Blasoneria d’araldica piumante. Un libro di disegni del XVII secolo della Pinacoteca Nazionale di Bologna
Miroir de noblesse
Leggero e monumentale come una macchinazione di sapore amenissimo – ma anche robustosa et forte, vista la destinazione celebrativa, volta alla gloria delle eccellenze guerriere, ancorchè simulate nel gioco del torneo – l’impressionante carosello [1]Carosello è il termine giusto. Come specifica Franco Cardini, il fatto che il grande spettacolo cavalleresco barocco sia non piu’ né la giostra né il torneo, bensì il carosello, conferma l’impressione che dal “campo chiuso” non si cessava mai di guardare con interesse a quel che accadeva “in campo aperto”, verso i caratteri di una ritualità spettacolare. Cardini 1986, pp. 17-26. Su differenze, strutture e tipologie di giostra e torneo cfr. Foligno 1986, p. 67 e p. 78. Per una panoramica generale, anche Civiltà del Torneo 1990. di elmi piumati che si conserva sotto forma di cahier di fogli sciolti presso il Gabinetto Disegni e Stampe della Pinacoteca Nazionale di Bologna seduce per impeto di grazia vorticante, squadernando una carambola scenografica di tale e stupefacente varietà da richiedere una nota di approfondimento.
I disegni, eseguiti su carta di almeno due tipi diversi e riferibile al Seicento – malgrado non siano rilevabili filigrane leggibili – sono realizzati ad acquerello, con colori quali azzurrite nelle campiture blu, indaco mescolato ad azzurrite e nero carbone nei grigi (per esempio il metallo dell’elmo), minio e vermilione nelle campiture rosse di cui il minio mescolato a bianco di piombo per i toni più chiari aranciati, vermilione puro per le ombre e gli scuri. I fogli sono riconducibili presumibilmente ad una produzione di bottega rivelata dall’esecuzione non sempre raffinata e dalla presenza di almeno due mani diverse. [2]Filigrane diverse, di forma tonda, ma tagliate per più di due terzi, sono presenti sui fogli inv. 4565, 4551 e 4538. I pigmenti sono stati identificati mediante microspettroscopia Raman, l’analisi è stata eseguita nel Laboratorio Scientifico della Soprintendenza B.S.A.E. di Bologna da Diego Cauzzi sui fogli inv. 4504 e 5410. Ringrazio di cuore Elena Rossoni –amica di una vita, attuale Direttrice del GDS- per avermi assegnato questo studio. Così stravagante, così intimamente vicino alle mie “piumate” corde. E per avermi comunicato le sopracitate indicazioni tecniche.
Non convince infatti l’attribuzione a Baccio del Bianco (geniale factotum: architetto, ingegnere, scenografo, decoratore e caricaturista) che Giovanna Gaeta Bertelà avanzò in anni ormai lontani, come se la composizione – sebbene implicata con la fiorentinità, come si vedrà in seguito- fosse piuttosto di mano locale. [3]G. Gaeta Bertelà in Bologna 1976-1977, p. 27. E sebbene non vi siano altri nomi da avanzare, si propone qui di seguito una visione d’insieme particolarmente mirata all’area bolognese, a partire da alcuni singolari intrecci che costituiscono – a mio parere – l’ossatura portante dell’intero gioiello grafico.
Analogamente al celeberrimo Libro del Sarto (anonimo repertorio di bottega milanese attiva in città nella seconda metà del XVI secolo, che riporta figurini di ogni genere, con ogni evidenza destinati ad essere realizzati dall’anonimo sarto e dal suo entourage, per numerose occorrenze: abiti civili, mascheramenti per giostre e tornei, bardature e finimenti per cavalli, ricami, decori, progetti scenografici, disegni in pianta per tende e padiglioni, disegni in piano con le sagome degli abiti da tagliare, e molto altro ancora), [4]Il manoscritto –conservato in esemplare unico presso la Biblioteca Querini Stampalia di Venezia- ci permette di entrare nell’universo lavorativo di una “bottega” artigianale lombarda di metà ‘500, ripercorrendo le complesse attività scenografiche e vestimentarie che tennero impegnata la città per oltre un trentennio, tra parate e mondanità. Tra queste, l’entrata in Milano di Filippo II, occasione di sfoggio e ritualità in cui la progettazione dei costumi per figuranti e scenografie di complemento fu al servizio del magnificat per il futuro imperatore. Tre sono infatti i modelli che si rintracciano lungo le pagine, dando vita ad una compatta unità stilistica; la corte asburgica, la nobiltà spagnola, la nobiltà milanese (Il Libro del Sarto 1987). anche con questo anonimo Libro degli elmi piumati siamo di fronte a una visione trasfigurante del cavaliere catafratto senza macchia e senza paura; ma –sebbene il soggetto sia armigero- il trattamento che gli viene riservato è fastoso, festante, del tutto festaiolo; come epurato dalle scabrosità belligeranti dal retrogusto sgozzante e sanguinario: così anche dai retaggi del fantastico piu’ arcaizzante, [5]Interessantissimo, ma non pertinente in questa sede, anche per ragioni di spazio, il confronto con le armature fantastiche. Tra queste, quella licenziata da Filippo Negroli attorno al 1535-36 e appartenuta a Guidubaldo II della Rovere, duca di Urbino. Sbalzata con tocchi d’oro, lavorata sul petto ad ali palmate e occhiute (la Fama), teste di delfini fantastici agli spallacci, mostri paurosi di fantasiosa e terribilità (a Firenze, Museo del Bargello, è conservato il petto e lo spallaccio sinistro mentre al Metropolitan di New York lo spallaccio destro), essa resta una delle espressioni più stravaganti della creatività dell’artista e il punto più alto dell’armatura all’eroica. Secondo Lionello Boccia, il modello soggiacente non sarebbe la testa dell’Orca del poema ariostesco quanto l’armatura di Rodomonte, che “armato era d’un forte e duro usbergo, che fu di drago una scagliosa pelle”. Boccia 1994, pp. 48-59. Sulle rodomontesche armature dei Negroli si veda anche Boccia 1998, pp. 89-114. ormai volti a un nuovo orizzonte.
