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Geometrismo e movimento

Geometrismo e movimento

Tendenze non figurative di orientamento geometrizzante si affermano in Europa nel secondo dopoguerra. La ricerca della purezza formale contraddistingue il nuovo internazionalismo estetico così come l’attenzione al design e alla “sintesi delle arti”. Erede di una sensibilità determinatasi intorno alla metà del secolo precedente, la propensione dell’arte a confrontarsi con le scoperte scientifiche e tecnologiche è caratteristica determinante della attitudine astrattista di questo periodo e mira a superare la tradizionale dicotomia che contrappone arte e scienza, conducendo la prima sul sentiero della regola armonica e del dominio dell’esattezza. Sopravanzando gli esiti delle ricerche astrattiste delle avanguardie di inizio Novecento, che mantenevano una referenzialità con il mondo fenomenico, l’astrazione alla quale gli artisti del secondo dopoguerra fanno riferimento discende dal pensiero concretista di Theo van Doesburg e i suoi esiti contestano tanto la figurazione quanto l’astrazione lirica. All’esistenzialismo informale che aveva dominato la decade precedente le composite sperimentazioni neoconcrete oppongono la necessità di investigare le ragioni oggettive della vista e della percezione. È così che, in molti casi, la grafica evidenzia la necessità degli autori di esplorare con mezzi diversi le poetiche che caratterizzano le loro ricerche. È il caso di Auguste Herbin (1882 – 1960) che in Composizione astratta (Minuit) del 1959 (Tip. 29813) traduce, senza difficoltà alcuna, la sua pittura, fatta di semplici figure geometriche dai colori puri stesi con grandi pennellate piatte, in serigrafia, mezzo peraltro congeniale a dare risalto al contrasto armonico tra sfondo e figure, caratteristica tipica della ricerca di Herbin fin dagli anni Trenta  [1]Cfr. Claisse 1975.. Esemplare è anche il caso di Josef Albers (1888 – 1976) la cui Composizione astratta (Line Square) del 1967 (fig. 1, Tip. 30563) appare come una variante riferibile alla sua serie più famosa, Omaggio al quadrato (1950-76). Quadrati esatti tracciati in colori puri l’uno dentro l’altro vengono solitamente creati da Albers applicando il pigmento direttamente dal tubetto con l’uso della spatola al fine di ottenere un effetto piatto e omogeneo, ma anche luminoso quanto basta per suggerire una illusione di profondità reversibile positivo/negativo. Con la serigrafia la compattezza dell’effetto cromatico è, se possibile, accentuata. L’interazione dei colori, fondamentale nel determinare l’essenzialità della forma e la loro relativa trasparenza e intensità enfatizza infatti la discrepanza tra il fatto fisico e l’effetto psichico, lo scarto tra forma nota e forma percepita [2]Cfr. Pierini 2011 e S.A. 1998.. Questa insistenza nell’indagare l’inganno della percezione connota Albers come eccezionale mediatore tra varie forme di astrazione, pre e post belliche, specie quelle incentrate su luce e colore. Allo stesso modo il suo lavoro è fondamentale riferimento per coloro i quali, in anni successivi, faranno dei meccanismi della percezione il vessillo della loro ricerca.

Un analogo ruolo di mediazione tra l’esperienza prebellica del Bauhaus e gli sviluppi, nei primi anni Cinquanta, della cultura del progetto è assunto da Max Bill (1908 – 1994), poliedrica figura di artista, architetto, scultore, designer e grafico. La sua sintesi armonica delle arti contempera la fondamentale esperienza presso il Bauhaus e l’elaborazione personale delle istanze De Stijl in una processualità logico-matematica che associa rigore mentale e sensibilità percettiva [3]Cfr. Quintavalle 1977.. Espressione visibile della fusione tra il carattere universale della geometria e la soggettività imponderabile dell’intuito, le opere di Bill si reggono su complessi computi aritmetici che lo spettatore raramente è in grado di percepire, proprio come nel caso di Composizione astratta (Komposition), del 1970 (fig. 2, Tip. 30371) [4]Bentini 2003, tav. 109, Bentini, Faietti, Farneti 2004, tav. 109, Tabarroni 1993, tav. 44, Farneti 1993..

