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«Stampe di Guido Reni e romane di Simone Cantarini pesarese pittore e incisore» Ricostruzione del III volume della raccolta di stampe della Pinacoteca Nazionale di Bologna

Nota introduttiva

Il presente contributo è dedicato alla ricostruzione del III volume della “grande collezione” Lambertini della Pinacoteca Nazionale di Bologna che insieme al IV, indagato nel precedente numero di questa rivista, include stampe di e da Guido Reni, distinguendosi per la presenza di un cospicuo numero di acqueforti di Simone Cantarini.
Da quanto indicato al n. 8 della Nota di diverse stampe legate in numero 50 Tomi, che si presenta alla Santità di Nostra Signoria (1751 ca.) doveva esistere in origine un unico tomo, genericamente intitolato a “Guido Reno”, rispetto al quale il nostro si identifica come il prodotto della scissione operata entro il 1785 e registrata da Ludovico Montefani.  Il frontespizio reca la seguente iscrizione: “Stampe di Guido Reni vol. II e Romane di Simone Cantarini pesarese pittore e incisore / Tomo III Fogli 84 Stampe 316 [corretto a matita 151]” con la correzione che avverte dell’indebita inversione dei volumi per cui attualmente indichiamo come III l’originario IV tomo [1]https://aperto.pinacotecabologna.beniculturali.it/stampe-bolognesi-di-guido-reni-pittore-e-incisore-ricostruzione-del-quarto-volume-della-raccolta-di-stampe-della-pinacoteca-nazionale-di-bologna#par0, Rossoni, in Rossoni e Candi 2019.. Quanto al binomio Reni-Cantarini andrà evidenziata la presenza in apertura dell’acquaforte ottocentesca, opera di Galgano Cipriani (fig.1), tratta dal celebre dipinto che tramanda la fisionomia del maestro a sua volta di mano del Pesarese (Bologna, Pinacoteca Nazionale) [2]Per la stampa si veda Bellini 1987, p. 115, n. 78; per il dipinto A. M. Ambrosini Massari, in Simone Cantarini (1612−1648). Un giovane maestro 2025, pp. 106-107, n. I.14. Su Cantarini ritrattista si rinvia anche a Pulini 2021. .

Fig. 1: Galgano Cipriani, da Simone Cantarini, Ritratto di Guido Reni, acquaforte, Musei Nazionali di Bologna, Pinacoteca Nazionale, Gabinetto dei Disegni e delle Stampe, inv. PN 4556

Il rapporto fra Cantarini e Reni costituirà il cardine della seconda parte della disamina muovendo dalla trama della Felsina pittrice di Carlo Cesare Malvasia, “che da reporter imparziale interroga, registra dati, prende appunti, vede e confronta personalmente i fatti, lasciando trapelare […] che anche lui l’aveva conosciuto: gli aveva parlato, addirittura era andato a trovarlo fuori sede, a Pesaro” [3] Morselli 1997, p. 50.. Malvasia è tra i primi a stilare un elenco dei soggetti incisi da entrambi, consultato dagli ordinatori settecenteschi presumibilmente assieme al resoconto di Gori Gandellini [4]Malvasia 1678 (1841), I, pp. 92-94, 97-100. Un primo elenco di stampe di Reni è quello di Joachim von Sandrart (1675, II, p. 196), cui trae le mosse un importante contributo dedicato al bolognese acquafortista da Faietti 2015. Quanto al nostro volume, la critica ha escluso l'ausilio della fonte in fase di allestimento (Rossoni, in Rossoni e Candi 2019, nota 9), mentre per i lavori di Cantarini l'ulteriore riferimento è a Gori Gandellini 1771 (1808), I, pp. 175-178., e se non è arduo per questa via desumere quali fossero state le fonti attenzionate in corso di allestimento, diversamente diremo della possibilità di risalire alle provenienze per ciascuno degli esemplari privi del timbro Lambertini. L’assenza di una simile marca conferma infatti l’estraneità delle stampe sia rispetto ai primi 50 volumi donati da papa Benedetto XIV nel 1751, che ai 54 finora riconosciuti della cosiddetta “piccola collezione”, comprensivi del nucleo derivato dall’originaria collezione del pittore Pier Francesco Cavazza [5]La storia della collezione è ripercorsa da Rossoni 2008: https://aperto.pinacotecabologna.beniculturali.it/nuovi-studi-sulla-collezione-di-stampe-della-pinacoteca-nazionale-di-bologna, e Ead. 2025.. A questa constatazione si aggiunga l’ostacolo di per sé rappresentato dalla vicenda conservativa della raccolta, che assomma la serie di rimaneggiamenti occorsi nel XVIII secolo, volti a integrare le progressive aggiunte, a episodi diversamente rilevanti, quali il furto denunciato nel 1868 e la sistematica operazione di stacco condotta da Paul Kristeller a partire dal 1894, allorché scelse di agire in maniera provvisoria con “l’obbligo cioè di conservare anzi tutto le opere più pregiate per garantirle da ulteriori danni”, ma adunate su base esclusivamente autoriale [6] Kristeller 1896, p. 397..
Certamente il nostro tomo è da annoverare tra i 15 della “grande collezione” dedicati alla scuola bolognese, mentre la sua organizzazione interna rivela l’intenzione piuttosto tipica di scandire le sezioni a seconda delle iconografie, comprensive di motivi desunti dalla storia sacra o dalla mitologia, anche per Cantarini talvolta ispirati da celebri di Reni [7] https://aperto.pinacotecabologna.beniculturali.it/stampe-bolognesi-di-guido-reni-pittore-e-incisore-ricostruzione-del-quarto-volume-della-raccolta-di-stampe-della-pinacoteca-nazionale-di-bologna (d’ora in poi Candi, in Rossoni e Candi 2019); in aggiunta all’organica disamina di Ead. 2016. . Ripercorrere le 151 stampe complessive conservate in massima parte sciolte, di cui 71 prive del timbro Lambertini, ha significato per le scriventi puntare l’attenzione su casi studio comunque connessi, relativi alle personalità dichiarate nel titolo della raccolta. Francesca Candi, già autrice dell’articolo dedicato al volume IV insieme a Elena Rossoni, riprende in questa sede con l’indagine su Guido Reni, in prima battuta attenzionato nella sua relazione con Bartolomeo Coriolano, un legame che offre uno sguardo sull’articolato rapporto del pittore con la sua bottega e con gli incisori dei quali si circondò per diffondere stile e invenzioni. L’analisi continua ponendo l’accento sulla presenza di una ‘stampa-manifesto’, quella di Carlo Cesio tratta dall’affresco con Sant’Andrea condotto al martirio, tema che consente di riflettere ulteriormente sulla ricezione reniana, in particolare su quella romana e internazionale fra Sei e Settecento e in contesto accademico. A Arianna Manes il compito di rileggere Cantarini acquafortista, con un focus sulla rinomata Allegoria della Fortuna, tradotta anche dal mentovato Coriolano e da Girolamo Scarsello, posta sotto la lente sulla scorta di indizi legati alla committenza e nel più ampio sistema culturale barberiniano.

I chiaroscuri di Bartolomeo Coriolano d’après Reni, il Sant'Andrea condotto al martirio di Carlo Cesi e altre note su alcune stampe dal III volume della raccolta della Pinacoteca Nazionale di Bologna

Il mio saggio sulla ricostruzione del IV volume della raccolta di stampe della Pinacoteca Nazionale di Bologna uscito nel 2019 in questa rivista ha fornito, da un lato, l’occasione per indagare le dinamiche di riproduzione all’interno della bottega del maestro bolognese, la fortuna di alcune invenzioni e l’apporto del pittore alla diffusione della sua immagine di pittore devoto [8]Sulle dinamiche della bottega reniana, si veda il recente saggio di Daniele Benati in Guido Reni 2023, pp. 115-125 e Dans l’atelier 2024, in particolare le pp. 27-35.. Dall’altro ha permesso di illustrare alcuni episodi di derivazione d’ambito accademico, concentrati nella seconda metà del XVII secolo, francesi in particolare, strettamente connessi con l’elaborazione storiografica del canone classicista [9]Candi, in Rossoni e Candi 2019. In generale si rimanda anche al mio volume dedicato alla fortuna incisoria di Guido Reni nel Seicento: Candi 2016..

Anche nel III volume sono contenute stampe derivate da Reni eseguite da artisti presenti nella sua bottega come Giovan Battista Bolognini [10]Su Giovan Battista Bolognini (1611/1612-1688) si vedano S. Zamboni, in Dizionario Biografico degli Italiani, vol. 11, 1969, ad vocem con bibliografia precedente, e N. Roio, in La scuola di Guido Reni 1992, pp. 33-44. Per la citazione della copia della Crocifissione dei Cappuccini si veda Malvasia 1678 (1841), II, p. 23, per le opinioni dello storiografo sulla sua pittura, ivi, pp. 43 e 377. Cfr. anche Scannelli 1657 (1966), p. 370, e Zanotti 1739, II, p. 27, per la notizia della direzione, nel 1686 insieme a Malvasia, dell’Accademia degli Ottenebrati, fondata dal conte e senatore Ettore Ghisilieri., Lorenzo Loli [11]Su Lorenzo Loli (1612 ca.-1691) si vedano A.M. Ambrosini Massari, in La scuola di Guido Reni 1992, pp. 301-330, e Thieme, Becker 1907-1950, vol. 23, p. 337. Malvasia lo ricorda più volte nella veste di affezionatissimo allievo, ad esempio quando acquista alcuni disegni del maestro per alleggerirlo dalle sue difficoltà economiche (Malvasia [1678] 1841, II, p. 43) o quando si duole del trattamento riservato da Reni ai suoi disegni, spesso svenduti o regalati a qualsiasi richiedente (ivi, pp. 50-51)., Giovanni Andrea Sirani [12]Su Giovanni Andrea Sirani (1610-1670) si veda F. Frisoni, in La scuola di Guido Reni 1992, pp. 365-381. o Girolamo Scarsello [13]Su Girolamo Scarsello si vedano Malvasia 1678 (1841), II, pp. 51, 254 e Le Blanc 1854-1890 (1970- 1971), II, ad vocem. Poche notizie su Scarsello anche in Bartsch 1802-1821, vol. 19, pp. 249-250 e in Nagler 1858-1879, vol. 3, p. 641., anzi si può dire che rappresentino la maggioranza delle derivazioni da Reni proposte nel volume: ricordo del primo incisore almeno la grande stampa in tre fogli derivata dal Bacco e Arianna sull’isola di Nasso, probabilmente realizzata prima che la tela raggiungesse la sua destinataria, la regina Henrietta Maria d’Inghilterra, nel 1640 (PN 3586/1-3) [14]Si veda a questo proposto il catalogo della mostra tenutasi presso la Pinacoteca Nazionale di Bologna: Bacco e Arianna 2018., l’Amore dormiente di Loli (PN 2088) o la Giuditta con la testa di Oloferne di Giovanni Andrea Sirani (PN 23680). Sono anche presenti stampe di intagliatori ‘accademici’: su tutte ricordiamo la meravigliosa serie di quattro bulini realizzati da Gilles Roussellet (1610-1686) intorno al 1669 (PN 4570, PN 4571, PN 4572, PN 4573), derivati dalle Storie di Ercole licenziate da Guido Reni per il duca di Mantova Ferdinando Gonzaga, pubblicati più tardi, allo scadere degli anni Settanta, nei Tableaux du Cabinet du Roy con commento di André Félibien [15]Su Gilles Rousselet e la sua produzione incisoria e accademica si veda la monografia Meyer 2004. Le stampe di Roussellet dalle Storie di Ercole sono state di recente esposte alla mostra per la quale si rimanda al catalogo Nesso e Dejanira 2017-2018..
Questo breve contributo intende però soffermarsi su altri due temi che le stampe presenti nel volume precedentemente commentato, il IV, non avevano fatto emergere: da un lato la produzione di uno degli incisori della cerchia di Reni più prolifico e rilevante nelle dinamiche di bottega, Bartolomeo Coriolano (Bologna, 1599 ca.- Roma, 1676?) [16] Su Bartolomeo Coriolano si vedano C. Garzya Romano, in Dizionario Biografico degli Italiani, vol. 29, 1983, ad vocem con bibliografia precedente, e il recente intervento di Naoko Takahatake 2010: la studiosa ha creato un catalogo assai ricco dei suoi chiaroscuri., documentato nel volume con ben venticinque chiaroscuri, dall’altro su un singolo episodio di derivazione, quella di Carlo Cesi dall’affresco con Sant’Andrea condotto al martirio di Reni nell’oratorio di S. Andrea a S. Gregorio Magno a Roma, come spunto di riflessione sul rapporto tra incisione e critica classicista e accademica nella seconda metà del XVII

Prendendo le mosse da Coriolano, si può notare che curiosamente o meglio sulla falsariga di una contrapposizione che già Carlo Cesare Malvasia nella sua Felsina Pittrice proponeva – quella Coriolano versus Cantarini – le xilografie del primo vengono illustrate immediatamente prima delle acqueforti del secondo, fornendo una sorta di contraltare visivo alla produzione eterea e leggera di quest’ultimo.

