Un artista come Hopfer, per di più, per quanto edotto e supportato da una committenza istruita, non poteva essere un esperto di questioni dottrinali e ciò può averlo indotto in piccoli errori e imprecisioni che hanno portato alla realizzazione di un’opera per certi versi enigmatica. Così come per altri casi, [60]Cfr. Clifton 1998, p. 395. dalla stampa pare trasparire una varietà di fonti da cui l’artista attinse: Aristotele e Lutero senza dimenticare, ovviamente, la catechesi cattolica tradizionale. Questa stessa eterogeneità dimostra quanto viva fosse la curiosità dell’artista e di chi, accanto a lui, seguì la realizzazione dell’acquaforte di cui ora analizzeremo le singole parti.

L’ordine degli Apostoli segue quello del Canone romano e del Sermo 240,1 dello “Pseudo-Agostino”, cioè il più consueto.

Vista nel complesso, la stampa si può riallacciare alla catechesi luterana anche nell’impostazione delle immagini: la divisione su tre registri richiama anche al primo colpo d’occhio l’idea della Trinità che tanto era cara in ambito protestante, motivo che ricorre poi nelle singole scene sotto forme analoghe ma volta per volta differenziate.

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Daniel Hopfer, Il Credo, 1° articolo (La Creazione), acquaforte, foglio smarginato, mm. 314×443, inv. PN 8109 © Bologna, Pinacoteca Nazionale, Gabinetto Disegni e Stampe

La prima immagine, inerente a Dio creatore (e collegata a Pietro), viene resa attraverso la raffigurazione del mondo creato in cerchi concentrici, alludendo alle sfere aristoteliche. Si tratta di una rappresentazione che si distacca dalla modalità più consueta di raffigurare la creazione, [61]Cfr. Buschi 1999; Bianchi 1999. anche se a fianco viene rappresentato Dio come Padre Benedicente, con la mano destra alzata.

L’articolo (2°) riguardante Gesù Cristo, Figlio di Dio, viene narrato attraverso una particolare rappresentazione della Trinità: il Padre e lo Spirito Santo osservano dall’alto il Figlio che ha momentaneamente abbandonato a terra il proprio copricapo per accogliere la corona di spine e farsi Cristo crocifero. La posizione centrale viene però mantenuta dal monogramma “JHS” [62]“Jesus Hominum Salvator”, in tedesco “Jesus Heiland Seligmacher”; cfr. Heinz-Mohr 1995, pp. 191-192. che fin dalla più antica tradizione cattolica simboleggia Gesù. La corona del Figlio “inviato” sulla terra (così come la sfera del mondo), rimane pertanto collocata nei cieli; a tutta la scena assistono angeli. L’iscrizione dell’apostolo è quella di Andrea.

Questa scena mostra con efficacia l’inscindibile rapporto esistente tra Trinità divina e Incarnazione, espresso attraverso l’intreccio fra uno schema orizzontale ed uno verticale. [63]Cfr. Iacobone 1997, pp. 159-230, 246-252.

Gli articoli 3°, 4° e 5° (rispettivamente collegati a Giacomo maggiore, Giovanni e Tommaso), presentano tutti una duplice scena.

L’articolo riguardante l’Incarnazione è reso mediante le scene dell’Annunciazione e della Natività rappresentate secondo un’iconografia tradizionale: a sinistra la Madonna – ma senza il giglio simbolo della sua verginità – colta di sorpresa dall’angelo mentre è intenta nella lettura; a destra la Sacra Famiglia.

Per la Passione, morte e sepoltura sono raffigurate la crocifissione, la deposizione (ambedue raccolte in un’unica scena) e la sepoltura. La Discesa agli inferi e la Risurrezione sono presentate distinte nel quinto riquadro, secondo canoni iconografici abbastanza consueti per l’epoca. [64]Ferrari 2004; Felici 2004.

