Articolo 5 di 9

Segno, gesto e materia nell’opera moltiplicata

Segno, gesto e materia nell’opera moltiplicata

Tra le varie tendenze artistiche novecentesche, rappresentate nella collezione Luciana Tabarroni da pezzi di grande pregio, quella dell’Informale spicca per notevole qualità. Può forse stupire proprio la mancanza di nomi bolognesi, da Vasco Bendini a Pompilio Mandelli, data anche la profonda amicizia che Luciana Tabarroni nutriva per Francesco Arcangeli; ma queste, come altre assenze, si giustificano probabilmente per via del fatto che quegli artisti non erano stati particolarmente dediti all’attività incisoria, preferendo altre soluzioni. Sfilano invece fieramente opere di altri grandi nomi italiani come Burri, Fontana, Vedova e altri che ci offrono interessanti spunti per una riflessione sui particolari rapporti intercorrenti tra lo stile, le tecniche e la poetica di ciascun artista, rapporti non sempre lineari e sereni. ‘Tradurre’ una certa poetica in incisione porta molto spesso a ‘tradire’ la poetica stessa, laddove la tecnica adottata, per quanto riesca ad avvicinarsi agli effetti di una data formatività (nell’accezione di Luigi Pareyson) non riesca a rispettarne le qualità di fondo o le leggi strutturali. È questo il caso della Combustione n. 4 (1965, fig. 1) di Alberto Burri, un’acquaforte che simula l’effetto di una bruciatura mediante un accumulo di bitume trattato con un mordente lento.

 

PROVA Tip. 31056

Figura 1: © Alberto Burri, Combustione n. 4, 1965, acquaforte in rilievo, acquatinta a colori, mm 520×275, inv. Tip. 31056, Bologna, Pinacoteca Nazionale, Gabinetto Disegni e Stampe

 

“Sembra veramente impossibile – afferma Cesare Brandi – che, con mezzi propri della grafica, con lastre sovrapposte, Walter Rossi lo stampatore sia arrivato a restituirci così integralmente l’aspetto del bruciaticcio”, rendendo fisso quel fattore “volatile e instabile” tipico delle Combustioni [1]Brandi 1973, p. 3.. Si tratta però di una soluzione solo apparentemente efficace che, pur rispondendo bene alla necessità di realizzare opere multiple, non convince l’artista stesso, il quale, del resto, l’abbandonerà molto presto. Non possono bastare, infatti, dati di somiglianza a soddisfare una poetica, quale quella di Burri, orientata a indagare le proprietà fisiche di materie e materiali, in perfetta corrispondenza a quella volontà di sporgere, di affacciarsi sul mondo, che è il cuore pulsante dell’Informale [2]Barilli 2006, p. 40.. La netta distanza semantica tra il titolo dell’opera e la sua effettiva entità materiale costituisce uno iato, uno scarto tale da mettere in crisi un intero sistema poietico basato sull’assorbimento del fatto mondano (la bruciatura) nella sua immediatezza, nel suo essere appunto “volatile e instabile”. Lo stesso vale per la piccola Caduta (1960, fig. 2) di Giorgio Bompadre, in cui l’effetto di una striatura, come di un rullo eccessivamente intriso di inchiostro tipografico, è resa attraverso il tratto aguzzo di una puntasecca.

 

2_Tip. 31100

Figura 2: © Giorgio Bompadre, Caduta, 1960, puntasecca, mm 193×195, inv. Tip. 31100, Bologna, Pinacoteca Nazionale, Gabinetto Disegni e Stampe

 

Quella che appare come una macchia del tutto casuale si rivela essere il frutto di un calcolo meticoloso, secondo la stessa logica sottesa ai Brushstrokes che Roy Lichtenstein realizza nel 1965. D’altronde Bompadre, formatosi alla Scuola del Libro di Urbino – dove ha certo visto centinaia e centinaia di quelle macchie di inchiostro tipografico – non è certo incline ai materismi informali (a dispetto di quanto possa sembrare osservando quella sua piccola opera), appartenendo peraltro a una generazione (è nato nel 1929) destinata a tracciare i sinuosi contorni di un iconismo pop o quelli di un astrattismo post-pittoricista [3]Greenberg 1964..