È noto quanto Malvasia esaltasse la predilezione di Guido per Cantarini, facendo invece spendere al pittore parole poco lusinghiere nei confronti di Coriolano, definito “poco fondato nell’intelligenza del disegno” e indegno di tradurre opere tanto delicate con un “taglio così grossolano in legno” [17]Malvasia 1678 (1841), II, pp. 50-51 e p. 377.. Che si tratti dell’opinione dello storiografo e non del pittore non è in discussione. Malvasia, creatore del mito storiografico della grazia di Guido, incoronato capostipite della scuola bolognese, in competizione municipalistica con la scuola romana, come vedremo, non doveva amare il segno grafico e pesante di Coriolano, profondamente ancorato a una sensibilità ancora tardo manierista. In realtà, nella prima metà del Seicento e in area emiliana, la tecnica al chiaroscuro era ancora molto apprezzata per la resa plastica e tonale dei modelli, nel solco della produzione di Ugo da Carpi, fine traduttore di Parmigianino [18]Sul difficile rapporto di Malvasia con l'acquaforte si veda: Faietti 2015, pp. 110-123. Sulla produzione incisoria di Reni, in particolare quella all'acquaforte, si vedano ancora: Aresin 2022 e Faietti 2024. In generale sulla tecnica del chiaroscuro si vedano la Mostra di chiaroscuri 1956, il XII volume del Peintre Graveur di Adam Bartsch (1971) in cui sono pubblicate le stampe di Coriolano, Chiaroscuro 2001, Bury 2003 e Takahatake 2018..
Reni stesso non doveva essere insensibile al fascino di questa tecnica incisoria se, fin dal 1627, dunque a date molto precoci, Coriolano incide una sua invenzione [19]Colomer 1996, pp. 201-214 ipotizza anche che Reni dovesse averne stima al punto da fornirgli i disegni per i frontespizi del Tarquinio il Superbo (1632), del Romulo (1632), del Davide perseguitato (1634) e del Ritratto del Privato Politico Cristiano (1635), opere storiche e politiche del letterato e amico di Guido Virgilio Malvezzi.. Non si sa molto di questo intagliatore che apprende l’arte della xilografia dal padre Cristoforo, tuttavia alla fine del terzo decennio doveva essere ancora a Roma, per spostarsi entro il principio degli anni Trenta nella bottega bolognese di Guido e rimanervi fino alla morte del maestro.
Nel 1627, a Roma, Coriolano firma l’Allegoria dell’Alleanza tra la Pace e l’Abbondanza (PN 4197) [20]Citata in Malvasia 1678 (1841), II, p. 96. che nasce da un’invenzione reniana esplicitata solo in uno stato successivo del chiaroscuro, realizzato, nel 1642, dopo la morte di Reni (PN 24872). Sempre prima del 1630 firma un’altra derivazione da Reni: il bulino in controparte dell’acquaforte reniana raffigurante la Madonna con Bambino dormiente entro ovale (PN 25110), su cui mi sono già soffermata nel precedente contributo [21]Candi, in Rossoni e Candi 2019. . Si desume la datazione dall’assenza nell’iscrizione del titolo di cavaliere lauretano, del quale Coriolano non avrebbe omesso di fregiarsi.
Ufficialmente l’iscrizione «Bononia 1630» compare invece sul chiaroscuro (PN 4242) che Coriolano trae dall’altra acquaforte di Reni raffigurante la Madonna con Bambino dormiente (PN 25111), quella entro tondo, oggetto di una fortuna veramente notevole nel tempo, documentata da numerosi stati e varianti nell’utilizzo dei blocchi di colore [22]Per le varie incisioni della Madonna con Bambino dormiente cfr. Bartsch 1971, nn. 52.5 I e 52.5 III, 53.6 e 53.7, e Gaeta Bertelà e Ferrara 1973, nn. 347-349, 362..
Il legame tra Coriolano e Guido Reni non si interruppe mai. Lo prova il fatto che il primo divenne editore autonomo solo a partire dagli anni Quaranta, dopo la morte del maestro, come testimoniano le iscrizioni presenti sull’Allegoria licenziata per il frontespizio della tesi del dottor Gotti (1640, PN 4316), sulla celebre Caduta dei giganti del 1641) o sullo stato del San Girolamo realizzato nel 1642 e recante l’iscrizione “B.C. Sculp. et form. Bonon” (nel III volume è presente solo lo stato del 1637, PN 24871).
La natura delle derivazioni di Coriolano induce a pensare che il pittore abbia consapevolmente affidato all’intagliatore alcune sue invenzioni che trovava adatte al medium, attraverso lo strumento di controllo e diffusione stilistici del disegno, tipico di ogni bottega artistica [23]Cfr. Pellicciari 1989. Sui disegni di Reni si veda anche Bohn 2008.. L’intagliatore infatti non fu mai traduttore dei dipinti del maestro, ma derivò i suoi chiaroscuri o da incisioni, come visto, o da disegni del maestro.
Malvasia stesso cita alcuni modelli grafici per i chiaroscuri di Coriolano, come un disegno in lapis rosso e carboncino di un Cupido dormiente servito per realizzare la stampa documentata nel nostro volume (PN 24868) [24]Sono stati fatti alcuni tentativi per identificare i disegni preparatori dei chiaroscuri di Coriolano. Henrietta McBurney e Nicholas Turner hanno, per esempio, proposto di identificare il modello per il Cupido dormiente e per altri chiaroscuri di Coriolano, come il San Girolamo (PN24871) e una Sibilla (PN4224) in alcuni fogli conservati presso la Royal Library di Windsor Castle (invv. RCIN 903382; RCIN 903474), in parte già posti all’attenzione della critica da Otto Kurz nel 1955., e l’altro, grandissimo, raffigurante i Giganti nella collezione Sacchetti di Roma [25]Malvasia 1678 (1841), II, p. 42 e p. 64. . Oltre a questo foglio, lo storiografo ricorda un altro “pensiero de’ Giganti fulminati, disegnati in tela”, aggiungendo che Guido avrebbe voluto mandarlo in Francia per farlo intagliare. Anche questa affermazione di Malvasia fa parte dell’idiosincrasia nei confronti di Coriolano, ma non corrisponde a un evento effettivamente accaduto: infatti la più nota derivazione da questo soggetto è il grandioso chiaroscuro a tre legni realizzato su quattro fogli da Coriolano, dedicato al duca di Modena Francesco I d’Este nella prima versione del 1638 (fig. 2) [26]La Caduta dei Giganti del 1638 di provenienza Lambertini è stata reperita da Ilenia Carrozza presso la Biblioteca Universitaria di Bologna (si veda articolo in questa rivista e Carozza 2019)..

Fig. 2: Bartolomeo Coriolano, Caduta dei Giganti, 1638, chiaroscuro su quattro fogli (tre legni per ogni foglio), mm 877×624 © Alma Mater Studiorum Università di Bologna, Biblioteca Universitaria

Malvasia non risparmia critiche a questa incisione per la “troppo uniforme proporzione e dilicatezza” [27]Ivi, I, pp. 94-95: lo storiografo ricorda solo la versione del 1641 e la ristampa del 1647, attribuendo a quest’ultima le variazioni compositive e la dedica a Francesco I che in realtà riguardano la prova datata 1638. Sul tema si veda Takahatake 2010, p. 127, n. 19. In rapporto con l’invenzione reniana può essere la tela raffigurante la Caduta dei giganti conservata presso il Museo Civico di Pesaro (cfr. Pepper 1988, pp. 284-285)., tuttavia una dedica tanto altisonante presuppone l’accordo dell’inventore nella diffusione del chiaroscuro. Nel III volume è documentato un particolare della Caduta, un solo Gigante sovrastato da un masso, che circolò come invenzione autonoma, datato sempre al 1638 (PN 4207).
Oltre alla Caduta dei Giganti, un’altra invenzione reniana tradotta da Coriolano circolò con una destinazione pubblica e ufficiale: il frontespizio, già citato, della tesi del ‘dott. Gotti’, figlio del pittore Vincenzo, presente nella bottega reniana (PN 4316). Ancora Malvasia narra che due fogli raffiguranti Sibille servirono a Coriolano per realizzare “la conclusione in legno, con le due stampe, al Dott. Gotti”; ad esse l’intagliatore fece aggiungere allo stesso Guido “que’ due Angeletti, quelle nubi, que’ panni, e l’Arme della Libertà” [28]Malvasia 1678 (1841), I, p. 96. che compongono l’Allegoria. I disegni di Reni potevano dunque trovare una destinazione autonoma, in singole incisioni (PN 4224, PN 4226, PN 4227), oppure venire assemblati in composizioni più complesse.
A parte questi due casi, l’Allegoria e la Caduta dei Giganti, il resto della produzione di Coriolano è sempre privo di dediche nei primi stati e appare destinato a soddisfare un mercato devozionale e privato di amatori d’arte, probabilmente soprattutto locale, interessato ad avere piccole invenzioni di Guido Reni. Il pittore doveva essere tanto consapevole del potere di diffusione dei chiaroscuri di Coriolano per le sue invenzioni, da affidargliene un grande numero attraverso propri schizzi, contribuendo così a creare e alimentare non solo la sua immagine di pittore devoto nel clima controriformistico, del revival mariano in particolare, ma anche per accrescere la sua notorietà in città e oltre. La fortuna di queste invenzioni reniane, ma veicolate dal medium e dallo stile di Coriolano, persiste nel contesto bolognese anche nel XVIII secolo. Si veda, nel volume, la traduzione di un’altra Sibilla di Coriolano realizzata dallo xilografo bolognese Giuseppe Maria Moretti (Bologna, 1659-1746), presumibilmente negli anni di ammissione all’Accademia Clementina, dopo il 1700, come dimostra la rappresentazione sulla tavoletta di uno spellato, sulla falsariga di quelli disegnati dal ceroplasta Ercole Lelli (1734), oggi nel Teatro anatomico dell’Archiginnasio [29]Orlandi 1763, p. 234 citato da Travisonni 2017. L'incisore è colui al quale Malvasia aveva affidato tutte le illustrazioni della Felsina Pittrice. Della sua attività di incisore in chiaroscuro, Pellegrino Antonio Orlandi sottolinea la mimesi con altre tecniche, come il bulino e l'acquaforte, a ulteriore dimostrazione che il giudizio critico su questa tecnica, come già visto per Malvasia, non fosse altissimo. Tra l'altro Moretti sarà poi allontanato dall'Accademia, a causa della sua inabilità nel disegno..  (Fig. 3)
Tornando a Coriolano e ai chiaroscuri realizzati durante la permanenza dell’intagliatore nella bottega di Reni, l’assenza di dediche, le riedizioni e le tante varianti avvalorano l’idea di una produzione seriale [30]Cfr. Takahatake 2010., promossa dal pittore nella consapevolezza della richiesta locale di immagini devozionali e graziose. Dopo la sua morte, quando Coriolano diviene un editore autonomo, i chiaroscuri si popolano di dediche, ma nel III volume della Pinacoteca Nazionale di Bologna non è presente alcun esemplare con dedica.
Per esempio del San Girolamo inciso da Coriolano nel 1637 che reca in basso a sinistra uno stemma vuoto (PN 24871), esiste uno stato successivo del 1642 con lo stemma del dedicatario del chiaroscuro, l’abate Giorgio Maria Durazzo (fig. 4), non documentato nel nostro volume. Ancora dell’Allegoria dell’Alleanza tra la Pace e l’Abbondanza (PN 4197), esiste anche lo stato del 1642, dedicato a Saulo Guidotti, legato da profondo affetto per il pittore fino agli ultimi giorni di vita [31]Malvasia 1678 (1841), II, p. 40. (fig. 5).
Nel III volume sono poi documentate due xilografie di Coriolano raffiguranti l’Allegoria della Fortuna, l’una in controparte rispetto all’altra, con gli stemmi e i cartigli ancora vuoti, pronti per dediche a eventuali committenti (PN 4220 e PN 4192) nell’idea di sfruttare la fama di un’invenzione reniana molto celebre: la “Fortuna che [Reni] dipinse all’Abbate Gavotti”, ricordata da  Malvasia per l’inopportuna vendita del dipinto da parte di Gavotti prima che fosse finito nel 1637 [32]Malvasia 1678 (1841), I, p. 96. Per le incisioni si veda Candi 2016, p. 269, nn. 139-140. Sulla Fortuna dell’abate Gavotti si vedano Pepper 1988, p. 287, Spear 1997, pp. 240-241, Pepper e Mahon 1999. e per l’acquaforte che Girolamo Scarsello trasse dalla tela all’insaputa del pittore (PN 2127), quando era ancora nel suo studio [33]Malvasia 1678 (1841), I, pp. 96-97, e II, pp. 24, 31, 320. Della Fortuna parla qui di seguito Arianna Manes con una nuova ipotesi interpretativa del soggetto.. L’idea, dunque, è che il collezionista delle stampe confluite nel III volume, abbia preferito i primi stati dei chiaroscuri di Coriolano per motivi di prestigio e valore [34]Per la complessa individuazione del ‘collezionista’ di queste stampe si rimanda a Rossoni 2008: https://aperto.pinacotecabologna.beniculturali.it/nuovi-studi-sulla-collezione-di-stampe-della-pinacoteca-nazionale-di-bologna, e Ead. 2025. .

Fig. 3 Giuseppe Maria Moretti, Sibilla, chiaroscuro, Bologna, Pinacoteca Nazionale, Gabinetto Disegni e Stampe, III volume, inv. PN 4206Fig . 4: Bartolomeo Coriolano, San Girolamo, chiaroscuro a due legni, Firenze, Biblioteca Marucelliana, inv. St. XXIIII, n. 24

Fig. 5 Bartolomeo Coriolano, Allegoria dell’Alleanza tra la Pace e l’Abbondanza, chiaroscuro a due legni, © The Trustees of the British Museum, inv. W, 5.20

Come detto al principio, mi soffermo su un’altra singola stampa documentata nel III volume: la traduzione del Sant’Andrea condotto al martirio, affrescato da Guido Reni su una delle pareti dell’Oratorio di S. Andrea in S. Gregorio Magno a Roma, realizzata all’acquaforte dall’incisore e pittore Carlo Cesi (ca. 1622-1682, PN 3134) forse entro il 1660, en pendant con una derivazione (fig. 6) dall’affresco di Domenichino, dipinto sulla parete opposta, firmata da Carlo Maratti (1625-1713) [35]Cfr. Carlo Cesi 1987, p. 86.. La stampa, realizzata in ambito strettamente accademico, fornisce la traduzione visiva di uno dei termini dell’estetica classicista seicentesca, che vede nella contrapposizione tra i due pittori bolognesi il suo topos più frequentato [36]Si veda il recente volume dedicato alla storiografia critica relativa a Guido Reni (Pierguidi 2022) che si sofferma in particolare sul tema alle pp. 281-294..
Alla base di questo topos c’è il celeberrimo aneddoto della ‘vecchierella’, per la prima volta narrato nel trattato del bolognese Giovan Battista Agucchi, redatto tra il primo e il secondo decennio del Seicento [37]Si deve a Denis Mahon la pubblicazione, nel fondamentale Studies in Seicento Art and Theory (1947), del trattato della pittura di Giovan Battista Agucchi (1570-1632), reperito all’interno della prefazione di Giovanni Atanasio Mosini (pseudonimo di Giovanni Antonio Massani) alle Diverse figure al numero di ottanta di artigiani e commercianti delle vie di Bologna (1646), disegnate da Annibale Carracci e incise da Simon Guillain.: la vecchierella viene notata da Annibale Carracci commuoversi profondamente davanti al Martirio dello Zampieri, dove, per lo storiografo, vengono “più vivamente espressi gli affetti e più chiaramente la sua Historia dichiarata” e rimanere invece indifferente di fronte al Sant’Andrea condotto al martirio di Reni [38]Mahon 1947, pp. 271-272..
Questo racconto viene recepito, molti anni dopo, sia da Giovan Pietro Bellori ne Le vite de’ pittori, scultori e architetti moderni del 1672, che da Carlo Cesare Malvasia nella Felsina Pittrice del 1678.
Per lo storiografo bolognese è l’occasione di riconoscere nel Reni in S. Gregorio Magno l’autore di una historia “felicemente condotta” [39]Malvasia 1678 (1841), II, p. 14. Sull’aneddoto della ‘vecchierella’ si veda in particolare McTighe 2008. Sulla contrapposizione Reni-Domenichino, anche il commento di Spear 1982, vol. 1, pp. 54-56, e ancora Malvasia 2013, in particolare le pp. 7-12. e in Domenichino quello di una pittura “più erudita e studiosa” [40] Si veda la lettera (pubblicata in Gli scritti dei Carracci 1990, p. 166) indirizzata da Annibale Carracci al cugino Ludovico, in cui l’artista attribuisce a Reni, "come […] proprio dono", i caratteri di "vaghezza e maestà"; ad Albani e Domenichino, invece, "altra intelligenza nelle degradazioni sì di colorito come di prospettiva, nella distribuzione e collocatione delle figure, nel caminar de’ piani". Nella biografia di Reni è presente solo un accenno a questa lettera: cfr. Malvasia 1678 (1841), II, p. 14.