L’articolo dell’Ascensione (6°), associato a Giacomo minore, si mostra quasi speculare al secondo; qui è il Risorto, con il vessillo della vittoria, che sale per sedersi alla destra del Padre. In bella evidenza il mistero trinitario, di nuovo reso attraverso tre personaggi coronati e che si osservano reciprocamente. In questo caso il Padre è al centro, il Figlio alla sua destra, con la spada e il giglio, lo Spirito Santo alla sinistra con la colomba e il globo.

Abbastanza inusuale è la scena del ritorno di Cristo come giudice, alla fine dei tempi (7° articolo, collegato a Filippo).

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Daniel Hopfer, Il Credo, 7°articolo (Il Giudizio universale), acquaforte, foglio smarginato, mm. 314×443, inv. PN 8109 © Bologna, Pinacoteca Nazionale, Gabinetto Disegni e Stampe

Il Cristo, di nuovo con la spada [65]Da solo è simbolo della sovranità e del giudizio. Cfr. Heinz-Mohr 1995, p. 322. e il giglio, [66]Solitamente è simbolo dell’innocenza e dell’elezione, cfr. Heinz-Mohr 1995, p. 172. Tuttavia i due simboli (spada e giglio) possono comparire a volte ai lati del Cristo giudice, indicando il colpevole e l’innocente. Cfr. Hall 2007, p. 214. si trova in una sorta di “cielo di nuvole” a forma di cerchio, circondato da 14 personaggi. In questo caso si può richiamare quanto detto sulla stampa realizzata dall’anonimo del sec. XV (PN 25188), ampliando il discorso dal solo evangelista Giovanni ad un più nutrito gruppo di personaggi. Cristo Giudice è infatti anche qui affiancato da Apostoli e Santi che, seduti al suo fianco, sembrano interagire fra loro come stessero prendendo importanti decisioni. Al di sotto si trovano i giusti e i dannati, radunati gli uni da angeli e gli altri da demoni.

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Daniel Hopfer, Il Credo, 8°articolo (Lo Spirito Santo), acquaforte, foglio smarginato, mm. 314×443, inv. PN 8109 © Bologna, Pinacoteca Nazionale, Gabinetto Disegni e Stampe

La terza parte del Credo si apre con la professione di fede nello Spirito Santo (8° articolo, abbinato a Bartolomeo); l’autore rende la “discesa” dello Spirito Santo in modo analogo a quanto visto per la “discesa” del Figlio. Qui si tratta di un personaggio coronato, che tiene nella mano destra una colomba irraggiante luce e nella sinistra il fuoco; è collocato al centro e in basso nella scena, in mezzo ad angeli. Si tratta di un’insolita rappresentazione della Pentecoste, che sorprendentemente esclude la Vergine e gli Apostoli, ma che è comprensibile se collocata nel contesto teologico della Riforma luterana.

Molto suggestiva l’immagine della “Comunione dei santi” (9° versetto – Matteo); lo Spirito Santo, in forma di colomba, aleggia su di una folla di personaggi aureolati. Si tratta di un popolo multiforme, di varia età e strato sociale, in cui sono chiaramente visibili anche oggetti quali alabarde e falci. [67]La Schiller ha voluto vedere in questa scena un’indicazione dell’adesione popolare alla dottrina luterana (Cfr. Schiller 1980, p. 142). Riteniamo tuttavia che questo aspetto andrebbe ulteriormente approfondito e chiarito. Ci pare infatti che questa scena sia più che altro conforme a quanto afferma Lutero nel suo “Grande catechismo”: “(…) credo che sulla terra ci sia un santo gruppetto, una santa comunità, composta da soli santi, sotto un unico capo, Cristo, raccolta dallo Spirito santo, in una [sola] fede, un [solo] sentire e un [solo] pensare; con molteplicità di doni, tuttavia concorde nell’amore, senza fazioni e divisione. Di questa comunità sono parte o membro, e partecipo e usufruisco di tutti i suoi beni” (cfr. Ferrario 1998, p. 242).