 

  

Figura 1: Josef Albers, Composizione astratta (Line Square), 1967,  Tip. 30563 © Polo Museale Emilia Romagna
Figura 2: Max Bill, Composizione astratta (Komposition), 1975, Tip. 30371 © Polo Museale Emilia Romagna 

 

A Milano nel dicembre del 1948 istanze riferibili all’astrattismo geometrico e al concretismo internazionale si coagulano nel Movimento per l’Arte Concreta (MAC). È lo stesso Gillo Dorfles (1910), teorico del gruppo, a proporre la definizione di Arte Concreta, nata “in contrapposizione alla tanto diffusa voga dell’astrazione – appunto perché non proviene da nessun tentativo di astrazione di oggetti sensibili […] è basata soltanto sulla realizzazione e sull’oggettivazione delle intuizioni degli artisti […] lontane da ogni significato simbolico, da ogni astrazione formale, e mirante a cogliere solo quei ritmi, quelle cadenze, quegli accordi, di cui è ricco il mondo dei colori” [5]Cit. in Caramel 1984, vol. I, p. 18.. Tra i progetti più riusciti del movimento – che dalla fusione, nel 1953, con il parigino Groupe Espace prende il nome di MAC/Espace – sono senz’altro i lavori di Bruno Munari (1907-1998). Una evidente affinità compositiva avvicina la Composizione astratta (1955, fig. 3, Tip. 31025) [6]Bentini 2003, tav. 18, Bentini, Faietti, Farneti 2004, tav. 18. in Collezione Tabarroni alla serie dei Negativi-positivi, i cui primi esemplari sono databili al 1949. Giulio Carlo Argan, commentandone una serie realizzata per Esso, afferma che Munari “studia scientificamente le proprietà intrinseche delle forme e dei colori, sapendo perfettamente che sono strumenti con i quali la coscienza mette ordine nell’esperienza della realtà […] l’equilibrio dell’immagine non solo riflette, ma realizza l’equilibrio della coscienza” [7]Argan 1972, ora in Cantini e Michelli 2007.. L’apparente semplicità della Composizione in oggetto è frutto di proporzioni contrastanti che, dispiegandosi liberamente su di un piano dove il fondo non è stato delineato, fa si che gli elementi che formano l’immagine non risultino fermi, come se fossero ‘appoggiati’, ma indugino in perpetua instabilità nello spazio ottico, avanzando o arretrando a seconda dei casi. Munari parla di “unità dinamica” che “nel campo dell’arte […] crea degli oggetti a reazione psicologica” prosegue poi asserendo che “Una pittura, ormai non più raffigurativa o narrativa, sarà una unità dinamica di colori-forme e non la rappresentazione figurativa di forme astratte come è tutt’ora gran parte della pittura d’oggi” [8]Munari, 1955..

Il 1955 è un anno fondamentale per la definizione dell’Arte cinetica. Si tiene infatti a Parigi, presso la galleria Denise René, la mostra Il movimento, nell’ambito della quale si distingue il contributo di Victor Vasarely (1906 – 1997) [9]Spies 1971, Arnauld 2011. e si delineano le principali direttrici del cinetismo. Il movimento illusorio provocato dalla semplice attivazione ottica di una superficie e la modificazione repentina di un’opera in relazione allo spostamento del fruitore sono peculiarità del lavoro di Vasarely. Caratteristiche che contraddistinguono anche i due lavori appartenenti alla Collezione Tabarroni, anzi, a voler essere precisi, i due fogli esemplificano ognuno una delle metodiche enunciate. La serigrafia Composizione con cerchi e quadrati o Betelgeuse (1959 Tip. 30756), dal nome della seconda stella più luminosa della costellazione di Orione, presenta una continua inversione del rapporto figura/sfondo; tecnica che induce nello spettatore una ipnotica illusione di movimento e di volume. In Composizione astratta (Morphemes) del 1966 (fig. 4, Tip. 30757) [10]Bentini 2003, tav. 183, Bentini, Faietti, Farneti 2004, tav. 183. invece il rilievo calcografico dell’acquaforte genera un impaccio percettivo nel fruitore che non riesce a risolversi circa la natura illusoria o fisica della modificazione di ciò che guarda.