Questa idea – della convivenza di due anime opposte ma complementari nell’estetica del classicismo – era già stata fornita da Bellori nelle sue Vite [41]Bellori 1672 (1976), p. 319: "Poiché questa historia con l’altra di Guido ad un tempo fù discoperta, concorse ciascuno à vederle come un duello di due eccellentissimi Artefici, nel quale combattevano non Apelle, e Protogene di una linea, ma Guido, e Domenico di tutta la pittura"., testo che fornisce la definitiva sistemazione delle teorie critiche elaborate da Agucchi e dalla cerchia di intellettuali riunitisi intorno a lui nella Roma della prima metà del Seicento di cui lo storiografo faceva parte in gioventù [42]Sul tema si vedano Ginzburg Carignani 1996a e Ead. 2002, p. 65 con bibliografia precedente.. Reni e Domenichino sono dipinti come novelli Apelle e Protogene e chiamati a incarnare i due filoni principali in cui l’arte contemporanea si esprime, la pittura devozionale e da stanza e quella di storia. Protogene, descritto da Plinio il Vecchio nella Naturalis Historia alla stregua di un esecutore preciso, stentato e faticoso, viene elevato a modello di una pittura fondata sul disegno perfetto, sull’accordo delle varie parti della composizione, su dolci trapassi tonali e chiaroscurali e soprattutto sulla resa delle espressioni. Apelle è il pittore della χάριs per Plinio, che diventa, per Bellori, una grazia non svincolata dall’osservanza della norma, frutto di studio dei modelli, lontana dalla qualifica di dote innata e irrazionale dell’esecutore che le dava l’autore latino [43] Bellori 1672 (1976), pp. 305-306..
Proprio la facilità e la ‘risoluzione’ diventano peculiarità di Reni, contrapposte alla difficoltà e stentatezza di Domenichino anche nelle parole dello scultore bolognese, Alessandro Algardi, riportate da Malvasia: “[…] val più la testa, le braccia e il torso di S. Andrea, che adora la Croce, val più quel poco di paesetto, che non vale tutta la intiera istoria della Flagellazione […]. La difficoltà sta nella risoluzione, nella facilità, che solo è quella che non possono, se non sanno usare se non gran maestri […]. Le chiacchiere della vecchia […], sono fandonie, sono invenzioni” [44] Malvasia 1678 (1841), II, p. 226..

Fig. 6: Carlo Maratti, Martirio di sant’Andrea, acquaforte, Washington (D.C.), National Gallery of Art, inv. 1973.54.11

Credo che appaia chiaramente, grazie a questo excursus, quanto dovesse essere rilevante la presenza di questo bulino in una collezione bolognese. Esso doveva essere stato ricercato dal collezionista e poi riconosciuto come una sorta di manifesto dei caratteri della scuola pittorica locale.
L’ultima osservazione a proposito del Sant’Andrea condotto al martirio di Cesi è che comunque questa incisione, insieme al pendant di Carlo Maratti, non nacque, né fu pubblicata e riedita in ben cinque stati, a Bologna, ma a Roma, nel contesto accademico, dove il contributo delle incisioni di traduzione alla cristallizzazione e diffusione del gusto classicista non solo venne teorizzato, ma anche concretizzato in numerose pubblicazioni [45] Cfr. Borea 1986, pp. XVII-XVIII.: ricordiamo, tra tutte, il celeberrimo Argomento della Galeria Farnese (1657), suite di incisioni realizzate dal nostro Carlo Cesi, arricchite con spiegazioni delle “Favole Poetiche” [46] Sull’Argomento della Galeria Farnese si veda Borea 1986, pp. 129-149, e Ead. 2009, vol. 1, p. 311. di Giovan Pietro Bellori che contribuì non poco alla diffusione del canone critico e storiografico contemporaneo.

Francesca Candi

“Il Pesarese acquafortista”, diversi anni dopo

Sono trascorsi ottantasette anni e molta bibliografia da quando Alfredo Petrucci, nel 1938, avviò la riscoperta del Pesarese acquafortista, “superiore, per qualità di linguaggio e sentimento solare, non solo ai Sirani e al Loli, ma allo stesso Guido Reni” [47] Petrucci 1938, pp. 41. È interessante evidenziare come l’avvio critico proceda per Cantarini dalla grafica e a un anno di distanza dal Guido Reni di Otto Kurz, quando cioè mancavano ancora contributi specifici dedicati ai disegni del bolognese. La fortuna dei disegni di Reni nel ‘900 è argomento del volume di Iseppi, in corso di pubblicazione. Sono grata a Giulia del confronto stimolante su questi temi, per la sua generosa disponibilità. . Tra le ultime battute dedicate all’argomento quella di Andrea Emiliani sul primo numero della rivista “Aperto”, in cui rendeva noto il foglio a matita nera e rossa, quadrettato, preparatorio alla stampa raffigurante Mercurio e Argo (Parigi, Collezione privata; PN 2176). L’occasione consentiva in quel frangente di ‘tornare’ su Cantarini disegnatore oltre che incisore in uno scritto sintetico ma idealmente in contatto con ogni pagina del nostro III volume [48] Emiliani 2008; su Cantarini disegnatore da ultimo Cellini 2025. , poiché se al netto di una conoscenza profonda lo studioso ribadiva l’efficacia espressiva del segno grafico [49] In tal senso le osservazioni di Petrucci e Emiliani sono allineate al referto di Malvasia 1678 (1841) II, p. 448, illustrativo della modalità operativa di Simone, studioso attraverso il disegno: “[…] i suoi tagli sono, anzi saranno col tempo sempre più famosi, non potendosi oprar l’acqua forte con maggior brio, e giustezza. Usava perciò fare il disegno da tagliarsi più volte, correggendolo di nuovo, e correttolo, ricalcandolo sempre, e andandogli finalmente sopra con un certo dispregio, che mostrava a chi non sapea l’artificio di tante repliche, una facilità la maggiore del Mondo. Fu insomma il più grazioso coloritore, e il più corretto disegnatore, ch’abbia avuto il nostro secolo e ch’abbia imitato Guido […]”. , riflettono la pronta intelligenza dell’artista le acqueforti, documenti filologicamente indagati nell’ultimo ventennio del secolo scorso da Paolo Bellini e Anna Maria Ambrosini Massari [50] L’opera incisa di Simone Cantarini 1980; Bellini 1987; Ambrosini Massari 1997a con relative schede. A entrambi si rinvia per approfondimenti bibliografici, segnalando tra i precedenti studi la ricognizione condotta da Bartsch 1795 e, almeno, Emiliani 1959; Mancigotti 1975. .
Le incisioni di Cantarini, tanto meditate per cui non dovrà ingannare la libera leggerezza del tratto, avvertono gli stimoli derivati anche dalle altre reperibilissime carte, come potevano essere quelle di Agostino Carracci, al pari di lui sedotto dalla lezione dei grandi veneti del Cinquecento (fig. 7). Non da meno, sembrerebbe Paolo Veronese l’ideale compagno di una possibile prima sortita in Emilia del Pesarese in compagnia del maestro Claudio Ridolfi, sintetizzata nel ricordo dei “duo quadri abbozzati uno dei quali era Marte e Venere che si spogliavano ed Amore che pisciava nella corazza, che furono stimati bellissimi, ma mai si seppe se li finisse e dove andassero” [51] Malvasia ed. 1983, p. 176., soggetto sospeso tra il dipinto del pittore veneto ora alla National Gallery di Edimburgo e gli indugi intellettuali del Carracci, a sua volta introdotto alla discussione delle tematiche d’amore nell’accademia dei Gelati nonché autore delle Lascivie [52] Un documento importante si individua perciò nell’acquaforte desunta dal Veronese compresa nel volume (PN 24763), per cui si veda A. M. Ambrosini Massari, in Simone Cantarini detto il Pesarese 1997, p. 312, n. III.1. Per Agostino il riferimento è nello specifico al rapporto con Melchiorre Zoppio, tra i fondatori dell’accademia dei Gelati, attenzionato da ultimo in La favola di Atalanta 2024, pp. 14-19. Zoppio fu autore del trattato d’amore intitolato Psafone (Bologna, G. Rossi 1590), la cui rilevanza per i fratelli Carracci e in rapporto al programma decorativo della Galleria Farnese è stata evidenziata da Ginzburg (2000, pp. 135-154), proponendo una lettura combinata con La Montagna Circea, testo descrittivo degli apparati nuziali del duca di Parma Ranuccio con Margherita Aldobrandini. Sull’argomento inoltre Ead. 2008; Colonna 2007, pp. 51-54. Sulle Lascivie si veda invece Faietti 2009..  Mentre a Ludovico Carracci rimbalza il cenno più immediato alla stampa numero 123 del volume, desunta dal perduto affresco di San Michele in Bosco con San Benedetto che libera un indemoniato (PN 2170), il caso della celebre Vergine col Bambino che tiene col filo un uccellino (PN 24740), precisato da Adam Bartsch nei termini di un calco perfetto da Guido [53] Come suggerito da Candi (2016, p. 217, n. 70) la si potrebbe credere tratta dalla stampa autografa descritta nella Felsina pittrice come “La Madonna sedente in faccia, che postasi la sinistra sotto la guancia con la destra si sostiene in grembo il nudo Bambino steso, volto all’insù che fa volare la rondinella appesa a’ un filo”, della quale doveva esistere una versione dipinta già in collezione del marchese Francesco Maria Angelelli. , rammenta che per la consuetudine alla pratica incisoria, prima ancora di essere attratto per necessità dal sistema commerciale dei Locatelli [54] Fondamentali le aperture di Morselli (1997, pp. 51-59; 2012, pp. 149-150) in relazione alle figure dei mercanti Bernardino e Cesare Locatelli e alla rispettiva quadreria, descritta a partire dagli inventari pubblicati in Ead. 1998, pp. 271-293. , fu fondamentale l’intuizione del maestro, cui parve di trovare un novello Raimondi, un altro Agostino, invaghito della “leggiadria e grazioso dispregio di que’ bei segni” tanto da provarne a gestire la mano affinché garantisse alle sue invenzioni una risonanza ancora più grande [55] Malvasia 1678 (1841), II, p. 376; Ambrosini Massari 1997a, pp. 304-311. .

Il percorso di Simone asseconderà alterne vicende, fruttando la personale messa a punto di un linguaggio che assomma all’eredità marchigiana, l’ideale classico bolognese e le più aggiornate esperienze romane, materia confluita tutta nella nozione critica di libertà emulativa corrisposta al genio che seppe trovare “una sorta di bussola di orientamento e di sperimentazione” [56] Emiliani 1992, p. 211., nel tempo breve di una parabola artistica avvincente, fiorita nel solco di una tradizione autorevole. I temi che attraverso le stampe raccontano della sua peculiare ricerca sono soprattutto le Sacre famiglie e i Riposi, di tono affettivo le prime, votati alla restituzione di chiare impressioni naturalistiche i secondi, soggetti ben rappresentati nel volume e di rimando a opere centrali, come la poetica Sacra famiglia con san Giovannino (1635-1640, Roma, Galleria Borghese) o l’ampio Riposo durante la fuga in Egitto (1640-1643 circa, Milano, Pinacoteca di Brera) [57] Si tratta di soggetti illustrati in relazione ai dipinti da ultimo in Simone Cantarini (1612−1648). Un giovane 2025, pp. 120-121, n. II.6; 176-179, n. V.2; 180-183, n. V.3-V.4; per il confronto con Reni e per il caso specifico del Riposo di Brera, si veda Ambrosini Massari 2025, pp. 26-27, 33, figg. 5-6. .

Fig. 7: Simone Cantarini, Marte che spoglia Venere, Amore assalito da un cane, acquaforte, Musei Nazionali di Bologna, Pinacoteca Nazionale, Gabinetto Disegni e Stampe, inv. PN 24763

 

“Alla Fortuna ogni uomo”. Intorno all’allegoria reniana e per Simone Cantarini fra Giulio Sacchetti e Giovanni Battista Manzini

“La Fortuna in piedi sul globo, che versa la borsa piena di moneta, fatta a concorrenza di quella del suo Maestro, così fortunato, diceva egli; ed aggiuntovi misteriosamente Amore, che afferrandola per i capelli la tira; e della quale abbiamo noi due disegni: once 7. e mez. onc. 4 e mez. per dirit” [58] Malvasia 1678 (1841), I, p. 98..