La “Remissione dei peccati” (10° articolo – Simone) è resa attraverso una bella scena del battesimo di un bambino, presso il fonte battesimale e su cui aleggia la colomba dello Spirito. Nel Medioevo tuttavia è più frequente la raffigurazione di questo articolo in relazione piuttosto al sacramento della penitenza; ovviamente questo è assente nella teologia e catechesi della Riforma, che non riconosce alla Confessione la dignità di sacramento istituito da Cristo.

La “Risurrezione della carne” (11° articolo, come di consueto associato a Giuda Taddeo) presenta una scena che si colloca nella linea di altre raffigurazioni analoghe, nell’ambito delle cosiddette “arti maggiori”. [68]Cfr. Hall 2007, pp. 214-215; Mastacchi 2008a, pp. 111, 119; Caciorgna e Guerrini 2007, pp. 226, 253,256-257. Al suono delle trombe da parte degli angeli i morti sorgono dai sepolcri, affollandosi poi in due gruppi distinti, ai lati della scena.

L’ultimo articolo, associato all’apostolo Mattia, ci mostra la contemplazione della Trinità da parte della schiera dei beati. Si nota una notevole analogia con la scena del 6° articolo, riguardante l’Ascensione di Cristo alla destra del Padre.

Osservando la serie nel suo insieme pare che, dopo il primo riquadro che si differenzia rispetto agli altri, la sequenza abbia un filo conduttore che dalla seconda scena (in cui è rappresentato Cristo all’inizio della sua Passione) si snoda con un susseguirsi di episodi che conducono via via alla gloria della risurrezione e alla maestà del mistero trinitario, da dove il Salvatore era “disceso” nel mistero dell’Incarnazione. Sembra quasi che Hopfer ne abbia voluto celebrare la rivincita sul peccato e sulla morte, concludendo questa narrazione figurata nel rappresentarlo come “Christus triumphans”.

Conclusioni

L’indagine effettuata all’interno della raccolta del GDS della Pinacoteca bolognese, pur con tutti i suoi limiti, conferma sostanzialmente quanto rilevato dagli studiosi a livello più generale.

Da un lato si nota che la raffigurazione cosiddetta “originaria” del “Credo apostolico”, nella quale i Dodici (con la frequente aggiunta di San Paolo) sono associati ai 12 articoli di fede professati, è la più frequente e diffusa, come avviene per le cosiddette “arti maggiori”.

Attraverso questa tipologia iconografica si vuole sottolineare soprattutto la natura “apostolica” del Credo, evidenziando i “messaggeri” più che spiegare il “messaggio”. [69]Cfr. Boespflug 1990, pp. 79-84; Mastacchi 2007, pp. 129-133.

Semmai, va notato che la tecnica della stampa ha permesso una maggiore ricchezza di particolari nella scenografia dello sfondo e nella raffigurazione dei soggetti, come risulta anche dalla nostra indagine.

I casi di raffigurazione “scenica”, pertanto, sono assai rari pur essendo certamente i più significativi anche dal punto di vista artistico, oltre che didattico.

Nella Pinacoteca di Bologna ne abbiamo trovato un esemplare che ha avuto grande diffusione e che, pur realizzato in un unico foglio di non grandi dimensioni, è di notevole interesse.

Alcune delle sue scene, come più sopra descritto, presentano soluzioni originali, che in parte si discostano dall’iconografia più tradizionale e certamente sono da riferirsi alla riflessione teologica della Riforma.

Va sottolineato che nella raccolta bolognese emerge la presenza di stampe provenienti dal Nord-Europa, più attivo su questo soggetto iconografico, come confermato dai pur pochi studi specifici esistenti in letteratura. [70]Cfr. Simor 1996, pp. 218ss.