Figura 1: Anonimo emiliano, Elmo piumato, penna e acquerello su carta bianca, mm 180×141, inv. 4500 © Bologna, Pinacoteca Nazionale, Gabinetto Disegni e Stampe
Figura 2: Anonimo emiliano, Gualdrappa da torneo, penna e acquerello su carta bianca, mm 207×168, inv. 4503 © Bologna, Pinacoteca Nazionale, Gabinetto Disegni e Stampe
L’album -114 disegni in tutto, di cui 5 di gualdrappe; venduto nel 1916 da Angelo Gandolfi alla Pinacoteca di Bologna grazie alla mediazione del direttore Francesco Malaguzzi Valeri – sembrerebbe a tutti gli effetti un pratico repertorio di bottega, forse pensato per soddisfare le esigenze di una blasonatissima clientela, votata a un divertissement d’alta epoca, ormai lontano dal gusto della disfida e proiettato a quello della simulazione.
Si evince sullo sfondo – ma neanche troppo celato, a dire il vero – l’eco di una modelleria ariostea e tassesca che ancora imperversava, informando di sé la cifra stilistica dei cosiddetti Torneamenti anche per ispirazione iconografica. [6]Scritto nel 1974 e tuttora insuperato, Gnudi 1994, pp. 13-47. Nelle simulazioni guerreggianti che costellano la civiltà delle corti fino alle più esauste rappresentazioni settecentesche, non si contano i tornei dallo sfoggio impennacchiato; e se è vero che l’imprimatur di tutte le macchinazioni sceniche barocche fu di marca ferrarese –che il fondamento della festa scenica barocca è Il castello di Gorgoferusa, giocato a Ferrara nel 1561, [7]Cavalerie della citta di Ferrara. Che contengono Il castello di Gorgoferusa. Il monte di Feronia. Et Il tempio d'Amore, in Venetia, Appresso Domenico, & Gio. Battista Guerra, fratelli. MDLXVII. Per festeggiare la porpora cardinalizia del fratello Luigi, nel 1561 Alfonso d’Este predispone la disputa di un torneo facendola precedere da una suggestiva atmosfera d’attesa fortemente coinvolgente, preparando emotivamente il pubblico ad assistere ad un torneo notturno, concepito come sceneggiatura di una favola ariostesca - con tutto il suo carico di inverosimiglianza, nomi di fantasia, incanti e disincanti - cui viene posto il titolo di Castello di Gorgoferusa. I cavalieri ferraresi partecipanti ad una quintana contro un ingegnoso automa, erano i campioni dela regina Alfarabia, pronti a liberare il suo sposo Colocauro, prigioniero di un Negromante nel castello di Gorgoferusa, appunto. Il quale castello, in parte dipinto come un fondale di scena e in parte praticabile, si stagliava nel cortile del palazzo ducale, cinto ai tre lati da imponenti tribune capaci di diecimila spettatori. Voci recitanti, cantori, musiche e dialoghi commentano le azioni drammaturgiche fino a che il castello, avvolto da vampate di fuochi d’artificio e denso fumo, non scompare alla vista, con sommo stupore degli astanti. La saga prende il via tanto che, due settimane dopo, in onore di Francesco de Medici ospite di Ferrara, Alfonso dà un altro spettacolo, Il Monte di Feronia, sulla falsariga del precedente. Nel 1565 è la volta del Tempio d’Amore, messo in scena per le nozze ducali; nel 1569 tocca all’Isola Beata, rappresentata su uno specchio d’acqua nel cortile di palazzo ducale e seguita l’anno dopo da Il Mago rilucente. Rimando a Calore 1981, in particolare, capitoli II-IV; Calore 1985, pp. 79-96; Calore1982, p. 95, nota 2. il primo a sancire il passaggio dal combattimento alla rappresentazione [8]In tal senso, la dimensione conflittuale che aveva qualificato lo scontro armato per tutto il Cinquecento fu eliminata; il torneo non venne più “combattuto” ma “rappresentato” mediante un soggetto allegorico o mitologico, divenendo parte integrante della finzione teatrale. P. Ventrone e A. Zorzi in Foligno 1986, p. 100. Sullo stesso tema si veda anche il recentissimo Feste Barocche 2009. persino in una stagione piu’ tarda, fortemente contrassegnata dalle forme dei teatralia et mirabilia, fino agli epigoni meno vigorosi, si individua pur sempre il gusto robustissimo della matrice primigenia.
Anche a Bologna – tra Ariosto e Carlo V - [9]Sassu 2007. prende corpo il fenomeno dell’eccellenza guerriera, fortemente debitore alla cultura del blasone e all’araldica neofeudale di incontro/scontro tra famiglie nobili, sistematizzando a poco a poco una forma compendiaria in un genere a se stante. Così come la società fiorentina rafforza nel culto delle feste per San Giovanni le politiche del consenso mediceo, a me pare che il clima bolognese sia fortemente votato all’uso simulato delle armi come forma strumentale di parata aristocratica – politica a sua volta – sfociante perlopiù nel mito della festa; la festa, a Bologna, è infatti in piazza, [10]Una città in piazza 2000. piu’ che nei teatri, nella prosecuzione ideale degli apparati pubblici, in cui si cerca forse di moltiplicare in eterno il copione processionale carolino, vivissimo anche un secolo dopo. E anche quando così non è, dando comunque corpo a un preciso calcolo politico che sembra eclissare le forme dello spettacolo tradizionale (musica, teatro) in favore degli aspetti pubblici della rappresentazione. [11]Le considerazioni sono molto precise in Calore 1981, p. 29. Soggetto a lunga e reiterata promozione, il rituale cavalleresco cittadino costituì infatti un indispensabile momento di autoglorificazione urbana di chiara impronta municipale – forse una sorta di cerimoniale compensatorio dovuto all’assenza di un principe guerriero – facente riferimento al governo misto (nelle magistrature degli Anziani e del Reggimento) anche per le spese degli allestimenti. [12]Monaldini 1999, pp. 103-133.