Tra le questioni che il volume Lambertini consente di approfondire vantando la rappresentanza di tasselli ascrivibili alla vicenda è quella che di riflesso all’acquaforte di Cantarini (PN 24767) pone l’interrogativo sulla natura del soggetto scelto “a concorrenza” di Guido, il medesimo individuato per glorificarlo nelle vesti di incisore oltre che pittore da Domenico Santi (fig. 8) [59] A. M. Ambrosini Massari, in Simone Cantarini 1997, pp. 326-327, n. III.11. , nel meaglione concettualmente allineato al bozzetto riferito negli Scritti inediti spettanti alla Felsina pittrice che converrà tenere a mente:

“[…] Portò dunque il caso che il Pesarese, dopo molte istanze di veder dipingere Giovan Francesco, nel ché mai poté essere compiaciuto, si risolse di andare col Dottor Zamboni, stretto confidente di Giovan Francesco, e così fece; stupì Giovan Francesco e rimase, tuttavia si pose a lavorare. Cominciò il Pesarese a lodarlo, ed egli, presa l’occasione, disse che la fortuna a tutti compartiva i suoi doni, né ad uno solo dava ogni cosa: a chi dava la ricchezza, a chi la virtù, che così appunto aveva fatto con lui che gli dava ricchezze incredibili correndo a tutti farlo lavorare a che prezzo egli voleva, ad altri poi aveva dato la virtù, ma non la ricchezza sì che si morivano pezzenti senza aver mai un soldo, che però tutti dovevano portar la sua croce, ch’ei portava quella dell’ignoranza ed altri lietamente dovean portare quella della povertà, e così staffilando il Pesarese che aveva poca fortuna. Udì il Pesarese e tacque là dove spiritoso doveva rispondere che [in un virtuoso la virtù non la ricchezza] la virtù sola era la maggior ricchezza che potesse desiderare il virtuoso che non avria [barattata] cambiato un grano di virtù con un peso d’oro, ammaestrato in ciò da uno che de’ pittori fu vero maestro e fu Guido che non cercò doppo la sua morte lasciar tesori ma la fama delle sue opere” [60] Malvasia ed. 1983, pp. 180-181; in relazione al Guercino, Morselli 2012, p. 145..

Fig. 8: Domenico Santi, Ritratto di Simone Cantarini, acquaforte, Roma, Istituto Centrale per la Grafica, Fondo Corsini, inv. S-FC73213

Il momento annunciato dalla puntuale nota edita di Malvasia approssima invece all’anno 1637, che per il più anziano maestro conta l’avvio delle Nozze di Bacco e Arianna, dono politico destinato a Henrietta Maria d’Inghilterra; tormentate vicissitudini hanno fatto sì che dell’imponente lavoro, allocato da papa Barberini e dal cardinal nipote Francesco per il tramite del cardinale Giulio Sacchetti [61] Sulla famiglia Sacchetti e la preminenza del cardinale Giulio è opportuno il rimando alla disamina di Fosi 1997; in breve invece, Ead. 2017, pp. 449-455., siano pervenuti soltanto frammenti (Arianna, Bologna, Pinacoteca Nazionale; Due fauni, Collezione privata), in aggiunta alle derivazioni incise e dipinte [62] Le vicende sono ripercorse nel catalogo interamente dedicato, Bacco e Arianna di Guido Reni 2018. Per la grande stampa desunta da Giovanni Battista Bolognini si veda nel dettaglio Candi 2016, pp. 74, 273, n. 147. . Per il venticinquenne Cantarini il termine conduce al primo vero trasferimento nel capoluogo emiliano [63] Cellini 1997, pp. 407-412; Ambrosini Massari 2009, pp. 379-380; Ead. 2025, pp. 28-29. , nonché all’impegno della Trasfigurazione di Cristo per la chiesa del Forte Urbano a Castelfranco Emilia (Città del Vaticano, palazzo Apostolico, cappella Paolina), quando stimò per offesa l’osservazione di Reni relativa alla figura dell’apostolo Pietro rendendosi protagonista dell’apice eversivo strabordato verso la cesura netta con gli altri della stanza reniana, mentre finivano per incrinarsi anche i rapporti con i protettori della prima ora, i vari Zamboni e Locatelli che in diversi modi lo avevano sostenuto [64] Sull’importante commissione per la chiesa del Forte Urbano un quadro di riferimento è quello tratteggiato da A. Emiliani, in Simone Cantarini detto il Pesarese 1997, pp. 96-102, n. I.14..

Nel disappunto generale trovò campo libero Giovanni Battista Manzini (Bologna,1599 – 1664) [65] Morselli 2022, pp. 72-74; Primarosa 2025, pp. 41-42. , figura controversa di intermediario e letterato, il cui nome ricorre accanto a quello del grande bolognese e del Guercino, quest’ultimo effigiato alla sua sinistra nel Doppio ritratto realizzato al principio degli anni Sessanta da Benedetto Gennari (Cento, Pinacoteca Civica) [66] P. Stenta, in La Civica Pinacoteca il Guercino di Cento 2023, pp. 272-273, n. 51.. Senza percorrerne minuziosamente la biografia, tratteggiata fra luci e ombre nei Parentalia in abitu Marchionis et Equitis Comendatarij dal fratello Carlo Antonio [67] Si tratta di uno scritto composto alla morte di Giovanni Battista aggiunto in calce allo studio scientifico dal titolo Le comete (Bologna, G. B. Ferroni, 1665), insieme all’orazione funebre tenuta da Matteo Griffoni e ad altri componimenti poetici. Un moderno profilo biografico è stilato da Matt 2007, pp. 273-276., dovranno almeno essere specificati taluni passaggi utili alla comprensione dell’individuo, figlio di un venditore di gemme, giunto nella Roma di Paolo V Borghese in cerca di gloria all’età di diciotto anni, entrato nelle grazie del cardinale Stefano Pignatelli e avviato allo studio del diritto canonico e civile. Conseguita la laurea a Bologna, divenne maestro di camera per trovarsi a Torino al seguito del nunzio Lorenzo Campeggi, un soggiorno interrotto prima del tempo per il facile ricorrere alle armi, attitudine destinata a inciderne la storia personale [68] Betti 1991, p. 60. . Nel 1626 vide la luce a Bologna la sua prima opera per i tipi di Tebaldini, ovvero Il servitio negato al savio libri due […] al serenissimo principe il card. Savoia, un capitolo in risposta al trattato Che al savio è convenevole corteggiare licenziato da Matteo Peregrini due anni prima [69] Rispetto alle posizioni di entrambi, Betti e Saccone 2009. , di rinvio alla disputa svolta nell’alveo dell’accademia della Notte, fondata da quest’ultimo e nel frattempo transitata dall’indirizzo spagnolo dei Ludovisi a quello francese dei Barberini [70] Su Matteo Peregrini si veda Ardissimo 2015, pp. 326-330. Per l’accademia della Notte e il dibattito incentrato sul ‘savio di corte’ si rinvia anche a Betti 2000, pp. 84-101; Ead. 2002, pp. 53-58. Le intersezioni che qui interessano, tra pittori e letterati, sono state indagate da Iseppi 2022, pp. 253-284 con particolare attenzione alla figura del poeta Gaspare Bombaci. . L’idea avversa sostenuta da Manzini, che più sottilmente attinse al francese Eustache du Refuge, precludeva al sapiente la possibilità di un ruolo positivo nel sistema della corte ritenuta ricetto d’ogni vizio e dunque da rifuggire, prediligendo un percorso insieme appartato e esemplare. Soltanto la lontananza dal circuito descritto come il vero teatro delle debolezze umane poteva consentire al savio il recupero della funzione del ‘pubblico bene’ anche se, oltre alla severa critica impostata come di consueto sui negativi storici, una riserva favorevole veniva espressa ragionando delle contemporanee corti cristiane. Non stupisce allora la sequela dei potenti, pontefici (Urbano VIII, Innocenzo X, Alessandro VII) duchi (Ferdinando II de’ Medici, Ranuccio II Farnese) e sovrani europei ai quali puntualmente tentò di accostarsi [71] Fantuzzi 1718-1799 (1965), V-VI, pp. 208-211. , negoziando compromessi assimilati all’accordo promotore di civiltà, peraltro ottenendo l’agognato marchesato [72] Borghi 2018, pp. 484-485. . È quindi sempre nel registro duplice, del complesso equilibrio, che andrà intesa la fedeltà alle idee fondative dello scritto giovanile, ancora riverberate nel romanzo Il Cretideo, completato nel 1635, al quale è premessa un’accorata lettera indirizzata alla corte sabauda [73] Il romanzo vide la luce a Bologna per i tipi di Giacomo Monti nel 1637. L’ostinata rincorsa al patronage Savoia fu parallela a quella del fratello Luigi e annovera, tra gli apici, la condanna decisa dalla Repubblica di Venezia per aver avvallato le tesi da questi proposte in merito alla contesa sovranità di Cipro ne Il caduceo. Panegirico all’altezza serenissima di Maurizio principe, e cardinal di Savoia, Bologna, C. Ferroni 1635, nella Copia di una lettera in risposta scritta dal Sig. Gio. Battista Manzini ad un cavaliere principalissimo di Venetia falsamente datata 1636, per cui si veda Fantuzzi 1718-1799 (1965), V-VI, p. 209. Un positivo rapporto con gli intellettuali della Serenissima dovette tuttavia procedere dall’amicizia con Giovan Francesco Loredan, fondatore dell’accademia degli Incogniti, come con il consultore della Repubblica Fulgenzio Micanzio. In quest’ultimo caso si veda Betti 1989, mentre più in generale riguardo al cenacolo: Miato 1998; Spera 2014; Stockbrugger 2020. .

In ossequio al percorso di molti affini, anche il raggio d’azione di Manzini ebbe portata sovralocale ma nodali per la carriera letteraria furono le connessioni generate nel perimetro di Felsina, che poteva a suo nome vantare il primato dello stile laconico nel nesso stretto con il conte Virgilio Malvezzi [74] Raimondi 1961, pp. 196-210. , del quale fu protetto e ‘bravo’, suo malgrado occupato a gestirne le intemperanze specie all’altezza del 1629, momento in cui Manzini fu bandito dalla città su istanza del legato Bernardino Spada [75] Risale invece al 1627 il discorso di presentazione dell’accademia della Notte tenuto da Manzini dinanzi allo Spada, appena giunto nelle vesti di Legato, e al cardinale Magalotti. Come sostenuto da Betti (2002, pp. 53-54), l’orazione riveste un duplice interesse, per gli argomenti che specificano la scelta del nome e dell’emblema e per la rilevanza ufficiale assunta nel cenacolo dal nostro, altrimenti non verificabile. . Lo si ritroverà nel tempo tra i Filergiti di Forlì, gli Agiati di Rimini, gli Umoristi di Roma e gli Addormentati di Genova, cenacolo quest’ultimo avente tra i propri membri Anton Giulio I Brignole Sale, l’insoddisfatto acquirente dei famosi “quadri dieci di mano di Guido”, inviati all’inizio degli anni Quaranta [76]Nel 1630 Manzini presentò un componimento, I tre concorrenti amorosi, nella villa di Brignole Sale; al medesimo è rivolta la dedica del Sant’Eustachio martire, mentre l’opera del genovese intitolata Le instabilità dell’ingegno venne pubblicata nel 1635 a cura del bolognese. Questi i pregressi che delineano il tenore della relazione prima dell’acquisto dei “quadri dieci di mano di Guido Reni di Bologna” rivenduti da Manzini. La vicenda, indagata a più riprese dagli studi, è stata riconsiderata da Leonardi (2011-2012) rendendo note le tre missive del 1641 rintracciate nel fondo Sauli presso l’Archivio Durazzo Giustiniani di Genova, muovendo da quella risalente al 4 maggio inoltrata da Manzini a Giovanni Antonio Sauli, completa di una copia della nota con la quale Brignole Sale aveva messo in dubbio la qualità dei quadri ricevuti..