L’insieme delle stampe studiate si colloca in un arco temporale che va dalla fine del sec. XV all’inizio del XVII, con una prevalenza degli ultimi decenni del ‘500, proprio all’inizio di quel periodo che viene denominato “Controriforma”, con l’influsso che ebbe sull’arte cattolica. [71]Cfr. Van Laarhoven 1999, pp. 227-274. Non va dimenticato, tuttavia, che anche gli artisti legati alle comunità riformate dedicarono una notevole attenzione a questo tema iconografico [72]Cfr. Harasimowicz 1993, pp. 237-246. e la stessa bella acquaforte di Hopfer ne è una conferma.

Lo studio presentato vuole essere un contributo all’approfondimento di questo tema iconografico in un ambito, quale quello delle stampe, che deve essere ancora ampiamente esplorato e che, oltre a riservare interessanti sorprese dal punto di vista artistico, può dirci molto sulla diffusione del “Credo apostolico” nella predicazione e nella vita di fede europea (soprattutto dei secoli XVI e XVII), sia in ambito cattolico che riformato.

Note

[1] Cfr. Kelly 1987, pp. 29ss.
[2] Cfr. Righetti 1959, vol. IV, pp. 74-76,79; Cavallotto 1996, pp. 79ss; Gavrilyuk 2007; Mastacchi 2004.
[3] Cfr. De Ghellinck 1949; Westra 2002, pp. 21-68.
[4] Cfr. Mezzadri 2001, vol. I, pp. 248-261; La Rosa 1991, pp. 131-136; Longère 1991.
[5] Mastacchi 2007, p. 25.
[6] Come riportato nei due Sermoni dello Pseudo-Agostino: Sermo 240, 1 (Patrologia Latina 39, 2189) e Sermo 241,1 (Patrologia Latina 39, 2190). Cfr. De Lubac 1970, pp. 23-59; Mastacchi 2008a, pp. 115-116.
[7] Cfr. Künstle 1928, vol. I, pp. 181-184; Van Os 1968; Schiller 1980, vol. IV (1), pp. 134-147.
[8] Adottiamo la classificazione proposta dal polacco Prof. Ryszard Knapiński. Cfr. Knapiński 2003.
[9] Cfr. Mâle 1949, pp. 246-253.
[10] Cfr. Knapiński 2003, pp. 29-33; Mastacchi 2007, pp. 43-47; Mastacchi 2008a, pp. 41-45, 92-93; Mastacchi 2008b.
[11] Cfr. Boespflug 1990; Mastacchi 2007, pp. 65-74; Mastacchi 2008a, pp. 63-72.
[12] Cfr. Mastacchi 2008a, pp. 47-61.
[13] Cfr. Knapiński 2003, p. 11.
[14] Cfr. Lacroix 1989, pp. 83-120; Pensée 1993, pp. 81-267.
[15] Cfr. Mastacchi 2007; Mastacchi 2008a.
[16] Cfr. Landau e Parshall, 1994, pp.1-2.
[17] Vedi il caso del Credo presente al Museo di Écouen, in Francia; si tratta di una serie di pannelli scolpiti, a partire da una serie di incisioni di Martin De Vos, raffiguranti il Simbolo apostolico. Cfr. Thirion 1978; Lacroix e Renon 1994.
[18] Stampe presenti in diverse collezioni (fra cui l’Albertina di Vienna, la Biblioteca Nazionale di Parigi, il Museo di Boston e la Rosenwald Collection di New York). Cfr. Shestack 1967, Catalogo nn. 27-28; Lehrs, 1969, I, pp.220-225; ibidem, vol. II, pp. 167-175; Hébert 1982, vol. I, p. 48; Hutchison 1980, pp. 43-48, nn. 30(19) – 40(19) + 41(20) – 46(20) + 47(21) – 49(21).
[19] Cfr. Hollstein 1949-, XII, pp. 92-93; Lehrs 1969, III, pp. 94-100.
[20] Cfr. Lehrs 1969, IV, pp. 80-89; Hollstein 1949-, XII, pp. 43-44.