La litografia di Giuseppe Capogrossi [4]Farneti 2009., risalente al 1957 (fig. 3), rispecchia invece fedelmente la poetica del suo autore, e questo perché il segno, unità discreta e votata a una metodica ripetibilità, è un’entità comune tanto alla scrittura quanto al disegno (non è forse un caso se ‘scrivere’ e ‘disegnare’ erano espressi in greco dallo stesso verbo, γράφειν). Quella dell’artista romano si presenta infatti come una sorta di scrittura asemantica dal sapore antico, primitivo, che ben si presta al graffire e quindi all’utilizzo di una tecnica che adotta una superficie in pietra come matrice. Si dà ragione, in questo caso, a quella considerazione di Henri Focillon per cui “la forma risulta in primo luogo qualificata dal campo speciale in cui s’esercita” [5]Focillon 1987, p. 28.. Lo specifico del medium litografico esalta infatti le qualità formali dell’Informale segnico, il che può valere, naturalmente, oltre che per Capogrossi, anche per altri suoi compagni di via come Carla Accardi o Antonio Sanfilippo. Non è forse un caso che, a differenza di Burri o di altri artisti informali, Capogrossi si avvii alla grafica in contemporanea con la pittura, perché il suo particolare stile trova nell’incisione il suo habitat naturale.

Anche l’incisione di Pietro Consagra intitolata Colloquio e datata 1962 tiene fede alle proprietà e ai valori stilistici dell’artista siciliano, pur se tradotti su un supporto bidimensionale e di ridottissime dimensioni (fig. 4). L’efficacia della sua traduzione incisoria può emergere analizzando i modi attraverso cui la scultura di Consagra si offre alla percezione: le sue opere si osservano frontalmente, come se ci trovassimo di fronte a un bassorilievo, nonostante siano quasi sempre applicate su una base di supporto che permette di osservarle da tutti i punti di vista. Lo confermerebbero anche le modalità attraverso cui le sue opere vengono fotografate per essere riprodotte nei cataloghi: sempre frontali, sempre apparentemente parziali, eppure mai sensibilmente incomplete. Questa ricerca tendente alle superfici, spesso abrase e logore, dialoga in modo originale con la ‘poetica del muro’ tipica di certe esperienze informali, inasprendosi con le sagomature irregolari, dinoccolate o violente, dei Colloqui realizzati da Consagra tra il 1952 e il 1963. La possibilità di rendere in grafica quelle frange e quelle frastagliature attraverso un’opportuna lavorazione della lastra si pone in un rapporto omotetico ai lastroni bronzei dello scultore e contribuisce a una fedele trasposizione del suo stile da una tecnica all’altra: la battitura della lastra, presente nelle incisioni come un inevitabile obbligo tecnico, viene sfruttata invece dall’artista siciliano in favore del processo formativo, generando una sorta di scultura in miniatura e ‘in negativo’.

 

3_Tip. 31011  4_Tip. 31066

Figura 3: © Giuseppe Capogrossi, Superficie, 1957, litografia a colori, mm 470×320, inv. Tip. 31011, Bologna, Pinacoteca Nazionale, Gabinetto Disegni e Stampe

Figura 4: © Pietro Consagra, Colloquio, 1962, acquaforte in rilievo, mm 178×146, inv. Tip. 31066, Bologna, Pinacoteca Nazionale, Gabinetto Disegni e Stampe

 

Come quella di Consagra, anche l’opera di Lucio Fontana riesce a rispettare fedelmente la poetica del suo autore, presentando inoltre elementi ottenuti con tecniche genuinamente informali. La più facile e immediata assimilazione dell’Informale all’idea di informità non deve infatti far passare in secondo piano che l’informalità più radicale si esplica ricorrendo a mezzi, materie, tecniche e modalità ‘non formali’, ossia non codificati dalla tradizione. Classificata come acquaforte, l’opera di Fontana (fig. 5), datata 1964 e stampata presso la 2RC di Bracciano per le edizioni della galleria Marlborough di Roma (come la Combustione di Burri), non presenta la battitura della lastra tipica del genere; i due vortici, quasi due campi di energia elettromagnetica emanati dai due corpuscoli centrali, sono inoltre ottenuti per goffratura, una tecnica solitamente adoperata per nobilitare un tessuto o decorare a rilievo una superficie che qui è invece asservita all’emergere di una segnicità grassa e irregolare. Ma soprattutto sono i buchi presenti al centro dei corpuscoli a costituire la vera applicazione di una tecnica non formale nell’ambito dell’acquaforte, un espediente improprio che però è anch’esso ‘incisione’, nell’accezione più comune e generica del termine, un perforare che va oltre la superficie, oltre il supporto e, in ultimo, oltre la convenzione della tecnica stessa.