Fra i rapporti offuscati dall’interesse anche quello con Cantarini insinuato nella crepa con il maestro “e perciò postosi ad esaltarlo sopra ogn’altro Pittore”, con un pubblico cartello a stampa dedicato alle “Veneri, che nelle sue tele famose figurar sapea solo il Pesarese Apelle” [77] La citazione ricorre in Malvasia 1678 (1841), II, p. 379, preceduta dall’antefatto: “Esagerando egli un giorno sopra la sua perversa fortuna, che invece di attribuire alle sue irresoluzioni, e perdite di tempo, rifondeva sopra una chimerizzata persecuzione di Guido, e amplificata malignità degli emoli, e promettendo gran cose, quando da soggetto autorevole venisse sostenuto e difeso, ciò udito da persona molto accreditata in lettere, e per quelle sollevato a gradi e titoli, offerse prontamente la sua protezione, non meno, che il vitto, la casa, e quanto avesse saputo desiderare, oltre onesta previsione; onde stabilitesi ben tosto le condizioni, la qualità e quantità de’ quadri che lavorargli ogn’anno dovea, passossene a quella casa servito in partimento nobile […].” Il rapporto tra i due è tratteggiato anche negli appunti inediti, ed. 1983, pp. 183-184. Il profilo biografico di Manzini è approfondito da Betti 2009, pp. 257-289. : un encomio tendente alla sfida se si considera che l’uguale retorica era stata sfoderata nel Trionfo del pennello, la raccolta di epistole uscita nel 1633 celebrativa di Reni e del suo Ratto di Elena, della quale Manzini si fece promotore spendendo non poche energie, mosso dal desiderio di penetrare la cerchia barberiniana facendo leva sul porporato che gli aveva concesso il ritorno in città. Era trascorso infatti poco più di un anno dalla revoca del suo allontanamento decisa dal medesimo Spada, che aveva avuto un ruolo nelle trattative inerenti al capolavoro in ultima istanza offerto a Maria de’ Medici [78] Per il dipinto si rinvia al volume dedicato da Pierguidi 2012.: d’accordo con Fabio Borghi si potrebbe credere che l’affiatamento con Reni costituisse in quel momento l’espediente aggiuntivo, se non il principale, nel calcolo dell’ascesa fino a quando, stando a Malvasia, disattesa la speranza di un quadro lo spregiudicato cambiò “l’affezione in odio, e gli ossequi in dispregio, sollevatogli il Pesarese contro” [79] Malvasia 1678 (1841), II, p. 46; Borghi 2018, pp. 483-487. . Giulia Iseppi ha recentemente dimostrato come in realtà la consuetudine che poteva avvantaggiare Manzini nel rapporto con l’astro bolognese sin dal precedente paterno uscì, seppure, lievemente scossa da quello sgarbo, o almeno dovremmo ritenere la situazione rientrata all’altezza del 1634, quando Reni stipulò un contratto con alcuni membri della famiglia Griffoni avente in oggetto l’affitto di una rimessa in Strada San Donato nei pressi del palazzo Malvezzi, accanto al quale pure viveva il nostro, in aggiunta intrinseco dei locatori [80] Iseppi, in Iseppi e Tomei 2022, pp. 121-126. . Si tratta di una precisazione che fa il paio con la vicenda della transazione per Brignole Sale [81] Cfr. nota 76., senza però smentire l’intento sobillatore evocato nella Felsina e che verso il 1637 fruttò per mano di Cantarini il Frontespizio per le “Grazie rivali”(fig. 9), cioè per l’opuscolo dedicato al granduca Ferdinando II contenente una serie di declamazioni accademiche tenute nella villa di Gian Vincenzo Imperiale (Sampierdarena, 1582 – Genova, 1648), quindi una testimonianza capace di una ulteriore connessione con il panorama ligure, senza dimenticare che sono questi gli anni dell’esilio di Imperiale in parte vissuto nella turrita e nemmeno le connessioni di entrambi con la Venezia di Claudio Monteverdi e Giovan Francesco Loredan [82] Per un accenno sulla figura di Imperiale collezionista e, più in generale, per la sua biografia si rimanda al profilo di Russo, Pignatti 2004, pp. 297-302. Attorno al San Sebastiano per lui dipinto da Reni: Iseppi, in Iseppi e Tomei, pp. 68-73. Occorre inoltre precisare che, diversamente dal fratello Luigi, Manzini non risulta formalmente ascritto a nessuna accademia veneziana malgrado quanto riferito nella nota 73 e le evidenze isolate da Borghi (2018, pp. 485-486).. Il retroterra ligure è però, con tutte le implicazioni romane del caso [83] Si tratta di un asse accademico che identifica uno snodo nel capoluogo felsineo. Per le relazioni ‘erudite’ tra Bologna e Roma si veda primariamente Avellini 1982 mentre, attorno a Guido Reni, lo sfondo è indagato più nel dettaglio da Iseppi e Tomei 2022. , quello che conduce al proprietario della prima redazione del dipinto con l’Allegoria della Fortuna (vendita Dorotheum, Vienna, 23-10-2018, n. 36), in dialogo con la vicina derivazione di Girolamo Scarsello (PN 2127) [84] In breve sul quadro: Malvasia 1678 (1841), II, pp. 24, 31, 320; Baldinucci 1681-1728 (1846), IV, pp. 29-30; Benadduci 1886, pp. 20-21; Pepper 1984, p. 277, n. 166A.I; Ead. 1988, p. 287; Pepper e Mahon 1999, pp. 156-163; P. Boccardo e M. Palazzi, in L’età di Rubens 2004, pp. 450-451, n. 116; Pericolo 2024, pp. 59-62.. Nella stampa sono presenti lo stemma e il nome dell’abate Giovan Carlo Gavotti [85] Un ragguaglio sulla sua figura e per le presenze ‘felsinee’ all’interno della collezione, Cantarini compreso, è offerto da Leonardi 2004, pp. 445-449; Ead. 2008, pp. 110-111. , colui che acquistò il dipinto non finito per trecento scudi rivendendolo il doppio a Benadduce Benadduci − il cui passaggio da Ferrara a Bologna in qualità di giudice delle soldatesche della Fortezza Urbana, poi uditore del Torrone, si assesta al gennaio 1638 come documentato da una missiva del Sacchetti [86] Feci 2016, p. 16, nota 64 e pp. 23-24. −, non prima di averne tratto altra copia [87] La presenza del soggetto nelle collezioni Gavotti vanta tra i riferimenti, come il più antico, l’inventario stilato alla morte di Nicolò III nel 1650; di una “Fortuna che viene da Guido” si fa menzione poi nell’elenco del 1679 relativo all’eredità di Camillo Gavotti, cugino di Giovan Carlo, per cui si veda Leonardi 2004, p. 446-447, nota 23; Ead. 2008, p. 107.. Filippo Baldinucci cita la vicenda Gavotti fornendo un’accurata ricostruzione dei fatti volta a privilegiare l’altro quadro, ossia quello ordinato dal prelato Jacopo Altoviti forse nell’occasione di una visita al cugino Sacchetti e che, sempre su base ipotetica, è considerato il medesimo visto da Luca Assarino nel 1639 [88] Sensi d’humiltà e di stupore havuti da Luca Assarino intorno le grandezze dell’Eminentissimo Cardinal Sacchetti e le pitture di Guido Reni […], Bologna, G. Monti e C. Zenero 1639, pp. 27-29; Magnani 2017, pp. 220-224. , cui attese nell’atelier il veronese Antonio Giarola, ma tutto ridipinto d’impeto da Reni, per di più convertendo l’attributo della borsa di monete con quello della corona [89] Cibrario, Jatta 2015, pp. 55-72. . La creazione di un secondo originale è spiegata da Baldinucci in conseguenza all’esposizione della versione Gavotti “in uno de’ più nobili portici della città in occasione d’una molto solenne festa” [90] Baldinucci 1681-1728 (1846), IV, p. 30. , quando ancora l’autore avrebbe gradito riserbo, vedendo così defraudata la propria invenzione a mezzo stampa anche da Cantarini, che realizzò l’acquaforte nello stesso verso ma con il putto, divenuto Amore, che con vigore trattiene (e non afferra) le chiome dell’ignuda in equilibrio sul globo (fig. 10).

Fig. 9: Simone Cantarini, Frontespizio per ‘Le grazie rivali’, acquaforte, Musei Nazionali di Bologna, Pinacoteca Nazionale, Gabinetto dei Disegni e delle Stampe, inv. PN 21848

Fig. 10: Simone Cantarini da Guido Reni, Allegoria della Fortuna, acquaforte, Musei Nazionali di Bologna, Pinacoteca Nazionale, Gabinetto dei Disegni e delle Stampe, inv. PN 24767

Fig. 11: Guido Reni, Antonio Giarola, Allegoria della Fortuna, olio su tela, © Roma, Accademia Nazionale di San Luca, inv. 429

L’allegoria riscosse ampio successo e numerose furono le copie di bottega, compresa quella ora di proprietà dell’Accademia di San Luca identificata nel quadro già in collezione Sacchetti a Roma (fig. 11), mentre di mano di Elisabetta Sirani doveva essere la versione un tempo in collezione Hercolani a Bologna. La critica ha spesso indugiato sulla qualità e provenienza delle versioni note e da ultimo Lorenzo Pericolo ha affrontato con sottigliezza la questione interpretativa senza tuttavia schivare le insidie latenti per esempio nel resoconto di Baldinucci, campana filotoscana, sulla cui scorta lo studioso ha inteso la modifica dell’attributo quale risposta diretta a Gavotti, colpito in quanto reprensibile commerciante d’arte e alla luce di uno status acquisito per mezzo del denaro, inferiore dunque al pregio delle famiglie Altoviti e Sacchetti elevate nel simbolo della corona [91] Pericolo 2024, pp. 64-68.. Ma se da un lato è vero che i Gavotti accrebbero ricchezze grazie all’oculato impegno in campo finanziario – basterà ricordare che il predecessore Nicolò II fu in società con Juan Enriquez de Herrera, committente di Annibale Carracci per l’omonima cappella in San Giacomo degli Spagnoli a Roma – e che non trascurabile fu la loro attività d’intermediazione nella vendita di quadri [92] Leonardi 2009, pp. 98-102. , dall’altro solidi dovevano essere i rapporti con la fronda dei banchieri fiorentini Altoviti e Sacchetti. È infatti grazie alla testimonianza di Jacopo Altoviti che giunge notizia della dimora, noto ritrovo, che l’abate aveva “bellissima e addobbata specialmente di pitture insigni” nei pressi di quella del porporato Sacchetti, del quale era “intrinseco e camerata” [93] La citazione è riferita nelle ‘testimonianze indotte’ presentate al processo di Lelio Maria Gavotti (1612−1680) per l’ammissione all’ordine militare di Santo Stefano Papa e Martire di Pisa, per cui si veda Leonardi 2008, pp. 96, 128, note 38 e 39. In tema di prossimità alla famiglia Sacchetti, ben evidenziata dallo studioso, è poi da richiamare la nota desunta da Romanelli 1996, pp. 349-350, “1651. Lista dei quadri d’Ill.mo et Ecc.mo Sacchetti … nel palazzo e nell’appartamento di [Giulio] Sacchetti, n. 221, Abate Gavotti, quadro … della fortuna cornici indorati et intagliati”, ripresa in ultimo da Pericolo (2024, p. 63). .

Il dato della contiguità amichevole tra gli interessati a possedere il concetto di Guido sembra schiudere un margine all’eventualità che fosse avvertito alla stregua di un moderno emblema da un manipolo che vedrebbe in testa Sacchetti, suddito dei Barberini e del granduca Ferdinando II, il cui prestigio è reso palpabile accennando al Ritratto richiesto a Pietro da Cortona all’indomani della nomina cardinalizia (Roma, Galleria Borghese), allestito nella dimora romana forse a comporre un trittico accanto alle effigi del fratello Marcello e di Urbano VIII (Roma, Galleria Borghese; Pinacoteca Capitolina) [94] Montanari 2019, pp. 17-18. . Per questo, ma soprattutto alla luce di quanto recentemente ricostruito per il caso esemplare della Favola di Atalanta [95]La favola di Atalanta 2024, pp. 155-183., è parso opportuno sondare la pista sinora mai tentata dell’orizzonte accademico per circoscrivere tangenze con la coeva letteratura e, al contempo, profilare un preciso orizzonte di senso pur nella consapevolezza della vastità del campo cui anche l’allegoria reniana pertiene [96] Un indicativo percorso iconografico dal secolo XI all’età moderna è approntato da Rossoni 2010, pp. 12-22.. Inizia così a farsi strada l’idea che possa attingere al nodo di una riflessione per i contemporanei di scottante attualità, di sfumatura personale per il calibro del Sacchetti, centrale sia nel cenacolo della Notte che in quello degli Umoristi e fondamento ineludibile per la corte dei Desiosi di Maurizio di Savoia [97] Su Manzini e gli Umoristi si veda Betti 2002, pp. 56-57, mentre per l’accademia dei Desiosi si rinvia più in generale a Merolla 2008. Il tema della comune riflessione sul ‘savio di corte’ è percorso da Iseppi (2023, pp. 272-274) nel contributo inerente al collezionismo di Maurizio di Savoia, al suo rapporto con Guido Reni e rispettivo atelier. . Offre il destro proprio Manzini con uno scritto fornito di titolo di per sé emblematico, Della peripezia di Fortuna ovvero della caduta di Seiano, solitamente allegato ai Furori della gioventù, esercitii retorici usciti a Bologna nel 1629 e a Venezia nel 1633. Citiamo dalla nota morale di avvio alla conclusione:

“Finalmente sia fra sé stesso quello che vorrebbe esser tenuto da gli altri. Cerchi d’esser virtuoso, ché la virtù è premio di sé stessa. Alla fortuna ogni uomo, alla virtù anche la stessa Fortuna ha che invidiar di bene. Quest’ultima cosa sola è toccata d’immortale, a chi ha da morire. Non è beato quello al quale piovono i tesori, ma quello a cui il bene è posto dentro all’animo. La Fortuna può ben punger costui, non piagarlo; può batterlo, non atterrarlo. Contro la virtù, l’avversità, i danni, l’ingurie ponno l’istesso, che le nubi contro ‘l Sole. Vero è, che il cortigiano essendo perfettamente tale, verrebbe quasi a non esser cortigiano, però che la corte è ricetto d’ogni fraude, e d’ogni vizio; cerchi però d’accostarsi al meglio che sia possibile; ché il virtuoso sa calcar le strade del viver degli uomini da bene anche sotto i Principi tristi. Altro modo non v’è di superar la Fortuna, che la sola virtù; e benché il giusto non sia libero da gli effetti, è però libero dalle cagioni: ché se è travagliato, è travagliato come uomo, non come empio; anzi è esercitato come virtuoso. Diceva Attalo Stoico, io amo più tosto che la Fortuna mi tenga ne’ suoi eserciti, che nelle sue delizie. Io sono tormentato, ma fortemente. Io sono ammazzato, ma fortemente: questo va bene. La disgrazia, è ‘l foco ch’affina quest’oro. La Fortuna non crede a persona più a chi la sprezza; non la sprezza, se non chi è virtuoso: e quando ci mancasse ogn’altra Fortuna, non è poca Fortuna l’esser virtuoso” [98]Della peripetia di Fortuna overo sopra la caduta di Seiano breve considerazione di Gio. Battista Manzini. All’illustrissimo signore il Sig. Marchese Horatio Scotti, in I furori della gioventù. Esercitij Rhettorici, Bologna, C. Ferroni, 1629, pp. 43-44. L’opera è inclusa nell’opuscolo a cura di Pieri 1987, pp. 5-48. Complementare la citazione dall’Alcibiade di Virgilio Malvezzi estrapolata da Raimondi (1961, p. 211): “Chi non conosce i movimenti della fortuna – scriverà verso la fine della sua esistenza – non è buon politico. Chi gli conoscesse, conoscerebbe Iddio… L’uomo per oprar bene, quantunque pieno di scienza, ha bisogno d’un non so che di più, che non può né apprendere né insegnare né conoscere, se l’esperienza non glielo mostra, né che cosa sia dopo averlo sperimentato”. .

Un concetto intriso di etica stoica, figurativamente mediato dalla presenza del putto che giunge ad afferrare il biondo crine, semmai per limitare le conseguenze dell’abbondanza casuale o smodata, servito all’intento di visualizzare l’avvertimento (fatto proprio da Malvasia negli appunti inediti) che vede sfavorita la ricchezza al cospetto della sapienza, il solo vero bene cui l’uomo dovrebbe tendere. Un’idea che, didascalica, prevale nella versione originaria − poiché non l’oro o le perle fuoriuscite a cascata dal borsello, tantomeno la forte ambizione, assicurano un perpetuo stato di grazia al sottoposto di qualsivoglia principe – restando fedele a sé stessa nella seconda, benché mutata di segno e tutta giocata sull’attributo della corona che verrebbe a indicare il concetto della nobiltà d’animo, meglio, della virtù garante della libertà dell’individuo.

Era d’altronde un monito alla consapevolezza quello che si desumeva attualizzando la storia di Elio Seiano, collaboratore di Tiberio giustiziato nel 31 d.C., tornata alla ribalta sull’onda del diffuso tacitismo e ripercorsa da Virgilio Malvezzi nei giovanili Discorsi offerti al regnante mediceo nel 1622 [99] Aricò 2004, pp. 201-205. , ma specialmente, per la linea che qui interessa, nelle Historie delle prosperità infelici di Elio Seiano e d’una femina di Catanea gran siniscalca di Napoli, Tradotto dal francese nella lingua italiana, dal Gelato Accademico Humorista scritte dal poeta storiografo francese Pierre Matthieu, circolate in Italia a partire dall’edizione ferrarese Baldini con una dedica rivolta da Roma al cardinal Bevilacqua il 29 dicembre 1619, il cui responsabile è purtroppo anonimo. Matthieu era stato ispirato dalla tragica fine della coppia di parvenu capace di un forte ascendente su Maria de’ Medici, ovvero quella formata da Concino Concini, che agevolò l’approdo francese del poeta Giambattista Marino, e dalla consorte Leonora Galigai [100] Fondamentale in proposito la disamina di Aricò 2007a. . Il primo perì nell’agguato deciso alla maggiore età da Luigi XIII il 24 aprile 1617, la seconda, ritrovata nel doppio boccacciano di Filippa catanese “mostro di fortuna”, fu accusata di lesa maestà e stregoneria e arsa in pubblica piazza a Grèves:

“Seiano sarà sempre allegato per esempio prodigioso di un’estrema insolenza, e d’una infelice ambitione. E’l suo tragico fine insegna, che già mai l’huomo non usa bene un’autorità malamente acquistata; che non bisogna giudicare della felicità avanti la morte, né del giorno avanti la sera, n’è d’una fabrica, avanti che sia fornita. La Morte, la Fortuna, il Tempo e la Corte si cambiano in un momento. Il favore acquistato pel merito, o per buona fortuna, si conserva con la modestia e si perde con l’insolenza, e il più sicuro, ed accertato non dee dipendere se non dalla mano suprema del Principe” [101] Historie delle prosperità infelici di Elio Seiano […] di Pietro Mattei historiografo del Re Cristianissimo tradotte dalla francese nella lingua italiana dal Gelato Academico Humorista […], Venezia, S. Grillo e fratelli 1620, p. 152..