Ariostea fiammeggiante
La ricaduta dell’epica cavalleresca all’interno della cultura delle corti è – come noto – intensissima; [13]Bentini 2004, pp. 159-167. inscindibile la saldatura tra cavallo e cavaliere, [14]Sempre illuminante, Amedeo Quondam (Quondam 2003). fortissimo lo slargo nebbioso, la cartografia scenografica del rapimento atmosferico, il tema metallico del clangore delle armi e quello suadente dell’apparizion del bel sembiante per volere di maghe, orchesse, eroi, nello scenario di un non luogo che muta in armonia infinita anche il caos piu’ temibile, [15]Rimando al bellissimo Il castello, il convento, il palazzo e altri scenari dell'ambientazione letteraria, a cura di Marinella Cantelmo (Il castello 2000), in particolare al saggio di M. L. Meneghetti, Il castello d’amore e il giardino dei piaceri (Meneghetti 2000, pp. 57-65). come in una metafora di perpetua misura.
Oltre a Dosso – il primo a farsi rapire da questi incanti stregoneschi – uno degli esiti piu’ dolci e precoci del Furioso in terra bolognese è dato certamente dagli affreschi di Nicolò dell’Abate per Palazzo Torfanini (è del 1548-1552 la permanenza di Nicolò in città), specie nel “Camarino di Ruggiero”, le cui scene superstiti si conservano presso la Pinacoteca Nazionale di Bologna. [16]Bergamini 2005, pp. 93-99. Sebbene la fortunatissima circolazione editoriale impazzasse in ogni dove, con questo prezioso documento pittorico siamo invece all’interno di uno dei pochissimi cicli interamente dedicati al Furioso, assestato su un clima intimamente moralizzato, come volto all’esaltazione del virtuoso “cavaliero”. [17]S. Cavicchioli, La “visibile poesia” di Nicolò. Fonti letterarie e iconografia dei fregi dipinti a Bologna, in Nicolò dell’Abate, op. cit., pp. 101-115.
Il soggetto era quasi maturo per tramutarsi in rappresentazione scenica, in una configurazione d’insieme tesa a deliziare i diporti amenissimi della “ricreazione del savio” e il diletto di brigate festanti, in un progetto di educazione permanente volta alla disciplina delle armi per via cavalleresca e nobilitante. Che dove la guerra non c’era, essa andava simulata nel gioco della rimembranza; cambiandola di segno, ingentilendola. Così, nel 1561 si dava vita all’“Accademia dei Desti” (capitanata da Ettore Ghisilieri), subito soprannominati “Cavalieri della Viola” che prendeva come impresa un gallo reggente col becco una corona d’ulivo accompagnata dal motto latino vigilandum; scopo dell’associazione, “il tornear da scioperati”, il compimento di un apprendistato militare e, nel contempo, un allenamento costante al finto guerreggiar. Questo l’atto fondativo di un’intera stagione di parate, di belle giovinezze d’assalto, di bei scintillamenti di finzione.
Dopo le “prove” del Carnevale (3 febbraio 1562), a conclusione dell’abituale ciclo di giostre durante le quali era stata diffusa una romanzesca favola satura di guarnimenti e vestimenti all’antica con coronamenti piumati già giganteschi, [18]Sotto il nome di Ferrante, era comparso un cavaliere “vestito di veluto cremesino con stelle d’argento e portava in testa sopra la celata una grandissima pennacchiera maestrevolmente fatta di penne di struzzo bianche e rosse”, nel volume Le gran Giostre e i superbi Abbattimenti a piedi e a cavallo, con le livree fatte questo Carnevale nella città di Bologna dalli Illustri Signori e valorosi Cavaglieri Bolognesi, Bologna, Pellegrino Bonardo, 1562. Riportato in M. Calore 1982, p. 91. pochi mesi dopo (4 giugno 1562) si aveva la prima uscita pubblica. L’occasione era il matrimonio di uno di loro, Giovanni Malvezzi, e la festa – a sua volta “in notturna”, orchestrata nel palazzo antistante l’erigendo Palazzo Malvezzi di San Donato – direzionata nel gusto criptoaraldico delle imprese, in una pantomima satura di bellissime invenzioni, [19]Il Torneamento fatto nelle nozze del Signor Giovanni Malvezzi da i Signori Cavalieri della Viola, Bologna, per Gio. Rossi, 1562. Il resoconto della festa-torneo è preceduto da una breve cronistoria dei Cavalieri della Viola. particolarmente generosa anche nel “rabescante” vestiario, tutto in odor turchesco ed esotizzante.
Anche in questo caso – come per Ferrara – il filone era partito; segue infatti una produzione fittissima: 1578, Torneo fatto sotto il castello d’Argio; 1615, La disputa dei quattro elementi; 1617, Il Reno festeggiante; 1619, Le nozze di Teti e di Peleo; 1620, Ruggero liberato (musicista Girolamo Giacobbi, librettista Ridolfo Campeggi); 1628, La Montagna fulminata; 1628, Amore prigioniero in Delo (importantissimo, come si vedrà in seguito); 1631, Gli Amori di Nettuno; 1632, Amore dio della vendetta; 1634, Del torneo ultimamente fatto (librettista Bernardino Mariscotti e Canonaco Possenti); 1636, Giano Guerriero; 1639, Allegoria del pomposo Torneo; 1656, Amor Vendicato; 1658, Il Ritorno vittorioso d’Alessandro; 1662, Le Gare d’Amore e di Marte. [20]Per una lista dei principali titoli bolognesi rappresentati fra secondo ‘500 e primo ‘600, si veda l’appendice riportata da Calore 1985, pp. 92-94 e si faccia un confronto incrociato con altre due magnifiche appendici, entrambe pubblicate in Foligno 1986; B. Brumana e G. Ciliberti in Foligno 1986, pp. 167-181; A. M. Menichelli in Foligno 1986, . 182-190.