[21] Da citare una serie (in cui è mancante Tommaso), custodita a Londra in forma completa: cfr. Hollstein 1954-, XV, pp. 100-102; Lehrs 1969, IX, pp. 222-225. Inoltre una serie, con personaggi a coppie e relativi versetti del Credo apostolico, presente in diverse raccolte (ad es. British Museum di Londra, Biblioteca Nazionale di Parigi e Rosenwald Collection di New York). Interessante il particolare che, col procedere del testo del Credo, le immagini divengono sempre più tridimensionali. Cfr. Hollstein 1949-, XXIV, pp. 115ss; Hutchison 1991, pp. 80-85, nn. 79(228) – 83(228) + 83(229); Lehrs 1969, IX, pp. 245-249; Van der Stock 2002, pp. 110-111.
[22] Cfr. De Ramaix 2001, pp. 79-83, nn. .278-285.
[23] Cfr. Hollstein 1949-, VII, p. 184; Simor 1996, p. 116.
[24] Non vanno dimenticate, ad esempio, le serie di Martin Schongauer (cfr. Lehrs 1969, V, pp. 205-206; Le Blanc 1970-1971, IV, p. 467, n. 34), Lucas Cranach il vecchio (cfr. Falk 1980, pp. 341-354) e Adriaen II Collaert (cfr. Diels e Leesberg 2005, pp. 221-241).
[25] Cfr. Simor 1996, p. 117.
[26] Come nel caso di una serie di Martino Rota, datata 1569. Cfr. Zerner 1979, p.24, n. 16 (254).
[27] Cfr. Kristeller 1907; Schreiber 1969-1976, vol. IX, pp. 237-244.
[28] Cfr. Hollstein 1954-, XXXI, pp. 94-95; Simor 1996, pp. 116-117.
[29] Vedasi 3 libri xilografici citati in Schiller 1980, p. 141; cfr. anche Field 1981, Catalogo nn. 92-99.
[30] Cfr. Simor 1996, pp. 218-219.
[31] Cfr. Diels e Leesberg 2005, pp. 247-251. Questa serie è stata poi ripresa da diversi incisori successivi.
[32] Cfr. Schiller 1980, pp. 141-142; Boespflug 1990, p.73; A. Tacke in Monaco 2009-2010, pp. 349-350, n. 30.
[33] La ricerca, ovviamente, non ha escluso la possible presenza della raffigurazione di altre professioni di fede. Cfr. Mastacchi 2007, p. 129.
[34] Cfr. Zucker 1999, pp. 182-183, n. .012; Hind 1938-1948 (I, p. 261) datava la stampa attorno al 1470-1480 e la collocava in ambito ferrarese.
[35] Cfr. Bartsch 1803-1821, VIII, p. 482, n. 33; Koch 1981, p. 111, n. 33(482); Hébert 1982, pp. 199-200; Hollstein 1954-, XV, n. 36.
[36] Cfr. Bartsch 1803-1821, II, pp. 24-26, nn. 43-56; Strauss 1980, pp. 50-56, nn. 43 (24)-56 (26); Strauss 1982, pp. 50-62, nn. .043-.056; Secondo le indicazioni di Bartsch, il primo stato della stampa è senza iscrizione mentre il terzo stato ha il numero in cifre arabe. L'esemplare presente al Gabinetto Disegni e Stampe sarebbe quindi il secondo stato. Cfr. Anche Strauss 1977, 2, pp. 466-491, nn. 267-279. Questa serie, datata 1589, è presente – incompleta - anche nella Raccolta del Gabinetto Disegni e Stampe dell’Archiginnasio di Bologna (Cart. VI, 73-75; IX, 1-4; XIV, 125) ed ha avuto ampia diffusione in numerose raccolte europee. In Le Blanc 1970-1971 (I, p. 306, nn. 41-54) è citata una serie di apostoli con San Paolo a mezzo busto e numerati. Anche il Bartsch accorpa alla serie San Paolo (Strauss 1980, p. 56, n. 56 (25)). Sono quindi incomplete sia la serie presente all'Archiginnasio – mancano infatti il Cristo Benedicente, Pietro, Andrea , Bartolomeo, Mattia,, Paolo – che quella del Gabinetto Disegni e Stampe della Pinacoteca.