“Per tutte queste cose bisogna conchiudere, che vi sia del male nelle ingiuste prosperità; che non vi sia sceleratezza, che non porti la sua pena, ed il suo pentimento; che chi ne fa una, ne aspetta un’altra, che mentre durerà il Teatro del Mondo, la Fortuna vi appresenterà le sue Tragedie, e farà vedere ch’ella abbraccia talvolta coloro, che poi vuole affogare” [102] Historia delle prosperità infelici d’una femmina di Catanea Gran Siniscalca di Napoli di Piero Mattei […], Ferrara, V. Baldini, 1619, pp. 57-58; Aricò 2007b. .

Fig. 12: Stefano Della Bella, Rebus della Fortuna, acquaforte, Roma, Istituto Centrale per la Grafica, Fondo Corsini, inv. S-FC117249

Qualora consona, la traiettoria appena annunciata consentirebbe di aggiungere un nuovo tassello alla storia della ricezione dell’invenzione reniana, presa in prestito nel Rebus della Fortuna (fig. 12), un ventaglio che si ritiene concepito da Stefano Della Bella negli anni del decennale soggiorno alla corte parigina, principiato nel 1639. Nel gioco si ritrovano ben cinque diverse interpretazioni della dea ma, verso il margine inferiore, una riga suona come ‘popolare contrappasso’ della formula del bolognese, riletta variando la postura delle braccia e aggiungendo sul volto la benda, in ossequio al detto “Migliore è un’oncia di Fortuna che due libbre di sapere” [103] M. Rossi, in Dea Fortuna 2010, p. 56, n. 17. .

Tuttavia, per validare la correttezza del quadro proposto sarà necessario tornare a Bologna e insistere sul cardinale Sacchetti che, dopo l’invio del breve di nomina nell’aprile del ’37, si apprestava a ricevere le chiavi della città festeggiato con uno spettacolo incentrato sul mito di Astrea, valido a prefigurare la peculiarità di fatto del suo governo fondato sulla restaurazione della giustizia. Sappiamo che fu interlocutore privilegiato della locale nobiltà, avvantaggiato dai rapporti presumibilmente coltivati nelle vesti di vice del cardinale Ubaldini sin dal 1623, complice dei privati circoli culturali e sensibile al processo di ammodernamento del pubblico Studio [104] Per un inciso sul periodo della legatura bolognese si veda Fosi 1997, pp. 120-121. Rispetto alla precedente esperienza ferrarese (1627−1631) il riferimento è ai due volumi curati da Fosi e Gardi 2006. . È perciò aderente al vero il riverbero positivo stillato dalla penna di Manzini nella descrizione del Torneo, avvitando una riflessione sulla tema campanilista della “Libertas” nell’ottica pacificata al cospetto di quel favorito:

“La necessità c’ho patita di lodarvi non nasce dalle vostre violenze, o dai nostri interessi. Nasce dalla vostra virtù e dalle vostre attitudini […]. Havete sempre fatto quanto havete saputo (e pur sapete quanto basta per esser l’oracolo del secolo) per render lieti, fortunati e contenti questi popoli, e ci havrete resi lieti, fortunati e contenti, e vorrete, e crederete, che possiamo tacere? L’allegrezza e’l contento del cuore sono cose troppo garrule. Non ponno achetarsi” [105] Del torneo ultimamente fatto in Bologna all’Emin. Sacchetti descritione panegirica del Commend. Gio. Battista Manzini […], Bologna, G. Monti e C. Zenero 1639, pp. 75-76, scritto successivo alla partenza di Virgilio Malvezzi per Madrid inteso come un’operazione “capace di disgiungere comunque i propri personali destini da quelli della clientela che a Bologna faceva capo ai Malvezzi” nell’analisi di Betti e Calore 2003, pp. 154-160, 157..

Vero inoltre che, tra i diversi modi d’espressione, la virtù del cardinale individuava un vessillo nell’accademia degli Indomiti, formalmente istituita nel 1640 e a lui profondamente devota ancora un lustro più tardi, quando Andrea Barbazza giungeva a Roma per ricevere l’autorizzazione sui nuovi simboli scelti dai membri del consesso, ospitato presso il pittore collezionista Giovan Francesco Negri [106] Morselli 1998, pp. 350-363, 351; Betti 2021, pp. 35-39. Cantarini realizzò il ritratto del cardinale Sacchetti, menzionato nell’inventario di Cesare Locatelli, datato 1658: “Ritratto del Cardinale Sacchetto con beretta in Capo Senza Cornice del Pesarese”, cfr. Morselli 1998, p. 283, doc. 52, n. 121. È probabile che dallo stesso dipinto fosse stata cavata da un anonimo incisore l’effigie che ricorre in apertura del componimento d’occasione La quadriga del sole impresa dell’Academia de gl’Indomiti dichiarata e lodata. Discorso dello Stellato Ovidio Mont’Albani havuto pubblicamente nell’istessa Academia il dì 7 dicembre 1645. All’eminentissimo, e reverendiss. Sig. Cardinal Giulio Sacchetti protettore, Bologna, G. Monti 1646. Il legame tra Reni e Andrea Barbazza emerge con argomenti di novità nel capitolo dedicato da Iseppi e Morselli in La Favola di Atalanta 2024, pp. 125-153.. L’adunanza fu personalmente apprezzata da Antonio Barberini (1607−1671) e in proposito [107] L’informazione è portata all’attenzione da Betti (2021, p. 38) risalendo a un passo delle Memorie, Imprese e Ritratti de’ Signori Accademici Gelati di Bologna […] All’Eminentiss. e Reverendiss. Card. Francesco Barberino […], Bologna, Manolessi 1672 p. 292. A “Bologna nel mondo dei Barberini” lo studioso ha dedicato un’ampia disamina nel 2018. , più che le prove di Simone a partire dalla viva effigie a olio su carta (Roma, Gallerie Nazionali di Arte Antica, Palazzo Barberini; Galleria Corsini; Collezione privata) [108] Per Cantarini e Antonio Barberini si veda Ambrosini Massari 1997b, pp. 52-53; sui dipinti illustrati come ideale serie nella recente mostra, Y. Primarosa, in Simone Cantarini (1612−1648). Un giovane 2025, pp. 98-101, n. I.9-I.11. , sarà logico il rimando al Ritratto come cavaliere di Malta di Ottavio Leoni (Collezione privata) in quanto, tra i principali, il gruppo annoverava Giovanni Bertolotti [109] Per il dipinto, Y. Primarosa, in Simone Cantarini (1612−1648). Un giovane 2025, pp. 96-97, n. I.8., teologo del medesimo ordine rientrato a Bologna nel 1636 [110] G. B. Capponi, Oratione funebre, in Languidezze accademiche in morte del signor commendatore G. Gio. Bartolotti primo Prencipe et uno de’ fondatori dell’Accademia degli Indomiti in Bologna (Bologna, G. B. Ferroni 1646), pp. 1-14, 11. . La sua dipartita un decennio più avanti decretò la fine dell’esperienza ma occorre dire che di lui si parla nel volume contenente le biografie degli accademici Incogniti di Venezia, pertanto da considerare allineato alle frequentazioni lagunari di Manzini [111]Le Glorie degli Incogniti. O vero gli huomini illustri dell’Accademia de’ signori Incogniti di Venetia, Venezia, F. Valvasense 1647, p. 197; su Bertolotti si veda Betti 2000, pp. 65-73..

Due ulteriori evidenze sostengono la nostra ipotesi: da un lato il legame di lunga data ancora di Manzini con Giovanni Battista Capponi, talvolta ricordato come fondatore degli Indomiti [112] Betti 2021, p. 37, nota 10., e dall’altro quella che coinvolge l’abate Gavotti procedendo dalla notizia del matrimonio della figlia Aurelia con Alessandro Siri [113] Giovan Carlo vestì l’abito clericale soltanto dopo la morte della moglie, la cugina Giovanna, dalla quale ebbe quattro figli, cfr. Leonardi 2009, p. 98. , la cui famiglia assunse la gestione del banco Sacchetti e il ruolo di depositaria privata dei Barberini, dunque dal mandato di pagamento predisposto da Antonio juniore: “Signori Siri piacciali pagare al Signor Carlo Gavotto scudi cento trenta, metà sono per il prezzo di due quadri havuti da lui cioè uno di un San Girolamo di Guido, e l’altro di tre teste di Donne […] Di Palazzo li 23 Giugno 1634” [114] Aronberg Lavin 1975, p. 34, n. 266; la consuetudine di Gavotti con Guido può valersi inoltre della testimonianza di André Felibien in relazione al quadro inviato al cardinale Mazzarino, cfr. Leonardi 2008, pp. 104-105; Ead. 2009, p. 276..