A queste, si aggiunge la Descrittione della Festa fatta in Bologna nelle nozze degli Ill.mi Sig.ri il Sig. Piriteo Malvezzi e la Signora Donna Beatrice Orsina il di XVIII di novembre MDLXXXIV, Bologna, Benacci, 1585 e La Montagna Circea. Torneamenti nel passaggio della Serenissima Duchessa Donna Margherita Aldobrandina sposa del Sereniss. Ranuccio Farnese duca di Parma e Piacenza, festeggiato in Bologna a XXVII giugno 1600, Bologna, eredi di Gio. Rossi, s. a. (1600), di tema encomiastico matrimoniale.
L’escalation piumata era al suo culmine. Come nei coevi caroselli di Francia, squillanti il magnificat del Re. [21]Sullo stupefacente carosello del 1662 (Courses de teste et de bague faites par le Roy et par les princes et seigneurs de sa cour en l’année M.DC.LXII) in cui Luigi XIV si presenta al mondo nel trionfo di tutto il suo potere, si veda Gontard, Voltaire e Saint-Simon 1984, pp. 91-114. Tanto che, nel frattempo, sul suo capo – e su quello degli eroi – era persino sbucata la parrucca.
Piumato scintillamento
Il primato del nostro album va – naturalmente – all’eccellenza della testa, ancor figlia dei culti solari, come nei retaggi del coronamento sciamanico teso a catturare le energie celesti, ma qui sub specie ludi. Parente prossimo della profana e arcimondana parrucca (anch’essa discendente dai supremi voleri regali –specie dei Re di Francia- per ripristino del costume degli avi sotto forma di editto di distinzione), l’elmo piumato – in genere molto abbozzato, quasi sempre ripetuto uguale: visione frontale, visione di profilo – funge come da basamento, da colonna per fantasie e divagazioni spettacolari. Sopra di esso, un profluvio di piume inerpicate, disposte come cascate di glicini all’incontrario, secondo i più diversi motivi; a cercini, a mazzi, a ciuffi, a ripiani, a torrioni, a strati, a cascatelle, talvolta impreziosite da elementi araldici, altre volte da bestiari fantastici (pavone, drago) ma in ogni caso sovraccarichi di insegne, superbi nelle montature e nelle finiture, mastodontici nei dettagli. Scenografici fino allo spasimo.
Figura 1: Ambito emiliano, Elmo piumato, penna e acquerello su carta bianca, mm 206×158, inv. 4507 © Bologna, Pinacoteca Nazionale, Gabinetto Disegni e Stampe
Figura 2: Ambito emiliano, Elmo piumato, penna e acquerello su carta bianca, mm 209×91, inv. 4508 © Bologna, Pinacoteca Nazionale, Gabinetto Disegni e Stampe
Piume a raggera, piume raggiate. Ma anche raggianti, come eredi delle suppellettili sacrali da capo tribù. Se è vero infatti che la testa costituisce la parte nobile della complessa simbolica corporale di ogni latitudine geografica, [22]Ho avuto modo di sviluppare il tema in Goretti 2006, pp.107-112. Sul culto totemico della testa di età moderna, anche Goretti 2004, pp. 17-32. e che l’azione dei suoi ornamenti piu’ sontuosi – piume, appunto - [23]Goretti 2005, pp. 149-177. è fittamente intrecciata ai segnali d’elezione solare e ai culti totemici; se è vero che la sua celebrazione si sostanzia attraverso quel patto di sovranità noto fin dal sacro mistero dell’aura e che è la corona a rappresentarne la sua diretta emanazione, il coronamento piumato non fu solo l’interprete più eccentrico dell’estetica barocca ma il simulacro canalizzante di un gioco rituale, costantemente reiterato perché ancestrale: imagines et signa manifesta delle supreme altezze, lì rappresentate: sul capo, appunto. [24]Per le implicazioni psichiche e psicanalitiche rimando al bellissimo testo di Julia Kristeva (Kristeva 2009). I segreti radiosi della supremazia dello spirito si annidavano lì, in un eterno presente eroico, da magnificare costantemente anche mediante la saldatura coi temi della stirpe.
Figura 1: Ambito emiliano, Elmo piumato, penna e acquerello su carta bianca, mm 200×164, inv. 4579 © Bologna, Pinacoteca Nazionale, Gabinetto Disegni e Stampe
Figura 2: Ambito emiliano, Elmo piumato, penna e acquerello su carta bianca, mm 199×62, inv. 4580 © Bologna, Pinacoteca Nazionale, Gabinetto Disegni e Stampe
In tal senso, particolarmente stringente sembrerebbe essere il confronto con un altro anonimo album di disegni per imponenti coronamenti piumati, sebbene più modesti dell’esemplare bolognese e cronologicamente anteriori. Differente nel segno – per certi versi, di impronta grottesca e caricaturale e, importantissimo, dotato di caratterizzazioni del volto di forte impatto fisiognomico; totalmente assenti nel corpus qui esaminato – l’album estense ne costituisce, a mio parere, l’antecedente più prossimo, specie per lo scherzoso trattamento dei cimieri, talvolta assimilabili a scintillanti lampadari. Il volume, conservato presso la Biblioteca Ariostea di Ferrara, è dotato di titolo dedicatorio: Al serenis (simo) signore il Sig. Alfonso da Este prencipe di Modona devotis (simo) servitore Hercole di Morandi da Ferrara, [25]Biblioteca Comunale Ariostea di Ferrara ms I, 708. Ringrazio la Signora Antonellini della Biblioteca Ariostea, per la squisita disponibilità e cortesia delle operazioni di consultazione del materiale. Quattro di questi disegni sono riportati anche in Cavaliere Toschi 1981, pp. 136-153. e fornisce un ulteriore tassello per la ricostruzione dell’irrefrenabile fantasia giostrante che attraversa le corti come una febbre, dando vita a soluzioni di singolare impatto scenografico.