 

5_Tip. 31007

Figura 5: © Lucio Fontana, Acquaforte n. 2, 1964, acquaforte in rilievo, mm 365×495, inv. Tip. 31007, Bologna, Pinacoteca Nazionale, Gabinetto Disegni e Stampe

 

La possibilità di incidere a rilievo favorisce anche il felice passaggio della poetica di Angelo Savelli su dimensioni più ridotte, come dimostra The meeting ends (1965, fig. 6), mentre Giulio Turcato si affida alla sinuosità di una scrittura asemantica, di un alfabeto danzante che lo riporta a quell’informalità segnica già praticata nel corso degli anni Cinquanta, ma ora condotta con maggiore levità, al punto da renderla Evanescente (1973, fig. 7). La litografia di Afro, estratta dal Campiello (1970, fig. 8), rappresenta invece un momento ben preciso nel percorso del suo autore, la sua graduale fase di passaggio verso forme più definite, racchiuse entro contorni più marcati. Secondo Cesare Brandi è stato proprio l’intensificarsi della sua attività grafico-incisoria attorno al 1969 a condurre l’artista verso strutture maggiormente delineate; fino ad allora infatti Afro ha prediletto l’uso di inchiostro acquerellato su cartoncino, più adatto a rendere l’informità dei suoi tratti. Il ricorso all’acquatinta, all’acquaforte e alla litografia, invece, ha permesso all’artista di asciugare il suo segno e farne emergere il contorno, “quell’esile filo che, ora attorto, ora spezzato, era ricomparso fino ad allora nei suoi quadri” [6]Brandi 1977, p. 14.. L’opera della collezione Tabarroni, tuttavia, non presenta ancora quegli irrigidimenti, insistendo piuttosto su un tachisme cauto, mitigato, alla ricerca di eventuali sviluppi. Di particolare interesse è poi la presenza del bordo bianco della carta, ricorrente in tutte le incisioni dell’artista, e utile, a detta di Brandi, a ristabilire “quella funzione radiante del fondo che con la densità dei toni attuali poteva sembrare attenuata o scomparsa” [7]Ibidem.. Il gioco dei toni sul bianconero costituisce un dato di poetica molto importante sia per Afro sia per molti altri artisti dell’Informale e dell’Espressionismo Astratto: ma al di là della lettura che ne fa Hubert Damisch, vedendo in esso un “ripartire da zero” vissuto nella dimensione cromatica [8]Damisch 1988, p. 64., il contrasto fra il bianco e il nero nell’esperienza pittorica dell’artista udinese assume una diversa valenza. A differenza di altri pittori informali come Robert Motherwell o Conrad Marca-Relli, Afro “non si limita al conflitto fra gli estremi, ma verifica le possibilità della fusione dei due nel grigio, valore intermedio” ragionando così “in funzione di dialogo e di confronto tra contrari” [9]Tedeschi 1989, pp. 113 e 116.. Non vi è, dunque, conflitto ma perfetta conciliazione tra queste forze e la litografia in questione lo attesta fermamente.

 

6_Tip. 310447_Tip. 310508_Tip. 31052

Figura 6: © Angelo Savelli, The meeting ends, 1965, acquaforte in rilievo, mm 425×325, inv. Tip. 31044, Bologna, Pinacoteca Nazionale, Gabinetto Disegni e Stampe

Figura 7: © Giulio Turcato, Evanescente, 1973, acquaforte a colori, acquatinta a colori, mm 315×432, inv. Tip. 31050, Bologna, Pinacoteca Nazionale, Gabinetto Disegni e Stampe

Figura 8: © Afro Basaldella, Campiello I, 1970, litografia, mm 150×250, inv. Tip. 31052, Bologna, Pinacoteca Nazionale, Gabinetto Disegni e Stampe