Arianna Manes

Note

[1] https://aperto.pinacotecabologna.beniculturali.it/stampe-bolognesi-di-guido-reni-pittore-e-incisore-ricostruzione-del-quarto-volume-della-raccolta-di-stampe-della-pinacoteca-nazionale-di-bologna#par0, Rossoni, in Rossoni e Candi 2019.
[2] Per la stampa si veda Bellini 1987, p. 115, n. 78; per il dipinto A. M. Ambrosini Massari, in Simone Cantarini (1612−1648). Un giovane maestro 2025, pp. 106-107, n. I.14. Su Cantarini ritrattista si rinvia anche a Pulini 2021.
[3] Morselli 1997, p. 50.
[4] Malvasia 1678 (1841), I, pp. 92-94, 97-100. Un primo elenco di stampe di Reni è quello di Joachim von Sandrart (1675, II, p. 196), cui trae le mosse un importante contributo dedicato al bolognese acquafortista da Faietti 2015. Quanto al nostro volume, la critica ha escluso l'ausilio della fonte in fase di allestimento (Rossoni, in Rossoni e Candi 2019, nota 9), mentre per i lavori di Cantarini l'ulteriore riferimento è a Gori Gandellini 1771 (1808), I, pp. 175-178.
[5] La storia della collezione è ripercorsa da Rossoni 2008: https://aperto.pinacotecabologna.beniculturali.it/nuovi-studi-sulla-collezione-di-stampe-della-pinacoteca-nazionale-di-bologna, e Ead. 2025.
[6] Kristeller 1896, p. 397.
[7] https://aperto.pinacotecabologna.beniculturali.it/stampe-bolognesi-di-guido-reni-pittore-e-incisore-ricostruzione-del-quarto-volume-della-raccolta-di-stampe-della-pinacoteca-nazionale-di-bologna (d’ora in poi Candi, in Rossoni e Candi 2019); in aggiunta all’organica disamina di Ead. 2016.
[8] Sulle dinamiche della bottega reniana, si veda il recente saggio di Daniele Benati in Guido Reni 2023, pp. 115-125 e Dans l’atelier 2024, in particolare le pp. 27-35.
[9] Candi, in Rossoni e Candi 2019. In generale si rimanda anche al mio volume dedicato alla fortuna incisoria di Guido Reni nel Seicento: Candi 2016.
[10] Su Giovan Battista Bolognini (1611/1612-1688) si vedano S. Zamboni, in Dizionario Biografico degli Italiani, vol. 11, 1969, ad vocem con bibliografia precedente, e N. Roio, in La scuola di Guido Reni 1992, pp. 33-44. Per la citazione della copia della Crocifissione dei Cappuccini si veda Malvasia 1678 (1841), II, p. 23, per le opinioni dello storiografo sulla sua pittura, ivi, pp. 43 e 377. Cfr. anche Scannelli 1657 (1966), p. 370, e Zanotti 1739, II, p. 27, per la notizia della direzione, nel 1686 insieme a Malvasia, dell’Accademia degli Ottenebrati, fondata dal conte e senatore Ettore Ghisilieri.
[11] Su Lorenzo Loli (1612 ca.-1691) si vedano A.M. Ambrosini Massari, in La scuola di Guido Reni 1992, pp. 301-330, e Thieme, Becker 1907-1950, vol. 23, p. 337. Malvasia lo ricorda più volte nella veste di affezionatissimo allievo, ad esempio quando acquista alcuni disegni del maestro per alleggerirlo dalle sue difficoltà economiche (Malvasia [1678] 1841, II, p. 43) o quando si duole del trattamento riservato da Reni ai suoi disegni, spesso svenduti o regalati a qualsiasi richiedente (ivi, pp. 50-51).
[12] Su Giovanni Andrea Sirani (1610-1670) si veda F. Frisoni, in La scuola di Guido Reni 1992, pp. 365-381.
[13] Su Girolamo Scarsello si vedano Malvasia 1678 (1841), II, pp. 51, 254 e Le Blanc 1854-1890 (1970- 1971), II, ad vocem. Poche notizie su Scarsello anche in Bartsch 1802-1821, vol. 19, pp. 249-250 e in Nagler 1858-1879, vol. 3, p. 641.
[14] Si veda a questo proposto il catalogo della mostra tenutasi presso la Pinacoteca Nazionale di Bologna: Bacco e Arianna 2018.
[15] Su Gilles Rousselet e la sua produzione incisoria e accademica si veda la monografia Meyer 2004. Le stampe di Roussellet dalle Storie di Ercole sono state di recente esposte alla mostra per la quale si rimanda al catalogo Nesso e Dejanira 2017-2018.
[16] Su Bartolomeo Coriolano si vedano C. Garzya Romano, in Dizionario Biografico degli Italiani, vol. 29, 1983, ad vocem con bibliografia precedente, e il recente intervento di Naoko Takahatake 2010: la studiosa ha creato un catalogo assai ricco dei suoi chiaroscuri.
[17] Malvasia 1678 (1841), II, pp. 50-51 e p. 377.
[18] Sul difficile rapporto di Malvasia con l'acquaforte si veda: Faietti 2015, pp. 110-123. Sulla produzione incisoria di Reni, in particolare quella all'acquaforte, si vedano ancora: Aresin 2022 e Faietti 2024. In generale sulla tecnica del chiaroscuro si vedano la Mostra di chiaroscuri 1956, il XII volume del Peintre Graveur di Adam Bartsch (1971) in cui sono pubblicate le stampe di Coriolano, Chiaroscuro 2001, Bury 2003 e Takahatake 2018.
[19] Colomer 1996, pp. 201-214 ipotizza anche che Reni dovesse averne stima al punto da fornirgli i disegni per i frontespizi del Tarquinio il Superbo (1632), del Romulo (1632), del Davide perseguitato (1634) e del Ritratto del Privato Politico Cristiano (1635), opere storiche e politiche del letterato e amico di Guido Virgilio Malvezzi.
[20] Citata in Malvasia 1678 (1841), II, p. 96.
[21] Candi, in Rossoni e Candi 2019.
[22] Per le varie incisioni della Madonna con Bambino dormiente cfr. Bartsch 1971, nn. 52.5 I e 52.5 III, 53.6 e 53.7, e Gaeta Bertelà e Ferrara 1973, nn. 347-349, 362.
[23] Cfr. Pellicciari 1989. Sui disegni di Reni si veda anche Bohn 2008.
[24] Sono stati fatti alcuni tentativi per identificare i disegni preparatori dei chiaroscuri di Coriolano. Henrietta McBurney e Nicholas Turner hanno, per esempio, proposto di identificare il modello per il Cupido dormiente e per altri chiaroscuri di Coriolano, come il San Girolamo (PN24871) e una Sibilla (PN4224) in alcuni fogli conservati presso la Royal Library di Windsor Castle (invv. RCIN 903382; RCIN 903474), in parte già posti all’attenzione della critica da Otto Kurz nel 1955.
[25] Malvasia 1678 (1841), II, p. 42 e p. 64.
[26] La Caduta dei Giganti del 1638 di provenienza Lambertini è stata reperita da Ilenia Carrozza presso la Biblioteca Universitaria di Bologna (si veda articolo in questa rivista e Carozza 2019).
[27] Ivi, I, pp. 94-95: lo storiografo ricorda solo la versione del 1641 e la ristampa del 1647, attribuendo a quest’ultima le variazioni compositive e la dedica a Francesco I che in realtà riguardano la prova datata 1638. Sul tema si veda Takahatake 2010, p. 127, n. 19. In rapporto con l’invenzione reniana può essere la tela raffigurante la Caduta dei giganti conservata presso il Museo Civico di Pesaro (cfr. Pepper 1988, pp. 284-285).
[28] Malvasia 1678 (1841), I, p. 96.
[29] Orlandi 1763, p. 234 citato da Travisonni 2017. L'incisore è colui al quale Malvasia aveva affidato tutte le illustrazioni della Felsina Pittrice. Della sua attività di incisore in chiaroscuro, Pellegrino Antonio Orlandi sottolinea la mimesi con altre tecniche, come il bulino e l'acquaforte, a ulteriore dimostrazione che il giudizio critico su questa tecnica, come già visto per Malvasia, non fosse altissimo. Tra l'altro Moretti sarà poi allontanato dall'Accademia, a causa della sua inabilità nel disegno.
[30] Cfr. Takahatake 2010.
[31] Malvasia 1678 (1841), II, p. 40.
[32] Malvasia 1678 (1841), I, p. 96. Per le incisioni si veda Candi 2016, p. 269, nn. 139-140. Sulla Fortuna dell’abate Gavotti si vedano Pepper 1988, p. 287, Spear 1997, pp. 240-241, Pepper e Mahon 1999.
[33] Malvasia 1678 (1841), I, pp. 96-97, e II, pp. 24, 31, 320. Della Fortuna parla qui di seguito Arianna Manes con una nuova ipotesi interpretativa del soggetto.
[34] Per la complessa individuazione del ‘collezionista’ di queste stampe si rimanda a Rossoni 2008: https://aperto.pinacotecabologna.beniculturali.it/nuovi-studi-sulla-collezione-di-stampe-della-pinacoteca-nazionale-di-bologna, e Ead. 2025.
[35] Cfr. Carlo Cesi 1987, p. 86.
[36] Si veda il recente volume dedicato alla storiografia critica relativa a Guido Reni (Pierguidi 2022) che si sofferma in particolare sul tema alle pp. 281-294.
[37] Si deve a Denis Mahon la pubblicazione, nel fondamentale Studies in Seicento Art and Theory (1947), del trattato della pittura di Giovan Battista Agucchi (1570-1632), reperito all’interno della prefazione di Giovanni Atanasio Mosini (pseudonimo di Giovanni Antonio Massani) alle Diverse figure al numero di ottanta di artigiani e commercianti delle vie di Bologna (1646), disegnate da Annibale Carracci e incise da Simon Guillain.
[38] Mahon 1947, pp. 271-272.
[39] Malvasia 1678 (1841), II, p. 14. Sull’aneddoto della ‘vecchierella’ si veda in particolare McTighe 2008. Sulla contrapposizione Reni-Domenichino, anche il commento di Spear 1982, vol. 1, pp. 54-56, e ancora Malvasia 2013, in particolare le pp. 7-12.
[40] Si veda la lettera (pubblicata in Gli scritti dei Carracci 1990, p. 166) indirizzata da Annibale Carracci al cugino Ludovico, in cui l’artista attribuisce a Reni, "come […] proprio dono", i caratteri di "vaghezza e maestà"; ad Albani e Domenichino, invece, "altra intelligenza nelle degradazioni sì di colorito come di prospettiva, nella distribuzione e collocatione delle figure, nel caminar de’ piani". Nella biografia di Reni è presente solo un accenno a questa lettera: cfr. Malvasia 1678 (1841), II, p. 14.
[41] Bellori 1672 (1976), p. 319: "Poiché questa historia con l’altra di Guido ad un tempo fù discoperta, concorse ciascuno à vederle come un duello di due eccellentissimi Artefici, nel quale combattevano non Apelle, e Protogene di una linea, ma Guido, e Domenico di tutta la pittura".
[42] Sul tema si vedano Ginzburg Carignani 1996a e Ead. 2002, p. 65 con bibliografia precedente.
[43] Bellori 1672 (1976), pp. 305-306.
[44] Malvasia 1678 (1841), II, p. 226.
[45] Cfr. Borea 1986, pp. XVII-XVIII.
[46] Sull’Argomento della Galeria Farnese si veda Borea 1986, pp. 129-149, e Ead. 2009, vol. 1, p. 311.
[47] Petrucci 1938, pp. 41. È interessante evidenziare come l’avvio critico proceda per Cantarini dalla grafica e a un anno di distanza dal Guido Reni di Otto Kurz, quando cioè mancavano ancora contributi specifici dedicati ai disegni del bolognese. La fortuna dei disegni di Reni nel ‘900 è argomento del volume di Iseppi, in corso di pubblicazione. Sono grata a Giulia del confronto stimolante su questi temi, per la sua generosa disponibilità.
[48] Emiliani 2008; su Cantarini disegnatore da ultimo Cellini 2025.
[49] In tal senso le osservazioni di Petrucci e Emiliani sono allineate al referto di Malvasia 1678 (1841) II, p. 448, illustrativo della modalità operativa di Simone, studioso attraverso il disegno: “[…] i suoi tagli sono, anzi saranno col tempo sempre più famosi, non potendosi oprar l’acqua forte con maggior brio, e giustezza. Usava perciò fare il disegno da tagliarsi più volte, correggendolo di nuovo, e correttolo, ricalcandolo sempre, e andandogli finalmente sopra con un certo dispregio, che mostrava a chi non sapea l’artificio di tante repliche, una facilità la maggiore del Mondo. Fu insomma il più grazioso coloritore, e il più corretto disegnatore, ch’abbia avuto il nostro secolo e ch’abbia imitato Guido […]”.
[50] L’opera incisa di Simone Cantarini 1980; Bellini 1987; Ambrosini Massari 1997a con relative schede. A entrambi si rinvia per approfondimenti bibliografici, segnalando tra i precedenti studi la ricognizione condotta da Bartsch 1795 e, almeno, Emiliani 1959; Mancigotti 1975.
[51] Malvasia ed. 1983, p. 176.
[52] Un documento importante si individua perciò nell’acquaforte desunta dal Veronese compresa nel volume (PN 24763), per cui si veda A. M. Ambrosini Massari, in Simone Cantarini detto il Pesarese 1997, p. 312, n. III.1. Per Agostino il riferimento è nello specifico al rapporto con Melchiorre Zoppio, tra i fondatori dell’accademia dei Gelati, attenzionato da ultimo in La favola di Atalanta 2024, pp. 14-19. Zoppio fu autore del trattato d’amore intitolato Psafone (Bologna, G. Rossi 1590), la cui rilevanza per i fratelli Carracci e in rapporto al programma decorativo della Galleria Farnese è stata evidenziata da Ginzburg (2000, pp. 135-154), proponendo una lettura combinata con La Montagna Circea, testo descrittivo degli apparati nuziali del duca di Parma Ranuccio con Margherita Aldobrandini. Sull’argomento inoltre Ead. 2008; Colonna 2007, pp. 51-54. Sulle Lascivie si veda invece Faietti 2009.
[53] Come suggerito da Candi (2016, p. 217, n. 70) la si potrebbe credere tratta dalla stampa autografa descritta nella Felsina pittrice come “La Madonna sedente in faccia, che postasi la sinistra sotto la guancia con la destra si sostiene in grembo il nudo Bambino steso, volto all’insù che fa volare la rondinella appesa a’ un filo”, della quale doveva esistere una versione dipinta già in collezione del marchese Francesco Maria Angelelli.
[54] Fondamentali le aperture di Morselli (1997, pp. 51-59; 2012, pp. 149-150) in relazione alle figure dei mercanti Bernardino e Cesare Locatelli e alla rispettiva quadreria, descritta a partire dagli inventari pubblicati in Ead. 1998, pp. 271-293.
[55] Malvasia 1678 (1841), II, p. 376; Ambrosini Massari 1997a, pp. 304-311.
[56] Emiliani 1992, p. 211.
[57] Si tratta di soggetti illustrati in relazione ai dipinti da ultimo in Simone Cantarini (1612−1648). Un giovane 2025, pp. 120-121, n. II.6; 176-179, n. V.2; 180-183, n. V.3-V.4; per il confronto con Reni e per il caso specifico del Riposo di Brera, si veda Ambrosini Massari 2025, pp. 26-27, 33, figg. 5-6.
[58] Malvasia 1678 (1841), I, p. 98.
[59] A. M. Ambrosini Massari, in Simone Cantarini 1997, pp. 326-327, n. III.11.
[60] Malvasia ed. 1983, pp. 180-181; in relazione al Guercino, Morselli 2012, p. 145.
[61] Sulla famiglia Sacchetti e la preminenza del cardinale Giulio è opportuno il rimando alla disamina di Fosi 1997; in breve invece, Ead. 2017, pp. 449-455.
[62] Le vicende sono ripercorse nel catalogo interamente dedicato, Bacco e Arianna di Guido Reni 2018. Per la grande stampa desunta da Giovanni Battista Bolognini si veda nel dettaglio Candi 2016, pp. 74, 273, n. 147.
[63] Cellini 1997, pp. 407-412; Ambrosini Massari 2009, pp. 379-380; Ead. 2025, pp. 28-29.
[64] Sull’importante commissione per la chiesa del Forte Urbano un quadro di riferimento è quello tratteggiato da A. Emiliani, in Simone Cantarini detto il Pesarese 1997, pp. 96-102, n. I.14.
[65] Morselli 2022, pp. 72-74; Primarosa 2025, pp. 41-42.
[66] P. Stenta, in La Civica Pinacoteca il Guercino di Cento 2023, pp. 272-273, n. 51.
[67] Si tratta di uno scritto composto alla morte di Giovanni Battista aggiunto in calce allo studio scientifico dal titolo Le comete (Bologna, G. B. Ferroni, 1665), insieme all’orazione funebre tenuta da Matteo Griffoni e ad altri componimenti poetici. Un moderno profilo biografico è stilato da Matt 2007, pp. 273-276.
[68] Betti 1991, p. 60.
[69] Rispetto alle posizioni di entrambi, Betti e Saccone 2009.
[70] Su Matteo Peregrini si veda Ardissimo 2015, pp. 326-330. Per l’accademia della Notte e il dibattito incentrato sul ‘savio di corte’ si rinvia anche a Betti 2000, pp. 84-101; Ead. 2002, pp. 53-58. Le intersezioni che qui interessano, tra pittori e letterati, sono state indagate da Iseppi 2022, pp. 253-284 con particolare attenzione alla figura del poeta Gaspare Bombaci.
[71] Fantuzzi 1718-1799 (1965), V-VI, pp. 208-211.
[72] Borghi 2018, pp. 484-485.
[73] Il romanzo vide la luce a Bologna per i tipi di Giacomo Monti nel 1637. L’ostinata rincorsa al patronage Savoia fu parallela a quella del fratello Luigi e annovera, tra gli apici, la condanna decisa dalla Repubblica di Venezia per aver avvallato le tesi da questi proposte in merito alla contesa sovranità di Cipro ne Il caduceo. Panegirico all’altezza serenissima di Maurizio principe, e cardinal di Savoia, Bologna, C. Ferroni 1635, nella Copia di una lettera in risposta scritta dal Sig. Gio. Battista Manzini ad un cavaliere principalissimo di Venetia falsamente datata 1636, per cui si veda Fantuzzi 1718-1799 (1965), V-VI, p. 209. Un positivo rapporto con gli intellettuali della Serenissima dovette tuttavia procedere dall’amicizia con Giovan Francesco Loredan, fondatore dell’accademia degli Incogniti, come con il consultore della Repubblica Fulgenzio Micanzio. In quest’ultimo caso si veda Betti 1989, mentre più in generale riguardo al cenacolo: Miato 1998; Spera 2014; Stockbrugger 2020.
[74] Raimondi 1961, pp. 196-210.
[75] Risale invece al 1627 il discorso di presentazione dell’accademia della Notte tenuto da Manzini dinanzi allo Spada, appena giunto nelle vesti di Legato, e al cardinale Magalotti. Come sostenuto da Betti (2002, pp. 53-54), l’orazione riveste un duplice interesse, per gli argomenti che specificano la scelta del nome e dell’emblema e per la rilevanza ufficiale assunta nel cenacolo dal nostro, altrimenti non verificabile.
[76] Nel 1630 Manzini presentò un componimento, I tre concorrenti amorosi, nella villa di Brignole Sale; al medesimo è rivolta la dedica del Sant’Eustachio martire, mentre l’opera del genovese intitolata Le instabilità dell’ingegno venne pubblicata nel 1635 a cura del bolognese. Questi i pregressi che delineano il tenore della relazione prima dell’acquisto dei “quadri dieci di mano di Guido Reni di Bologna” rivenduti da Manzini. La vicenda, indagata a più riprese dagli studi, è stata riconsiderata da Leonardi (2011-2012) rendendo note le tre missive del 1641 rintracciate nel fondo Sauli presso l’Archivio Durazzo Giustiniani di Genova, muovendo da quella risalente al 4 maggio inoltrata da Manzini a Giovanni Antonio Sauli, completa di una copia della nota con la quale Brignole Sale aveva messo in dubbio la qualità dei quadri ricevuti.
[77] La citazione ricorre in Malvasia 1678 (1841), II, p. 379, preceduta dall’antefatto: “Esagerando egli un giorno sopra la sua perversa fortuna, che invece di attribuire alle sue irresoluzioni, e perdite di tempo, rifondeva sopra una chimerizzata persecuzione di Guido, e amplificata malignità degli emoli, e promettendo gran cose, quando da soggetto autorevole venisse sostenuto e difeso, ciò udito da persona molto accreditata in lettere, e per quelle sollevato a gradi e titoli, offerse prontamente la sua protezione, non meno, che il vitto, la casa, e quanto avesse saputo desiderare, oltre onesta previsione; onde stabilitesi ben tosto le condizioni, la qualità e quantità de’ quadri che lavorargli ogn’anno dovea, passossene a quella casa servito in partimento nobile […].” Il rapporto tra i due è tratteggiato anche negli appunti inediti, ed. 1983, pp. 183-184. Il profilo biografico di Manzini è approfondito da Betti 2009, pp. 257-289.
[78] Per il dipinto si rinvia al volume dedicato da Pierguidi 2012.
[79] Malvasia 1678 (1841), II, p. 46; Borghi 2018, pp. 483-487.
[80] Iseppi, in Iseppi e Tomei 2022, pp. 121-126.
[81] Cfr. nota 76.
[82] Per un accenno sulla figura di Imperiale collezionista e, più in generale, per la sua biografia si rimanda al profilo di Russo, Pignatti 2004, pp. 297-302. Attorno al San Sebastiano per lui dipinto da Reni: Iseppi, in Iseppi e Tomei, pp. 68-73. Occorre inoltre precisare che, diversamente dal fratello Luigi, Manzini non risulta formalmente ascritto a nessuna accademia veneziana malgrado quanto riferito nella nota 73 e le evidenze isolate da Borghi (2018, pp. 485-486).
[83] Si tratta di un asse accademico che identifica uno snodo nel capoluogo felsineo. Per le relazioni ‘erudite’ tra Bologna e Roma si veda primariamente Avellini 1982 mentre, attorno a Guido Reni, lo sfondo è indagato più nel dettaglio da Iseppi e Tomei 2022.
[84] In breve sul quadro: Malvasia 1678 (1841), II, pp. 24, 31, 320; Baldinucci 1681-1728 (1846), IV, pp. 29-30; Benadduci 1886, pp. 20-21; Pepper 1984, p. 277, n. 166A.I; Ead. 1988, p. 287; Pepper e Mahon 1999, pp. 156-163; P. Boccardo e M. Palazzi, in L’età di Rubens 2004, pp. 450-451, n. 116; Pericolo 2024, pp. 59-62.
[85] Un ragguaglio sulla sua figura e per le presenze ‘felsinee’ all’interno della collezione, Cantarini compreso, è offerto da Leonardi 2004, pp. 445-449; Ead. 2008, pp. 110-111.
[86] Feci 2016, p. 16, nota 64 e pp. 23-24.
[87] La presenza del soggetto nelle collezioni Gavotti vanta tra i riferimenti, come il più antico, l’inventario stilato alla morte di Nicolò III nel 1650; di una “Fortuna che viene da Guido” si fa menzione poi nell’elenco del 1679 relativo all’eredità di Camillo Gavotti, cugino di Giovan Carlo, per cui si veda Leonardi 2004, p. 446-447, nota 23; Ead. 2008, p. 107.
[88] Sensi d’humiltà e di stupore havuti da Luca Assarino intorno le grandezze dell’Eminentissimo Cardinal Sacchetti e le pitture di Guido Reni […], Bologna, G. Monti e C. Zenero 1639, pp. 27-29; Magnani 2017, pp. 220-224.
[89] Cibrario, Jatta 2015, pp. 55-72.
[90] Baldinucci 1681-1728 (1846), IV, p. 30.
[91] Pericolo 2024, pp. 64-68.
[92] Leonardi 2009, pp. 98-102.
[93] La citazione è riferita nelle ‘testimonianze indotte’ presentate al processo di Lelio Maria Gavotti (1612−1680) per l’ammissione all’ordine militare di Santo Stefano Papa e Martire di Pisa, per cui si veda Leonardi 2008, pp. 96, 128, note 38 e 39. In tema di prossimità alla famiglia Sacchetti, ben evidenziata dallo studioso, è poi da richiamare la nota desunta da Romanelli 1996, pp. 349-350, “1651. Lista dei quadri d’Ill.mo et Ecc.mo Sacchetti … nel palazzo e nell’appartamento di [Giulio] Sacchetti, n. 221, Abate Gavotti, quadro … della fortuna cornici indorati et intagliati”, ripresa in ultimo da Pericolo (2024, p. 63).
[94] Montanari 2019, pp. 17-18.
[95] La favola di Atalanta 2024, pp. 155-183.
[96] Un indicativo percorso iconografico dal secolo XI all’età moderna è approntato da Rossoni 2010, pp. 12-22.
[97] Su Manzini e gli Umoristi si veda Betti 2002, pp. 56-57, mentre per l’accademia dei Desiosi si rinvia più in generale a Merolla 2008. Il tema della comune riflessione sul ‘savio di corte’ è percorso da Iseppi (2023, pp. 272-274) nel contributo inerente al collezionismo di Maurizio di Savoia, al suo rapporto con Guido Reni e rispettivo atelier.
[98] Della peripetia di Fortuna overo sopra la caduta di Seiano breve considerazione di Gio. Battista Manzini. All’illustrissimo signore il Sig. Marchese Horatio Scotti, in I furori della gioventù. Esercitij Rhettorici, Bologna, C. Ferroni, 1629, pp. 43-44. L’opera è inclusa nell’opuscolo a cura di Pieri 1987, pp. 5-48. Complementare la citazione dall’Alcibiade di Virgilio Malvezzi estrapolata da Raimondi (1961, p. 211): “Chi non conosce i movimenti della fortuna – scriverà verso la fine della sua esistenza – non è buon politico. Chi gli conoscesse, conoscerebbe Iddio… L’uomo per oprar bene, quantunque pieno di scienza, ha bisogno d’un non so che di più, che non può né apprendere né insegnare né conoscere, se l’esperienza non glielo mostra, né che cosa sia dopo averlo sperimentato”.
[99] Aricò 2004, pp. 201-205.
[100] Fondamentale in proposito la disamina di Aricò 2007a.
[101] Historie delle prosperità infelici di Elio Seiano […] di Pietro Mattei historiografo del Re Cristianissimo tradotte dalla francese nella lingua italiana dal Gelato Academico Humorista […], Venezia, S. Grillo e fratelli 1620, p. 152.
[102] Historia delle prosperità infelici d’una femmina di Catanea Gran Siniscalca di Napoli di Piero Mattei […], Ferrara, V. Baldini, 1619, pp. 57-58; Aricò 2007b.
[103] M. Rossi, in Dea Fortuna 2010, p. 56, n. 17.
[104] Per un inciso sul periodo della legatura bolognese si veda Fosi 1997, pp. 120-121. Rispetto alla precedente esperienza ferrarese (1627−1631) il riferimento è ai due volumi curati da Fosi e Gardi 2006.
[105] Del torneo ultimamente fatto in Bologna all’Emin. Sacchetti descritione panegirica del Commend. Gio. Battista Manzini […], Bologna, G. Monti e C. Zenero 1639, pp. 75-76, scritto successivo alla partenza di Virgilio Malvezzi per Madrid inteso come un’operazione “capace di disgiungere comunque i propri personali destini da quelli della clientela che a Bologna faceva capo ai Malvezzi” nell’analisi di Betti e Calore 2003, pp. 154-160, 157.
[106] Morselli 1998, pp. 350-363, 351; Betti 2021, pp. 35-39. Cantarini realizzò il ritratto del cardinale Sacchetti, menzionato nell’inventario di Cesare Locatelli, datato 1658: “Ritratto del Cardinale Sacchetto con beretta in Capo Senza Cornice del Pesarese”, cfr. Morselli 1998, p. 283, doc. 52, n. 121. È probabile che dallo stesso dipinto fosse stata cavata da un anonimo incisore l’effigie che ricorre in apertura del componimento d’occasione La quadriga del sole impresa dell’Academia de gl’Indomiti dichiarata e lodata. Discorso dello Stellato Ovidio Mont’Albani havuto pubblicamente nell’istessa Academia il dì 7 dicembre 1645. All’eminentissimo, e reverendiss. Sig. Cardinal Giulio Sacchetti protettore, Bologna, G. Monti 1646. Il legame tra Reni e Andrea Barbazza emerge con argomenti di novità nel capitolo dedicato da Iseppi e Morselli in La Favola di Atalanta 2024, pp. 125-153.
[107] L’informazione è portata all’attenzione da Betti (2021, p. 38) risalendo a un passo delle Memorie, Imprese e Ritratti de’ Signori Accademici Gelati di Bologna […] All’Eminentiss. e Reverendiss. Card. Francesco Barberino […], Bologna, Manolessi 1672 p. 292. A “Bologna nel mondo dei Barberini” lo studioso ha dedicato un’ampia disamina nel 2018.
[108] Per Cantarini e Antonio Barberini si veda Ambrosini Massari 1997b, pp. 52-53; sui dipinti illustrati come ideale serie nella recente mostra, Y. Primarosa, in Simone Cantarini (1612−1648). Un giovane 2025, pp. 98-101, n. I.9-I.11.
[109] Per il dipinto, Y. Primarosa, in Simone Cantarini (1612−1648). Un giovane 2025, pp. 96-97, n. I.8.
[110] G. B. Capponi, Oratione funebre, in Languidezze accademiche in morte del signor commendatore G. Gio. Bartolotti primo Prencipe et uno de’ fondatori dell’Accademia degli Indomiti in Bologna (Bologna, G. B. Ferroni 1646), pp. 1-14, 11.
[111] Le Glorie degli Incogniti. O vero gli huomini illustri dell’Accademia de’ signori Incogniti di Venetia, Venezia, F. Valvasense 1647, p. 197; su Bertolotti si veda Betti 2000, pp. 65-73.
[112] Betti 2021, p. 37, nota 10.
[113] Giovan Carlo vestì l’abito clericale soltanto dopo la morte della moglie, la cugina Giovanna, dalla quale ebbe quattro figli, cfr. Leonardi 2009, p. 98.
[114] Aronberg Lavin 1975, p. 34, n. 266; la consuetudine di Gavotti con Guido può valersi inoltre della testimonianza di André Felibien in relazione al quadro inviato al cardinale Mazzarino, cfr. Leonardi 2008, pp. 104-105; Ead. 2009, p. 276.