Il tono dei 13 disegni di profilo (dotati di caratterizzazione facciale assai espressiva; ricordano persino i tratti di Felice Giani, nella sua disinvoltura grafica) è molto scherzoso e ha tutta l’aria di partecipare di uno dei tanti divertissement de plumes; in alcuni casi il coronamento è altissimo e stratificato, insaporito da ricca inventio (leone assiso su una scatola, cigni covanti, cupido con faretra, Eva (?) con serpente, etc). Un foglio presenta persino i tratti del “Generale Vittorioso”, presentando caricature con cifre e conti incolonnati e la scritta “imperatore”, come a sottolineare l’idea di un travestimento. Il clima è molto “arcimboldesco”, la tavolozza vivacissima (rosa, viola, cobalto, verderame, colori acidi e sgargianti); permangono le annotazioni tecniche a margine e i disegni scarabocchiati, come in un quaderno di lavoro volto a prendere le ordinazioni. Nel taccuino compaiono anche tre disegni di alabarde (a falcione, corsesca, etc), e tre di elmi veri e propri (con la celata chiusa) analoghi agli esemplari bolognesi, sempre di profilo.
A mio parere, il quaderno bolognese – sebbene più monumentale – mantiene una maggiore leggerezza di fondo; come una sorta di esilità rarefatta che lo distanzia anche nel tratto, da questo esemplare, forse più arretrato anche nell’impaginato grafico. In entrambi i casi, si conferma comunque la visione delle teste fantastiche; carambola del pensiero e deposito dei pensieri in aria, in puro stile ariostesco. Non sorprende il furoreggiare aereo; la sua natura infinitamente ghiribizzante e smagata, leggera più che mai, in profonda sintonia con le eleganze snebbianti della corte, mai sazie di un’attitudine permanente volta a rinfrescare i lontani. [26]Espressione incantevole, coniata da Francesca Cappelletti (Cappelletti 1996, pp. 81-88).
Figura 1: Ambito emiliano, Elmo piumato, penna e acquerello su carta bianca, mm 207×113, inv. 4596 © Bologna, Pinacoteca Nazionale, Gabinetto Disegni e Stampe
Figura 2: Ambito emiliano, Elmo piumato, penna e acquerello su carta bianca, mm 213×79, inv. 4601 © Bologna, Pinacoteca Nazionale, Gabinetto Disegni e Stampe
Se è vero dunque che tutto l’equipaggiamento dell’opera-torneo (a sua volta suddivisa in innumerevoli ramificazioni; a seconda della circostanza e dell’encomio; oltre a tornei, giostre, caroselli si contano mascherate, entrate trionfali, palii, balli, cene musicali drammatizzate, ecc.) è fortemente strutturato in una operazione scenica che contempla numerose professioni (armieri, costumisti, sellai, ecc.), non sorprende tra essi la presenza dei “pennacchieri”; come quei valentissimi mastri pennacchieri veneziani a cui pare si rivolgessero anche molte delle maestranze bolognesi per la messa ai punto dei più fini e sontuosi allestimenti. Ma anche Bologna ne contava alcuni, che servivano i palati piu’ raffinati. Narrano le cronache che il ferrarese Ippolito Bentivoglio si servisse a Bologna; e che il 20 gennaio 1620, Fabio Pepoli scrivesse da Bologna ad Enzo Bentivoglio (nonno di Ippolito), in occasione della sua partecipazione ad un torneo che si sarebbe svolto nel marzo di quello stesso anno, con ordinativi di pennacchiera. [27]La lettera è riportata in Monaldini 1999, p. 113.
Più debitori al chimerico che al verisimile, questi piumaggi. Mentre schioppi e apparizioni e smagamenti e svaporamenti fermano gli occhi sui cavalieri dell’aria tra le nuvole. Fitta la teatralità, insigne la meraviglia, fragili le fiabe dell’effimero.
Di riso e vezzo e gioia
E’ infatti probabile che lo stupefacente taccuino bolognese che par rubato ai segreti di una attrezzeria teatrale di alta epoca, insista proprio su questi sottili intrecci. Avanzo qui l’ipotesi di una destinazione di carattere teatrale; naturalmente, del tipo più sontuoso. Impressionanti – infatti – i rimandi con una tra le piu’ stravaganti rappresentazioni bolognesi del primo ventennio del secolo XVII, Amore Prigioniero in Delo, [28]Teatro del torneo per la liberazione d’Amore Rappresentato in Bologna il 20 di Marzo 1628 dall’Ill.ma Accademia de’ Torbidi con l’accompagnamento del liberato Amore, che fu eseguito nel fine dalla Pace, Bologna, Pinacoteca Nazionale, GDS, vol. 84 (da PN 11979 a PN 11992), incisioni di Giovan Battista Coriolano (notizie, e riproduzione di tutte le tavole, anche in Gaeta Bertelà 1973, nn. 382-394; per Coriolano, si veda anche Spike 1981, pp. 133-350, in particolare le invenzioni per i soldati con elmi piumati alle pp. 228-344). Le stampe sono pubblicate anche in un'altra edizione, in cui compare l’intera narrazione del torneo, compresi i personaggi, gli apparati scenici e le macchinazioni architettoniche: G. Lodi, Amore prigioniero in Delo. Torneo Fatto da’ Signori Academici TORBIDI in Bologna Li XX. di Marzo M.DC.XXVIII. Dedicato all’Altezza Serenissima di Ferdinando II Gran Duca di Toscana, in Bologna, per gli heredi di Vittorio Benacci, 1629. Incisioni di Giovanni Battista Coriolano. Il volume, conservato presso la Biblioteca Comunale dell'Archiginnasio, è pero incompleto; mancano infatti n. 9 tavole (1, 6, 7, 8, 9, 10, 11, 12, 15), forse asportate. Per lo scrittore bolognese Giacinto Lodi, si veda Fantuzzi 1786, V, p. 75. eseguita, per la precisione, il 20 marzo 1628.