 

Anche la litografia di Emilio Vedova, risalente al 1959 e appartenente al Ciclo della Protesta (fig. 9), risponde a quel minimalismo tonale asservito a enfatizzare un contrasto di forze materico-gestuali tipico di artisti come Franz Kline o Pierre Soulages, veicolando i medesimi umori esistenziali. Il bianconero di Vedova ha però una diversa origine, provenendo dalle chine cosiddette ‘barocche’ che l’artista realizzava ai suoi esordi riproducendo e dinamizzando le architetture di chiese venete, “spazi mossi e inquieti disegnati con impeto e segni tumultuosi” [10]Longari 2012, p. 55.. Quelle robuste linee costruttive, tirate con decisione e sicurezza, hanno poi gradualmente abbandonato la referenzialità per divenire segni autonomi, latori di quella forza vitale che connota il gesto informale, un tracciare vigoroso, violento, esasperato. Nel suo lungo percorso artistico, Vedova ha riservato molto spazio all’attività incisoria, trovando per questa anche molti e meritati consensi critici; tuttavia la prassi incisoria costringe l’artista a ridimensionare la sua foga gestuale, sottoponendola a un maggiore controllo: contribuiscono a ciò le specificità materiali delle tecniche adottate, dall’acquaforte alla litografia, ma soprattutto le dimensioni delle lastre, molto più piccole rispetto alle tele e alle superfici su cui l’artista veneziano era solito intervenire. Ricorrendo a queste tecniche, infatti, sottolinea Giuseppe Marchiori, Vedova “si trasforma in uomo d’ordine, sollevando ogni foglio con due pinze di cartone pulito, per non lasciare impronte sull’umida carta”; ciò non significa che egli rinunci al suo azionismo segnico, ma di certo lo mitiga nel rispetto di un più controllato procedimento operativo: infatti, fa notare ancora Marchiori, l’artista “sottopone le lastre incise a successive correzioni e a successive morsure, trasformandole addirittura in immagini diverse da quelle iniziali, e sempre con un assoluto dominio della tecnica” [11]Marchiori 1975.. L’imprevedibilità del gestualismo pittorico cede così il passo a un più controllato processo di stratificazione: la violenza dell’informalità di Vedova viene affidata allora all’azione dell’acido che “sbrana il segno” e “lo solca”, compiendo così “la ‘magia’ di ogni rapporto grafico diretto” in un autentico “incontro-scontro con la materia” [12]Vedova 1996, p. 201..

 

9_Tip. 31062

Figura 9: © Emilio Vedova, Composizione, 1959, litografia, mm 350×500, inv. Tip. 31062, Bologna, Pinacoteca Nazionale, Gabinetto Disegni e Stampe

 

Meno tipica rispetto alla cifra stilistica che ha reso noto il suo autore è invece la litografia a colori di Roberto Crippa risalente al 1956 e raffigurante un totem a quattro teste idealmente riconducibile a un certo immaginario primitivistico-surrealista tra Victor Brauner e Wifredo Lam (fig. 10). È invece un buon esempio della fase informale di Giuseppe Santomaso l’opera, ad acquaforte e acquatinta a colori, datata 1958 e intitolata Incanto (fig. 11).

 

10_Tip. 31070 11_Tip. 31019

Figura 10: © Roberto Crippa, Totem fondo rosso, 1956, litografia a colori, mm 300×230, inv. Tip. 31070, Bologna, Pinacoteca Nazionale, Gabinetto Disegni e Stampe

Figura 11: © Giuseppe Santomaso, Incanto, 1958, acquaforte a colori, acquatinta a colori, mm 330×244, inv. Tip. 31019, Bologna, Pinacoteca Nazionale, Gabinetto Disegni e Stampe

 