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Guido Reni, catalogo della mostra a cura di D. Garcia Cueto (Madrid 2023), Madrid, Museo Nacional del Prado, 2023.

Iseppi 2023
G. Iseppi, Guido Reni e la sua cerchia per Maurizio di Savoia fra Bologna e Roma, in Il Cardinale. Maurizio di Savoia, mecenate, diplomatico e politico (1593 – 1657), atti del convegno, a cura di J. Morales, C. Santarelli, F. Varallo, Roma 2023, pp. 257-275.

La Civica Pinacoteca il Guercino di Cento 2023
La Civica Pinacoteca il Guercino di Cento. Catalogo generale, a cura di L. Lorenzini, Cinisello Balsamo 2023.

Dans l’atelier 2024
Dans l’atelier de Guido Reni, catalogo della mostra (Orléans 2024), a cura di C. Dury, (Orléans 2024), Cinisello Balsamo 2024.

La favola di Atalanta 2024
La favola di Atalanta. Guido Reni e i poeti, catalogo della mostra a cura di G. Iseppi, R. Morselli, M. L. Pacelli (Bologna 2024), Cinisello Balsamo 2024.

Pericolo 2024
L. Pericolo, Guido Reni’s “Fortune”, in “Storia dell’arte”, 161, pp. 58-81.

Simone Cantarini (1612 – 1648). Un giovane 2025
Simone Cantarini (1612 – 1648). Un giovane maestro tra Pesaro, Bologna e Roma, catalogo della mostra a cura di L. Gallo, A. M. Ambrosini Massari, Y. Primarosa (Urbino 2025), Roma 2025.

Ambrosini Massari 2025
A. M. Ambrosini Massari, Caos calmo: unicità di Simone Cantarini, in Simone Cantarini (1612−1648). Un giovane maestro 2025, pp. 20-34.

Cellini 2025
M. Cellini, Recto e verso. Alcune riflessioni sulla pratica del disegno in Simone Cantarini, in Simone Cantarini (1612−1648). Un giovane maestro 2025, pp. 51-57.

Mazza 2025
A. Mazza, Nella bottega bolognese di Simone Cantarini: Flaminio Torri, Giulio Cesare Milani, Lorenzo Pasinelli, in Simone Cantarini (1612−1648). Un giovane maestro 2025, pp. 58-65.

Primarosa 2025
Y. Primarosa, “Cose vedute dal naturale che innamorano”. Simone Cantarini tra ideali reniani e naturalismi post-caravaggeschi, in Simone Cantarini (1612−1648). Un giovane maestro 2025, pp. 35-50.

Rossoni 2025
E. Rossoni, La donazione di stampe di papa Benedetto XIV dall’Istituto delle Scienze alla Pinacoteca Nazionale di Bologna: provenienza, ordinamento e peripezie, in Benedetto XIV e Bologna. Arti e scienze nell’età dei lumi, catalogo della mostra a cura di F. Citti, I. Graziani (Bologna 2025), Bologna 2025, pp. 255-274.