 

  

Figura 3: Bruno Munari, Composizione astratta, 1955  Tip. 30125 © Polo Museale Emilia Romagna
Figura 4: Victor Vasarely, Composizione astratta (Morphemes), 1966, Tip. 30757 © Polo Museale Emilia Romagna 

 

L’attenzione per l’eredità delle Avanguardie, in particolare per il Futurismo e il Dadaismo, e la molteplicità di interessi dei protagonisti di questa stagione artistica giocano d’anticipo sull’evoluzione di queste poetiche nel decennio successivo. Tra gli anni Cinquanta e gli anni Sessanta del secolo scorso vengono infatti elaborati i concetti pilota che orienteranno la sperimentazione delle successive neoavanguardie.

Negli anni Sessanta, parallelamente alla Pop Art, si assiste dunque all’affermarsi (e all’esaurirsi) della cosiddetta Arte cinetica e programmata. Una miriade di gruppi di artisti cinetici si costituisce in tutta Europa, compresa la penisola iberica – dove, tra le principali esperienze, troviamo quella della Equipo 57, qui magnificamente rappresentata dall’elegante foglio di Angel Duarte (1930), Composizione astratta o Movement, (1969, fig. 5, Tip. 30279) – e il blocco orientale con picchi di attività nelle città di Zagabria e Mosca. Aspetti ideologici volti alla democratizzazione dell’arte segnano questo percorso, anticipando i fermenti sociali della fine del decennio. La tendenza al lavoro di gruppo, la contestazione di un sistema mercantile e borghese dell’arte, così come atteggiamenti contraddittori nei riguardi del rapporto tra arte e scienza sono caratteristiche che contraddistinguono e orientano la ricerca degli artisti operanti in questo ambito. Artisti che spesso preferiscono farsi chiamare “operatori estetici”.

Tra le formazioni più significative il Gruppo Zero fondato a Dusseldorf nel 1957 da Heinz Mack (1931) e Otto Piene (1928 – 2014) ai quali si unisce, tra gli altri, Almir Mavignier (1925) che troveremo in seguito tra gli iniziatori del movimento/manifestazione internazionale Nove Tendencije. La ricerca di Mavignier, allievo di Max Bill, oscilla tra Concretismo e Op-Art come ben testimoniato dall’opera Composizione astratta (1968, Tip. 30659) dove l’effetto destabilizzante della dot-painting centrale è contraddetto dallo spesso perimetro solidamente delineato. Più caratteristici dell’orientamento del Gruppo Zero sono i lavori di Mack e di Piene. In particolare il foglio di Mack Composizione astratta (1970, Tip. 30672), nonostante dati ben oltre lo scioglimento del gruppo, avvenuto nel 1966, è coraggiosamente impostato su quella monocromia, segno di pulizia e di azzeramento, che aveva caratterizzato il periodo iniziale del lavoro del Gruppo Zero orientato alla formulazione di un’optical arcaizzante e materica. Realizzata lo stesso anno, l’opera di Piene Composizione con due cerchi (1970, Tip. 30665) è impiantata su una drastica riduzione cromatica nell’ambito della quale la piatta intensità del mezzo serigrafico è contrastata dal caratteristico effetto di liquida dispersione pulviscolare che descrive i due cerchi, tratto distintivo della produzione dell’artista [11]Cohen 1975, Wissmann 1976.. Queste tendenze si confrontano in Italia con i protagonisti di quella breve e intensa esperienza rappresentata da Azimuth, rivista milanese fondata da Piero Manzoni ed Enrico Castellani i quali, a pochi mesi di distanza, decidono di dare visibilità agli orientamenti estetico-sociali della rivista aprendo la Galleria Azimut. L’esperienza dura poco meno di un anno (settembre 1959 – luglio 1960) ma segna il contemporaneo non solo italiano [12]Barbero 2014.. In stretta relazione con l’esperienza di Azimut/h è da mettersi anche il parigino Groupe de Recherche d’Art Visuel (GRAV) ufficialmente fondato nel 1960 in seguito all’invito che Piero Manzoni estende ai suoi “futuri membri” a esporre nella Galleria appena fondata. Il lavoro del GRAV infatti, noto per aver sposato la causa dell’opto-cinetismo di orientamento vasarelyano, inizia curiosamente con ricerche orientate al coinvolgimento attivo dello spettatore. Il gruppo raccoglie un manipolo di artisti, tra i quali Julio Le Parc (1928) e François Morellet (1926 – 2016). Moreller, in seguito considerato uno dei precursori della Minimal Art, sembra derivare il suo lavoro da quello di Max Bill, mentre, di fatto, ne costituisce una delle principali critiche. L’arte dello svizzero proclama l’uso di un insieme di regole a priori il cui scopo è quello di annullare ogni soggettività; di fatto però la progettazione della composizione non sfugge mai alla ‘regola’ del buon gusto e alla ricerca dell’equilibrio. Morellet inocula in questo sistema un virus letale: il caso. A partire dalla serie pittorica e serigrafica intitolata Ripartizione aleatoria di 40.000 quadrati secondo le cifre pari e dispari di un elenco telefonico, iniziata nel 1960, le sue opere si articolano su un campo quadrato suddiviso in una griglia regolare dalla cromia binaria sulla quale si ‘muovono’ linee essenziali la cui disposizione aleatoria provoca il caratteristico, inafferrabile, sfarfallio ottico che possiamo apprezzare anche in Composizione astratta (Serigrafia 5) del 1975 (fig. 6, Tip. 29914).