[37] Cfr. Le Blanc 1970-1971, III, p. 148, nn. 164-177; Hollstein 1949-, XV, p. 161 (251). Le incisioni sono datate 1594.
[38] Questa serie si presenta priva del frontespizio. E’ presente anche nella Biblioteca Palatina di Parma. Cfr. De Ramaix 1998, pp. 268-285, n. .391 S2, .303 S2.
[39] Cfr. Bellini e Carter Leach 1983, pp. 176-189, 1 (1-14) (55); Petrucci 1953, p. 194. Questa serie di stampe (datata 1616), deriva dagli esemplari di Marcantonio Raimondi, a loro volta ispirati a stampe di Marco Dente tratte da disegni di Raffaello. Per un riassuto relativo all'attribuzione, dibattuta, dei disegni, oltre che della problematica relativa al rapporto tra la serie di Marco Dente e quella di Marcantonio, cfr. Oberhuber 1984, p. 339; Landau e Parshall 1994, pp. 139-141; A. Gnann in Mantova e Vienna 1999, pp. 78-81. Cfr. inoltre, Imolesi Pozzi 2008, pp. 72-75, nn. 11-23. Per quanto ci consta, in Italia la serie di Ciamberlano si trova anche presso la Raccolta Bertarelli di Milano (Art. Cart. M 51,21-32), la Raccolta “Davoli” della Biblioteca Panizzi di Reggio Emilia (Catalogo generale nn. 8406-8419; inv. n. 4403-4415/1) la Biblioteca Casanatense (cat. 20.A.II.22/79-92) e l’Istituto Nazionale per la Grafica (Fondo Corsini: inv. FC 89467-89480, Volume 50H12; Calcografia Nazionale: inv. CL 2293, 9312-9324, Cartella 114).
[40] “(Cristo Gesù, il quale) per noi è diventato sapienza, per opera di Dio, giustizia, santificazione e redenzione”.
[41] “Andate in tutto il mondo e proclamate il Vangelo a ogni creatura. Chi crederà e sarà battezzato sarà salvato, ma chi non crederà sarà condannato. Questi saranno i segni che accompagneranno quelli che credono: nel mio nome scacceranno demoni…”.
[42] De Ramaix 1998, pp. 268-285, nn. .391-.398. Questa serie di stampe si trova anche in prestigiose raccolte europee.
[43] “Come il Padre ha mandato me anch’io mando voi”.
[44] Cfr. Ciceri 2004; Lanzi e Lanzi 2007, pp. 53-71.
[45] Cfr. De Ramaix 1998, pp. 268-269, n. .390. Mancante presso la Pinacoteca di Bologna.
[46] E’ di frequente un attributo iconografico di sibille, profeti, evangelisti, apostoli, dottori della Chiesa e altri santi. Cfr. Hall 2007, p. 244-245; Heinz-Mohr 1995, pp. 201-203.
[47] Cfr. Heinz-Mohr 1995, pp. 46-48; Mastacchi 2007, pp. 31-42.
[48] Cfr. Mastacchi 2008a, pp. 115-116.
[49] Cfr. Gordon 1965.
[50] Cfr. Bühler 1953; Guyot 1993.
[51] Anche se esistono diverse edizioni in cui è presente, dopo i Dodici, anche Paolo; cfr. Strauss 1982, pp. 50-57.
[52] Paolo si trova come ultimo membro (al posto di Mattia) della serie degli Apostoli nelle stampe di Martin Schongauer (vedi nota 24). Versione alternativa è il suo inserimento in coda alla serie dei Dodici, come in Lucas Cranach (vedi nota 24), in Gerardus de Jode (Ruyven Zeman e Leesberg 2004, pp. 16-21, nn. 1141-1152), Hieronymus Wierix (Ruyven Zeman e Leesberg 2004, pp. 25-42) e Thomas de Leu (Linzeler 1932, I, p. 487 (nn. 129-142); Dumesnil 1868, vol. X, pp. 60, 206-219).