Di più difficile collocazione all’interno dell’area informale sono poi le due xilografie di Lojze Spacal (datate rispettivamente 1951 e 1970, figg. 12-13), nonostante l’autore abbia pieno diritto di rientrarci, almeno dal punto di vista generazionale; lo stesso vale per Zoran Musič, anch’egli di origine slovena, rappresentato in collezione Tabarroni da un Gruppo di cavalli (1949, fig. 14) a puntasecca e da un Paesaggio (1956, fig. 15) realizzato ad acquaforte e acquatinta. La renitenza dei due autori ad abbandonare la figurazione in virtù di un’esaltazione del segno, del gesto o della materia nella loro vitale autonomia li lascia perseguire infatti ben altre vie, quelle di un grafismo candido, di sapore primitivo, alternato, nel caso di Musič, a momenti di un più cupo realismo esistenziale. La xilografia di Spacal intitolata Sottobosco d’autunno (fig. 13), pur se risalente al 1970, può tuttavia essere assunta come una sintesi ideale di quella più generale dialettica tra l’organico e il geometrico che ha caratterizzato il diramarsi dell’astrazione italiana tra gli anni Quaranta e Cinquanta fino alla soglia degli anni Sessanta, uno scontro di forze che Luciana Tabarroni ha saputo recepire e rappresentare, attraverso la sua collezione, con gusto e intelligenza.

 

12_Tip. 31026  13_Tip. 31027

14_Tip. 31041    15_Tip. 31042

Figura 12: © Lojze Spacal, Periferia, 1951, xilografia, mm 161×118, inv. Tip. 31026, Bologna, Pinacoteca Nazionale, Gabinetto Disegni e Stampe

Figura 13: © Lojze Spacal, Sottobosco d’autunno, 1970, xilografia a colori, mm 250×205, inv. Tip. 31027, Bologna, Pinacoteca Nazionale, Gabinetto Disegni e Stampe

Figura 14: © Zoran Musič, Cavalli, 1949, puntasecca, mm 105×115, inv. Tip. 31041, Bologna, Pinacoteca Nazionale, Gabinetto Disegni e Stampe

Figura 15: © Zoran Musič, Paesaggio carsico, 1956, acquaforte, acquatinta, mm 174×125, inv. Tip. 31042, Bologna, Pinacoteca Nazionale, Gabinetto Disegni e Stampe

 

 

 

Note

[1] Brandi 1973, p. 3.
[2] Barilli 2006, p. 40.
[3] Greenberg 1964.
[4] Farneti 2009.
[5] Focillon 1987, p. 28.
[6] Brandi 1977, p. 14.
[7] Ibidem.
[8] Damisch 1988, p. 64.
[9] Tedeschi 1989, pp. 113 e 116.
[10] Longari 2012, p. 55.
[11] Marchiori 1975.
[12] Vedova 1996, p. 201.

Bibliografia

Greenberg 1964

C. Greenberg, Post-Painterly Abstraction, Los Angeles, 1964.

Brandi 1973

C. Brandi (a cura di), Alberto Burri. Opere grafiche, Roma, 1973.

Marchiori 1975

G. Marchiori, Vedova grafico, in Emilio Vedova, Trieste, 1975.

Brandi 1977

C. Brandi, Afro, Roma, 1977.

Focillon 1987

H. Focillon, Vita delle forme, trad. it., Torino, 1987.

Damisch 1988

H. Damisch, Mistery Paintings, in Les années Cinquante, Paris, 1988.

Tedeschi 1989

F. Tedeschi, Bianco e nero, in L. Caramel (a cura di), Afro. L’itinerario astratto. Opere 1948-1975, Milano, 1989.

Vedova 1996

E. Vedova, Sulla grafica, in D. Eccher (a cura di), Emilio Vedova, Torino, 1996.

Barilli 2006

R. Barilli, Informale Oggetto Comportamento, vol. 1, Milano, 2006.

Farneti 2009

F. Farneti, Sotto il segno di Capogrossi, in “Aperto. Bollettino del Gabinetto dei Disegni e delle Stampe della Pinacoteca Nazionale di Bologna”, 2009, 2 (rivista on line: aperto.pinacotecabologna.beniculturali.it).

Longari 2012

E. Longari, I Plurimi di Emilio Vedova. Un’esperienza singolare e plurale, in “Ricerche di S/Confine”, 2012, 3 (rivista on line: ricerchedisconfine.info)

Indice
Pasquale Fameli
Segno, gesto e materia nell’opera moltiplicata
Segno, gesto e materia nell’opera moltiplicata Note Bibliografia Scarica la versione in PDF