 

  

Figura 5: Angel Duarte, Composizione astratta o Movement, 1969,  Tip. 30279 © Polo Museale Emilia Romagna
Figura 6: François Morellet, Composizione astratta (Serigrafia 5), 1975, Tip. 29914 © Polo Museale Emilia Romagna 

 

Gli innumerevoli gruppi attivi in questi anni creano una articolata e capillare rete di artisti che dialogano tra loro e si contaminano vicendevolmente. Uno degli aspetti più interessanti che costituisce il minimo comune denominatore di molti di essi è il coinvolgimento attivo del fruitore, aspetto che lascia trasparire il profondo cambiamento in atto nella definizione della funzione dell’arte e della figura e del compito dell’artista. L’opera non è più considerata espressione dell’io individuale dell’autore ma una macchina razionalmente progettata in grado di stimolare i meccanismi percettivi dello spettatore, denotando in questo spostamento un evidente interesse per la scienza e le applicazioni tecnologiche, così come per gli studi di psicologia della percezione. Le indagini relative alle ragioni del vedere originano opere per così dire “aperte” secondo la celeberrima definizione di Umberto Eco [13]Eco 1962. formulata in occasione della mostra Arte programmata (1962) organizzata dalla Olivetti. Opere bisognose quindi di un comportamento integrativo-attivo da parte del fruitore. L’Italia ha in questo contesto un ruolo di prim’ordine che vede impegnati su fronti omologhi i membri del Gruppo T (Milano 1959, Giovanni Anceschi, Davide Boriani, Gianni Colombo, Gabriele De Vecchi e Grazia Varisco) e del Gruppo N (Padova 1959, Alberto Biasi, Manfredo Massironi, Edoardo Landi, Toni Costa ed Ennio Chiggio) per non citare che i più noti dei fenomeni che agitano il panorama della ricerca ottico-cinetica nazionale [14]Cfr. Granzotto, Margozzi 2012.. Anche se la tendenza a lavorare in gruppo o in collettivi costituisce senz’altro in questi anni l’orientamento dominante, alcuni artisti non vi si assoggettarono mai. È il caso, per esempio, di Getulio Alviani (1939) [15]Alviani 2004, S.A. 1979, Munari 1966.. Ideatore plastico e progettista, Alviani si muove tra teoria e tecnologia perseguendo la sua ricerca nel campo della strutturazione dinamica della percezione. Osservazione che porta avanti prevalentemente attraverso l’uso di materiali metallici (lamiera di alluminio) lavorati con la fresa in unità modulari successivamente organizzate e composte a formare superfici a testura vibratile. Lo troveremo, al fianco dei principali gruppi italiani ed europei, ai più significativi ‘appuntamenti’ di questi anni. Tra questi Nove Tendencije [16]Rubino 2013. – che si terrà con cadenza irregolare tra 1961 e il 1973 a Zagabria, sotto l’egida di Giulio Carlo Argan e di Umbro Apollonio – sarà luogo privilegiato di confronto delle più avanzate ricerche transnazionali. Tra le manifestazioni ricorrenti alle quali Alviani partecipa un posto d’onore è riservato alla Biennale di Grafica di Lubiana, nell’ambito della quale riceverà il premio internazionale nel 1973 e nel 1977. La serigrafia Composizione astratta (1965, Tip. 31124) è dunque rappresentativa dell’abilità di Alviani nel trasporre l’effetto metallico e vibratile dei suoi lavori in alluminio con mezzi, se si vuole, più tradizionali su materiali solo apparentemente inconciliabili con tale esito.