[53] Sebbene a lui coevo, non conobbe direttamente Gesù e, come tanti connazionali ebrei, avversava la nascente comunità cristiana, arrivando a perseguitarla direttamente. Secondo gli Atti degli Apostoli (9, 1ss) e nella testimonianza dello stesso Paolo (Galati 1,12-17) un giorno, mentre si recava da Gerusalemme a Damasco per perseguitare i cristiani della città, venne accecato da una luce e si sentì chiamato da Gesù risorto a cambiare vita e mettersi a servizio dell’annuncio del Vangelo. Divenne infatti l’”Apostolo delle genti”.
[54] Cfr. Mastacchi 2008a., pp. 26-29.
[55] Cfr. Heinz-Mohr 1995, pp. 180-184; Hall 2007, p. 214.
[56] Cfr. Hall 2007, pp. 207-208.
[57] La sua realizzazione risalirebbe al terzo decennio del Cinquecento, periodo immediatamente successivo ai tumulti provocati da Martin Lutero, caratterizzato perciò da una grande instabilità nel mondo cristiano.
[58] Cfr. Schiller 1980, p. 142; Wegner 1957; Muller 1993.
[59] Cfr. Harasimowicz 1993.
[60] Cfr. Clifton 1998, p. 395.
[61] Cfr. Buschi 1999; Bianchi 1999.
[62] “Jesus Hominum Salvator”, in tedesco “Jesus Heiland Seligmacher”; cfr. Heinz-Mohr 1995, pp. 191-192.
[63] Cfr. Iacobone 1997, pp. 159-230, 246-252.
[64] Ferrari 2004; Felici 2004.
[65] Da solo è simbolo della sovranità e del giudizio. Cfr. Heinz-Mohr 1995, p. 322.
[66] Solitamente è simbolo dell’innocenza e dell’elezione, cfr. Heinz-Mohr 1995, p. 172. Tuttavia i due simboli (spada e giglio) possono comparire a volte ai lati del Cristo giudice, indicando il colpevole e l’innocente. Cfr. Hall 2007, p. 214.
[67] La Schiller ha voluto vedere in questa scena un’indicazione dell’adesione popolare alla dottrina luterana (Cfr. Schiller 1980, p. 142). Riteniamo tuttavia che questo aspetto andrebbe ulteriormente approfondito e chiarito. Ci pare infatti che questa scena sia più che altro conforme a quanto afferma Lutero nel suo “Grande catechismo”: “(…) credo che sulla terra ci sia un santo gruppetto, una santa comunità, composta da soli santi, sotto un unico capo, Cristo, raccolta dallo Spirito santo, in una [sola] fede, un [solo] sentire e un [solo] pensare; con molteplicità di doni, tuttavia concorde nell’amore, senza fazioni e divisione. Di questa comunità sono parte o membro, e partecipo e usufruisco di tutti i suoi beni” (cfr. Ferrario 1998, p. 242).
[68] Cfr. Hall 2007, pp. 214-215; Mastacchi 2008a, pp. 111, 119; Caciorgna e Guerrini 2007, pp. 226, 253,256-257.
[69] Cfr. Boespflug 1990, pp. 79-84; Mastacchi 2007, pp. 129-133.
[70] Cfr. Simor 1996, pp. 218ss.
[71] Cfr. Van Laarhoven 1999, pp. 227-274.
[72] Cfr. Harasimowicz 1993, pp. 237-246.

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Indice
Roberto Mastacchi e Arianna Scaburri
La raffigurazione del “Credo apostolico” nelle stampe: un’indagine attraverso le opere della Pinacoteca Nazionale di Bologna
Introduzione Le stampe della Pinacoteca Nazionale Il Credo di Daniel Hopfer Conclusioni Note Bibliografia Repertorio delle Stampe Scarica la versione in PDF