Come già detto, il tema della festa cavalleresca barocca, era solitamente ispirato alla celebrazione encomiastica dell’assolutismo principesco, per la quale venivano risvegliati gli eroi della mitologia antica (Marte, Venere, Ercole), riproponendo le più conosciute personificazioni allegoriche (come le quattro parti del mondo radunate per ossequiare il monarca), oppure ripescando episodi dei poemi epici allora in voga. Il soggetto prescelto per lo spettacolo equestre determinava le coreografie, gli addobbi e i costumi, imponendo la conformazione dei carri allegorici impiegati per introdurre in scena i combattenti e le comparse. A queste ultime era affidato il compito di introdurre l’argomento del torneo cantando delle composizioni in versi appositamente create, mentre i componenti di ciascun carro allegorico dovevano presentare se stessi nel medesimo modo. [29]P. Ventrone e A. Zorzi, Foligno 1986, p. 101.
Giovanni Battista Coriolano, Apparato scenografico, acquaforte, mm. 240×350 (impronta) 290×415 (foglio), inv. PN 11980 © Bologna, Pinacoteca Nazionale, Gabinetto Disegni e Stampe
Fastosissima – dunque – anche la messinscena di Amore prigioniero; l’impomatata macchinazione scenica è infatti una carambola di figuranti, comparse, reggitorcia (forse anche questa rappresentazione data in notturna), tamburini, carri con nuvole, mascheroni, deità, trombettieri, ecc., ove spiccano alcune svelte figurette con pesanti cimieri impennacchiati, assai simili a quelli del nostro album. L’atmosfera è sagomata sull’impronta dell’immaginifica sartoria barocca, satura di orpelli, giardini, putti, fontane, e la sceneggiatura è corredata da immancabili galeoni, torrioni, fortificazioni, parate di carri allegorici (carro di Saturno, con stendardo del sole; carro di Marte, con castello turrito da cui si sparano fuochi), animaloni fungenti da basamento per la macchinazione (tartarugone, elefantoni, idre a cinque teste, etc.), in uno zibaldone di maniera. Immancabile, naturalmente, Venere sul finale, benevolmente assisa su un carro a conchiglia, ove campeggia la scritta Riso/Vezzo/Gioia.
Sebbene allo stato attuale delle ricerche non sia stato possibile individuare una certificazione di parentela fra i due documenti, è impressionante la somiglianza dei pennacchi delle incisioni con quelle presenti nel nostro anonimo album; lecito dunque ipotizzare per queste ultime una sorta di fase preparatoria alla messa in scena, necessaria all’esecuzione materiale vera e propria. O, quantomeno, una vicinanza di clima, partecipe dello stesso slancio festante, nutrito sulla scorta dei medesimi palinsesti visivi.
Giovanni Battista Coriolano, Apparato scenografico, acquaforte, mm. 240×350 (impronta) 290×415 (foglio), inv. PN 11981 © Bologna, Pinacoteca Nazionale, Gabinetto Disegni e Stampe
Vanno poi tenuti in conto anche altri documenti che costituiscono una sorta di catena narrativa di forte impatto ludico e scenico; ad esempio, le quattro grandi tele di Francesco Brizio, Giostra di campo aperto a cavallo; Giostra di barriera a piedi (Bologna, Conservatorio del Baraccano), davvero molto vicine al gusto del nostro album, nelle spettacolari soluzioni adottate per il coronamento piumato. [30]Attribuite a Francesco Brizio da Barbara Ghelfi, su suggerimento di Daniele Benati, e databili entro il primo decennio del ‘600, le tele illustrano in maniera paradigmatica il tumulto festaiolo delle giostre in campo aperto; protagoniste assolute sono le altissime impennacchiature stratificate che ben si aggiungono alla filiera di quelle del nostro album (B. Ghelfi in Bruxelles 2003-2004, p. 32....). Si veda anche la scheda di L. Ciammitti in Bologna 1980, pp. 161-168. Riprodotte anche in Scalini 2004, pp. 189-195. Giunte presso il Conservatorio del Baraccano presumibilmente da qualche famiglia senatoria, attribuite dapprima ad Anonimo Ferrarese e poi a Francesco Brizio, datate 1600-1610 circa e ambientate in uno scenario imprecisato (forse di ambito ferrarese) esse presentano una cronologia lievemente in anticipo rispetto ai documenti qui indagati. Sebbene l’azzardo della coincidenza non sia possibile (visto che l’artista decede prima del 1628), la vicinanza resta comunque fortissima.