Con l’affermarsi della Pop Art, nella seconda metà degli anni Sessanta, l’interesse per i fenomeni legati alle ricerche ottico-cinetiche vanno progressivamente esaurendosi. L’attribuzione del Gran Premio di pittura della Biennale di Venezia all’argentino Julio le Parc nel 1966 si può dire segni il momento conclusivo della parabola dell’Arte cinetica e programmata. Molti sono i fattori che hanno contribuito all’esaurirsi di queste ricerche, un ruolo importante lo ha senz’altro avuto la progressiva egemonia del ramo Optical derivante dalle ricerche di Vasarely sulle altre sperimentazioni di tipo cinetico. Questa eredità confluirà poi soprattutto nei campi dell’architettura e del design. Paradossalmente infatti l’utopistica e democratica tendenza alla sintesi delle arti e la relativa economia di replica intrinseca alla modularità degli esiti formali optical fa si che la Op Art diventi presto un fenomeno di moda, scadendo spesso in un puro fatto decorativo. Significative eccezioni sono ascrivibili a coraggiosi sperimentatori che hanno saputo tenere alto il fattore di innovazione. È il caso dell’architetto danese Verner Panton (1926 – 1998) [17]S.A. 2000.. Nell’ambito del design Panton opera prevalentemente su pezzi d’arredo a basso contenuto tecnologico. Le forme dei suoi oggetti esprimono una identità culturale. Le sue sedie Panton ad esempio “organizzano lo spazio non solo con le loro sagome ispirate a una fantastica logica geometrica, ma anche con i loro colori. Il carattere scultorio dei suoi pezzi viene infatti esaltato da un magistrale cromatismo, al quale non fu estranea la lezione dell’Optical Art” [18]Vitta 2001, p. 300.. Lezione che non mancò di mettere in pratica nella grafica, come avviene in Composizione astratta (1978, Tip. 29698), nella quale l’elegante variazione cromatica modulata secondo uno schema geometrico essenziale dà piena evidenza a una sensibilità compositiva non dissimile a quella che si coglie nel disegno di molti tessuti da lui progettati.

Note

[1] Cfr. Claisse 1975.
[2] Cfr. Pierini 2011 e S.A. 1998.
[3] Cfr. Quintavalle 1977.
[4] Bentini 2003, tav. 109, Bentini, Faietti, Farneti 2004, tav. 109, Tabarroni 1993, tav. 44, Farneti 1993.
[5] Cit. in Caramel 1984, vol. I, p. 18.
[6] Bentini 2003, tav. 18, Bentini, Faietti, Farneti 2004, tav. 18.
[7] Argan 1972, ora in Cantini e Michelli 2007.
[8] Munari, 1955.
[9] Spies 1971, Arnauld 2011.
[10] Bentini 2003, tav. 183, Bentini, Faietti, Farneti 2004, tav. 183.
[11] Cohen 1975, Wissmann 1976.
[12] Barbero 2014.
[13] Eco 1962.
[14] Cfr. Granzotto, Margozzi 2012.
[15] Alviani 2004, S.A. 1979, Munari 1966.
[16] Rubino 2013.
[17] S.A. 2000.
[18] Vitta 2001, p. 300.

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Barbero 2014

Barbero (a cura di), Azimut/h: continuità e nuovo, Venezia, 2014

Indice
Elisa Baldini
Geometrismo e movimento
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