Bologna, 1628
Modello decisivo della codificazione pittorica delle tele del Baraccano – come già brillantemente intuito da Luisa Ciammitti, nell’acuta disamina delle cronologie- sarebbe infatti stato Il Torneo di Bonaventura Pistofilo, nobile ferrarese legato anche alla corte medicea, stampato proprio a Bologna da Clemente Ferroni nel 1626-27 e dedicato al marchese Michelangelo Baglioni, del ramo trasferitosi da Perugia in Ferrara ma infeudato nel Regno di Napoli e di Sicilia. [31]Illuminante l’argomentazione riportata da Luisa Ciammitti in Bologna 1980, p. 165. Nei suoi tre libri, e specialmente nelle 117 incisioni eseguite da Giovan Battista Coriolani, Pistofilo definisce i modi del presentarsi, dell’atteggiarsi, del muoversi, del combattersi con stile ed eleganza, spostando l’interesse dallo scontro guerresco all’artificio narrativo, e commentando le fasi del gioco sia sotto il profilo tecnico che sotto quello sociale. [32]Le 117 incisioni di Giovan Battista Coriolano relative al Torneo di Bonaventura Pistofilo (Bologna, 1627) sono interamente riprodotte in Spike 1981, pp. 227-344. I figuranti sono colti nelle varie posizioni della disfida; i loro passi posizionati ricordano molto da vicino i movimenti della danza e della scherma.
Il nostro anonimo cahier des plumes (come già si è detto, non ci sono documenti a provarlo) sembrerebbe davvero il repertorio di bottega servito all’esecuzione degli elmi dei figuranti. Tanto di quelli dipinti sulla pubblica piazza, che degli attori del teatro sfilanti in una fantasticissima Delo, ricostruita secondo i paradigmi della monumentale scenografia barocca. E in fondo, se è vero che tra il Torneo del Pistofilo e l’Amore prigioniero intercorre solo un anno, è forse probabile che questo brevissimo lasso di tempo sia spia e indizio anche della nostra composizione, che ci piace immaginare in gestazione proprio in quel tempo, pronta per essere usata e messa in pratica nel ’28, e liberata dalla potenza del dio amore. Che si affacciava il 20 marzo, con tutto il carico simbolico della rigenerazione primaverile.
Figura 1: Giovanni Battista Coriolano, Apparato scenografico, acquaforte, mm. 240×350 (impronta) 290×415 (foglio), inv. PN 11980 particolare © Bologna, Pinacoteca Nazionale, Gabinetto Disegni e Stampe
Figura 2: Giovanni Battista Coriolano, Apparato scenografico, acquaforte, mm. 240×350 (impronta) 290×415 (foglio), inv. PN 11981 particolare © Bologna, Pinacoteca Nazionale, Gabinetto Disegni e Stampe
Figura 3: Giovanni Battista Coriolano, Apparato scenografico, acquaforte, mm. 240×350 (impronta) 290×415 (foglio), inv. PN 11983 particolare © Bologna, Pinacoteca Nazionale, Gabinetto Disegni e Stampe
Tutto tornerebbe. In certo senso, si avrebbe come l’impressione di un unico evento: un album di disegni preparatori (il nostro cahier des plumes) per un torneo eseguito e rappresentato sulla pubblica piazza nel 1628 (Amore prigioniero in Delo), annunciato – sotto mentite spoglie – nell’eco pittorico delle grandi tele di Francesco Brizio documentanti la Giostra di barriera a piedi, che sembra anticiparne le tipologie.
Figura 1: Giovanni Battista Coriolano, Apparato scenografico, acquaforte, mm. 240×350 (impronta) 290×415 (foglio), inv. PN 11985 particolare © Bologna, Pinacoteca Nazionale, Gabinetto Disegni e Stampe
Figura 2: Giovanni Battista Coriolano, Apparato scenografico, acquaforte, mm. 240×350 (impronta) 290×415 (foglio), inv. PN 11990 particolare© Bologna, Pinacoteca Nazionale, Gabinetto Disegni e Stampe
Figura 3: Giovanni Battista Coriolano, Apparato scenografico, acquaforte, mm. 240×350 (impronta) 290×415 (foglio), inv. PN 11991 particolare© Bologna, Pinacoteca Nazionale, Gabinetto Disegni e Stampe
Figura 4: Giovanni Battista Coriolano, Apparato scenografico, acquaforte, mm. 240×350 (impronta) 290×415 (foglio), inv. PN 11992 particolare © Bologna, Pinacoteca Nazionale, Gabinetto Disegni e Stampe
Gran teatro dell’onore e della cavalleria; l’enigma proteiforme del cavaliere estende il suo dominio in un tempo lunghissimo che assorbe forme e sostanze dell’apparire. [33]Portare l’immaginario in piazza è un processo vivissimo che giunge incolume fino agli stracarichi epigoni settecenteschi. A proposito di elmi piumati, narrano le cronache che nella festa della Porchetta del 1719 - una delle tante prodigiose macchine costruite in faccia al Palazzo Comunale, tra mitiche creature del bosco, acque gorgoglianti, carri con ninfe e baldacchini vari - alcuni pastori a cavallo recavano un’oca viva nel cimiero e un’arma da taglio nella destra; essa serviva per la successiva disfida, avente per scopo il bersaglio dell’oca, difficilissimo da centrare per la costante mobilità dell’animale; Tomasina 2005, pp.60-78, con ricca bibliografia. Per la festa della Porchetta si veda anche Bologna 2009. Le sfide della destrezza, costantemente ritualizzate: superbo, il coronamento ne sostanzia spudoratamente l’ossatura rincarando l’assillo perpetuamente feudale. O forse, tribale. Gioia festosa del prode con elmo, dunque; un clima di dialogo delle arti che somiglia a una dolce vita un po’ blasé, dimentica del sangue sparso al suolo, simulante il conflitto in bargigli, pennacchi e chiome. Nel cuore dei magnifici apparati, [34]La dicitura “magnifici apparati” è ormai divenuta profondamente familiare, necessaria a connotare ogni tipo di splendidezza cortigiana incrostata di simbolica celebrativa. Si veda, naturalmente, I magnifici apparati 1998, in particolare, il disegno del Cavaliere della crudeltà per il torneo “Il trionfo della virtu’” (1660) conservato a Modena, Biblioteca Estense, e riprodotto a p. 385. trionfano le chiome: posticce, imbandierate, impennacchiate. Potentemente simulate, durevoli fino alle espressioni più compendiarie. [35]Sull’arte tarda dell’armeggiare, importantissimo il trattato bolognese del Flamarindo, ormai settecentesco e conclusivo di un intero genere. Il manoscritto – conservato presso la Biblioteca Comunale dell’Archiginnasio di Bologna - costituisce forse l’ultimo atto dedicato all’armamentaria del giostratore. Sul tema, Boccia 1991, pp. 471-481. Fatte per finta, ma vicine all’alta felicità di un minuto. Sventolanti e magari vicine all’incanto dei versi di Mariangela Gualtieri, all’incanto di Chioma, intendo: che Forse la gioia/ è la preghiera più alta. [36]Gualtieri 2001, p. 18.
Note
Bibliografia
Il torneamento 1562
Il Torneamento fatto nelle nozze del Signor Giovanni Malvezzi da i Signori Cavalieri della Viola, Bologna, per Gio. Rossi, 1562.
Le gran Giostre 1562
Le gran Giostre e i superbi Abbattimenti a piedi e a cavallo, con le livree fatte questo Carnevale nella città di Bologna dalli Illustri Signori e valorosi Cavaglieri Bolognesi, Bologna, 1562.
Cavaliere della città di Ferrara 1567
Cavalerie della citta di Ferrara. Che contengono Il castello di Gorgoferusa. Il monte di Feronia. Et Il tempio d’Amore, Venezia, 1567.
Lodi 1629
G. Lodi, Amore prigioniero in Delo. Torneo Fatto da’ Signori Academici TORBIDI in Bologna Li XX. di Marzo M.DC.XXVIII. Dedicato all’Altezza Serenissima di Ferdinando II Gran Duca di Toscana, Bologna, 1629.
Courses de teste 1662
Courses de teste et de bague faites par le Roy et par les princes et seigneurs de sa cour en l’année M.DC.LXII,1662.
Fantuzzi 1786
G. Fantuzzi, Notizie degli scrittori bolognesi, V, Bologna, 1786.
Gaeta Bertelà 1973
Incisori bolognesi ed emiliani del sec. XVIII, a cura di G. Gaeta Bertelà, con la collaborazione di S. Ferrari, Bologna, 1973.
Bologna 1976-1977
Artisti italiani dal XVI al XIX secolo dalla raccolta della Pinacoteca Nazionale di Bologna Gabinetto Disegni e Stampe, catalogo della mostra a cura di G. Gaeta Bertelà (Bologna 1976-1977), Bologna, 1976.
Bologna 1980
Arte e pietà. I patrimoni culturali delle opere pie, catalogo della mostra (Bologna 1980), Bologna, 1980.
Calore 1981
M. Calore, Bologna a teatro. Vita di una città attraverso i suoi spettacoli. 1400-1800, Bologna, 1981.
Cavaliere Toschi 1981
C. Cavaliere Toschi, La magnifica menzogna. Proposte per una lettura dell’effimero, in La chiesa di San Giovanni Battista e la cultura ferrarese del Seicento, Milano, 1981.
Spike 1981
J. Spike, The Illustrated Bartsch, 41, New York, 1981.
Calore 1982
M. Calore, Uno spettacolo in villa all’Arcoveggio (1565), in “Il Carrobbio”, VII, 1982, pp. 85-96.
Gontard, Voltaire e Saint Simon 1984
D. Gontard, Voltaire, Saint-Simon, Le Carrousel du Roy, in “FMR”, 25, luglio-agosto 1984, pp. 91-114.
Calore 1985
M. Calore, Il giuoco dei cavalieri, in “Strenna Storica”, XXXV, 1985, pp. 79-96.
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F. Cardini, La civiltà del torneo, in La Società in Costume. Giostre e Tornei nell’Italia di Antico Regime, catalogo della mostra a cura di F. Bettoni (Foligno 1986), Foligno, 1986, pp. 17-26.
Foligno 1986
La Società in Costume. Giostre e Tornei nell’Italia di Antico Regime, catalogo della mostra a cura di F. Bettoni (Foligno 1986), Foligno, 1986.
Il libro del Sarto 1987
Il Libro del Sarto della Fondazione Querini Stampalia di Venezia, a cura di F. Saxl, A. Mottola Molfino, P. Getrevi, D. Davanzo Poli, A. Schiavon, Modena, 1987.
Civiltà del Torneo 1990
La Civiltà del Torneo. (sec. XII-XVII). Giostre e Tornei tra Medioevo ed età moderna, atti del VII convegno di studio, Narni (14-16 ottobre 1988), Centro Studi Storici Narni, 1990.
Boccia 1991
L.G. Boccia, Appendice II, Le giostre bolognesi nel trattato del Flamarindo, in L’armeria del Museo Civico Medievale di Bologna, Busto Arsizio, 1991, pp. 471-481.
Boccia 1994
L.G. Boccia, Curiosa di armamentaria ariostea, in Signore cortese e umanissimo. Viaggio intorno a Ludovico Ariosto, a cura di J. Bentini, Venezia, 1994, pp. 48-59.
Gnudi 1994
C. Gnudi, L’Ariosto e le arti figurative, in Signore cortese e umanissimo. Viaggio intorno a Ludovico Ariosto, a cura di J. Bentini, Venezia, 1994, pp. 13-47.
Cappelletti 1996
F. Cappelletti, “La stanza delle famose Veneri”: la dea dell’amore e le sue camere nelle collezioni romane, in Immagini degli dei. Mitologia e collezionismo tra ‘500 e ‘600, catalogo della mostra a cura di C. Cieri Via (Lecce 1996-1997), Milano, 1996, pp. 81-88.
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